L’amnistia è, oggi, una necessitàNelle carceri italiane ci sono 14mila persone in più rispetto ai posti
regolamentari. Le condizioni di vita sono inumane. Da gennaio, oltre 70 detenuti
e 7 agenti di polizia penitenziaria si sono tolti la vita. Una legge di amnistia
e di indulto per i reati e i residui pena fino a due anni è, oggi, una necessità
assoluta per ripristinare condizioni di umanità. Non solo ma è anche uno
strumento che aiuta a contenere la recidiva.
Non c’è più tempo: bisogna fermare la strage di vite e diritti nelle carceri
italiane. Più di quanto non sia mai stato, le carceri italiane sono diventate un
luogo di morte e di disperazione. Dall’inizio dell’anno ormai ben oltre settanta
le persone che si sono tolte la vita dietro le sbarre, quanti non mai
dall’inizio del secolo in poco più di nove mesi. E con loro hanno deciso di
farla finita sette agenti di polizia penitenziaria. Ognuno di loro avrà avuto le
proprie personali ragioni per arrivare a quella scelta ultima ed estrema, ma
quelle morti ci interrogano sull’ambiente di vita e professionale in cui
avvengono e sulle sue croniche carenze. Sono ormai 62.000 i detenuti nelle
carceri italiane, circa quattordicimila in più dei posti effettivamente
disponibili. In un anno, quasi quattromila in più.
Si tratta in gran parte di autori di reati minori, condannati a pene che
potrebbero dar luogo a un’alternativa al carcere se avessero un domicilio
adeguato, una famiglia a sostenerli, un lavoro con cui mantenersi. Non più di un
terzo è autore di gravi reati contro la persona o affiliato a organizzazioni
criminali. È questo il contesto in cui si sta registrando un numero di suicidi
senza precedenti, tra i detenuti e nella polizia penitenziaria. Il carcere, i
suoi operatori, i detenuti non ce la fanno più. Anche i migliori propositi, come
quelli condivisi dall’Amministrazione penitenziaria con il Cnel, di abbattere la
recidiva attraverso il potenziamento della formazione, dell’orientamento e
dell’inserimento lavorativo dei detenuti, per potersi avverare hanno bisogno di
ridimensionare il numero dei detenuti in modo che gli operatori possano seguirli
efficacemente. Per non dire della prevenzione del rischio suicidario e della
necessaria assistenza sanitaria.
È da molto tempo all’esame della Camera una apprezzabile proposta, avanzata
dall’on. Giachetti, volta a potenziare le riduzioni di pena per i detenuti che
partecipano attivamente all’offerta di attività rieducative proposte dal
carcere. Ma, se vedesse finalmente la luce, non consentirebbe prima di qualche
mese o addirittura di un anno l’uscita anticipata dal carcere di alcune migliaia
di detenuti a fine pena, tanti quanti ne sono entrati nell’ultimo anno. Serve un
intervento più deciso, che consenta la cancellazione drastica e immediata del
sovraffollamento e la realizzazione delle condizioni per una più generale
riforma del sistema penitenziario. È un intervento che la Costituzione prevede
come strumento di politica del diritto penale quando se ne ravvisi la necessità
e l’urgenza, come certamente è questo il caso. Un provvedimento di clemenza
generale, che potrebbe assumere le caratteristiche di una legge di amnistia e di
indulto per i reati e i residui pena fino a due anni. In poche settimane, con
l’indulto uscirebbero dal carcere circa sedicimila detenuti, con l’amnistia per
i reati minori si alleggerirebbero i carichi di lavoro degli uffici giudiziari e
per un po’ di tempo si eviterebbero nuove carcerazioni per reati minori. Tutti
gli operatori della giustizia penale e del sistema penitenziario sanno che
questa è l’unica soluzione disponibile ed immediatamente efficace per risolvere
il problema del sovraffollamento.
Il fatto che l’articolo 79 della Costituzione richieda una maggioranza speciale
per l’approvazione di una legge di amnistia e di indulto, che pure meriterebbe
di essere rivista, lungi dal costituire un impedimento assoluto alla sua
approvazione, spinge a una condivisione di responsabilità tra le forze
politiche, di maggioranza e di opposizione, per l’adozione di un provvedimento
necessario a restituire condizioni di vita e di lavoro dignitose nelle nostre
carceri. Condivisione che ci fu nel 2006, quando il presidente del consiglio
Romano Prodi e il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi si assunsero la
comune responsabilità di votare a favore del più recente provvedimento di
clemenza adottato in Italia, allora come oggi necessario al rispetto ai principi
dell’articolo 27 della Costituzione. In ultimo, ricordiamo che – contrariamente
a una errata opinione molto diffusa – quel provvedimento ha dato risultati molto
positivi non solo nel decongestionamento degli istituti di pena, ma anche nella
riduzione della recidiva: secondo la ricerca di Torrente, Sarzotti, Jocteau,
commissionata dal ministero della Giustizia nel 2006, degli oltre 27 mila
detenuti liberati grazie a quell’indulto, solo il 35% era rientrato in carcere
cinque anni dopo, a fronte di un dato generale che vede intorno al 67% la
percentuale di recidiva registrata tra quanti scontano interamente la propria
pena in carcere; d’altro canto, secondo l’indagine di Drago, Galbiati e Vertova,
pubblicata sul Journal of Political Economy, il tasso di recidiva tra i
beneficiari dell’indulto del 2006 è diminuito del 25%. Dati su cui riflettere e
da cui trarre coerenti conseguenze.
ottobre 2024
Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Michele Ainis, Mons. Vincenzo Paglia, Gaia
Tortora, Giovanni Fiandaca, Gherardo Colombo, Clemente Mastella, Daria Bignardi,
Mauro Palma, Francesco Petrelli, Tullio Padovani, Rita Bernardini, Dacia
Maraini, Alessandro Bergonzoni, Mattia Feltri, Andrea Pugiotto, Ornella Favero,
Franco Corleone, Patrizio Gonnella, Franco Maisto, Luigi Pagano, Grazia Zuffa,
Valentina Calderone, Samuele Ciambriello
Per info e contatti: clemenzaperlecarceri@gmail.com