Dieci giuristi chiedono al governo di revocare il Memorandum militare con
Israele, ritenuto incostituzionale e complice di crimini internazionali
di Linda Maggiori da Valori
Dieci giuristi italiani hanno firmato il 21 maggio 2025 una diffida formale al
governo, affinché revochi il Memorandum d’intesa in materia di cooperazione
militare e della difesa con Israele. Il Memorandum, entrato in vigore l’8 giugno
2005, si rinnova tacitamente ogni 5 anni. Ciò a meno che non sia “denunciato”
(termine tecnico che significa revocato) da una delle due parti. In questo caso,
cessa di avere efficacia al sesto mese successivo alla sua notifica.
Vent’anni di Memorandum militare Italia-Israele segnati da violenze sui civili
«Se il governo italiano non farà nulla, l’8 giugno 2025 si rinnoverà la
ventennale alleanza militare con Israele. E questo nonostante la gravissima
situazione attualmente in corso a Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est. Questo
sarebbe il quarto rinnovo», ricorda Ugo Giannangeli, uno dei giuristi che hanno
firmato la diffida. «Ogni rinnovo del Memorandum è stato segnato da una
violazione del diritto umanitario», prosegue il giurista ricordando come il
primo rinnovo sia stato preceduto dall’eccidio di 1.400 palestinesi a Gaza, con
l’azione militare denominata “Piombo fuso” (2009).
«Il secondo rinnovo è coinciso con l’azione dell’esercito israeliano “Margine
protettivo” (2014-2015). Che ha provocato 2.200 vittime palestinesi (di cui 547
bambini) e migliaia di feriti a Gaza», spiega Giannangeli. E prosegue: «Il terzo
rinnovo dopo le 86 settimane della “Grande marcia del ritorno” (2018-2020),
durante le quali ogni venerdì i civili palestinesi marciavano fino al confine.
Rivendicando il diritto al ritorno dei profughi e quindi l’applicazione della
risoluzione 194/1948. I soldati israeliani più volte aprirono il fuoco sulla
folla inerme, uccidendo 230 palestinesi e ferendone 33mila».
Ora, al quarto rinnovo, «il massacro di civili ha raggiunto dimensioni
inaccettabili, ed è sotto agli occhi del mondo, con autorevoli interventi nel
corso del 2024 della Corte internazionale di giustizia dell’Aia (Cig), dell’Onu
e della Corte penale internazionale (Cpi). Ora come giuristi, diciamo basta.
Abbiamo richiamato il dovere legale, non solo morale, del nostro governo di
rispettare i principi costituzionali e i trattati internazionali».
I dieci giuristi hanno inviato la diffida al ministero della Difesa e al
ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci). Oltre
a Ugo Giannangeli, i firmatari sono Luigi Paccione, Michele Carducci, Veronica
Dini, Domenico Gallo, Fausto Giannelli, Fabio Marcelli, Ugo Mattei, Luca
Saltalamacchia, Gianluca Vitale.
Perché il Memorandum Italia-Israele viola la Costituzione e i diritti
internazionali
La diffida richiama la Costituzione italiana, la Convenzione europea dei diritti
umani (Cedu), i trattati dell’Unione europea, nonché la Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo dell’Onu. E si basa su due profili di incostituzionalità.
Il primo riguarda la segretezza con cui il Memorandum copre le attività e gli
scambi di informazioni tra Italia e Israele, mentre comporta oneri per il
bilancio dello Stato. Ai cittadini italiani non è dato conoscere «non solo le
ragioni e le finalità del suo utilizzo da parte degli Stati contraenti, ma
soprattutto la sua effettiva applicazione negli scenari reali di impiego. Per
esempio se riferiti al territorio italiano oppure a quello dello Stato
israeliano o addirittura nel “Territorio palestinese occupato”. Su cui, com’è
noto, pende una pluridecennale strutturale violazione, da parte dello Stato di
Israele, del diritto internazionale e umanitario», spiega la diffida.
Il tutto è in contraddizione con l’articolo 21 della Costituzione (diritto
all’informazione) e con la legge 185/1990 che all’art. 1 comma 6 vieta
«l’esportazione ed il transito di materiali di armamento ai Paesi in stato di
conflitto armato, la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11
della Costituzione, e verso i Paesi i cui governi sono responsabili di accertate
violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo».
Nel 2024 l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama),
ufficio tecnico presso il ministero degli Affari esteri e della cooperazione
internazionale (Maesi), ha infatti sospeso le nuove autorizzazioni all’export di
armamenti verso Israele. Come può quindi essere rinnovato il Memorandum?
Segretezza, costi pubblici e mancanza di trasparenza
La seconda grave ragione di incostituzionalità, secondo la diffida, risiede
nella coincidenza del Memorandum con una «palese, deliberata, sistematica
violazione del diritto internazionale e umanitario di cui invece la Costituzione
impone il rispetto», continua la diffida. «A Gaza ci troviamo in un contesto di
distruzione, morte e costante mortificazione della dignità della persona umana,
con 60mila vittime accertate di cui 18mila bambini, nonché 115mila feriti e
oltre 60mila bambini a rischio morte per malnutrizione o malattie e 1.055
bambini in stato di detenzione o restrizione della libertà personale in
Cisgiordania. […] Inoltre, dopo le ultime dichiarazioni ufficiali dei
rappresentanti dello Stato di Israele, è evidente un progetto di annessione
territoriale tramite l’uso della forza. Quindi strumenti e conoscenze (militari,
di intelligence, di know-how, di impianti e infrastrutture) oggetto del
Memorandum saranno finalizzati a perpetuare e a incrementare atti illeciti di
aggressione».
Le condanne delle corti internazionali contro Israele nel 2024
La diffida elenca tutti gli atti formali di condanna delle violazioni commesse
da Israele. Ciò in particolare nel corso del 2024, che rappresenta un punto di
svolta: il 26 gennaio 2024 la Corte internazionale di giustizia nel procedimento
South Africa vs. Israel ha ravvisato nelle condotte dello Stato di Israele gli
estremi del crimine di genocidio. Nel maggio 2024 la Cig ha ordinato a Israele
di «interrompere immediatamente le operazioni militari potenzialmente miranti
alla distruzione del popolo palestinese».
Il 19 luglio 2024 sempre la Cig ha ribadito l’illegittimità della colonizzazione
israeliana nei territori occupati, compresa Gerusalemme Est. Chiarendo che gli
altri Stati hanno l’obbligo di non prestare aiuto o assistenza per mantenere la
situazione creata dalla presenza illegale di Israele nei Territori palestinesi
occupati. Più volte la Corte ha denunciato il regime coloniale, la violazione
persistente del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, la
segregazione razziale e l’apartheid in cui vivono sei milioni di palestinesi.
L’Assemblea generale dell’Onu con la risoluzione del 13-19 settembre 2024 ha
fatto proprio il parere della Cig, confermando definitivamente l’obbligo di
tutti gli Stati di astenersi dal fornire allo Stato di Israele qualsiasi forma
di cooperazione. E questo a partire dalla fornitura di armi. Secondo la
risoluzione delle Nazioni Unite, l’occupazione israeliana deve essere ritirata
totalmente e incondizionatamente entro il 17 settembre 2025. Fino a quel momento
non deve esservi alcun riconoscimento, assistenza o sostegno a Israele.
Infine, la diffida ricorda l’ordine di arresto emesso dalla Corte penale
internazionale il 21 novembre 2024 nei confronti del primo ministro di Israele
Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant, per crimini di
guerra e contro l’umanità.
Il rischio di complicità dell’Italia nei crimini contro i palestinesi
Insomma, se l’Italia non interrompe il Memorandum, «può configurarsi l’ipotesi
di concorso o comunque appoggio ai crimini internazionali di uno Stato
straniero» spiega Ugo Giannangeli. «Come riporta il parere della Corte
internazionale di giustizia del luglio 2024, l’inazione è complicità. Perché
l’adesione alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di
genocidio, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre
1948, impone agli Stati l’obbligo di attivarsi per prevenire e impedire il
genocidio. Definito come quegli atti mirati a distruggere, in tutto o in parte,
un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Quindi è concorso in
genocidio sia fornire armi, sia non fare nulla per prevenire e opporsi ad esso.
Il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni verso Israele sono quindi
diventati un dovere, non più solo un’opzione».
Anche Peacelink da tempo denuncia il Memorandum. Secondo Alessandro Marescotti,
infatti, «è inaccettabile un’intesa militare con un Paese che bombarda
indiscriminatamente scuole, ospedali e campi profughi. Che fa assedi umanitari e
reprime sistematicamente i diritti della popolazione civile. Chiediamo quindi a
tutti i cittadini di scrivere una lettera ai parlamentari per la revoca del
Memorandum».
> Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi
> sostenerci donando il tuo 5×1000
>
> News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
Tag - appello
Oltre 80 ong italiane ed europee hanno scritto una lettera al commissario
europeo per la Democrazia e lo Stato di diritto, Michael McGrath, esortando la
Commissione a chiedere l’abrogazione del decreto sicurezza
Il decreto sicurezza, che tra oggi e domani riceverà il via libera dalla Camera,
rappresenta «una seria minaccia per la democrazia», nel contesto di un
«sistematico regresso» dello Stato di diritto che «evidenzia tendenze
autoritarie». Con queste preoccupazioni oltre 80 ong italiane ed europee hanno
scritto una lettera al commissario europeo per la Democrazia e lo Stato di
diritto, Michael McGrath, esortando la Commissione a chiedere l’abrogazione
della legge promossa dal governo Meloni, verificarne la compatibilità con il
diritto Ue e se necessario aprire un procedimento di infrazione. Il decreto, si
legge nella missiva, ha già «ricevuto condanne anche dal Consiglio d’Europa,
dall’Osce-Odhir e dai relatori speciali delle Nazioni unite». L’Italia,
concludono, è stata aggiunta alla Watchlist di Civicus Monitor, che segnala i
Paesi che si trovano ad affrontare un «grave deterioramento» delle libertà
civili.
Anche il Parlamento della Catalunya ieri ha presentato una risoluzione contro il
decreto sicurezza affinché venga discussa presso la Commissione Giustizia e
Qualità democratica, dove si afferma che la legge rappresenta un «significativo
passo avanti nella repressione statale», con particolare riferimento alla
possibilità di incarcerazione delle donne incinte, l’introduzione di nuove
fattispecie di reato legate alla protesta – con aggravanti che portano le pene
fino a vent’anni di carcere – e l’inasprimento della pena per qualsiasi forma di
manifestazione, compresa la resistenza passiva. «L’approvazione di tale norma
mira a reprimere duramente le proteste e ridurre gli spazi di dissenso sociale»,
recita il testo.
La risoluzione è stata poi promossa in conferenza stampa dai rappresentanti a
Barcellona delle associazioni italiane – Altraitalia, Anpi, Inca-Cgil,
Mediterranea e Open arms – insieme ai gruppi parlamentari catalogni Comuns, Cup
e Erc. Il decreto, si legge nel comunicato stampa rilasciato dalle associazioni,
«introduce norme che colpiscono duramente la protesta pacifica, limitano i
diritti delle persone migranti e violano principi costituzionali e
internazionali in materia di diritti umani».
> Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi
> sostenerci donando il tuo 5×1000
>
> News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
“Per una sicurezza democratica”. L’appello pubblico di 257 giuspubblicisti di
tutte le Università italiane
Il decreto sicurezza viola le prerogative costituzionali garantite al Parlamento
e, nel merito, punta a reprimere il dissenso e comprime alcuni diritti
fondamentali , tassello fondamentale in qualunque democrazia. Per questo ben 257
giuspubblicisti di tutte le Università italiane lanciano un appello pubblico in
cui elencano la macroscopica incostituzionalità del decreto e invitano gli
organi di garanzia a tenere alta l’attenzione.
Di seguito riportiamo il testo integrale e i firmatari.
È compito dei giuspubblicisti nei periodi normali della vita del paese
interpretare ed insegnare la nostra Costituzione. È anche compito dei singoli
giuspubblicisti assumere delle posizioni individuali all’esterno
dell’Università.
Ci sono momenti però nei quali accadono forzature istituzionali di particolare
gravità, di fronte alle quali non è più possibile tacere ed è anzi doveroso
assumere insieme delle pubbliche posizioni.
È questo il caso che si è verificato nei giorni scorsi quando il disegno di
legge sulla sicurezza, che stava concludendo il suo iter dopo lunghi mesi di
acceso dibattito parlamentare dati i discutibilissimi contenuti, è stato
trasformato dal Governo in un ennesimo decreto-legge, senza che vi fosse alcuna
straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza, come la
Costituzione impone.
Tale decreto – ultimo anello di un’ormai lunga catena di attacchi volti a
comprimere i diritti e accentrare il potere – presenta una serie di gravissimi
profili di incostituzionalità, il primo dei quali consiste nel vero e proprio
vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere. È accaduto spesso in
passato ed anche in tempi recenti che la dottrina si trovasse a denunciare l’uso
abnorme dello strumento della decretazione d’urgenza. Presidenza della
Repubblica, Corte costituzionale, Presidenti delle Camere hanno più volte preso
posizione in difesa del Parlamento e delle sue prerogative gravemente calpestate
nell’esercizio della potestà legislativa, rimanendo inascoltati.
In quest’occasione la violazione è del tutto ingiustificata e senza precedenti,
dato che l’iter legislativo, ai sensi dell’art. 72 della Costituzione era ormai
prossimo alla conclusione, quando è intervenuto il plateale colpo di mano con
cui il Governo si è appropriato del testo e di un compito, che, secondo l’art.
77 Costituzione può svolgere solo in casi straordinari di necessità e di
urgenza, al solo scopo, sembra, di umiliare il Parlamento e i cittadini da esso
rappresentati.
Quanto al merito, si tratta di un disegno estremamente pericoloso di repressione
di quelle forme di dissenso che è fondamentale riconoscere in una società
democratica. Ed è motivo di ulteriore preoccupazione il fatto che questo disegno
si realizzi attraverso un irragionevole aumento qualitativo e quantitativo delle
sanzioni penali che – in quanto tali – sconsiglierebbero il ricorso alla
decretazione d’urgenza, dal momento che il principio di colpevolezza richiede
che chi compie un atto debba poter sapere in anticipo se esso è punibile come
reato mentre, al contrario, l’immediata entrata in vigore di un decreto-legge ne
impedisce la preventiva conoscibilità.
Numerosi sono i principi costituzionali che appaiono compromessi. Solo a scopo
esemplificativo vogliamo ricordarne alcuni: il principio di uguaglianza non
consente in alcun modo di equiparare i centri di trattenimento per stranieri
extracomunitari al carcere o la resistenza passiva a condotte attive di rivolta;
in contrasto con l’art. 13 Cost. e la tutela della libertà personale è il c.d.
daspo urbano disposto dal questore che equipara condannati e denunciati; non
meno preoccupante è la previsione con cui si autorizza la polizia a portare
armi, anche diverse da quelle di ordinanza e fuori dal servizio.
Una serie di disposizioni del decreto-legge aggravano gli elementi di
repressione penale degli illeciti addebitati alla responsabilità di singoli o di
gruppi solo per il fatto che l’illecito avvenga “in occasione” di pubbliche
manifestazioni, disposizione che per la sua vaghezza contrasta con il principio
di tipicità delle condotte penalmente rilevanti, violando per giunta la
specifica protezione costituzionale accordata alla libertà di riunione in luogo
pubblico o aperto al pubblico (art. 17 Cost.) mentre altre disposizioni violano
palesemente il principio di determinatezza e di tassatività tutelato dall’art.
25 Cost.: si punisce con la reclusione chi occupa o detiene senza titolo “un
immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze”; si rischiano pene fino
a sette anni per l’occupazione di luoghi che presentano un’estensione del tutto
imprecisata e rimessa a valutazioni e preferenze del tutto soggettive
dell’interprete.
Torsione securitaria, ordine pubblico, limitazione del dissenso, accento posto
prevalentemente sull’autorità e sulla repressione piuttosto che sulla libertà e
sui diritti rappresentano le costanti di questi interventi
Insegniamo che la missione di chi governa dovrebbe essere quella di cercare un
equilibrio nel rapporto tra individuo e autorità. Invece, il filo che lega il
metodo e il merito di questo nuovo intervento normativo rende esplicito un
disegno complessivo, che tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e
antidemocratica, non episodica od occasionale ma mirante a farsi sistema, a
governare con la paura invece di governare la paura.
Confidiamo che tutti gli organi di garanzia costituzionale mantengano alta
l’attenzione e censurino questo allontanamento dallo spirito della nostra
Costituzione, che fonda la convivenza della comunità nazionale su democrazia,
pluralismo, diritti di libertà ed uguaglianza di fronte alla legge, affinché
nessuno debba temere lo Stato e tutti possano riconoscerne, con fiducia, il
ruolo di garante della legalità e dei diritti.
Firme (promotori)
1. Ugo de Siervo (Presidente emerito della Corte costituzionale)
2. Gaetano Silvestri (Presidente emerito della Corte costituzionale)
3. Gustavo Zagrebelsky (Presidente emerito della Corte costituzionale)
4. Enzo Cheli (vice-Presidente emerito della Corte costituzionale)
5. Paolo Maddalena (vice-Presidente emerito della Corte costituzionale)
6. Maria Agostina Cabiddu – Politecnico di Milano
7. Vittorio Angiolini – Università degli Studi di Milano
8. Roberto Zaccaria – Università di Firenze
9. Roberta Calvano – Unitelma Sapienza
Giuspubblicisti aderenti
10. Stefano Agosta – Università di Messina
11. Alessandra Algostino – Università di Torino
12. Maria Romana Allegri – Università la Sapienza
13. Carlo Amirante – Università di Napoli Federico II
14. Felice Ancora – Università di Cagliari
15. Francesca Angelini – Università la Sapienza
16. Adriana Apostoli – Università di Brescia
17. Antonio Ignazio Arena – Università di Messina
18. Marco Armanno – Università di Palermo
19. Vincenzo Atripaldi – Università La Sapienza
20. Gaetano Azzariti – Università la Sapienza
21. Enzo Balboni – Università cattolica S.C.
22. Stefania Baroncelli – Università di Bolzano
23. Sergio Bartole – Università di Trieste
24. Rosa Basile – Università di Messina
25. Franco Bassanini – Università “La Sapienza”
26. Gianluca Bellomo – Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara
27. Auretta Benedetti – Università Milano Bicocca
28. Marco Benvenuti – Università la Sapienza
29. Chiara Bergonzini – Università di Macerata
30. Cristina Bertolino – Università di Torino
31. Ernesto Bettinelli – Università di Pavia
32. Paolo Bianchi – Università di Camerino
33. Giovanni Bianco – Università di Sassari
34. Roberto Bin – Università di Ferrara
35. Marco Bombardelli – Università di Trento
36. Paolo Bonetti – Università Milano Bicocca
37. Monica Bonini – Università Milano Bicocca
38. Giuditta Brunelli – Università di Ferrara
39. Eugenio Bruti Liberati – Università del Piemonte orientale
40. Camilla Buzzacchi – Università Milano Bicocca
41. Marina Calamo Specchia – Università di Bari “Aldo Moro”
42. Debora Caldirola – Università cattolica S.C.
43. Quirino Camerlengo – Università di Milano Bicocca
44. Aristide Canepa, Università di Genova
45. Antonio Cantaro – Università “Carlo Bo” di Urbino
46. T. Paola Caputi Iambrenghi – Università di Bari “Aldo Moro”
47. Francesco Cardarelli – Università di ROMA “Foro Italico”
48. Andrea Cardone – Università di Firenze
49. Paolo Caretti – Università di Firenze
50. Agatino Cariola – Università di Catania
51. Massimo Carli – Università di Firenze
52. Enrico Carloni – Università di Perugia
53. Arianna Carminati – Università di Brescia
54. Paolo Carnevale – Università Roma 3
55. Daniele Casanova – Università di Brescia
56. Carlo Casonato, Università di Trento
57. Maria Cristina Cavallaro – Università di Palermo
58. Elisa Cavasino – Università di Palermo
59. Angelo Antonio Cervati – Università la Sapienza
60. Roberto Cherchi – Università di Cagliari
61. Omar Chessa – Università di Sassari
62. Lorenzo Chieffi – Università della Campania
63. Paola Chirulli – Università la Sapienza
64. Pietro Ciarlo – Università di Cagliari
65. Alessandro Cioffi – Università del Molise
66. Ines Ciolli – Università la Sapienza
67. Stefano Civitarese Matteucci – Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara
68. Giovanna Colombini – Università di Pisa
69. Manuela Matilde Consito – Università di Torino
70. Gianluca Conti – Università di Pisa
71. Guido Corso – Università di Palermo
72. Matteo Cosulich – Università di Trento
73. Luigi Cozzolino – Università di Macerata
74. Enrico Cuccodoro – Università del Salento
75. Chiara Cudia – Università di Firenze
76. Francesco Dal Canto – Università di Pisa
77. Giovanni D’Alessandro – UniCusano
78. Gianfranco D’Alessio – Università Roma3
79. Giacomo D’Amico – Università di Messina
80. Antonio D’Andrea – Università di Brescia
81. Luigi D’Andrea – Università di Messina
82. Guerino D’Ignazio – Università della Calabria
83. Claudio De Fiores – Università della Campania
84. Maria Elisabetta De Franciscis – Università di Napoli
85. Gabriella De Giorgi – Università del Salento
86. Gian Candido De Martin – LUISS Guido Carli
87. Francesco Raffaello De Martino – Università del Molise
88. Giovanna De Minico – Università di Napoli Federico II
89. Andrea de Petris – Università degli studi internazionali di Roma
90. Ambrogio De Siano – Università della Campania Luigi Vanvitelli
91. Andrea Deffenu – Università di Cagliari
92. Michele Della Morte – Università del Molise
93. Gianmario Demuro – Università di Cagliari
94. Michele Di Bari – Università di Padova
95. Giovanni Di Cosimo – Università di Macerata
96. Alfonso di Giovine – Università di Torino
97. Guerino D’Ignazio – Università della Calabria
98. Carlo Di Marco Leone – Università di Teramo
99. Alessandra Di Martino – Università La Sapienza
100. Enzo Di Salvatore – Università di Teramo
101. Mario Dogliani – Università di Torino
102. Francesco Duranti – Università per stranieri di Perugia
103. Gianluca Famiglietti – Università di Pisa
104. Vera Fanti – Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara
105. Veronica Federico – Università di Firenze
106. Gennaro Ferraiuolo – Università di Napoli Federico II
107. Leonardo Ferrara – Università di Firenze
108. Giancarlo Ferro – Università di Catania
109. Mario Fiorillo – Università di Teramo
110. Francesco Follieri – Università LUM “Giuseppe Degennaro”
111. Giampaolo Fontana – Università Roma 3
112. Matteo Frau – Università di Brescia
113. Salvatore Mario Gaias – Università di Sassari
114. Marco Galdi – Università di Salerno
115. Silvio Gambino – Università della Calabria
116. Gianluca Gardini – Università di Ferrara
117. Paolo Giangaspero – Università di Trieste
118. Federico Girelli – UniCusano
119. Mario Gorlani – Università di Brescia
120. Stefano Grassi – Università di Firenze
121. Nicola Grasso – Università del Salento
122. Andrea Gratteri – Università di Pavia
123. Maria Cristina Grisolia – Università di Firenze
124. Tania Groppi – Università di Siena
125. Enrico Grosso – Università di Torino
126. Cosimo Pietro Guarini – Università di Bari “Aldo Moro”
127. Riccardo Guastini – Università di Genova
128. Andrea Guazzarotti – Università di Ferrara
129. Nicola Gullo – Università di Palermo
130. Antonio Gusmai – Università di Bari “Aldo Moro”
131. Danila Iacovelli – Politecnico di Milano
132. Giovanna Iacovone – Università della Basilicata
133. Maria Pia Iadicicco– Università della Campania
134. Carlo Iannello – Università della Campania
135. Luca Imarisio – Università di Torino
136. Maria Immordino – Università di Palermo
137. Marco Ladu – Università E-Campus
138. Fulco Lanchester – Università La Sapienza
139. Anna Maria Lecis Cocco Ortu – Sc. Po Bordeaux
140. Eva Lehner – Università di Siena
141. Erik Longo – Università di Firenze
142. Fabio Longo – Università di Torino
143. Donatella Loprieno – Università della Calabria
144. Laura Lorello – Università di Palermo
145. Matteo Losana – Università degli Studi di Torino
146. Federico Losurdo – Università di Urbino Carlo Bo
147. Filippo Lubrano – Università LUISS Guido Carli
148. Nadia Maccabiani – Università di Brescia
149. Paolo Maci – Università telematica PEGASO
150. Marco Magri – Università di Ferrara
151. Elena Malfatti – Università di Pisa
152. Maurizio Malo – Università di Padova
153. Susanna Mancini – Università di Bologna
154. Michela Manetti – Università di Siena
155. Francesco Manganaro – Università Mediterranea di RC
156. Vanessa Manzetti – Università di Pisa
157. Valeria Marcenò – Università di Torino
158. Barbara Marchetti – Università di Trento
159. Francesco Marone – Istituto Suor Orsola Benincasa
160. Ilenia Massa Pinto – Università di Torino
161. Anna Mastromarino – Università di Torino
162. Antonio Mastropaolo – Università della Valle d’Aosta
163. Giuditta Matucci – Università di Pavia
164. Paola Mazzina – Università Parthenope di Napoli
165. Alessandra Mazzola – Università di Brescia
166. Giacomo Menegus – Università di Macerata
167. Livia Mercati – Università di Perugia
168. Francesco Merloni – Università di Perugia
169. Giovanni Moschella – Università di Messina
170. Angela Musumeci – Università di Teramo
171. Carla Negri – Università di Palermo
172. Matteo Nicolini – Università di Verona
173. Raffaella Niro – Università di Macerata
174. Walter Nocito – Università della Calabria
175. Giorgio Orsoni – Università Ca’ Foscari Venezia
176. Fabio Pacini – Università della Tuscia
177. Francesco Palermo – Università di Verona
178. Elisabetta Palici di Suni – Università di Torino
179. Francesco Pallante – Università di Torino
180. Saulle Panizza – Università di Pisa
181. Nino Paolantonio – Università di Roma Tor Vergata
182. Stefania Parisi – Università di Napoli Federico II
183. Maurizio Pedrazza Gorlero – Università di Verona
184. Luca Raffaello Perfetti – Università telematica Pegaso
185. Sergio Perongini – Università di Salerno
186. Barbara Pezzini – Università di Bergamo
187. Valeria Piergigli – Università di Siena
188. Andrea Pierini – Università di Perugia
189. Roberto Pinardi – Università di Modena-Reggio Emilia
190. Cesare Pinelli – Università la Sapienza
191. Piero Pinna – Università di Sassari
192. Alessandra Pioggia – Università di Perugia
193. Paola Piras – Università di Cagliari
194. Giovanna Pistorio – Università di Roma3
195. Filippo Pizzolato – Università di Padova
196. Marco Podetta – Università di Brescia
197. Giovanni Poggeschi – Università del Salento
198. Fabrizio Politi – Università dell’Aquila
199. Salvatore Prisco – Università di Napoli Federico II
200. Andrea Pubusa – Università di Cagliari
201. Francesca Pubusa – Università di Cagliari
202. Giusto Puccini – Università di Firenze
203. Stefania Puddu – Università di Cagliari
204. Andrea Pugiotto – Università di Ferrara
205. Mario Alberto Quaglia – Università di Genova
206. Alberto Randazzo – Università di Messina
207. Margherita Raveraira – Università di Perugia
208. Saverio Regasto – Università di Brescia
209. Giorgio Repetto – Università di Perugia
210. Giuseppe Ugo Rescigno – Università la Sapienza
211. Giuseppe Pio Rinaldi – Università Cattolica S.C.
212. Giancarlo Rolla – Università di Genova
213. Roberto Romboli – Università di Pisa, membro CSM
214. Laura Ronchetti – Università del Molise
215. Emanuele Rossi – Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
216. Stefano Rovelli – Università di Pisa
217. Antonio Ruggeri – Università di Messina
218. Paolo Sabbioni – Università Cattolica S.C.
219. Fabio Saitta – Università di Catanzaro
220. Marcello Salerno – Università di Bari “Aldo Moro”
221. Simone Scagliarini – Università di Modena-Reggio Emilia
222. Michelangela Scalabrino – Università cattolica del Sacro Cuore
223. Paolo Scarlatti – Università Roma Tre
224. Angelo Schillaci – Università la Sapienza
225. Gianni Serges – Università Roma 3
226. Davide Servetti – Università Piemonte orientale
227. Stefano Sicardi – Università di Torino
228. Massimo Siclari – Università Roma 3
229. Giorgio Sobrino – Università di Torino
230. Alessandro Somma – Università la Sapienza
231. Domenico Sorace – Università di Firenze
232. Giusi Sorrenti – Università di Messina
233. Federico Sorrentino – Università “La Sapienza”
234. Lorenzo Spadacini – Università di Brescia
235. Renata Spagnuolo Vigorita – Università di Napoli Federico II
236. Vittorio Teotonico – Università di Bari “Aldo Moro”
237. Luigi Testa – Università dell’Insubria
238. Marco Tiberi – Università della Campania
239. Elisa Tira – Università E-Campus
240. Marta Tomasi Università di Trento
241. Rosanna Tosi – Università di Padova
242. Roberto Toniatti – Università di Trento
243. Alessandro Torre – Università di Bari “Aldo Moro”
244. Francesca Trimarchi – Università di Milano
245. Chiara Tripodina – Università Piemonte orientale
246. Michela Troisi – Università di Napoli Federico II
247. Riccardo Ursi – Università di Palermo
248. Alessandra Valastro – Università di Perugia
249. Giuseppe Verde – Università di Palermo
250. Paolo Veronesi – Università di Ferrara
251. Giulio Enea Vigevani – Università di Milano Bicocca
252. Luigi Ventura – Università “Magna Graecia” di Catanzaro
253. Stefano Villamena – Università di Macerata
254. Massimo Villone – Università di Napoli Federico II
255. Mauro Volpi – Università di Perugia
256. Jens Woelk – Università di Trento
257. Eugenio Zaniboni – Università di Foggia
Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi
sostenerci donando il tuo 5×1000
News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
Lə 104 ricorrentə No Ponte non sono statə ascoltatə e addirittura condannatə a
spese di giudizio spropositate (ben 348.153 euro) solo per aver esercitato il
proprio diritto di accesso alla giustizia, mentre in tutto il mondo si
incoraggiano le class action. Il Movimento ha deciso di ricorrere promuovendo
nel frattempo un crowdfunding per sostenere le spese
di Movimento No Ponte
«[…] Condanna i ricorrenti indicati in epigrafe al pagamento, in favore della
soc. Stretto di Messina S.p.A., delle spese del giudizio che liquida in
complessivi €238.143,00 per compensi professionali, oltre oneri di legge». Con
queste parole il 9 gennaio scorso il Tribunale delle imprese di Roma ha
dichiarato inammissibile il ricorso dellə 104 cittadinə No Ponte gravandolə del
pagamento delle spese che, con il conteggio degli oneri di legge, arrivano alla
spropositata cifra di euro 348.143. Avevamo messo nel conto di potere perdere in
giudizio, non certo di dover pagare una tale somma. Ma cosa chiedevano lə 104
ricorrentə?
Semplicemente che un soggetto terzo, in questo caso il Tribunale di Roma, si
potesse esprimere sulla correttezza delle procedure fin qui seguite dal governo
e dall’azienda per realizzare il ponte sullo Stretto di Messina e di «ordinare
alla società Stretto di Messina spa, in persona del suo legale rappresentante
pro tempore, la cessazione immediata di ogni atto o comportamento
pregiudizievole dei diritti e degli interessi collettivi e diffusi e
giuridicamente protetti, di ogni attività tendente all’approvazione del progetto
definitivo ed esecutivo», oltre che di «dichiarare rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale» della serie
di norme che hanno consentito il riavvio delle procedure per la costruzione del
ponte sullo Stretto.
A oggi la “pratica” ponte sullo Stretto è andata avanti solo grazie
all’approvazione dei Si Ponte, ovvero il governo, la maggioranza di centrodestra
del Parlamento, la Stretto di Messina, il Comitato tecnico scientifico nominato
dalla Stretto di Messina e, a conclusione della procedura, sarà addirittura il
Cipess presieduto dalla Meloni ad approvare il progetto definitivo. Al momento
della presentazione del ricorso non era ancora stato emesso il parere della
Commissione Via-Vas, risultato positivo con 62 “prescrizioni” e un parere
negativo sull’impatto sulle Zps dell’area dello Stretto, commissione nella quale
sono stati inseriti tecnici vicini all’area governativa.
Si confidava quindi in un soggetto terzo, in questo caso il tribunale delle
imprese di Roma, utilizzando lo strumento dell’azione inibitoria che, similmente
alla class action, consente ai cittadini di potersi difendere davanti ai “poteri
forti” rivendicando la tutela di diritti costituzionalmente protetti come in
questo caso il diritto all’ambiente e alla salute.
Ad avviso del Wwf la sentenza di Roma rappresenta «una pagina nera per il
diritto italiano perché vengono colpiti semplici cittadini che hanno scelto di
esercitare il proprio diritto di accesso alla giustizia. Mentre nel resto del
mondo, sulla base di convenzioni internazionali a cui anche l’Italia aderisce,
si incoraggia l’attivazione dei cittadini, singoli o organizzati in
associazioni, in Italia si intende reprimere questo diritto?»
Ma non è solo il Wwf a essere preoccupato per le conseguenze che questa sentenza
possa avere su future azioni collettive, ma anche le associazioni
consumeristiche italiane. Ben otto associazioni che tutelano i consumatori in
Italia hanno richiesto, all’indomani della sentenza, un incontro con il ministro
Nordio perché «Stiamo osservando un preoccupante orientamento giurisprudenziale
in vari Tribunali d’Italia che di fatto tende a scoraggiare, se non proprio
impedire, il ricorso alle azioni di classe da parte delle Associazioni». Le
associazioni consumeristiche aggiungono inoltre che «la vicenda del Tribunale di
Roma non è un caso isolato, anzi è la regola applicata dai Tribunali. In
particolare, ci preme segnalare la disparità di trattamento che si crea nel
calcolo delle spese legali: in caso di rigetto si applica il principio del
“disputatum” e in caso di soccombenza il principio del “decisum”, violando così
il principio generale di proporzionalità e adeguatezza», senza dunque tenere
conto della «funzione economica-sociale delle azioni collettive, previste
dall’Ordinamento europeo e nazionale in funzione di regolazione del mercato».
Che fare dunque? Come testimonia la storia del Movimento No Ponte, non ci si
arrende mai neanche quando ormai era tutto pronto per la messa a dimora della
prima pietra del ponte nel 2006, anno in cui si tenne a Messina la più grande
manifestazione No Ponte con oltre 20mila persone in piazza, che hanno
sicuramente contribuito a dare la spallata decisiva per lo stop al progetto.
Lə 104 ricorrenti hanno dunque deciso, tranne poche defezioni, a fare ricorso
contro l’inspiegabile liquidazione delle spese (a cui non è stata data
motivazione nella sentenza) e ad avviare, con l’appoggio di tutto il Movimento
No Ponte, una raccolta fondi per sostenere l’onere delle spese liquidate e
sostenere il nuovo giudizio, tramite la piattaforma on line “Produzioni dal
basso” con il progetto di crowfunding “Difendere lo Stretto di Messina costa:
sostieni il Movimento No Ponte”.
Per chi volesse inoltre contribuire con bonifico IBAN:
IT85G0503416504000000002792 Intestato a: ASS CULT AMB – Ragione Sociale:
ASS.CULT.AMB. la città dello stretto
> Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi
> sostenerci donando il tuo 5×1000
>
> News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
Un quartiere sotto sequestro, e poi cos’altro ci aspetta?
di CPA FI-SUD
Il 3 e 4 Febbraio Firenze ha subito l’oltraggio di dover ospitare un convegno
sionista. Relatori oltre a Marco Carrai, console “onorario” dell’entità
sionista, anche due ufficiali dell’esercito israeliano, due criminali di guerra
che nonostante il loro contributo all’esecuzione di un genocidio hanno potuto
essere presenti grazie all’impunità garantita dalle nostre istituzioni ai
rappresentanti dello stato sionista. Nonostante il poco tempo a disposizione per
poter organizzare una mobilitazione adeguata che mettesse in discussione
l’appuntamento, numerosi solidali si sono ritrovati non solo per contestare il
convegno e le varie posizioni di complicità, a partire da quella dell’università
di Firenze, ma anche per riaffermare la solidarietà verso la Resistenza
Palestinese.
Detto questo, ci teniamo a sottolineare un fatto che in pochi stanno
evidenziando: per garantire un ignobile convegno, è stato messo sotto sequestro
un quartiere. Tutto bloccato, nessuno poteva transitare, nemmeno a piedi, per
via de Benci, piazza s. Croce compresa. Una zona rossa insomma, che a vedere
bene non è una novità a Firenze, città in cui l’ignobile e falsa equiparazione
tra antisionismo ed antisemitismo vede il divieto sistematico ai cortei di
solidarietà per la Palestina a transitare per tutto un quadrante di centro
storico, con la scusa della vicinanza della Sinagoga ritenuta “obiettivo
sensibile”.
Le tanto decantate zone rosse, strumento rivendicato tanto dal centrodestra
quanto dal centrosinistra come dispositivo a tutela della “sicurezza” delle
persone, sono state quindi realizzate senza problemi.
La zona rossa come strumento per “l’ordine pubblico”. La zona rossa che deve
diventare la normalità. Riteniamo necessario fare in modo che quanto successo il
3 Febbraio sia da insegnamento per chi vuole praticare il conflitto sociale
contro lo stato di cose presenti. Riteniamo centrale in questo momento
identificare le zone rosse come uno strumento di quella repressione che tra
strumenti amministrativi e ddl sicurezza sta restringendo sempre di più lo
spazio di agibilità per lavoratori e lavoratrici di rivendicare una società
diversa, che veda soddisfatte le loro necessità e non quelle del capitale.
Invitiamo Firenze tutta a scendere in piazza con noi già oggi Sabato 8 febbraio,
nel corteo lanciato da Firenze Antifascista per le 15 in piazza Pier Vettori,
per dire no alla repressione, al fascismo e al collaborazionismo con l’entità
sionista da parte di chi ci governa.
FIRENZE RIFIUTA ZONE ROSSE E REPRESSIONE!
> Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi
> sostenerci donando il tuo 5×1000
>
> News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
Riceviamo e pubblichiamo, l’appello dal blog della campagna Vogliamo rompere un
tabù.
Vogliamo rompere un tabù, rompere il silenzio sul fatto che lo Stato italiano
tiene in carcere da quarant’anni 16 militanti delle Brigate Rosse e ne ha
sottoposti altri tre, da oltre 20 anni, al regime dell’articolo 41 bis
dell’ordinamento penitenziario.
Il regime speciale dell’art.41 bis è finalizzato all’annientamento psico-fisico
del detenuto, che viene tenuto in isolamento quasi totale: ventidue ore al
giorno in isolamento, due ore d’aria al giorno, una breve visita mensile per i
familiari dietro una parete di vetro, nessun libro o giornale dall’esterno del
carcere… Questo regime carcerario è uno dei più intollerabili in Europa. Ha due
obiettivi: tagliare ogni comunicazione con il mondo esterno e costringere i
detenuti a diventare “pentiti”, collaboratori di giustizia.
Alcuni opinionisti sostengono che questi prigionieri preferiscono rimanere in
carcere, rifiutando ostinatamente di beneficiare di misure alternative alla
detenzione o della liberazione condizionale. Ma queste affermazioni non
menzionano il fatto che, queste misure alternative, sono soggette ad una logica
di scambio: si concedono solo in cambio della messa in discussione del proprio
passato politico, di un’autocritica formale, che verrà amplificata dai media; si
richiede loro quindi di rinnegare, in modo puro e semplice, la propria storia
politica e il proprio passato rivoluzionario.
Non si tratta di una questione astratta: a questi militanti si chiede di
rinunciare a un’identità che per loro è la scelta di una vita, il che spiega la
loro incredibile resistenza a quarant’anni di privazione della libertà; si
chiede loro di rinunciare a convinzioni che corrispondono a correnti di pensiero
profondamente radicate nella storia universale, in più di un secolo di lotta di
classe, una lotta che è stata internazionale. Che si condividano o meno queste
idee, è questa lotta-identità che è in gioco e nient’altro.
Ma mentre lo Stato si vanta per la sua fermezza nel perseguire l’annientamento
dei prigionieri, alcuni pretendono di ridurre la loro lotta a una semplice
questione di principio che i prigionieri difenderebbero con eccessiva
ostinazione. Come se alla base della loro resistenza non ci fosse una profonda
coerenza, il rifiuto di mercanteggiare e mercificare il loro pensiero politico.
Ma per capire meglio perché è importante rompere questo tabù, dobbiamo anche
chiederci quali sono le ragioni fondamentali per cui lo Stato italiano ancora
oggi, mantiene una feroce linea di condotta nei loro confronti, perché persiste
in questa linea d’azione implacabile.
Stiamo vivendo una fase storica caratterizzata dalla crescita sfrenata delle
disuguaglianze, da un susseguirsi di crisi e da una forte intensificazione del
confronto tra gli Stati che dominano il mondo. Un confronto che sta diventando
sempre più pericoloso e globalizzato. In questo contesto, la crisi del sistema
politico si sta intensificando, come in altre fasi storiche, come negli anni tra
le due guerre o durante le guerre coloniali. Queste tensioni rendono la
democrazia rappresentativa sempre più “inadatta” alla gestione delle crisi,
tanto che le classi dirigenti sembrano ogni giorno più inclini a cercare
soluzioni autoritarie e a liquidare le conquiste sociali.
Di questa tendenza ne sono prova,per esempio, la violenta repressione da parte
dello Stato francese contro i Gilets jaunes o durante le manifestazioni contro
la riforma delle pensioni, rifiutata dalla stragrande maggioranza della
popolazione; ma anche la repressione in Germania e in Francia del movimento
ambientalista, le leggi antisciopero nel Regno Unito, nonché le misure senza
precedenti contro i migranti. In Italia si è assistito a una massiccia
criminalizzazione dei movimenti sociali: attacchi ai sindacati, agli studenti, a
coloro che lottano per il diritto alla casa, al movimento dei disoccupati, alle
ONG che cercano di difendere la vita degli immigrati e agli stessi immigrati,
privati della protezione preventiva di pregresse tutele e attaccati
violentemente nei loro lavori precari.
Allo stesso tempo, il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero viene
costantemente limitato: diventa compromettente difendere i palestinesi e chi
denuncia il massacro in atto nei confronti del popolo gazawi è messo all’indice.
Qualsiasi discussione sulla guerra in Ucraina che non adotti immediatamente e
senza discussioni il punto di vista della NATO viene vista come sostegno alla
Russia e tradimento. In generale, stiamo assistendo alla graduale
criminalizzazione di tutta l’opposizione, non solo di quella radicale. Infine,
dopo innumerevoli processi e incarcerazioni di manifestanti, attivisti
antiglobalizzazione e anarchici, la repressione in Italia ha raggiunto il suo
culmine quando, su ordine del Ministro della Giustizia, Alfredo Cospito è stato
sottoposto al regime del 41 bis. È stato il primo anarchico a essere sottoposto
a questo spietato regime di detenzione.
Così, la repressione sempre più severa dei movimenti sociali, delle
manifestazioni, dei militanti e degli attivisti, a prescindere dalle loro
convinzioni e azioni, sta gradualmente creando un clima che ricorda la
“strategia della tensione” che ha caratterizzato gli anni ‘60 e ‘70. Allora,
questa strategia mirava a soffocare un forte movimento di protesta che stava
attraversando l’intera società. Oggi, questa strategia della tensione vorrebbe
impedire che il crescente malcontento e il disorientamento ideologico trovino
un’espressione politica, si trasformino in una vera contestazione. In questo
contesto si inserisce la “guerra” che da tempo viene condotta contro la memoria
delle lotte degli anni Settanta. In quegli anni, le classi subalterne erano
portatrici ed espressione di un importante processo di trasformazione sociale,
di un vero e proprio “assalto al cielo”. Ecco perché questo periodo è
sistematicamente oggetto di analisi riduttive o mistificatorie da parte del
potere. Negando l’esistenza della lotta di classe, si ostinano a fingere che il
mondo possa essere ridotto a un’opposizione tra i sostenitori delle democrazie
liberali e gli altri.
È solo nel contesto di questa “guerra” alla memoria che possiamo comprendere la
politica silenziosa di annientamento dei prigionieri. Lo Stato vede questi
prigionieri come una sorta di trofeo e, facendo della loro prigionia un esempio
e uno spauracchio, mira a scoraggiare qualsiasi lotta, nella speranza di
soffocare lo sviluppo delle contraddizioni attuali, che potrebbero portare a un
ribaltamento della situazione, a un nuovo “assalto al cielo”.
Rompere il tabù, rompere il silenzio su questi prigionieri, sulle condizioni
della loro detenzione, sulla loro durata infinita, non può essere ridotto a una
reazione umanitaria. È un passo necessario per liberarci dalle nostre paure, per
sciogliere il cappio delle costrizioni, dell’ingabbiamento in cui vorrebbero
richiudere le lotte e i movimenti.
Questo inaccettabile regime carcerario, il rinnegamento che si richiede ai
prigionieri per poter sfuggire a questo regime è un ulteriore modo per soffocare
tutte le lotte.
Quindi, rompere questo tabù è interesse innanzitutto di coloro che subiscono le
conseguenze delle disastrose condizioni economiche e politiche della società nel
suo complesso,che possono essere trasformate solo da un cambiamento radicale
delle strutture sociali e politiche esistenti. Rompere questo silenzio è anche
un modo per riappropriarci di una libertà e di un pensiero critico, in modo da
poter trovare liberamente delle possibilità di soluzione e per interrompere la
spirale mortale in cui i potenti ci stanno trascinando con le loro politiche
sempre più repressive, classiste e guerrafondaie.
per aderire all’appello clicca qui
> Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi
> sostenerci donando il tuo 5×1000
>
> News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
Ultima generazione: Mattarella, non prestarti a una firma vigliacca. La morte
del giovane Ramy anticipa la condizione di protezione e impunità verso gli abusi
della polizia che avverrà con la nuova legge
Vorremmo chiedere a Mattarella quanto sia possibile appellarsi alla neutralità
della propria funzione quando il progetto politico che il governo porta avanti è
chiaramente anti-democratico.
Vorremmo chiedergli cosa avrebbe fatto un presidente come Pertini davanti ad una
proposta del genere.
Vorremmo chiedergli come possiamo sentirci garantiti da chi, eletto al secondo
mandato dalla stragrande maggioranza del Parlamento, in questi anni non è
riuscito a imporre mai la propria voce nel dibattito pubblico se non nel far
eleggere il governo Draghi e continuare la svendita del paese?
Le grida di dolore per le incessanti morti sul lavoro vengono ignorate, sepolte
sotto un mare di parole paternalistiche e prive di sostanza. Stavolta, però, non
è solo il disinteresse a preoccupare: è la certezza che dietro questa retorica
vuota si nasconde una volontà deliberata di portare il Paese verso una deriva
autoritaria sempre più evidente. Non è paura per il nostro Paese, è rabbia per
la sistematica demolizione dei suoi valori democratici, con il Presidente
Mattarella che, con il suo silenzio e la sua complicità, tradisce i principi
fondamentali della Costituzione che dovrebbe incarnare e difendere.
Cos’è il patriottismo?
Il tema del patriottismo è stato al centro del discorso di fine anno del
Presidente Mattarella.
Saranno da considerare ‘patrioti’ gli esponenti delle forze dell’ordine che, se
verrà approvato il ddl Sicurezza, avranno garantita la protezione legale per gli
abusi che commetteranno sulle persone che manifesteranno pacificamente in
maniera nonviolenta? Sono forse dei ‘patrioti’ i carabinieri che hanno provocato
la morte di Ramy? Oppure i poliziotti della questura di Brescia, che lunedì
hanno fatto denudare delle persone che erano lì per normali procedure
identificative a seguito dell’azione nonviolenta davanti la sede di Leonardo
s.p.a.?
Il governo soffia pericolosamente sul fuoco, Mattarella che farà?
Dopo gli scontri di sabato a Bologna e Roma, il Governo sfrutta subito
l’occasione per accelerare l’approvazione del ddl Sicurezza: una legge che
instaurerà di fatto uno stato di polizia, soffocando ogni protesta pacifica. Un
disegno di legge impantanato per mesi, ora ripescato dalle paludi parlamentari
nonostante i rilievi del Quirinale e del Consiglio d’Europa, viene usato per
intimidire chiunque non aderisca alla reazionaria visione della società della
maggioranza. Che faranno le opposizioni? Assisteranno passivamente, come nel
1924, alla nascita di un nuovo fascismo, o si batteranno nelle piazze? E
Mattarella? Si limiterà a firmare, tradendo ancora una volta la Costituzione? Ci
sarà di nuovo la firma di rito, per l’ennesima legge che non condivide e che
ritiene sbagliata, o avrà finalmente il coraggio di fermare questo assalto
autoritario?
Mattarella, il diritto al dissenso democratico è il sale della nostra
costituzione
Chiediamo che Mattarella non firmi il ddl Sicurezza, già approvato dalla Camera
il 18 settembre: una legge che introduce nuove misure repressive, inasprisce
pene e crea nuovi reati per colpire la libertà di protesta. È il più grande
attacco alla democrazia repubblicana e la nostra petizione, già a quota 25 mila,
ne è la prova. Con una trentina di nuovi reati e sanzioni, questo Governo mostra
il suo volto più autoritario, riducendo la “sicurezza” a un arsenale di divieti
e punizioni, mentre ignora la vera sicurezza sociale, lavorativa e umana. Se
Mattarella firmasse, confermerebbe che anche il Quirinale è complice del
passaggio della nostra Repubblica a una “democratura”. Sta quindi a noi
cittadini reagire: collettivamente, con la disobbedienza nonviolenta, possiamo
rompere l’isolamento che vogliono imporci, pretendendo giustizia e un futuro
vivibile.
Chiediamo a tutte le persone di attivarsi sottoscrivendo la petizione a questo
link.
> Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi
> sostenerci donando il tuo 5×1000
>
> News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
Borrelli Luigi RSU e RLS delegato sindacale dell’USB all’aeroporto di
Montichiari, ha subito un provvedimento disciplinare di sei giorni di
sospensione a seguito delle denunce e delle iniziative sindacali intraprese dai
lavoratori dell’aeroporto civile Montichiari di Brescia contro l’invio di armi
belliche dall’aeroporto civile di Brescia
di USB Lavoro Privato
A seguito delle denunce e delle iniziative sindacali intraprese dai lavoratori
dell’aeroporto civile Montichiari di Brescia negli ultimi mesi, contro l’invio
di armi belliche, contro tutte le guerre e per la tutela della salute e
sicurezza dei lavoratori e della popolazione dei comuni limitrofi all’aeroporto,
oggi pomeriggio la direzione della GDA Handling a seguito della contestazione
disciplinare, ha fatto pervenire al sig. Borrelli Luigi RSU e RLS di USB
all’aeroporto di Montichiari, il provvedimento disciplinare di sei giorni di
sospensione.
Perché tanta violenza?
Un provvedimento disciplinare evidentemente pretestuoso e strumentale, che segue
una contestazione al lavoratore non per le rivendicazioni ma per aver in qualche
modo reso pubblica una situazione di pericolo, “colpire uno per educarne cento”
Questa è la scelta della direzione GDA Handling?
Dare un avvertimento a chi vuole difendere “la missione” civile dello scalo
monteclarense, a chi difende i diritti e la salute e sicurezza dei lavoratori e
dei cittadini dei comuni limitrofi, a chi non vuole essere partecipe e complice
delle guerre che hanno e continuano a produrre migliaia di morti civili,
innocenti.
Montichiari è un aeroporto civile, perché allora si spediscono le armi?
Anche domani potrebbe esserci un volo “segreto”; nuovo invio di armi o pezzi di
esse, con conseguente chiusura dello spazio aereo, un altro aereo che viene
collocato in fondo all’aeroporto, che tutti notano contro ogni dubbio.
Abbiamo chiesto incontro al sig. Prefetto e alle istituzioni senza risposta,
oltre alle interrogazioni parlamentari di AVS e 5 stelle che non hanno ancora
avuto alcuna risposta.
Perché Montichiari deve rischiare di diventare un obiettivo sensibile? Perché si
tiene all’oscuro cittadini e lavoratori?
NON ci fermeremo e non ci faremo mettere nessun bavaglio, NON vogliamo essere
complici e chiederemo al Tribunale ed in ogni altra sede di salvaguardare e
difendere i diritti sindacali del nostro rappresentante e delle lavoratrici e
lavoratori; perché non vogliamo essere complici.
APPELLO: IO STO CON LUIGI
Stanno cercando di mettere a tacere la voce coraggiosa di un lavoratore che da
tempo sta denunciando l’utilizzo ripetuto e sistematico dell’aeroporto civile di
Montichiari di Brescia per la movimentazione di materiale bellico. Gli hanno
comminato tre provvedimenti disciplinari, una multa, sei giorni di sospensione,
ed ora altri 8 giorni di sospensione.
Luigi Borrelli lavora nell’aeroporto di Montichiari da più di vent’anni presso
la GDA HANDLING SPA, un’azienda che fornisce assistenza a terra. Quando si è
accorto che in aeroporto si procedeva ad attività di carico e scarico di
missili, materiale esplosivo ed altri armamenti e che lui e i suoi colleghi
dovevano provvedere a movimentare gli ordigni, spesso senza neanche esserne
consapevoli, ha posto il problema e insieme all’USB, di cui è delegato, ha
informato l’azienda e le istituzioni dell’uso improprio dell’aeroporto civile.
Per tutta risposta l’azienda lo sta sanzionando, contestandogli di rendere note
informazioni riservate che quindi non dovrebbero essere rese pubbliche.
Nell’azienda, nonostante l’USB sia largamente maggioritaria, la direzione si è
sempre rifiutata di riconoscere l’organizzazione più rappresentativa tra i suoi
dipendenti. Luigi è stato eletto come RSU ed è Rappresentante dei lavoratori per
la sicurezza (RLS).
Io sto con Luigi perché sta denunciando l’utilizzo militare di un aeroporto
civile.
Io sto con Luigi perché, in qualità di delegato sindacale e di rappresentante
per la salute e sicurezza sul lavoro, sta difendendo l’incolumità dei suoi
colleghi.
Io sto con Luigi perché sono contro tutte le guerre e non voglio essere complice
di nessuna politica di guerra.
Io sto con Luigi perché ha il coraggio di raccontare la verità.
Sostieni anche tu Luigi, manda una tua foto con cartello a lombardia@usb.it!
> Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi
> sostenerci donando il tuo 5×1000
>
> News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
Questo appello nasce a seguito della manifestazione del 5 ottobre scorso quando
più di 10.000 persone hanno violato i divieti del governo e della questura di
Roma per manifestare la loro solidarietà alla resistenza palestinese e al popolo
libanese, e per lottare contro la guerra e contro l’approvazione del DDL 1660,
il nuovo “pacchetto sicurezza”. Questo, nonostante il clima di criminalizzazione
e di terrore creato dal governo e le misure adottate dalla questura di Roma per
provare, invano, a scoraggiare qualunque forma di partecipazione alla giornata.
Il 5 ottobre la questura di Roma ha fatto un uso sistematico della repressione
preventiva, un meccanismo che si va sempre più consolidando ed estendendo:
percorsi obbligati in modo da impedire di raggiungere i palazzi del potere;
controlli, perquisizioni e identificazioni ai caselli autostradali;
militarizzazione delle aree circostanti la piazza del concentramento. In cifre:
1600 identificazioni, 200 persone allontanate dalla città, 51 delle quali
colpite da fogli di via, tre denunciati a piede libero, il fermo ed il
successivo arresto di Tiziano, ora ai domiciliari in attesa che cominci il
processo nei suoi confronti.
La manifestazione del 5 è stata, perciò, la prova preliminare del nuovo
pacchetto sicurezza a firma Piantedosi-Nordio-Crosetto: si è provato a mettere a
tacere ogni voce di dissenso e di protesta. Con i venti di guerra che soffiano
impetuosi, la situazione non farà altro che peggiorare con i governi occidentali
che hanno la necessità di silenziare le lotte sociali per compattare il fronte
interno. Con il DDL 1660 l’esecutivo Meloni prepara un salto di qualità nella
repressione di tutte le lotte, operaie, sociali, ecologiste, a cominciare dalle
proteste contro la sempre più marcata tendenza alla guerra e all’instaurazione
di un’economia di guerra, e di una disciplina da stato di guerra nei luoghi di
lavoro, nelle scuole, nella società. Dobbiamo reagire con forza a questo corso
repressivo, come abbiamo fatto non accettando il divieto di manifestare il 5
ottobre.
Non possiamo, poi, accettare che il foglio di via diventa qualcosa di normale: i
51 comminati dalla questura di Roma a persone che “presumibilmente” si trovavano
in città per commettere atti illeciti, essendo interessati/e da procedimenti in
corso per iniziative di lotta e per manifestazioni, trasforma la presunzione di
innocenza in presunzione di colpa. Né possiamo accettare altre misure preventive
come gli obblighi di firma comminati a chi lotta contro la guerra, com’è
accaduto a Napoli a chi manifestava contro il sostegno della RAI al genocidio
sionista in Palestina, e com’è avvenuto a Luigi Spera, tuttora in carcere con
l’accusa di aver partecipato ad un’azione dimostrativa contro la Leonardo, fiore
all’occhiello dell’industria bellica italiano, che fa profitti miliardari grazie
all’guerra.
Rispetto a tutto ciò è necessaria una presa di parola collettiva, con una
campagna di sostegno e solidarietà ai colpiti dalle misure repressive del 5
ottobre, per la revoca dei 51 fogli di via e, soprattutto, per la liberazione
immediata di Tiziano, ora agli arresti domiciliari e che il 14 novembre
affronterà la prima udienza del processo a suo carico. Criminale non è chi lotta
contro la guerra, ma chi contribuisce con ogni mezzo al genocidio in Palestina e
fomenta gli scenari bellici in allargamento in tutto il mondo. La presa di
parola non riguarda soltanto noi che facciamo parte della Rete: deve coinvolgere
tutta quella parte della società, i lavoratori anzitutto, ma anche i giuristi e
le giuriste autenticamente democratici, gli artisti e le artiste sensibili al
rifiuto dell’oppressione, gli operatori dell’informazione non allineati, che
avvertono il doppio grande pericolo che incombe su tutti/e: lo stato di polizia,
la guerra alle porte!
Libere e liberi di lottare contro la guerra e contro lo stato di polizia! Revoca
di tutti i fogli di via e gli obblighi di firma! Libertà immediata per Tiziano!
Fermiamo il DDL 1660!
Rete Liberi/e di lottare – Fermiamo insieme il DDL 1660
fermiamoidecretisicurezza@gmail.com
Nelle carceri italiane ci sono 14mila persone in più rispetto ai posti
regolamentari. Le condizioni di vita sono inumane. Da gennaio, oltre 70 detenuti
e 7 agenti di polizia penitenziaria si sono tolti la vita. Una legge di amnistia
e di indulto per i reati e i residui pena fino a due anni è, oggi, una necessità
assoluta per ripristinare condizioni di umanità. Non solo ma è anche uno
strumento che aiuta a contenere la recidiva.
Non c’è più tempo: bisogna fermare la strage di vite e diritti nelle carceri
italiane. Più di quanto non sia mai stato, le carceri italiane sono diventate un
luogo di morte e di disperazione. Dall’inizio dell’anno ormai ben oltre settanta
le persone che si sono tolte la vita dietro le sbarre, quanti non mai
dall’inizio del secolo in poco più di nove mesi. E con loro hanno deciso di
farla finita sette agenti di polizia penitenziaria. Ognuno di loro avrà avuto le
proprie personali ragioni per arrivare a quella scelta ultima ed estrema, ma
quelle morti ci interrogano sull’ambiente di vita e professionale in cui
avvengono e sulle sue croniche carenze. Sono ormai 62.000 i detenuti nelle
carceri italiane, circa quattordicimila in più dei posti effettivamente
disponibili. In un anno, quasi quattromila in più.
Si tratta in gran parte di autori di reati minori, condannati a pene che
potrebbero dar luogo a un’alternativa al carcere se avessero un domicilio
adeguato, una famiglia a sostenerli, un lavoro con cui mantenersi. Non più di un
terzo è autore di gravi reati contro la persona o affiliato a organizzazioni
criminali. È questo il contesto in cui si sta registrando un numero di suicidi
senza precedenti, tra i detenuti e nella polizia penitenziaria. Il carcere, i
suoi operatori, i detenuti non ce la fanno più. Anche i migliori propositi, come
quelli condivisi dall’Amministrazione penitenziaria con il Cnel, di abbattere la
recidiva attraverso il potenziamento della formazione, dell’orientamento e
dell’inserimento lavorativo dei detenuti, per potersi avverare hanno bisogno di
ridimensionare il numero dei detenuti in modo che gli operatori possano seguirli
efficacemente. Per non dire della prevenzione del rischio suicidario e della
necessaria assistenza sanitaria.
È da molto tempo all’esame della Camera una apprezzabile proposta, avanzata
dall’on. Giachetti, volta a potenziare le riduzioni di pena per i detenuti che
partecipano attivamente all’offerta di attività rieducative proposte dal
carcere. Ma, se vedesse finalmente la luce, non consentirebbe prima di qualche
mese o addirittura di un anno l’uscita anticipata dal carcere di alcune migliaia
di detenuti a fine pena, tanti quanti ne sono entrati nell’ultimo anno. Serve un
intervento più deciso, che consenta la cancellazione drastica e immediata del
sovraffollamento e la realizzazione delle condizioni per una più generale
riforma del sistema penitenziario. È un intervento che la Costituzione prevede
come strumento di politica del diritto penale quando se ne ravvisi la necessità
e l’urgenza, come certamente è questo il caso. Un provvedimento di clemenza
generale, che potrebbe assumere le caratteristiche di una legge di amnistia e di
indulto per i reati e i residui pena fino a due anni. In poche settimane, con
l’indulto uscirebbero dal carcere circa sedicimila detenuti, con l’amnistia per
i reati minori si alleggerirebbero i carichi di lavoro degli uffici giudiziari e
per un po’ di tempo si eviterebbero nuove carcerazioni per reati minori. Tutti
gli operatori della giustizia penale e del sistema penitenziario sanno che
questa è l’unica soluzione disponibile ed immediatamente efficace per risolvere
il problema del sovraffollamento.
Il fatto che l’articolo 79 della Costituzione richieda una maggioranza speciale
per l’approvazione di una legge di amnistia e di indulto, che pure meriterebbe
di essere rivista, lungi dal costituire un impedimento assoluto alla sua
approvazione, spinge a una condivisione di responsabilità tra le forze
politiche, di maggioranza e di opposizione, per l’adozione di un provvedimento
necessario a restituire condizioni di vita e di lavoro dignitose nelle nostre
carceri. Condivisione che ci fu nel 2006, quando il presidente del consiglio
Romano Prodi e il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi si assunsero la
comune responsabilità di votare a favore del più recente provvedimento di
clemenza adottato in Italia, allora come oggi necessario al rispetto ai principi
dell’articolo 27 della Costituzione. In ultimo, ricordiamo che – contrariamente
a una errata opinione molto diffusa – quel provvedimento ha dato risultati molto
positivi non solo nel decongestionamento degli istituti di pena, ma anche nella
riduzione della recidiva: secondo la ricerca di Torrente, Sarzotti, Jocteau,
commissionata dal ministero della Giustizia nel 2006, degli oltre 27 mila
detenuti liberati grazie a quell’indulto, solo il 35% era rientrato in carcere
cinque anni dopo, a fronte di un dato generale che vede intorno al 67% la
percentuale di recidiva registrata tra quanti scontano interamente la propria
pena in carcere; d’altro canto, secondo l’indagine di Drago, Galbiati e Vertova,
pubblicata sul Journal of Political Economy, il tasso di recidiva tra i
beneficiari dell’indulto del 2006 è diminuito del 25%. Dati su cui riflettere e
da cui trarre coerenti conseguenze.
ottobre 2024
Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Michele Ainis, Mons. Vincenzo Paglia, Gaia
Tortora, Giovanni Fiandaca, Gherardo Colombo, Clemente Mastella, Daria Bignardi,
Mauro Palma, Francesco Petrelli, Tullio Padovani, Rita Bernardini, Dacia
Maraini, Alessandro Bergonzoni, Mattia Feltri, Andrea Pugiotto, Ornella Favero,
Franco Corleone, Patrizio Gonnella, Franco Maisto, Luigi Pagano, Grazia Zuffa,
Valentina Calderone, Samuele Ciambriello
Per info e contatti: clemenzaperlecarceri@gmail.com