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Revoca immediata dei fogli di via – Tiziano libero subito!
Questo appello nasce a seguito della manifestazione del 5 ottobre scorso quando più di 10.000 persone hanno violato i divieti del governo e della questura di Roma per manifestare la loro solidarietà alla resistenza palestinese e al popolo libanese, e per lottare contro la guerra e contro l’approvazione del DDL 1660, il nuovo “pacchetto sicurezza”. Questo, nonostante il clima di criminalizzazione e di terrore creato dal governo e le misure adottate dalla questura di Roma per provare, invano, a scoraggiare qualunque forma di partecipazione alla giornata. Il 5 ottobre la questura di Roma ha fatto un uso sistematico della repressione preventiva, un meccanismo che si va sempre più consolidando ed estendendo: percorsi obbligati in modo da impedire di raggiungere i palazzi del potere; controlli, perquisizioni e identificazioni ai caselli autostradali; militarizzazione delle aree circostanti la piazza del concentramento. In cifre: 1600 identificazioni, 200 persone allontanate dalla città, 51 delle quali colpite da fogli di via, tre denunciati a piede libero, il fermo ed il successivo arresto di Tiziano, ora ai domiciliari in attesa che cominci il processo nei suoi confronti. La manifestazione del 5 è stata, perciò, la prova preliminare del nuovo pacchetto sicurezza a firma Piantedosi-Nordio-Crosetto: si è provato a mettere a tacere ogni voce di dissenso e di protesta. Con i venti di guerra che soffiano impetuosi, la situazione non farà altro che peggiorare con i governi occidentali che hanno la necessità di silenziare le lotte sociali per compattare il fronte interno. Con il DDL 1660 l’esecutivo Meloni prepara un salto di qualità nella repressione di tutte le lotte, operaie, sociali, ecologiste, a cominciare dalle proteste contro la sempre più marcata tendenza alla guerra e all’instaurazione di un’economia di guerra, e di una disciplina da stato di guerra nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nella società. Dobbiamo reagire con forza a questo corso repressivo, come abbiamo fatto non accettando il divieto di manifestare il 5 ottobre. Non possiamo, poi, accettare che il foglio di via diventa qualcosa di normale: i 51 comminati dalla questura di Roma a persone che “presumibilmente” si trovavano in città per commettere atti illeciti, essendo interessati/e da procedimenti in corso per iniziative di lotta e per manifestazioni, trasforma la presunzione di innocenza in presunzione di colpa. Né possiamo accettare altre misure preventive come gli obblighi di firma comminati a chi lotta contro la guerra, com’è accaduto a Napoli a chi manifestava contro il sostegno della RAI al genocidio sionista in Palestina, e com’è avvenuto a Luigi Spera, tuttora in carcere con l’accusa di aver partecipato ad un’azione dimostrativa contro la Leonardo, fiore all’occhiello dell’industria bellica italiano, che fa profitti miliardari grazie all’guerra. Rispetto a tutto ciò è necessaria una presa di parola collettiva, con una campagna di sostegno e solidarietà ai colpiti dalle misure repressive del 5 ottobre, per la revoca dei 51 fogli di via e, soprattutto, per la liberazione immediata di Tiziano, ora agli arresti domiciliari e che il 14 novembre affronterà la prima udienza del processo a suo carico. Criminale non è chi lotta contro la guerra, ma chi contribuisce con ogni mezzo al genocidio in Palestina e fomenta gli scenari bellici in allargamento in tutto il mondo. La presa di parola non riguarda soltanto noi che facciamo parte della Rete: deve coinvolgere tutta quella parte della società, i lavoratori anzitutto, ma anche i giuristi e le giuriste autenticamente democratici, gli artisti e le artiste sensibili al rifiuto dell’oppressione, gli operatori dell’informazione non allineati, che avvertono il doppio grande pericolo che incombe su tutti/e: lo stato di polizia, la guerra alle porte! Libere e liberi di lottare contro la guerra e contro lo stato di polizia! Revoca di tutti i fogli di via e gli obblighi di firma! Libertà immediata per Tiziano! Fermiamo il DDL 1660! Rete Liberi/e di lottare – Fermiamo insieme il DDL 1660  fermiamoidecretisicurezza@gmail.com
November 11, 2024 / Osservatorio Repressione
L’amnistia è, oggi, una necessità
Nelle carceri italiane ci sono 14mila persone in più rispetto ai posti regolamentari. Le condizioni di vita sono inumane. Da gennaio, oltre 70 detenuti e 7 agenti di polizia penitenziaria si sono tolti la vita. Una legge di amnistia e di indulto per i reati e i residui pena fino a due anni è, oggi, una necessità assoluta per ripristinare condizioni di umanità. Non solo ma è anche uno strumento che aiuta a contenere la recidiva. Non c’è più tempo: bisogna fermare la strage di vite e diritti nelle carceri italiane. Più di quanto non sia mai stato, le carceri italiane sono diventate un luogo di morte e di disperazione. Dall’inizio dell’anno ormai ben oltre settanta le persone che si sono tolte la vita dietro le sbarre, quanti non mai dall’inizio del secolo in poco più di nove mesi. E con loro hanno deciso di farla finita sette agenti di polizia penitenziaria. Ognuno di loro avrà avuto le proprie personali ragioni per arrivare a quella scelta ultima ed estrema, ma quelle morti ci interrogano sull’ambiente di vita e professionale in cui avvengono e sulle sue croniche carenze. Sono ormai 62.000 i detenuti nelle carceri italiane, circa quattordicimila in più dei posti effettivamente disponibili. In un anno, quasi quattromila in più. Si tratta in gran parte di autori di reati minori, condannati a pene che potrebbero dar luogo a un’alternativa al carcere se avessero un domicilio adeguato, una famiglia a sostenerli, un lavoro con cui mantenersi. Non più di un terzo è autore di gravi reati contro la persona o affiliato a organizzazioni criminali. È questo il contesto in cui si sta registrando un numero di suicidi senza precedenti, tra i detenuti e nella polizia penitenziaria. Il carcere, i suoi operatori, i detenuti non ce la fanno più. Anche i migliori propositi, come quelli condivisi dall’Amministrazione penitenziaria con il Cnel, di abbattere la recidiva attraverso il potenziamento della formazione, dell’orientamento e dell’inserimento lavorativo dei detenuti, per potersi avverare hanno bisogno di ridimensionare il numero dei detenuti in modo che gli operatori possano seguirli efficacemente. Per non dire della prevenzione del rischio suicidario e della necessaria assistenza sanitaria. È da molto tempo all’esame della Camera una apprezzabile proposta, avanzata dall’on. Giachetti, volta a potenziare le riduzioni di pena per i detenuti che partecipano attivamente all’offerta di attività rieducative proposte dal carcere. Ma, se vedesse finalmente la luce, non consentirebbe prima di qualche mese o addirittura di un anno l’uscita anticipata dal carcere di alcune migliaia di detenuti a fine pena, tanti quanti ne sono entrati nell’ultimo anno. Serve un intervento più deciso, che consenta la cancellazione drastica e immediata del sovraffollamento e la realizzazione delle condizioni per una più generale riforma del sistema penitenziario. È un intervento che la Costituzione prevede come strumento di politica del diritto penale quando se ne ravvisi la necessità e l’urgenza, come certamente è questo il caso. Un provvedimento di clemenza generale, che potrebbe assumere le caratteristiche di una legge di amnistia e di indulto per i reati e i residui pena fino a due anni. In poche settimane, con l’indulto uscirebbero dal carcere circa sedicimila detenuti, con l’amnistia per i reati minori si alleggerirebbero i carichi di lavoro degli uffici giudiziari e per un po’ di tempo si eviterebbero nuove carcerazioni per reati minori. Tutti gli operatori della giustizia penale e del sistema penitenziario sanno che questa è l’unica soluzione disponibile ed immediatamente efficace per risolvere il problema del sovraffollamento. Il fatto che l’articolo 79 della Costituzione richieda una maggioranza speciale per l’approvazione di una legge di amnistia e di indulto, che pure meriterebbe di essere rivista, lungi dal costituire un impedimento assoluto alla sua approvazione, spinge a una condivisione di responsabilità tra le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, per l’adozione di un provvedimento necessario a restituire condizioni di vita e di lavoro dignitose nelle nostre carceri. Condivisione che ci fu nel 2006, quando il presidente del consiglio Romano Prodi e il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi si assunsero la comune responsabilità di votare a favore del più recente provvedimento di clemenza adottato in Italia, allora come oggi necessario al rispetto ai principi dell’articolo 27 della Costituzione. In ultimo, ricordiamo che – contrariamente a una errata opinione molto diffusa – quel provvedimento ha dato risultati molto positivi non solo nel decongestionamento degli istituti di pena, ma anche nella riduzione della recidiva: secondo la ricerca di Torrente, Sarzotti, Jocteau, commissionata dal ministero della Giustizia nel 2006, degli oltre 27 mila detenuti liberati grazie a quell’indulto, solo il 35% era rientrato in carcere cinque anni dopo, a fronte di un dato generale che vede intorno al 67% la percentuale di recidiva registrata tra quanti scontano interamente la propria pena in carcere; d’altro canto, secondo l’indagine di Drago, Galbiati e Vertova, pubblicata sul Journal of Political Economy, il tasso di recidiva tra i beneficiari dell’indulto del 2006 è diminuito del 25%. Dati su cui riflettere e da cui trarre coerenti conseguenze. ottobre 2024 Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Michele Ainis, Mons. Vincenzo Paglia, Gaia Tortora, Giovanni Fiandaca, Gherardo Colombo, Clemente Mastella, Daria Bignardi, Mauro Palma, Francesco Petrelli, Tullio Padovani, Rita Bernardini, Dacia Maraini, Alessandro Bergonzoni, Mattia Feltri, Andrea Pugiotto, Ornella Favero, Franco Corleone, Patrizio Gonnella, Franco Maisto, Luigi Pagano, Grazia Zuffa, Valentina Calderone, Samuele Ciambriello Per info e contatti: clemenzaperlecarceri@gmail.com
October 30, 2024 / Osservatorio Repressione
No a Piantedosi all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Unimol
Cresce la protesta contro la presenza del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università del Molise. La cerimonia si terrà il 30 ottobre, ma contro l’invito del ministro è stato lanciato un appello che ha già raccolto centinaia di adesioni   Il prossimo 30 ottobre ad inaugurare l’anno accademico dell’Università degli Studi del Molise sarà presente il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi L’attività del Ministro in questi due anni di Governo è stata tutta incentrata alla repressione e alla criminalizzazione del dissenso, della solidarietà, dei poveri e marginali. La democrazia, così come la cultura, sono fondate sulla possibilità di dissentire. Solo il dissenso permette la diversità delle posizioni e delle idee, solo il dissenso mette al vaglio la verità e la giustizia, solo il dissenso è alla base del pensiero. L’itinerario che il ministro Piantedosi e il governo stanno perseguendo fin dal primo giorno e che culmina con una legge, il Ddl “sicurezza” 1660, detto anche legge anti-Gandhi, che proibisce in tutte le sue forme, attiva e passiva, disarmata e non violenta, ogni dissenso, manda oggi al macero la democrazia e la cultura che il dopoguerra ha pazientemente costruito, con il sostegno della Costituzione della Repubblica Italiana. Ci riconosciamo nella libertà di pensare e di esprimere il nostro pensiero sotto ogni forma, parlata e scritta, stampata e diffusa con qualsiasi mezzo, di riunirci e associarci, di informare ed essere informati, di insegnare ed essere istruiti, di scegliere liberamente la nostra occupazione, il nostro domicilio e liberamente viaggiare; e riconosciamo queste libertà per noi, gli stranieri e gli apolidi, i rifugiati e i richiedenti asilo, e intendiamo esercitare i nostri diritti inviolabili, a cominciare dal diritto di solidarizzare con chi si oppone, sia con lo sciopero che con l’occupazione pacifica o con manifestazioni pubbliche di dissenso, con chi reclama dallo Stato leggi che permettano alla nostra terra di difendersi da catastrofi climatiche o dagli orrori delle guerre e infine con chiunque risponda al richiamo della giustizia e della umanità: e se questi sono reati, ci autodenunciamo responsabili di questi reati, passati, presenti e futuri, tutti e ciascuno, consapevoli che solo così facendo possiamo proteggere la democrazia e i valori Costituzionali. In una regione come il Molise che dà scarsissime possibilità lavorative ai neo laureati, in un paese che conta un tasso di laureati che è tra i più bassi d’Europa, dove l’ascensore sociale è rotto da decenni e il diritto all’istruzione è in pratica negato, l’Università del Molise pensa bene di invitare uno dei massimi rappresentanti di una stretta punitiva e sicuritaria, l’antitesi, per storia e pratiche governative, ad un’idea di sapere e di società aperta inclusiva e rispettosa dei diritti e del  diritto al dissenso. Nelle aule universitarie non ci dovrebbe essere posto per il carcere e manganello elevati a dogma di gestione dell’ordine pubblico Per questo invitiamo i docenti, gli studenti i rappresentati istituzionali politici, sindacali e del mondo dell’associazionismo e del volontariato a disertare l’inaugurazione dell’anno accademico alla presenza di Piantedosi come atto visibile e concreto contro le politiche repressive che il governo Meloni sta mettendo in essere.     Per adesioni: nopiantedosi@gmail.com   Ilaria Agostini Pasquale Amelio Maria Teresa Amodio Luana Angelicola Giuseppe Aragno Silvio Arcolesse Pino Ippolito Arminio Maria Angela Astore Isabella Astorri Andrea Battinelli Angelo Bavaro Umberto Berardo Sara Bernabeo Renza Bertuzzi Piero Bevilacqua Giacomo Bonasera Flavio Brunetti Gabriella Buldrini Vincenzo Boncristiano Antonietta Caccia Alberto Cancellario Chiara Cancellario Celeste Caranci Roberto Carluccio Gianluca Carmosino Nino Carpenito Francesco Centracchio  Vincenzo Centritto Concetta Chimisso Caterina Ciaccia Marinella Ciamarra Francesca Ciarla Paolo Cimini Mara Cinquino Angelo M. Cirasino Giuseppe Colavecchia Amalia Collisani Ivano Cotugno CROMA Donatella Crosta Lorenza Cuccaro Fernando Damiani Mino Dentizzi Luisa Diodati Amodio Dionisio Gigino D’Angelo Cosima De Angelis Rosa De Angelis Giusi De Castro Giuseppe De Lena Roberto De Lena Francesco De Lellis Roberto De Libero Rosa De Renzis Domenico De Simone Barbara Di Giovanni Antonio Di Lalla Rosamaria Di Lauro Paolo Di Lella Pasquale Di Lena Laura Di Leo Domenico Di Lisa Francesco Di Lucia Lucia Di Matteo Andrea Di Meo Giulia Di Paola Italo Di Sabato Mirco Di Sandro Leda Di Santo Giovanna Di Soccio Michele Durante Francesco Paolo Eliseo Vittorino Facciolla Laura Fanelli Nicola Farina Sara Ferri Lino Finelli Adele Fraracci Lorenzo Fuschino Filomena Fusco Roberto Budini Gattai Giovanni Germano Michele Giambarba Pasquale Giancola Rosita Giardino Francesco Giovannangelo Nunzia Granitto Lucilla Grimani   Miriam Iacovantuono Vittorio Ialenti Marco Iannotta Alessandro Ugo Imbriglia Patrizia Ionata Mattia Iorillo Nicola Lanza Tiziana Lembo Maria Assunta Libertucci Lucia Longari Carla Mancini Ferdinando A. Mancini Luca Mancini Luisa Marinucci Maria Masecchia Ilaria Mastrangelo Alessio Mastromonaco Cristina Mazzoccoli Giovanni Mininni Michele Montano Stefano Di Santo Morelli Giovanni Moriello Cristina Muccilli Tiziana Nadalutti Andrea Nasillo Marilena Natilli Fabrizio Nocera Vincenzo Notarangelo Virginia Notarpasquale Franco Novelli Alessandro Nusco Nicola Palombo Gianni Palumbo Alessandro Paolo Alice Papi Anna Pastoressa Valentina Patete Rossano Pazzagli Michele Petraroia Marco Petti Carmine Pietrangelo Maria Paola Pietropaolo Giuseppe Pittà Fulvia Pizzi Viviana Pizzi Daniela Poli Clementina Porzio Marinetta Porzio Antonio Priston Cristina Ratino Michele Roccia Andrea Rossi Alessandra Salvatore Giuseppe Saponaro Vito Saulino Enzo Scandurra Andrea Sellitto Marisa Schillaci Francesco Simonelli Pasquale Sisto Davide Smake Marilisa Spalatino Aldo Spedalieri Pina Sprovieri Marcella Stumpo Carmine Tomeo Emidio Ranieri Tomeo Nicholas Tomeo Francesco Trane Giustino Trivisonno Stefania Trivisonno Renato Turturro Nicola Valentino Roberto Vassallo Stefano Vavolo Alessandra Ventura Achille Zarlenga Ornella Zarrillo Luciana Zingaro Alberto Ziparo L'articolo No a Piantedosi all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Unimol sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 10, 2024 / Osservatorio Repressione
Difendiamo il diritto democratico a manifestare. Il divieto per la manifestazione a Roma il 5 ottobre è sbagliato e ingiusto
Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. di Federico Giusti art 21 Costituzione Italiana Nella Costituzione italiana esiste la piena libertà di manifestare il pensiero in ogni forma eccezion fatta se ci sono reati di ingiuria, calunnia, diffamazione, vilipendio, istigazione a delinquere e se viene recata offesa al “buon costume. La Costituzione ha recepito tuttavia il Codice penale Rocco di emanazione fascista e per quanto siano affermati principi di libertà molte manifestazioni sono state proibite e ferocemente represse in nome della difesa dell’ordine pubblico. La sinistra italiana e prima il Pci non hanno mai voluto porre al centro dell’operato la riscrittura del codice penale e per questo sono arrivate tutte le legislazioni emergenziali che da eccezionali sono divenute con il tempo ordinarie. Se il fascismo trasformò il codice penale in una sorta di “schermo” dietro il quale celare i veri intenti del regime, oggi analoga considerazione potremmo fare in merito al decreto di legge 1660. Il divieto posto alla manifestazione per la Palestina del 5 ottobre da parte della Questura arriva dopo pesante intrusioni da parte governativa, e non solo, per impedire questo corteo promosso dalla Comunità palestinese. Questo divieto è assolutamente illegittimo anche alla luce dei recenti fatti, in presenza del genocidio in corso con decine di migliaia di morti tra i civili palestinesi e libanesi, vietare una manifestazione per alcuni documenti o commenti apparsi sui social evidentemente lede un diritto costituzionale. Il diritto costituzionale è ormai una tigre di carta ed è evidente la natura politica della posizione assunta per vietare il corteo del 5 ottobre. Anche Amnesty international scende in campo per difendere il diritto a manifestare Negli ultimi anni abbiamo assistito ad alcune delle più grandi mobilitazioni da decenni a questa parte: Black Lives Matter, MeToo, i movimenti contro i cambiamenti climatici hanno ispirato milioni di persone a scendere in strada per chiedere giustizia  per le persone discriminate su base etnica e per l’uguaglianza, i mezzi di sostentamento, la giustizia climatica, la fine della violenza e della discriminazione di genere. Ovunque, le persone si sono mobilitate contro la violenza e gli omicidi della polizia, la repressione di stato e l’oppressione. Quasi senza eccezione, la risposta delle autorità statali a questa ondata di proteste di massa è ostruttiva, repressiva e spesso violenta. Invece di creare le condizioni per esercitare il diritto di protesta, i governi stanno ricorrendo a misure ancora più estreme per stroncarlo. Ecco perché Amnesty International ha deciso di lanciare questa campagna. https://www.amnesty.it/campagne/proteggo-la-protesta/ Quanto scrive Amnesty vale anche per l’Italia in rapporto al decreto 1660. Le organizzazioni sindacali e sociali dovrebbero adoperarsi direttamente per la revoca del divieto a manifestare sapendo che in ogni caso migliaia disobbediranno scendendo in piazza contro il genocidio del popolo palestinese, questo divieto è solo l’inizio di una svolta autoritaria che presto si abbatterà su tante altre istanze sindacali, sociali e politiche. Anni fa gli accordi di Abramo vennero accolti con troppa sufficienza in Europa, l’idea di uno stato di Israele  “dal fiume al mare” dimostra che la guerra in corso si prefigge l’obiettivo di estenderne i confini e di proseguire con quel colonialismo da insediamento che anche alcune risoluzioni Onu hanno condannato. Convocare  a un anno dall’inizio delle operazioni militari una manifestazione contro il genocidio del popolo palestinese e la politica annessionista di Israele è quindi da configurare come una risposta legittima e democratica delle comunità palestinesi e delle tante realtà solidali presenti nel paese. Il divieto di manifestare serve per gettare nell’oblio quanto oggi accade in Medio Oriente, equiparare l’antisionismo con l’antisemitismo, va detto e urlato con estrema chiarezza: siamo in presenza di un velenoso antipasto di quanto avverrà dopo la approvazione al Senato del decreto legislativo già approvato alla Camera. Sono in gioco le libertà e le agibilità sociali e collettive, per questo difendere la libertà di manifestare il 5 ottobre è una battaglia di civiltà, di democrazia ma anche la risposta legittima contro il genocidio del popolo palestinese con una Ue silente e complice al contrario di quando invece prendeva parola e posizione per rivendicare il diritto a una terra per un popolo martoriato e cacciato via dalle proprie case.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp L'articolo Difendiamo il diritto democratico a manifestare. Il divieto per la manifestazione a Roma il 5 ottobre è sbagliato e ingiusto sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 1, 2024 / Osservatorio Repressione
La libertà di dissentire è a rischio: solidarietà con Christian Raimo
Ci vogliono zitti e obbedienti. Un appello dopo il provvedimento disciplinare a carico di Christian Raimo, “reo” di aver criticato il ministro Valditara In Italia un insegnante rischia il licenziamento per aver criticato il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. È una notizia grave e allarmante, che dice molto sulla democrazia sostanziale che viviamo oggi in Italia e sulla torsione autoritaria in atto. Il docente in questione si chiama Christian Raimo, insegna storia e filosofia in un liceo, si occupa di storia della scuola e di pratica pedagogica. È anche scrittore e giornalista, insomma è un intellettuale il cui lavoro e la cui passione è fare l’insegnante e rendere la scuola più democratica. In questa doppia veste, quella dell’intellettuale e quella del professore, ha criticato l’idea di scuola che propugna il ministro del governo Meloni. Non è il solo, considerato che le nuove linee per l’educazione civica proposte dal ministro sono state bocciate del Consiglio superiore della Pubblica istruzione, che ha sottolineato l’approccio squisitamente personalistico e produttivistico, in cui sparisce tra l’altro il valore della collettività e della responsabilità sociale indicata dalla stessa Costituzione come  fondamentale. Raimo si è visto raggiunto dall’istruttoria di un procedimento disciplinare che rischia di provocarne la sospensione dall’insegnamento senza stipendio, fino ad arrivare al licenziamento. La situazione ha dell’incredibile, visto e considerato che il docente ha semplicemente paragonato, con una citazione pop immediatamente comprensibile, le politiche del ministro Valditara alla “Morte Nera” che nel film-cult Star Wars l’alleanza ribelle colpisce mentre se ne sta ultimando la costruzione. Un modo popolare per dire che il punto debole del governo è proprio l’idea di scuola della destra. Adesso quelle dichiarazioni vengono utilizzate per tentare di silenziare Raimo, minacciando di estrometterlo dalla scuola, adducendo come ragione il fatto che avrebbe leso l’immagine dell’istituzione scolastica in pubblico, per di più facendolo sui social. Come arma di censura si usa un codice comportamentale per i docenti adottato con D.M. n. 105 del 26.04.2022, che all’articolo 13 dispone che il dipendente si astenga “dal pubblicare, tramite l’utilizzo dei social network, contenuti che possano nuocere all’immagine dell’Amministrazione”. Cosa hanno a che fare questo articolo e questo intervento del ministero con l’articolo 21 della Costituzione, che recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»? Cosa hanno a che fare con l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che dice: «Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera»? Crediamo che la voce e la passione di Christian Raimo siano un valore importante per il dibattito sulla scuola pubblica, che è e deve restare luogo di confronto di idee e crescita democratica, e che per questo Raimo vada difeso da questo attacco. Crediamo soprattutto che, lungi dall’essere un caso personale, questo genere di norme e di provvedimenti – di cui il disegno di legge “Sicurezza” in via di approvazione è esempio tristemente calzante – assomiglino a quelle di governi che chiamiamo democrature. Cioè democrazie solo formali, sospese, regimi, e non democrazia liberali che abbiano a cuore la libertà di espressione e di critica come principio fondante. Per sottoscrivere: liberidicriticare@gmail.com I primi firmatari: Marco Balzano Marco Jacopo Bianchi (Cosmo) Daria Bignardi Giulia Blasi Vasco Brondi Giulia Caminito Ascanio Celestini Teresa Ciabatti Francesca Coin Giancarlo De Cataldo Mario Desiati Antonio Dimartino Paolo Di Paolo Claudia Durastanti Matteo Garrone Carlo Ginzburg Vera Gheno Fabrizio Gifuni Paolo Giordano Carlo Greppi Nicola Lagioia Vincenzo Latronico Gad Lerner Loredana Lipperini Franco Lorenzoni Luigi Manconi Marco Missiroli Tomaso Montanari Claudio Morici Valerio Nicolosi Giorgio Parisi Valeria Parrella Alessandro Robecchi Vanessa Roghi Roberto Saviano Tiziano Scarpa Giovanni Scifoni Giorgia Serughetti Marino Sinibaldi Adriano Sofri Valeria Solarino Lorenzo Urciollo (Colapese) Chiara Valerio Sandro Veronesi Zerocalcare     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp L'articolo La libertà di dissentire è a rischio: solidarietà con Christian Raimo sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
September 30, 2024 / Osservatorio Repressione
No al ddl sicurezza 1660
Una norma che viola i diritti umani fondamentali utilizzando strumenti repressivi.  Comunicato congiunto della rete In Difesa Di con Ultima Generazione, Extinction Rebellion, Legal Team Italia, Osservatorio Repressione, Giuristi Democratici Una società sana deve poter esprimersi anche attraverso forme di dissenso e di pacifica protesta e in particolare di chi, come gli ambientaliste ed ambientalisti, lotta per la giustizia climatica e quindi sociale nel mondo Il disegno di legge 1660, approvato il 18 settembre alla Camera dei Deputati, si colloca nel solco del panpenalismo repressivo che connota da molti anni la risposta delle istituzioni alla protesta, al dissenso e al disagio. Questa tendenza ha caratterizzato i governi e le maggioranze parlamentari che si sono succedute almeno a far data dal 2001, con la ricorrente adozione di “pacchetti sicurezza” che hanno introdotto nuovi reati e aggravanti – o nuovi sistemi sanzionatori parapenali, come il DASPO – e  aumento delle pene per quelli già previsti (nel marzo 2001 era Presidente del Consiglio Giuliano Amato e Ministro dell’Interno Enzo Bianco, ma altri “pacchetti” sono ricordati per i nomi dei Ministri dell’epoca, da Maroni a Veltroni, da Minniti a Salvini). > Il DDL 1660 si caratterizza, però, per un notevole “salto di qualità” nella > stretta repressiva e nella costruzione di quello che potremmo definire un vero > e proprio “diritto penale (e non solo) del nemico”, ed anche nel ridisegnare > alcuni istituti mutandone profondamente la natura. Così vi sono norme che innalzano le pene per il reato di occupazione introducendo anche nuove ipotesi di reato (sarà punito penalmente anche il non lasciare l’immobile locato dopo una procedura di sfratto), che consentono l’incarcerazione anche delle donne in gravidanza e delle donne con neonato (in disposizioni che è stata significativamente battezzata “norma anti donne rom”), che introducono il reato di “detenzione di materiale con finalità di terrorismo” (per cui sarà reato il semplice possesso di materiale, al di là del concreto pericolo che il soggetto intenda porre in essere attività terrorista, così anticipando la soglia di punibilità sino al limite della sfera esclusivamente privata della persona), che introducono nuove ipotesi di Daspo disposto dal questore o di cd. “Daspo giudiziario” (imponendo per chi sia condannato per alcuni reati il divieto di accedere a determinati luoghi e subordinando la concessione della sospensione condizionale della pena al rispetto di tale divieto),  che sanciscono l’obbligo per i cittadini stranieri di esibire il permesso di soggiorno per poter attivare una utenza mobile (norma finalizzata ad impedire alle persone migranti irregolari di poter avere un telefono cellulare, facendo loro intorno “terra bruciata”),  che aumentano le possibilità di revoca della cittadinanza italiana acquisita dal cittadino straniero, che aumentano le pene per il reato di accattonaggio. > A queste norme se ne aggiungono alcune che intendono reprimere duramente le > proteste e ridurre gli spazi di possibile espressione di dissenso, colpendo > anche (e in alcuni casi specificamente) i movimenti ambientalisti, e altre che > tendono a demolire anni di conquiste democratiche (nelle istituzioni totali e > nei rapporti tra autorità e cittadini), tentando di fatto di far “tornare > indietro le lancette della storia” di ottant’anni. A quest’ultimo proposito non si può non far riferimento al “nuovo” reato di rivolta carceraria e nei CPR (ma anche negli hot spot e nei centri di accoglienza per persone migranti, quindi non solo in luoghi di detenzione e di privazione della libertà ), con il quale si vuole punire (con pene che vanno, a seconda delle ipotesi, da un minimo di uno a un massimo di venti anni) non solo le rivolte (non meglio definite) violente, ma anche gli atti di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti che impediscano il compimento degli atti di ufficio o servizio: si disegna un “nuovo” modello di detenuto (ma non solo, anche di migrante accolto in un centro) del tutto spersonalizzato, privato anche del diritto di utilizzare metodi non violenti e pacifici di contestazione e dal quale si pretende obbedienza “cieca e assoluta” agli ordini. La persona detenuta e la persona migrante (trattenuta o accolta) devono essere dei docili oggetti di controllo, pena la perpetuazione della loro condizione di persone private della libertà personale (il reato di rivolta carceraria verrebbe anche ricompreso tra i cd reati ostativi alle misure alternative al carcere). Questa “prima volta” nella repressione della resistenza passiva rischia di divenire un precedente che permetterà, in futuro, di punire ogni forma di disobbedienza a qualunque ordine ed in qualunque ambito (così come il Daspo, nato negli stadi per reprimere gli ultras, è stato poi esteso   agli ambiti urbani ed è oggi uno strumento di repressione amministrativa – la cui violazione peraltro fa cadere l’interessato nel sistema penale – buono per tutte le forme di disagio e/o di dissenso). Un altro palese esempio di questa involuzione è la volontà (non nascosta) di ridisegnare i rapporti tra le forze di “pubblica sicurezza” e le persone che sono loro sottoposte, allontanandosi da quella  che la Corte Costituzionale ha definito una “diversa disciplina dei rapporti tra cittadino e autorità rispettivamente negli ordinamenti liberal-democratici e nei regimi totalitari” che aveva caratterizzato la produzione normativa repubblicana post fascista (la Corte aveva usato quella definizione a proposito della discriminante della reazione  agli atti arbitrari del pubblico ufficiale, per cui non è punibile il cittadino che reagisca, anche con violenza, ad un atto illegittimo ed arbitrario del pubblico ufficiale). Nel senso di consolidare una supremazia anche formale degli apparati di pubblica sicurezza rispetto al popolo vanno: l’introduzione di una circostanza aggravante per i reati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale quando i fatti sono commessi ai danni di un agente o ufficiale di pubblica sicurezza (così potrà essere punita molto più gravemente la resistenza a un agente di polizia che non quella a un impiegato comunale, a un medico di ospedale, anche a un giudice); la previsione di un aumento di pena per il reato di lesioni se cagionate a un agente di pubblica sicurezza (anche in questo caso, quindi, si sancisce la “supremazia” della vittima-agente su ogni altra vittima); la previsione che gli agenti di pubblica sicurezza possano portare senza licenza armi anche fuori dal servizio; la copertura delle spese per un legale di fiducia (sino a 10.000 euro per ogni grado di giudizio) per gli agenti di pubblica sicurezza (nonché vigili del fuoco e militari) indagati o imputati per fatti inerenti il servizio (salva, invero, possibile rivalsa se infine condannati a titolo doloso; non ci sarebbe rivalsa, ad esempio, in caso di omicidio colposo di un arrestato). Le forze di pubblica sicurezza, dunque, sono collocate normativamente (potrebbe dirsi ideologicamente) in una posizione di supremazia su tutta la popolazione e di preminenza anche all’interno dell’apparato dello Stato. Il Disegno di legge contiene, poi, una lunga serie di disposizioni specificamente destinate a reprimere il dissenso, spesso palesemente disegnate su uno “specifico” soggetto ritenuto, evidentemente, da reprimere in modo particolare: una vera e propria costruzione di un diritto sanzionatorio speciale d’autore (in cui la gravità del reato, e talvolta la stessa sussistenza di un reato, dipendono non tanto dal “fatto” che è stato commesso quanto dal “tipo d’autore” che lo ha commesso). Già con il decreto cd ecovandali, peraltro, questa legislatura ci aveva abituato alla costruzione di reati sugli attivisti ambientalisti e sulle loro modalità di protesta (si pensi alla circostanza aggravante prevista per il reato di imbrattamento se commesso su “teche, custodie e altre strutture adibite all’esposizione, protezione e conservazione di beni culturali esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico”; è evidente che si è voluto specificamente colpire determinate proteste e determinati attivisti). Tra le disposizioni specificamente dirette alla repressione del dissenso (e degli attivisti ambientali in primis) spicca la circostanza aggravante (e dunque la previsione che la pena sia aumentata, con un massimo che può raggiungere i 20 anni) per i reati di resistenza e violenza a pubblico ufficiale (ma anche ad altri reati, come le minacce) nel caso in cui il fatto “è commesso al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica”. Qui è chiarissima la volontà di colpire più duramente i movimenti che si battono contro le grandi opere (come il movimento No Tav, il movimento No Tap, il movimento No Ponte, per citarne solo alcuni). Ancora, un aggravio di pena viene introdotto per i danneggiamenti commessi in occasione di manifestazioni (ipotesi che era già stata introdotta nel 2019) se commessi con violenza o minaccia (anche qui evidente è che questa norma è finalizzata a reprimere il dissenso ed il conflitto, essendo sufficiente che il danneggiamento sia accompagnato da una semplice condotta minacciosa). Così come una circostanza aggravante (con conseguente aggravio di pena) è previsto per il reato di imbrattamento se commesso su beni adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche con la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione (vengono alla mente alcune proteste simboliche, come il collocamento di mucchi di letame presso sedi istituzionali). > Le disposizioni del DDL 1660 attualmente in discussione, dunque, paiono voler > disegnare un nuovo assetto nei rapporti tra il potere esecutivo (la cui > espressione ultima sono proprio le forze di pubblica sicurezza) e la > popolazione, e colpire ogni forma di dissenso, riducendo il cittadino > (vogliamo utilizzare questo termine in senso atecnico, non come cittadino > italiano ma come persona    che è sottoposta a quel potere sovrano) ad un > docile oggetto di controllo, in una società che si vorrebbe plebiscitaria. Chi > si ribella (oggi in particolar modo nelle carceri o nei CPR, ma con un modello > che potrà essere esteso a chiunque), chi anche solo protesta (magari > rivendicando il diritto ad un ambiente salubre e in ultima analisi ad un > futuro) è un soggetto estraneo al modello di società che deve essere punito. E’ un modello di società estremamente pericoloso ed estraneo ai principi costituzionali; ecco perché la rete In Difesa Di, che dal 2016 raccoglie ed organizza enti ed associazioni impegnate in Italia e nel mondo per la difesa delle persone difensore dei diritti umani ed ambientali, ritiene che se il disegno di legge sarà definitivamente  approvato, molte delle sue norme saranno poi, probabilmente, dichiarate incostituzionali; ma avranno nel frattempo fatto germogliare nella società le male piante politiche e culturali che le nutrono (oltre ad aver colpito le persone che ne saranno nel frattempo state vittime).          Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000  News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp L'articolo No al ddl sicurezza 1660 sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
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June 30, 2024 / Osservatorio Repressione