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Appello contro il decreto Sicurezza
“Per una sicurezza democratica”. L’appello pubblico di 257 giuspubblicisti di tutte le Università italiane Il decreto sicurezza viola le prerogative costituzionali garantite al Parlamento e, nel merito, punta a reprimere il dissenso e comprime alcuni diritti fondamentali , tassello fondamentale in qualunque democrazia. Per questo ben 257 giuspubblicisti di tutte le Università italiane lanciano un appello pubblico in cui elencano la macroscopica incostituzionalità del decreto e invitano gli organi di garanzia a tenere alta l’attenzione. Di seguito riportiamo il testo integrale e i firmatari. È compito dei giuspubblicisti nei periodi normali della vita del paese interpretare ed insegnare la nostra Costituzione. È anche compito dei singoli giuspubblicisti assumere delle posizioni individuali all’esterno dell’Università. Ci sono momenti però nei quali accadono forzature istituzionali di particolare gravità, di fronte alle quali non è più possibile tacere ed è anzi doveroso assumere insieme delle pubbliche posizioni. È questo il caso che si è verificato nei giorni scorsi quando il disegno di legge sulla sicurezza, che stava concludendo il suo iter dopo lunghi mesi di acceso dibattito parlamentare dati i discutibilissimi contenuti, è stato trasformato dal Governo in un ennesimo decreto-legge, senza che vi fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza, come la Costituzione impone. Tale decreto – ultimo anello di un’ormai lunga catena di attacchi volti a comprimere i diritti e accentrare il potere – presenta una serie di gravissimi profili di incostituzionalità, il primo dei quali consiste nel vero e proprio vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere. È accaduto spesso in passato ed anche in tempi recenti che la dottrina si trovasse a denunciare l’uso abnorme dello strumento della decretazione d’urgenza. Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, Presidenti delle Camere hanno più volte preso posizione in difesa del Parlamento e delle sue prerogative gravemente calpestate nell’esercizio della potestà legislativa, rimanendo inascoltati. In quest’occasione la violazione è del tutto ingiustificata e senza precedenti, dato che l’iter legislativo, ai sensi dell’art. 72 della Costituzione era ormai prossimo alla conclusione, quando è intervenuto il plateale colpo di mano con cui il Governo si è appropriato del testo e di un compito, che, secondo l’art. 77 Costituzione può svolgere solo in casi straordinari di necessità e di urgenza, al solo scopo, sembra, di umiliare il Parlamento e i cittadini da esso rappresentati. Quanto al merito, si tratta di un disegno estremamente pericoloso di repressione di quelle forme di dissenso che è fondamentale riconoscere in una società democratica. Ed è motivo di ulteriore preoccupazione il fatto che questo disegno si realizzi attraverso un irragionevole aumento qualitativo e quantitativo delle sanzioni penali che – in quanto tali – sconsiglierebbero il ricorso alla decretazione d’urgenza, dal momento che il principio di colpevolezza richiede che chi compie un atto debba poter sapere in anticipo se esso è punibile come reato mentre, al contrario, l’immediata entrata in vigore di un decreto-legge ne impedisce la preventiva conoscibilità. Numerosi sono i principi costituzionali che appaiono compromessi. Solo a scopo esemplificativo vogliamo ricordarne alcuni: il principio di uguaglianza non consente in alcun modo di equiparare i centri di trattenimento per stranieri extracomunitari al carcere o la resistenza passiva a condotte attive di rivolta; in contrasto con l’art. 13 Cost. e la tutela della libertà personale è il c.d. daspo urbano disposto dal questore che equipara condannati e denunciati; non meno preoccupante è la previsione con cui si autorizza la polizia a portare armi, anche diverse da quelle di ordinanza e fuori dal servizio. Una serie di disposizioni del decreto-legge aggravano gli elementi di repressione penale degli illeciti addebitati alla responsabilità di singoli o di gruppi solo per il fatto che l’illecito avvenga “in occasione” di pubbliche manifestazioni, disposizione che per la sua vaghezza contrasta con il principio di tipicità delle condotte penalmente rilevanti, violando per giunta la specifica protezione costituzionale accordata alla libertà di riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico (art. 17 Cost.) mentre altre disposizioni violano palesemente il principio di determinatezza e di tassatività tutelato dall’art. 25 Cost.: si punisce con la reclusione chi occupa o detiene senza titolo “un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze”; si rischiano pene fino a sette anni per l’occupazione di luoghi che presentano un’estensione del tutto imprecisata e rimessa a valutazioni e preferenze del tutto soggettive dell’interprete. Torsione securitaria, ordine pubblico, limitazione del dissenso, accento posto prevalentemente sull’autorità e sulla repressione piuttosto che sulla libertà e sui diritti rappresentano le costanti di questi interventi Insegniamo che la missione di chi governa dovrebbe essere quella di cercare un equilibrio nel rapporto tra individuo e autorità. Invece, il filo che lega il metodo e il merito di questo nuovo intervento normativo rende esplicito un disegno complessivo, che tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica, non episodica od occasionale ma mirante a farsi sistema, a governare con la paura invece di governare la paura. Confidiamo che tutti gli organi di garanzia costituzionale mantengano alta l’attenzione e censurino questo allontanamento dallo spirito della nostra Costituzione, che fonda la convivenza della comunità nazionale su democrazia, pluralismo, diritti di libertà ed uguaglianza di fronte alla legge, affinché nessuno debba temere lo Stato e tutti possano riconoscerne, con fiducia, il ruolo di garante della legalità e dei diritti. Firme (promotori) 1. Ugo de Siervo (Presidente emerito della Corte costituzionale) 2. Gaetano Silvestri (Presidente emerito della Corte costituzionale) 3. Gustavo Zagrebelsky (Presidente emerito della Corte costituzionale) 4. Enzo Cheli (vice-Presidente emerito della Corte costituzionale) 5. Paolo Maddalena (vice-Presidente emerito della Corte costituzionale) 6. Maria Agostina Cabiddu – Politecnico di Milano 7. Vittorio Angiolini – Università degli Studi di Milano 8. Roberto Zaccaria – Università di Firenze 9. Roberta Calvano – Unitelma Sapienza Giuspubblicisti aderenti 10. Stefano Agosta – Università di Messina 11. Alessandra Algostino – Università di Torino 12. Maria Romana Allegri – Università la Sapienza 13. Carlo Amirante – Università di Napoli Federico II 14. Felice Ancora – Università di Cagliari 15. Francesca Angelini – Università la Sapienza 16. Adriana Apostoli – Università di Brescia 17. Antonio Ignazio Arena – Università di Messina 18. Marco Armanno – Università di Palermo 19. Vincenzo Atripaldi – Università La Sapienza 20. Gaetano Azzariti – Università la Sapienza 21. Enzo Balboni – Università cattolica S.C. 22. Stefania Baroncelli – Università di Bolzano 23. Sergio Bartole – Università di Trieste 24. Rosa Basile – Università di Messina 25. Franco Bassanini – Università “La Sapienza” 26. Gianluca Bellomo – Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara 27. Auretta Benedetti – Università Milano Bicocca 28. Marco Benvenuti – Università la Sapienza 29. Chiara Bergonzini – Università di Macerata 30. Cristina Bertolino – Università di Torino 31. Ernesto Bettinelli – Università di Pavia 32. Paolo Bianchi – Università di Camerino 33. Giovanni Bianco – Università di Sassari 34. Roberto Bin – Università di Ferrara 35. Marco Bombardelli – Università di Trento 36. Paolo Bonetti – Università Milano Bicocca 37. Monica Bonini – Università Milano Bicocca 38. Giuditta Brunelli – Università di Ferrara 39. Eugenio Bruti Liberati – Università del Piemonte orientale 40. Camilla Buzzacchi – Università Milano Bicocca 41. Marina Calamo Specchia – Università di Bari “Aldo Moro” 42. Debora Caldirola – Università cattolica S.C. 43. Quirino Camerlengo – Università di Milano Bicocca 44. Aristide Canepa, Università di Genova 45. Antonio Cantaro – Università “Carlo Bo” di Urbino 46. T. Paola Caputi Iambrenghi – Università di Bari “Aldo Moro” 47. Francesco Cardarelli – Università di ROMA “Foro Italico” 48. Andrea Cardone – Università di Firenze 49. Paolo Caretti – Università di Firenze 50. Agatino Cariola – Università di Catania 51. Massimo Carli – Università di Firenze 52. Enrico Carloni – Università di Perugia 53. Arianna Carminati – Università di Brescia 54. Paolo Carnevale – Università Roma 3 55. Daniele Casanova – Università di Brescia 56. Carlo Casonato, Università di Trento 57. Maria Cristina Cavallaro – Università di Palermo 58. Elisa Cavasino – Università di Palermo 59. Angelo Antonio Cervati – Università la Sapienza 60. Roberto Cherchi – Università di Cagliari 61. Omar Chessa – Università di Sassari 62. Lorenzo Chieffi – Università della Campania 63. Paola Chirulli – Università la Sapienza 64. Pietro Ciarlo – Università di Cagliari 65. Alessandro Cioffi – Università del Molise 66. Ines Ciolli – Università la Sapienza 67. Stefano Civitarese Matteucci – Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara 68. Giovanna Colombini – Università di Pisa 69. Manuela Matilde Consito – Università di Torino 70. Gianluca Conti – Università di Pisa 71. Guido Corso – Università di Palermo 72. Matteo Cosulich – Università di Trento 73. Luigi Cozzolino – Università di Macerata 74. Enrico Cuccodoro – Università del Salento 75. Chiara Cudia – Università di Firenze 76. Francesco Dal Canto – Università di Pisa 77. Giovanni D’Alessandro – UniCusano 78. Gianfranco D’Alessio – Università Roma3 79. Giacomo D’Amico – Università di Messina 80. Antonio D’Andrea – Università di Brescia 81. Luigi D’Andrea – Università di Messina 82. Guerino D’Ignazio – Università della Calabria 83. Claudio De Fiores – Università della Campania 84. Maria Elisabetta De Franciscis – Università di Napoli 85. Gabriella De Giorgi – Università del Salento 86. Gian Candido De Martin – LUISS Guido Carli 87. Francesco Raffaello De Martino – Università del Molise 88. Giovanna De Minico – Università di Napoli Federico II 89. Andrea de Petris – Università degli studi internazionali di Roma 90. Ambrogio De Siano – Università della Campania Luigi Vanvitelli 91. Andrea Deffenu – Università di Cagliari 92. Michele Della Morte – Università del Molise 93. Gianmario Demuro – Università di Cagliari 94. Michele Di Bari – Università di Padova 95. Giovanni Di Cosimo – Università di Macerata 96. Alfonso di Giovine – Università di Torino 97. Guerino D’Ignazio – Università della Calabria 98. Carlo Di Marco Leone – Università di Teramo 99. Alessandra Di Martino – Università La Sapienza 100. Enzo Di Salvatore – Università di Teramo 101. Mario Dogliani – Università di Torino 102. Francesco Duranti – Università per stranieri di Perugia 103. Gianluca Famiglietti – Università di Pisa 104. Vera Fanti – Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara 105. Veronica Federico – Università di Firenze 106. Gennaro Ferraiuolo – Università di Napoli Federico II 107. Leonardo Ferrara – Università di Firenze 108. Giancarlo Ferro – Università di Catania 109. Mario Fiorillo – Università di Teramo 110. Francesco Follieri – Università LUM “Giuseppe Degennaro” 111. Giampaolo Fontana – Università Roma 3 112. Matteo Frau – Università di Brescia 113. Salvatore Mario Gaias – Università di Sassari 114. Marco Galdi – Università di Salerno 115. Silvio Gambino – Università della Calabria 116. Gianluca Gardini – Università di Ferrara 117. Paolo Giangaspero – Università di Trieste 118. Federico Girelli – UniCusano 119. Mario Gorlani – Università di Brescia 120. Stefano Grassi – Università di Firenze 121. Nicola Grasso – Università del Salento 122. Andrea Gratteri – Università di Pavia 123. Maria Cristina Grisolia – Università di Firenze 124. Tania Groppi – Università di Siena 125. Enrico Grosso – Università di Torino 126. Cosimo Pietro Guarini – Università di Bari “Aldo Moro” 127. Riccardo Guastini – Università di Genova 128. Andrea Guazzarotti – Università di Ferrara 129. Nicola Gullo – Università di Palermo 130. Antonio Gusmai – Università di Bari “Aldo Moro” 131. Danila Iacovelli – Politecnico di Milano 132. Giovanna Iacovone – Università della Basilicata 133. Maria Pia Iadicicco– Università della Campania 134. Carlo Iannello – Università della Campania 135. Luca Imarisio – Università di Torino 136. Maria Immordino – Università di Palermo 137. Marco Ladu – Università E-Campus 138. Fulco Lanchester – Università La Sapienza 139. Anna Maria Lecis Cocco Ortu – Sc. Po Bordeaux 140. Eva Lehner – Università di Siena 141. Erik Longo – Università di Firenze 142. Fabio Longo – Università di Torino 143. Donatella Loprieno – Università della Calabria 144. Laura Lorello – Università di Palermo 145. Matteo Losana – Università degli Studi di Torino 146. Federico Losurdo – Università di Urbino Carlo Bo 147. Filippo Lubrano – Università LUISS Guido Carli 148. Nadia Maccabiani – Università di Brescia 149. Paolo Maci – Università telematica PEGASO 150. Marco Magri – Università di Ferrara 151. Elena Malfatti – Università di Pisa 152. Maurizio Malo – Università di Padova 153. Susanna Mancini – Università di Bologna 154. Michela Manetti – Università di Siena 155. Francesco Manganaro – Università Mediterranea di RC 156. Vanessa Manzetti – Università di Pisa 157. Valeria Marcenò – Università di Torino 158. Barbara Marchetti – Università di Trento 159. Francesco Marone – Istituto Suor Orsola Benincasa 160. Ilenia Massa Pinto – Università di Torino 161. Anna Mastromarino – Università di Torino 162. Antonio Mastropaolo – Università della Valle d’Aosta 163. Giuditta Matucci – Università di Pavia 164. Paola Mazzina – Università Parthenope di Napoli 165. Alessandra Mazzola – Università di Brescia 166. Giacomo Menegus – Università di Macerata 167. Livia Mercati – Università di Perugia 168. Francesco Merloni – Università di Perugia 169. Giovanni Moschella – Università di Messina 170. Angela Musumeci – Università di Teramo 171. Carla Negri – Università di Palermo 172. Matteo Nicolini – Università di Verona 173. Raffaella Niro – Università di Macerata 174. Walter Nocito – Università della Calabria 175. Giorgio Orsoni – Università Ca’ Foscari Venezia 176. Fabio Pacini – Università della Tuscia 177. Francesco Palermo – Università di Verona 178. Elisabetta Palici di Suni – Università di Torino 179. Francesco Pallante – Università di Torino 180. Saulle Panizza – Università di Pisa 181. Nino Paolantonio – Università di Roma Tor Vergata 182. Stefania Parisi – Università di Napoli Federico II 183. Maurizio Pedrazza Gorlero – Università di Verona 184. Luca Raffaello Perfetti – Università telematica Pegaso 185. Sergio Perongini – Università di Salerno 186. Barbara Pezzini – Università di Bergamo 187. Valeria Piergigli – Università di Siena 188. Andrea Pierini – Università di Perugia 189. Roberto Pinardi – Università di Modena-Reggio Emilia 190. Cesare Pinelli – Università la Sapienza 191. Piero Pinna – Università di Sassari 192. Alessandra Pioggia – Università di Perugia 193. Paola Piras – Università di Cagliari 194. Giovanna Pistorio – Università di Roma3 195. Filippo Pizzolato – Università di Padova 196. Marco Podetta – Università di Brescia 197. Giovanni Poggeschi – Università del Salento 198. Fabrizio Politi – Università dell’Aquila 199. Salvatore Prisco – Università di Napoli Federico II 200. Andrea Pubusa – Università di Cagliari 201. Francesca Pubusa – Università di Cagliari 202. Giusto Puccini – Università di Firenze 203. Stefania Puddu – Università di Cagliari 204. Andrea Pugiotto – Università di Ferrara 205. Mario Alberto Quaglia – Università di Genova 206. Alberto Randazzo – Università di Messina 207. Margherita Raveraira – Università di Perugia 208. Saverio Regasto – Università di Brescia 209. Giorgio Repetto – Università di Perugia 210. Giuseppe Ugo Rescigno – Università la Sapienza 211. Giuseppe Pio Rinaldi – Università Cattolica S.C. 212. Giancarlo Rolla – Università di Genova 213. Roberto Romboli – Università di Pisa, membro CSM 214. Laura Ronchetti – Università del Molise 215. Emanuele Rossi – Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa 216. Stefano Rovelli – Università di Pisa 217. Antonio Ruggeri – Università di Messina 218. Paolo Sabbioni – Università Cattolica S.C. 219. Fabio Saitta – Università di Catanzaro 220. Marcello Salerno – Università di Bari “Aldo Moro” 221. Simone Scagliarini – Università di Modena-Reggio Emilia 222. Michelangela Scalabrino – Università cattolica del Sacro Cuore 223. Paolo Scarlatti – Università Roma Tre 224. Angelo Schillaci – Università la Sapienza 225. Gianni Serges – Università Roma 3 226. Davide Servetti – Università Piemonte orientale 227. Stefano Sicardi – Università di Torino 228. Massimo Siclari – Università Roma 3 229. Giorgio Sobrino – Università di Torino 230. Alessandro Somma – Università la Sapienza 231. Domenico Sorace – Università di Firenze 232. Giusi Sorrenti – Università di Messina 233. Federico Sorrentino – Università “La Sapienza” 234. Lorenzo Spadacini – Università di Brescia 235. Renata Spagnuolo Vigorita – Università di Napoli Federico II 236. Vittorio Teotonico – Università di Bari “Aldo Moro” 237. Luigi Testa – Università dell’Insubria 238. Marco Tiberi – Università della Campania 239. Elisa Tira – Università E-Campus 240. Marta Tomasi Università di Trento 241. Rosanna Tosi – Università di Padova 242. Roberto Toniatti – Università di Trento 243. Alessandro Torre – Università di Bari “Aldo Moro” 244. Francesca Trimarchi – Università di Milano 245. Chiara Tripodina – Università Piemonte orientale 246. Michela Troisi – Università di Napoli Federico II 247. Riccardo Ursi – Università di Palermo 248. Alessandra Valastro – Università di Perugia 249. Giuseppe Verde – Università di Palermo 250. Paolo Veronesi – Università di Ferrara 251. Giulio Enea Vigevani – Università di Milano Bicocca 252. Luigi Ventura – Università “Magna Graecia” di Catanzaro 253. Stefano Villamena – Università di Macerata 254. Massimo Villone – Università di Napoli Federico II 255. Mauro Volpi – Università di Perugia 256. Jens Woelk – Università di Trento 257. Eugenio Zaniboni – Università di Foggia     Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000  News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
misure repressive
appello
Difendere lo Stretto costa!. Movimento No Ponte condannatə al pagamento delle spese
Lə 104 ricorrentə No Ponte non sono statə ascoltatə e addirittura condannatə a spese di giudizio spropositate (ben 348.153 euro) solo per aver esercitato il proprio diritto di accesso alla giustizia, mentre in tutto il mondo si incoraggiano le class action. Il Movimento ha deciso di ricorrere promuovendo nel frattempo un crowdfunding per sostenere le spese di Movimento No Ponte «[…] Condanna i ricorrenti indicati in epigrafe al pagamento, in favore della soc. Stretto di Messina S.p.A., delle spese del giudizio che liquida in complessivi €238.143,00 per compensi professionali, oltre oneri di legge». Con queste parole il 9 gennaio scorso il Tribunale delle imprese di Roma ha dichiarato inammissibile il ricorso dellə 104 cittadinə No Ponte gravandolə del pagamento delle spese che, con il conteggio degli oneri di legge, arrivano alla spropositata cifra di euro 348.143. Avevamo messo nel conto di potere perdere in giudizio, non certo di dover pagare una tale somma. Ma cosa chiedevano lə 104 ricorrentə? Semplicemente che un soggetto terzo, in questo caso il Tribunale di Roma, si potesse esprimere sulla correttezza delle procedure fin qui seguite dal governo e dall’azienda per realizzare il ponte sullo Stretto di Messina e di «ordinare alla società Stretto di Messina spa, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, la cessazione immediata di ogni atto o comportamento pregiudizievole dei diritti e degli interessi collettivi e diffusi e giuridicamente protetti, di ogni attività tendente all’approvazione del progetto definitivo ed esecutivo», oltre che di «dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale» della serie di norme che hanno consentito il riavvio delle procedure per la costruzione del ponte sullo Stretto. A oggi la “pratica” ponte sullo Stretto è andata avanti solo grazie all’approvazione dei Si Ponte, ovvero il governo, la maggioranza di centrodestra del Parlamento, la Stretto di Messina, il Comitato tecnico scientifico nominato dalla Stretto di Messina e, a conclusione della procedura, sarà addirittura il Cipess presieduto dalla Meloni ad approvare il progetto definitivo. Al momento della presentazione del ricorso non era ancora stato emesso il parere della Commissione Via-Vas, risultato positivo con 62 “prescrizioni” e un parere negativo sull’impatto sulle Zps dell’area dello Stretto, commissione nella quale sono stati inseriti tecnici vicini all’area governativa. Si confidava quindi in un soggetto terzo, in questo caso il tribunale delle imprese di Roma, utilizzando lo strumento dell’azione inibitoria che, similmente alla class action, consente ai cittadini di potersi difendere davanti ai “poteri forti” rivendicando la tutela di diritti costituzionalmente protetti come in questo caso il diritto all’ambiente e alla salute. Ad avviso del Wwf la sentenza di Roma rappresenta «una pagina nera per il diritto italiano perché vengono colpiti semplici cittadini che hanno scelto di esercitare il proprio diritto di accesso alla giustizia. Mentre nel resto del mondo, sulla base di convenzioni internazionali a cui anche l’Italia aderisce, si incoraggia l’attivazione dei cittadini, singoli o organizzati in associazioni, in Italia si intende reprimere questo diritto?» Ma non è solo il Wwf a essere preoccupato per le conseguenze che questa sentenza possa avere su future azioni collettive, ma anche le associazioni consumeristiche italiane. Ben otto associazioni che tutelano i consumatori in Italia hanno richiesto, all’indomani della sentenza, un incontro con il ministro Nordio perché «Stiamo osservando un preoccupante orientamento giurisprudenziale in vari Tribunali d’Italia che di fatto tende a scoraggiare, se non proprio impedire, il ricorso alle azioni di classe da parte delle Associazioni». Le associazioni consumeristiche aggiungono inoltre che «la vicenda del Tribunale di Roma non è un caso isolato, anzi è la regola applicata dai Tribunali. In particolare, ci preme segnalare la disparità di trattamento che si crea nel calcolo delle spese legali: in caso di rigetto si applica il principio del “disputatum” e in caso di soccombenza il principio del “decisum”, violando così il principio generale di proporzionalità e adeguatezza», senza dunque tenere conto della «funzione economica-sociale delle azioni collettive, previste dall’Ordinamento europeo e nazionale in funzione di regolazione del mercato». Che fare dunque? Come testimonia la storia del Movimento No Ponte, non ci si arrende mai neanche quando ormai era tutto pronto per la messa a dimora della prima pietra del ponte nel 2006, anno in cui si tenne a Messina la più grande manifestazione No Ponte con oltre 20mila persone in piazza, che hanno sicuramente contribuito a dare la spallata decisiva per lo stop al progetto. Lə 104 ricorrenti hanno dunque deciso, tranne poche defezioni, a fare ricorso contro l’inspiegabile liquidazione delle spese (a cui non è stata data motivazione nella sentenza) e ad avviare, con l’appoggio di tutto il Movimento No Ponte, una raccolta fondi per sostenere l’onere delle spese liquidate e sostenere il nuovo giudizio, tramite la piattaforma on line “Produzioni dal basso” con il progetto di crowfunding “Difendere lo Stretto di Messina costa: sostieni il Movimento No Ponte”. Per chi volesse inoltre contribuire con bonifico IBAN: IT85G0503416504000000002792 Intestato a: ASS CULT AMB – Ragione Sociale: ASS.CULT.AMB. la città dello stretto   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
lotte sociali
appello
Zone rosse, prove generali di stato di polizia
Un quartiere sotto sequestro, e poi cos’altro ci aspetta? di CPA FI-SUD Il 3 e 4 Febbraio Firenze ha subito l’oltraggio di dover ospitare un convegno sionista. Relatori oltre a Marco Carrai, console “onorario” dell’entità sionista, anche due ufficiali dell’esercito israeliano, due criminali di guerra che nonostante il loro contributo all’esecuzione di un genocidio hanno potuto essere presenti grazie all’impunità garantita dalle nostre istituzioni ai rappresentanti dello stato sionista. Nonostante il poco tempo a disposizione per poter organizzare una mobilitazione adeguata che mettesse in discussione l’appuntamento, numerosi solidali si sono ritrovati non solo per contestare il convegno e le varie posizioni di complicità, a partire da quella dell’università di Firenze, ma anche per riaffermare la solidarietà verso la Resistenza Palestinese. Detto questo, ci teniamo a sottolineare un fatto che in pochi stanno evidenziando: per garantire un ignobile convegno, è stato messo sotto sequestro un quartiere. Tutto bloccato, nessuno poteva transitare, nemmeno a piedi, per via de Benci, piazza s. Croce compresa. Una zona rossa insomma, che a vedere bene non è una novità a Firenze, città in cui l’ignobile e falsa equiparazione tra antisionismo ed antisemitismo vede il divieto sistematico ai cortei di solidarietà per la Palestina a transitare per tutto un quadrante di centro storico, con la scusa della vicinanza della Sinagoga ritenuta “obiettivo sensibile”. Le tanto decantate zone rosse, strumento rivendicato tanto dal centrodestra quanto dal centrosinistra come dispositivo a tutela della “sicurezza” delle persone, sono state quindi realizzate senza problemi. La zona rossa come strumento per “l’ordine pubblico”. La zona rossa che deve diventare la normalità. Riteniamo necessario fare in modo che quanto successo il 3 Febbraio sia da insegnamento per chi vuole praticare il conflitto sociale contro lo stato di cose presenti. Riteniamo centrale in questo momento identificare le zone rosse come uno strumento di quella repressione che tra strumenti amministrativi e ddl sicurezza sta restringendo sempre di più lo spazio di agibilità per lavoratori e lavoratrici di rivendicare una società diversa, che veda soddisfatte le loro necessità e non quelle del capitale. Invitiamo Firenze tutta a scendere in piazza con noi già oggi Sabato 8 febbraio, nel corteo lanciato da Firenze Antifascista per le 15 in piazza Pier Vettori, per dire no alla repressione, al fascismo e al collaborazionismo con l’entità sionista da parte di chi ci governa. FIRENZE RIFIUTA ZONE ROSSE E REPRESSIONE! > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
lotte sociali
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Appello: Vogliamo rompere un tabù
Riceviamo e pubblichiamo, l’appello dal blog della campagna Vogliamo rompere un tabù. Vogliamo rompere un tabù, rompere il silenzio sul fatto che lo Stato italiano tiene in carcere da quarant’anni 16 militanti delle Brigate Rosse e ne ha sottoposti altri tre, da oltre 20 anni, al regime dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Il regime speciale dell’art.41 bis è finalizzato all’annientamento psico-fisico del detenuto, che viene tenuto in isolamento quasi totale: ventidue ore al giorno in isolamento, due ore d’aria al giorno, una breve visita mensile per i familiari dietro una parete di vetro, nessun libro o giornale dall’esterno del carcere… Questo regime carcerario è uno dei più intollerabili in Europa. Ha due obiettivi: tagliare ogni comunicazione con il mondo esterno e costringere i detenuti a diventare “pentiti”, collaboratori di giustizia. Alcuni opinionisti sostengono che questi prigionieri preferiscono rimanere in carcere, rifiutando ostinatamente di beneficiare di misure alternative alla detenzione o della liberazione condizionale. Ma queste affermazioni non menzionano il fatto che, queste misure alternative, sono soggette ad una logica di scambio: si concedono solo in cambio della messa in discussione del proprio passato politico, di un’autocritica formale, che verrà amplificata dai media; si richiede loro quindi di rinnegare, in modo puro e semplice, la propria storia politica e il proprio passato rivoluzionario. Non si tratta di una questione astratta: a questi militanti si chiede di rinunciare a un’identità che per loro è la scelta di una vita, il che spiega la loro incredibile resistenza a quarant’anni di privazione della libertà; si chiede loro di rinunciare a convinzioni che corrispondono a correnti di pensiero profondamente radicate nella storia universale, in più di un secolo di lotta di classe, una lotta che è stata internazionale. Che si condividano o meno queste idee, è questa lotta-identità che è in gioco e nient’altro. Ma mentre lo Stato si vanta per la sua fermezza nel perseguire l’annientamento dei prigionieri, alcuni pretendono di ridurre la loro lotta a una semplice questione di principio che i prigionieri difenderebbero con eccessiva ostinazione. Come se alla base della loro resistenza non ci fosse una profonda coerenza, il rifiuto di mercanteggiare e mercificare il loro pensiero politico. Ma per capire meglio perché è importante rompere questo tabù, dobbiamo anche chiederci quali sono le ragioni fondamentali per cui lo Stato italiano ancora oggi, mantiene una feroce linea di condotta nei loro confronti, perché persiste in questa linea d’azione implacabile. Stiamo vivendo una fase storica caratterizzata dalla crescita sfrenata delle disuguaglianze, da un susseguirsi di crisi e da una forte intensificazione del confronto tra gli Stati che dominano il mondo. Un confronto che sta diventando sempre più pericoloso e globalizzato. In questo contesto, la crisi del sistema politico si sta intensificando, come in altre fasi storiche, come negli anni tra le due guerre o durante le guerre coloniali. Queste tensioni rendono la democrazia rappresentativa sempre più “inadatta” alla gestione delle crisi, tanto che le classi dirigenti sembrano ogni giorno più inclini a cercare soluzioni autoritarie e a liquidare le conquiste sociali. Di questa tendenza ne sono prova,per esempio, la violenta repressione da parte dello Stato francese contro i Gilets jaunes o durante le manifestazioni contro la riforma delle pensioni, rifiutata dalla stragrande maggioranza della popolazione; ma anche la repressione in Germania e in Francia del movimento ambientalista, le leggi antisciopero nel Regno Unito, nonché le misure senza precedenti contro i migranti. In Italia si è assistito a una massiccia criminalizzazione dei movimenti sociali: attacchi ai sindacati, agli studenti, a coloro che lottano per il diritto alla casa, al movimento dei disoccupati, alle ONG che cercano di difendere la vita degli immigrati e agli stessi immigrati, privati della protezione preventiva di pregresse tutele e attaccati violentemente nei loro lavori precari. Allo stesso tempo, il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero viene costantemente limitato: diventa compromettente difendere i palestinesi e chi denuncia il massacro in atto nei confronti del popolo gazawi è messo all’indice. Qualsiasi discussione sulla guerra in Ucraina che non adotti immediatamente e senza discussioni il punto di vista della NATO viene vista come sostegno alla Russia e tradimento. In generale, stiamo assistendo alla graduale criminalizzazione di tutta l’opposizione, non solo di quella radicale. Infine, dopo innumerevoli processi e incarcerazioni di manifestanti, attivisti antiglobalizzazione e anarchici, la repressione in Italia ha raggiunto il suo culmine quando, su ordine del Ministro della Giustizia, Alfredo Cospito è stato sottoposto al regime del 41 bis. È stato il primo anarchico a essere sottoposto a questo spietato regime di detenzione. Così, la repressione sempre più severa dei movimenti sociali, delle manifestazioni, dei militanti e degli attivisti, a prescindere dalle loro convinzioni e azioni, sta gradualmente creando un clima che ricorda la “strategia della tensione” che ha caratterizzato gli anni ‘60 e ‘70. Allora, questa strategia mirava a soffocare un forte movimento di protesta che stava attraversando l’intera società. Oggi, questa strategia della tensione vorrebbe impedire che il crescente malcontento e il disorientamento ideologico trovino un’espressione politica, si trasformino in una vera contestazione. In questo contesto si inserisce la “guerra” che da tempo viene condotta contro la memoria delle lotte degli anni Settanta. In quegli anni, le classi subalterne erano portatrici ed espressione di un importante processo di trasformazione sociale, di un vero e proprio “assalto al cielo”. Ecco perché questo periodo è sistematicamente oggetto di analisi riduttive o mistificatorie da parte del potere.  Negando l’esistenza della lotta di classe, si ostinano a fingere che il mondo possa essere ridotto a un’opposizione tra i sostenitori delle democrazie liberali e gli altri. È solo nel contesto di questa “guerra” alla memoria che possiamo comprendere la politica silenziosa di annientamento dei prigionieri. Lo Stato vede questi prigionieri come una sorta di trofeo e, facendo della loro prigionia un esempio e uno spauracchio, mira a scoraggiare qualsiasi lotta, nella speranza di soffocare lo sviluppo delle contraddizioni attuali, che potrebbero portare a un ribaltamento della situazione, a un nuovo “assalto al cielo”. Rompere il tabù, rompere il silenzio su questi prigionieri, sulle condizioni della loro detenzione, sulla loro durata infinita, non può essere ridotto a una reazione umanitaria. È un passo necessario per liberarci dalle nostre paure, per sciogliere il cappio delle costrizioni, dell’ingabbiamento in cui vorrebbero richiudere le lotte e i movimenti. Questo inaccettabile regime carcerario, il rinnegamento che si richiede ai prigionieri per poter sfuggire a questo regime è un ulteriore modo per soffocare tutte le lotte. Quindi, rompere questo tabù è interesse innanzitutto di coloro che subiscono le conseguenze delle disastrose condizioni economiche e politiche della società nel suo complesso,che possono essere trasformate solo da un cambiamento radicale delle strutture sociali e politiche esistenti. Rompere questo silenzio è anche un modo per riappropriarci di una libertà e di un pensiero critico, in modo da poter trovare liberamente delle possibilità di soluzione e per interrompere la spirale mortale in cui i potenti ci stanno trascinando con le loro politiche sempre più repressive, classiste e guerrafondaie. per aderire all’appello clicca qui   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
41bis
carcere
appello
anni '70
Appello a Mattarella a non firmare il ddl sicurezza
Ultima generazione: Mattarella, non prestarti a una firma vigliacca. La morte del giovane Ramy anticipa la condizione di protezione e impunità verso gli abusi della polizia che avverrà con la nuova legge Vorremmo chiedere a Mattarella quanto sia possibile appellarsi alla neutralità della propria funzione quando il progetto politico che il governo porta avanti è chiaramente anti-democratico. Vorremmo chiedergli cosa avrebbe fatto un presidente come Pertini davanti ad una proposta del genere. Vorremmo chiedergli come possiamo sentirci garantiti da chi, eletto al secondo mandato dalla stragrande maggioranza del Parlamento, in questi anni non è riuscito a imporre mai la propria voce nel dibattito pubblico se non nel far eleggere il governo Draghi e continuare la svendita del paese? Le grida di dolore per le incessanti morti sul lavoro vengono ignorate, sepolte sotto un mare di parole paternalistiche e prive di sostanza. Stavolta, però, non è solo il disinteresse a preoccupare: è la certezza che dietro questa retorica vuota si nasconde una volontà deliberata di portare il Paese verso una deriva autoritaria sempre più evidente. Non è paura per il nostro Paese, è rabbia per la sistematica demolizione dei suoi valori democratici, con il Presidente Mattarella che, con il suo silenzio e la sua complicità, tradisce i principi fondamentali della Costituzione che dovrebbe incarnare e difendere. Cos’è il patriottismo? Il tema del patriottismo è stato al centro del discorso di fine anno del Presidente Mattarella. Saranno da considerare ‘patrioti’ gli esponenti delle forze dell’ordine che, se verrà approvato il ddl Sicurezza, avranno garantita la protezione legale per gli abusi che commetteranno sulle persone che manifesteranno pacificamente in maniera nonviolenta? Sono forse dei ‘patrioti’ i carabinieri che hanno provocato la morte di Ramy? Oppure i poliziotti della questura di Brescia, che lunedì hanno fatto denudare delle persone che erano lì per normali procedure identificative a seguito dell’azione nonviolenta davanti la sede di Leonardo s.p.a.? Il governo soffia pericolosamente sul fuoco, Mattarella che farà? Dopo gli scontri di sabato a Bologna e Roma, il Governo sfrutta subito l’occasione per accelerare l’approvazione del ddl Sicurezza: una legge che instaurerà di fatto uno stato di polizia, soffocando ogni protesta pacifica. Un disegno di legge impantanato per mesi, ora ripescato dalle paludi parlamentari nonostante i rilievi del Quirinale e del Consiglio d’Europa, viene usato per intimidire chiunque non aderisca alla reazionaria visione della società della maggioranza. Che faranno le opposizioni? Assisteranno passivamente, come nel 1924, alla nascita di un nuovo fascismo, o si batteranno nelle piazze? E Mattarella? Si limiterà a firmare, tradendo ancora una volta la Costituzione? Ci sarà di nuovo la firma di rito, per l’ennesima legge che non condivide e che ritiene sbagliata, o avrà finalmente il coraggio di fermare questo assalto autoritario? Mattarella, il diritto al dissenso democratico è il sale della nostra costituzione Chiediamo che Mattarella non firmi il ddl Sicurezza, già approvato dalla Camera il 18 settembre: una legge che introduce nuove misure repressive, inasprisce pene e crea nuovi reati per colpire la libertà di protesta. È il più grande attacco alla democrazia repubblicana e la nostra petizione, già a quota 25 mila, ne è la prova. Con una trentina di nuovi reati e sanzioni, questo Governo mostra il suo volto più autoritario, riducendo la “sicurezza” a un arsenale di divieti e punizioni, mentre ignora la vera sicurezza sociale, lavorativa e umana. Se Mattarella firmasse, confermerebbe che anche il Quirinale è complice del passaggio della nostra Repubblica a una “democratura”. Sta quindi a noi cittadini reagire: collettivamente, con la disobbedienza nonviolenta, possiamo rompere l’isolamento che vogliono imporci, pretendendo giustizia e un futuro vivibile. Chiediamo a tutte le persone di attivarsi sottoscrivendo la petizione a questo link.   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
lotte sociali
appello
Delegato sindacale sospeso per aver denunciato l’invio di armi dall’aeroporto civile di Brescia
Borrelli Luigi RSU e RLS delegato sindacale dell’USB all’aeroporto di Montichiari, ha subito un provvedimento disciplinare di sei giorni di sospensione a seguito delle denunce e delle iniziative sindacali intraprese dai lavoratori dell’aeroporto civile Montichiari di Brescia contro l’invio di armi belliche dall’aeroporto civile di Brescia di USB Lavoro Privato A seguito delle denunce e delle iniziative sindacali intraprese dai lavoratori dell’aeroporto civile Montichiari di Brescia negli ultimi mesi, contro l’invio di armi belliche, contro tutte le guerre e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e della popolazione dei comuni limitrofi all’aeroporto, oggi pomeriggio la direzione della GDA Handling a seguito della contestazione disciplinare, ha fatto pervenire al sig. Borrelli Luigi RSU e RLS di USB all’aeroporto di Montichiari, il provvedimento disciplinare di sei giorni di sospensione. Perché tanta violenza? Un provvedimento disciplinare evidentemente pretestuoso e strumentale, che segue una contestazione al lavoratore non per le rivendicazioni ma per aver in qualche modo reso pubblica una situazione di pericolo, “colpire uno per educarne cento” Questa è la scelta della direzione GDA Handling? Dare un avvertimento a chi vuole difendere “la missione” civile dello scalo monteclarense, a chi difende i diritti e la salute e sicurezza dei lavoratori e dei cittadini dei comuni limitrofi, a chi non vuole essere partecipe e complice delle guerre che hanno e continuano a produrre migliaia di morti civili, innocenti. Montichiari è un aeroporto civile, perché allora si spediscono le armi? Anche domani potrebbe esserci un volo “segreto”; nuovo invio di armi o pezzi di esse, con conseguente chiusura dello spazio aereo, un altro aereo che viene collocato in fondo all’aeroporto, che tutti notano contro ogni dubbio. Abbiamo chiesto incontro al sig. Prefetto e alle istituzioni senza risposta, oltre alle interrogazioni parlamentari di AVS e 5 stelle che non hanno ancora avuto alcuna risposta. Perché Montichiari deve rischiare di diventare un obiettivo sensibile? Perché si tiene all’oscuro cittadini e lavoratori? NON ci fermeremo e non ci faremo mettere nessun bavaglio, NON vogliamo essere complici e chiederemo al Tribunale ed in ogni altra sede di salvaguardare e difendere i diritti sindacali del nostro rappresentante e delle lavoratrici e lavoratori; perché non vogliamo essere complici. APPELLO: IO STO CON LUIGI Stanno cercando di mettere a tacere la voce coraggiosa di un lavoratore che da tempo sta denunciando l’utilizzo ripetuto e sistematico dell’aeroporto civile di Montichiari di Brescia per la movimentazione di materiale bellico. Gli hanno comminato tre provvedimenti disciplinari, una multa, sei giorni di sospensione, ed ora altri 8 giorni di sospensione. Luigi Borrelli lavora nell’aeroporto di Montichiari da più di vent’anni presso la GDA HANDLING SPA, un’azienda che fornisce assistenza a terra. Quando si è accorto che in aeroporto si procedeva ad attività di carico e scarico di missili, materiale esplosivo ed altri armamenti e che lui e i suoi colleghi dovevano provvedere a movimentare gli ordigni, spesso senza neanche esserne consapevoli, ha posto il problema e insieme all’USB, di cui è delegato, ha informato l’azienda e le istituzioni dell’uso improprio dell’aeroporto civile. Per tutta risposta l’azienda lo sta sanzionando, contestandogli di rendere note informazioni riservate che quindi non dovrebbero essere rese pubbliche. Nell’azienda, nonostante l’USB sia largamente maggioritaria, la direzione si è sempre rifiutata di riconoscere l’organizzazione più rappresentativa tra i suoi dipendenti. Luigi è stato eletto come RSU ed è Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS). Io sto con Luigi perché sta denunciando l’utilizzo militare di un aeroporto civile. Io sto con Luigi perché, in qualità di delegato sindacale e di rappresentante per la salute e sicurezza sul lavoro, sta difendendo l’incolumità dei suoi colleghi. Io sto con Luigi perché sono contro tutte le guerre e non voglio essere complice di nessuna politica di guerra. Io sto con Luigi perché ha il coraggio di raccontare la verità. Sostieni anche tu Luigi, manda una tua foto con cartello a lombardia@usb.it! > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
lotte sociali
lotte sindacali
appello
Revoca immediata dei fogli di via – Tiziano libero subito!
Questo appello nasce a seguito della manifestazione del 5 ottobre scorso quando più di 10.000 persone hanno violato i divieti del governo e della questura di Roma per manifestare la loro solidarietà alla resistenza palestinese e al popolo libanese, e per lottare contro la guerra e contro l’approvazione del DDL 1660, il nuovo “pacchetto sicurezza”. Questo, nonostante il clima di criminalizzazione e di terrore creato dal governo e le misure adottate dalla questura di Roma per provare, invano, a scoraggiare qualunque forma di partecipazione alla giornata. Il 5 ottobre la questura di Roma ha fatto un uso sistematico della repressione preventiva, un meccanismo che si va sempre più consolidando ed estendendo: percorsi obbligati in modo da impedire di raggiungere i palazzi del potere; controlli, perquisizioni e identificazioni ai caselli autostradali; militarizzazione delle aree circostanti la piazza del concentramento. In cifre: 1600 identificazioni, 200 persone allontanate dalla città, 51 delle quali colpite da fogli di via, tre denunciati a piede libero, il fermo ed il successivo arresto di Tiziano, ora ai domiciliari in attesa che cominci il processo nei suoi confronti. La manifestazione del 5 è stata, perciò, la prova preliminare del nuovo pacchetto sicurezza a firma Piantedosi-Nordio-Crosetto: si è provato a mettere a tacere ogni voce di dissenso e di protesta. Con i venti di guerra che soffiano impetuosi, la situazione non farà altro che peggiorare con i governi occidentali che hanno la necessità di silenziare le lotte sociali per compattare il fronte interno. Con il DDL 1660 l’esecutivo Meloni prepara un salto di qualità nella repressione di tutte le lotte, operaie, sociali, ecologiste, a cominciare dalle proteste contro la sempre più marcata tendenza alla guerra e all’instaurazione di un’economia di guerra, e di una disciplina da stato di guerra nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nella società. Dobbiamo reagire con forza a questo corso repressivo, come abbiamo fatto non accettando il divieto di manifestare il 5 ottobre. Non possiamo, poi, accettare che il foglio di via diventa qualcosa di normale: i 51 comminati dalla questura di Roma a persone che “presumibilmente” si trovavano in città per commettere atti illeciti, essendo interessati/e da procedimenti in corso per iniziative di lotta e per manifestazioni, trasforma la presunzione di innocenza in presunzione di colpa. Né possiamo accettare altre misure preventive come gli obblighi di firma comminati a chi lotta contro la guerra, com’è accaduto a Napoli a chi manifestava contro il sostegno della RAI al genocidio sionista in Palestina, e com’è avvenuto a Luigi Spera, tuttora in carcere con l’accusa di aver partecipato ad un’azione dimostrativa contro la Leonardo, fiore all’occhiello dell’industria bellica italiano, che fa profitti miliardari grazie all’guerra. Rispetto a tutto ciò è necessaria una presa di parola collettiva, con una campagna di sostegno e solidarietà ai colpiti dalle misure repressive del 5 ottobre, per la revoca dei 51 fogli di via e, soprattutto, per la liberazione immediata di Tiziano, ora agli arresti domiciliari e che il 14 novembre affronterà la prima udienza del processo a suo carico. Criminale non è chi lotta contro la guerra, ma chi contribuisce con ogni mezzo al genocidio in Palestina e fomenta gli scenari bellici in allargamento in tutto il mondo. La presa di parola non riguarda soltanto noi che facciamo parte della Rete: deve coinvolgere tutta quella parte della società, i lavoratori anzitutto, ma anche i giuristi e le giuriste autenticamente democratici, gli artisti e le artiste sensibili al rifiuto dell’oppressione, gli operatori dell’informazione non allineati, che avvertono il doppio grande pericolo che incombe su tutti/e: lo stato di polizia, la guerra alle porte! Libere e liberi di lottare contro la guerra e contro lo stato di polizia! Revoca di tutti i fogli di via e gli obblighi di firma! Libertà immediata per Tiziano! Fermiamo il DDL 1660! Rete Liberi/e di lottare – Fermiamo insieme il DDL 1660  fermiamoidecretisicurezza@gmail.com
lotte sociali
appello
L’amnistia è, oggi, una necessità
Nelle carceri italiane ci sono 14mila persone in più rispetto ai posti regolamentari. Le condizioni di vita sono inumane. Da gennaio, oltre 70 detenuti e 7 agenti di polizia penitenziaria si sono tolti la vita. Una legge di amnistia e di indulto per i reati e i residui pena fino a due anni è, oggi, una necessità assoluta per ripristinare condizioni di umanità. Non solo ma è anche uno strumento che aiuta a contenere la recidiva. Non c’è più tempo: bisogna fermare la strage di vite e diritti nelle carceri italiane. Più di quanto non sia mai stato, le carceri italiane sono diventate un luogo di morte e di disperazione. Dall’inizio dell’anno ormai ben oltre settanta le persone che si sono tolte la vita dietro le sbarre, quanti non mai dall’inizio del secolo in poco più di nove mesi. E con loro hanno deciso di farla finita sette agenti di polizia penitenziaria. Ognuno di loro avrà avuto le proprie personali ragioni per arrivare a quella scelta ultima ed estrema, ma quelle morti ci interrogano sull’ambiente di vita e professionale in cui avvengono e sulle sue croniche carenze. Sono ormai 62.000 i detenuti nelle carceri italiane, circa quattordicimila in più dei posti effettivamente disponibili. In un anno, quasi quattromila in più. Si tratta in gran parte di autori di reati minori, condannati a pene che potrebbero dar luogo a un’alternativa al carcere se avessero un domicilio adeguato, una famiglia a sostenerli, un lavoro con cui mantenersi. Non più di un terzo è autore di gravi reati contro la persona o affiliato a organizzazioni criminali. È questo il contesto in cui si sta registrando un numero di suicidi senza precedenti, tra i detenuti e nella polizia penitenziaria. Il carcere, i suoi operatori, i detenuti non ce la fanno più. Anche i migliori propositi, come quelli condivisi dall’Amministrazione penitenziaria con il Cnel, di abbattere la recidiva attraverso il potenziamento della formazione, dell’orientamento e dell’inserimento lavorativo dei detenuti, per potersi avverare hanno bisogno di ridimensionare il numero dei detenuti in modo che gli operatori possano seguirli efficacemente. Per non dire della prevenzione del rischio suicidario e della necessaria assistenza sanitaria. È da molto tempo all’esame della Camera una apprezzabile proposta, avanzata dall’on. Giachetti, volta a potenziare le riduzioni di pena per i detenuti che partecipano attivamente all’offerta di attività rieducative proposte dal carcere. Ma, se vedesse finalmente la luce, non consentirebbe prima di qualche mese o addirittura di un anno l’uscita anticipata dal carcere di alcune migliaia di detenuti a fine pena, tanti quanti ne sono entrati nell’ultimo anno. Serve un intervento più deciso, che consenta la cancellazione drastica e immediata del sovraffollamento e la realizzazione delle condizioni per una più generale riforma del sistema penitenziario. È un intervento che la Costituzione prevede come strumento di politica del diritto penale quando se ne ravvisi la necessità e l’urgenza, come certamente è questo il caso. Un provvedimento di clemenza generale, che potrebbe assumere le caratteristiche di una legge di amnistia e di indulto per i reati e i residui pena fino a due anni. In poche settimane, con l’indulto uscirebbero dal carcere circa sedicimila detenuti, con l’amnistia per i reati minori si alleggerirebbero i carichi di lavoro degli uffici giudiziari e per un po’ di tempo si eviterebbero nuove carcerazioni per reati minori. Tutti gli operatori della giustizia penale e del sistema penitenziario sanno che questa è l’unica soluzione disponibile ed immediatamente efficace per risolvere il problema del sovraffollamento. Il fatto che l’articolo 79 della Costituzione richieda una maggioranza speciale per l’approvazione di una legge di amnistia e di indulto, che pure meriterebbe di essere rivista, lungi dal costituire un impedimento assoluto alla sua approvazione, spinge a una condivisione di responsabilità tra le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, per l’adozione di un provvedimento necessario a restituire condizioni di vita e di lavoro dignitose nelle nostre carceri. Condivisione che ci fu nel 2006, quando il presidente del consiglio Romano Prodi e il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi si assunsero la comune responsabilità di votare a favore del più recente provvedimento di clemenza adottato in Italia, allora come oggi necessario al rispetto ai principi dell’articolo 27 della Costituzione. In ultimo, ricordiamo che – contrariamente a una errata opinione molto diffusa – quel provvedimento ha dato risultati molto positivi non solo nel decongestionamento degli istituti di pena, ma anche nella riduzione della recidiva: secondo la ricerca di Torrente, Sarzotti, Jocteau, commissionata dal ministero della Giustizia nel 2006, degli oltre 27 mila detenuti liberati grazie a quell’indulto, solo il 35% era rientrato in carcere cinque anni dopo, a fronte di un dato generale che vede intorno al 67% la percentuale di recidiva registrata tra quanti scontano interamente la propria pena in carcere; d’altro canto, secondo l’indagine di Drago, Galbiati e Vertova, pubblicata sul Journal of Political Economy, il tasso di recidiva tra i beneficiari dell’indulto del 2006 è diminuito del 25%. Dati su cui riflettere e da cui trarre coerenti conseguenze. ottobre 2024 Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Michele Ainis, Mons. Vincenzo Paglia, Gaia Tortora, Giovanni Fiandaca, Gherardo Colombo, Clemente Mastella, Daria Bignardi, Mauro Palma, Francesco Petrelli, Tullio Padovani, Rita Bernardini, Dacia Maraini, Alessandro Bergonzoni, Mattia Feltri, Andrea Pugiotto, Ornella Favero, Franco Corleone, Patrizio Gonnella, Franco Maisto, Luigi Pagano, Grazia Zuffa, Valentina Calderone, Samuele Ciambriello Per info e contatti: clemenzaperlecarceri@gmail.com
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appello
amnistia
No a Piantedosi all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Unimol
Cresce la protesta contro la presenza del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università del Molise. La cerimonia si terrà il 30 ottobre, ma contro l’invito del ministro è stato lanciato un appello che ha già raccolto centinaia di adesioni   Il prossimo 30 ottobre ad inaugurare l’anno accademico dell’Università degli Studi del Molise sarà presente il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi L’attività del Ministro in questi due anni di Governo è stata tutta incentrata alla repressione e alla criminalizzazione del dissenso, della solidarietà, dei poveri e marginali. La democrazia, così come la cultura, sono fondate sulla possibilità di dissentire. Solo il dissenso permette la diversità delle posizioni e delle idee, solo il dissenso mette al vaglio la verità e la giustizia, solo il dissenso è alla base del pensiero. L’itinerario che il ministro Piantedosi e il governo stanno perseguendo fin dal primo giorno e che culmina con una legge, il Ddl “sicurezza” 1660, detto anche legge anti-Gandhi, che proibisce in tutte le sue forme, attiva e passiva, disarmata e non violenta, ogni dissenso, manda oggi al macero la democrazia e la cultura che il dopoguerra ha pazientemente costruito, con il sostegno della Costituzione della Repubblica Italiana. Ci riconosciamo nella libertà di pensare e di esprimere il nostro pensiero sotto ogni forma, parlata e scritta, stampata e diffusa con qualsiasi mezzo, di riunirci e associarci, di informare ed essere informati, di insegnare ed essere istruiti, di scegliere liberamente la nostra occupazione, il nostro domicilio e liberamente viaggiare; e riconosciamo queste libertà per noi, gli stranieri e gli apolidi, i rifugiati e i richiedenti asilo, e intendiamo esercitare i nostri diritti inviolabili, a cominciare dal diritto di solidarizzare con chi si oppone, sia con lo sciopero che con l’occupazione pacifica o con manifestazioni pubbliche di dissenso, con chi reclama dallo Stato leggi che permettano alla nostra terra di difendersi da catastrofi climatiche o dagli orrori delle guerre e infine con chiunque risponda al richiamo della giustizia e della umanità: e se questi sono reati, ci autodenunciamo responsabili di questi reati, passati, presenti e futuri, tutti e ciascuno, consapevoli che solo così facendo possiamo proteggere la democrazia e i valori Costituzionali. In una regione come il Molise che dà scarsissime possibilità lavorative ai neo laureati, in un paese che conta un tasso di laureati che è tra i più bassi d’Europa, dove l’ascensore sociale è rotto da decenni e il diritto all’istruzione è in pratica negato, l’Università del Molise pensa bene di invitare uno dei massimi rappresentanti di una stretta punitiva e sicuritaria, l’antitesi, per storia e pratiche governative, ad un’idea di sapere e di società aperta inclusiva e rispettosa dei diritti e del  diritto al dissenso. Nelle aule universitarie non ci dovrebbe essere posto per il carcere e manganello elevati a dogma di gestione dell’ordine pubblico Per questo invitiamo i docenti, gli studenti i rappresentati istituzionali politici, sindacali e del mondo dell’associazionismo e del volontariato a disertare l’inaugurazione dell’anno accademico alla presenza di Piantedosi come atto visibile e concreto contro le politiche repressive che il governo Meloni sta mettendo in essere.     Per adesioni: nopiantedosi@gmail.com   Ilaria Agostini Pasquale Amelio Maria Teresa Amodio Luana Angelicola Giuseppe Aragno Silvio Arcolesse Pino Ippolito Arminio Maria Angela Astore Isabella Astorri Andrea Battinelli Angelo Bavaro Umberto Berardo Sara Bernabeo Renza Bertuzzi Piero Bevilacqua Giacomo Bonasera Flavio Brunetti Gabriella Buldrini Vincenzo Boncristiano Antonietta Caccia Alberto Cancellario Chiara Cancellario Celeste Caranci Roberto Carluccio Gianluca Carmosino Nino Carpenito Francesco Centracchio  Vincenzo Centritto Concetta Chimisso Caterina Ciaccia Marinella Ciamarra Francesca Ciarla Paolo Cimini Mara Cinquino Angelo M. Cirasino Giuseppe Colavecchia Amalia Collisani Ivano Cotugno CROMA Donatella Crosta Lorenza Cuccaro Fernando Damiani Mino Dentizzi Luisa Diodati Amodio Dionisio Gigino D’Angelo Cosima De Angelis Rosa De Angelis Giusi De Castro Giuseppe De Lena Roberto De Lena Francesco De Lellis Roberto De Libero Rosa De Renzis Domenico De Simone Barbara Di Giovanni Antonio Di Lalla Rosamaria Di Lauro Paolo Di Lella Pasquale Di Lena Laura Di Leo Domenico Di Lisa Francesco Di Lucia Lucia Di Matteo Andrea Di Meo Giulia Di Paola Italo Di Sabato Mirco Di Sandro Leda Di Santo Giovanna Di Soccio Michele Durante Francesco Paolo Eliseo Vittorino Facciolla Laura Fanelli Nicola Farina Sara Ferri Lino Finelli Adele Fraracci Lorenzo Fuschino Filomena Fusco Roberto Budini Gattai Giovanni Germano Michele Giambarba Pasquale Giancola Rosita Giardino Francesco Giovannangelo Nunzia Granitto Lucilla Grimani   Miriam Iacovantuono Vittorio Ialenti Marco Iannotta Alessandro Ugo Imbriglia Patrizia Ionata Mattia Iorillo Nicola Lanza Tiziana Lembo Maria Assunta Libertucci Lucia Longari Carla Mancini Ferdinando A. Mancini Luca Mancini Luisa Marinucci Maria Masecchia Ilaria Mastrangelo Alessio Mastromonaco Cristina Mazzoccoli Giovanni Mininni Michele Montano Stefano Di Santo Morelli Giovanni Moriello Cristina Muccilli Tiziana Nadalutti Andrea Nasillo Marilena Natilli Fabrizio Nocera Vincenzo Notarangelo Virginia Notarpasquale Franco Novelli Alessandro Nusco Nicola Palombo Gianni Palumbo Alessandro Paolo Alice Papi Anna Pastoressa Valentina Patete Rossano Pazzagli Michele Petraroia Marco Petti Carmine Pietrangelo Maria Paola Pietropaolo Giuseppe Pittà Fulvia Pizzi Viviana Pizzi Daniela Poli Clementina Porzio Marinetta Porzio Antonio Priston Cristina Ratino Michele Roccia Andrea Rossi Alessandra Salvatore Giuseppe Saponaro Vito Saulino Enzo Scandurra Andrea Sellitto Marisa Schillaci Francesco Simonelli Pasquale Sisto Davide Smake Marilisa Spalatino Aldo Spedalieri Pina Sprovieri Marcella Stumpo Carmine Tomeo Emidio Ranieri Tomeo Nicholas Tomeo Francesco Trane Giustino Trivisonno Stefania Trivisonno Renato Turturro Nicola Valentino Roberto Vassallo Stefano Vavolo Alessandra Ventura Achille Zarlenga Ornella Zarrillo Luciana Zingaro Alberto Ziparo L'articolo No a Piantedosi all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Unimol sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
lotte sociali
appello
Difendiamo il diritto democratico a manifestare. Il divieto per la manifestazione a Roma il 5 ottobre è sbagliato e ingiusto
Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. di Federico Giusti art 21 Costituzione Italiana Nella Costituzione italiana esiste la piena libertà di manifestare il pensiero in ogni forma eccezion fatta se ci sono reati di ingiuria, calunnia, diffamazione, vilipendio, istigazione a delinquere e se viene recata offesa al “buon costume. La Costituzione ha recepito tuttavia il Codice penale Rocco di emanazione fascista e per quanto siano affermati principi di libertà molte manifestazioni sono state proibite e ferocemente represse in nome della difesa dell’ordine pubblico. La sinistra italiana e prima il Pci non hanno mai voluto porre al centro dell’operato la riscrittura del codice penale e per questo sono arrivate tutte le legislazioni emergenziali che da eccezionali sono divenute con il tempo ordinarie. Se il fascismo trasformò il codice penale in una sorta di “schermo” dietro il quale celare i veri intenti del regime, oggi analoga considerazione potremmo fare in merito al decreto di legge 1660. Il divieto posto alla manifestazione per la Palestina del 5 ottobre da parte della Questura arriva dopo pesante intrusioni da parte governativa, e non solo, per impedire questo corteo promosso dalla Comunità palestinese. Questo divieto è assolutamente illegittimo anche alla luce dei recenti fatti, in presenza del genocidio in corso con decine di migliaia di morti tra i civili palestinesi e libanesi, vietare una manifestazione per alcuni documenti o commenti apparsi sui social evidentemente lede un diritto costituzionale. Il diritto costituzionale è ormai una tigre di carta ed è evidente la natura politica della posizione assunta per vietare il corteo del 5 ottobre. Anche Amnesty international scende in campo per difendere il diritto a manifestare Negli ultimi anni abbiamo assistito ad alcune delle più grandi mobilitazioni da decenni a questa parte: Black Lives Matter, MeToo, i movimenti contro i cambiamenti climatici hanno ispirato milioni di persone a scendere in strada per chiedere giustizia  per le persone discriminate su base etnica e per l’uguaglianza, i mezzi di sostentamento, la giustizia climatica, la fine della violenza e della discriminazione di genere. Ovunque, le persone si sono mobilitate contro la violenza e gli omicidi della polizia, la repressione di stato e l’oppressione. Quasi senza eccezione, la risposta delle autorità statali a questa ondata di proteste di massa è ostruttiva, repressiva e spesso violenta. Invece di creare le condizioni per esercitare il diritto di protesta, i governi stanno ricorrendo a misure ancora più estreme per stroncarlo. Ecco perché Amnesty International ha deciso di lanciare questa campagna. https://www.amnesty.it/campagne/proteggo-la-protesta/ Quanto scrive Amnesty vale anche per l’Italia in rapporto al decreto 1660. Le organizzazioni sindacali e sociali dovrebbero adoperarsi direttamente per la revoca del divieto a manifestare sapendo che in ogni caso migliaia disobbediranno scendendo in piazza contro il genocidio del popolo palestinese, questo divieto è solo l’inizio di una svolta autoritaria che presto si abbatterà su tante altre istanze sindacali, sociali e politiche. Anni fa gli accordi di Abramo vennero accolti con troppa sufficienza in Europa, l’idea di uno stato di Israele  “dal fiume al mare” dimostra che la guerra in corso si prefigge l’obiettivo di estenderne i confini e di proseguire con quel colonialismo da insediamento che anche alcune risoluzioni Onu hanno condannato. Convocare  a un anno dall’inizio delle operazioni militari una manifestazione contro il genocidio del popolo palestinese e la politica annessionista di Israele è quindi da configurare come una risposta legittima e democratica delle comunità palestinesi e delle tante realtà solidali presenti nel paese. Il divieto di manifestare serve per gettare nell’oblio quanto oggi accade in Medio Oriente, equiparare l’antisionismo con l’antisemitismo, va detto e urlato con estrema chiarezza: siamo in presenza di un velenoso antipasto di quanto avverrà dopo la approvazione al Senato del decreto legislativo già approvato alla Camera. Sono in gioco le libertà e le agibilità sociali e collettive, per questo difendere la libertà di manifestare il 5 ottobre è una battaglia di civiltà, di democrazia ma anche la risposta legittima contro il genocidio del popolo palestinese con una Ue silente e complice al contrario di quando invece prendeva parola e posizione per rivendicare il diritto a una terra per un popolo martoriato e cacciato via dalle proprie case.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp L'articolo Difendiamo il diritto democratico a manifestare. Il divieto per la manifestazione a Roma il 5 ottobre è sbagliato e ingiusto sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
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