Dal 21 Novembre molti prigionieri del CPR sono in sciopero della fame per
pretendere la libertà.
Dopo due giorni di sciopero della fame, di fronte all’indifferenza continua
dell’ente gestore, nella serata di sabato due persone sono salite sul tetto. Una
delle due è svenuta, l’altra è caduta su una rete messa lì dai vigili del fuoco.
Entrambi sono stati portati al pronto soccorso, per poi essere poco dopo
riportati nel CPR.
In questi ultimi mesi, sono stati numerosi i casi di persone recluse finite in
ospedale e, anche se con lesioni gravissime, rispedite al CPR senza essere state
curate – tramite la riconferma dell’idoneità alla detenzione da parte dei
sanitari. L’ASL continua ad essere responsabile delle torture dentro il CPR,
validando le detenzioni e delegando a Sanitalia la presa in carico
sanitaria, nonché la decisione di chi rilasciare e chi no in modo del tutto
arbitrario. Sanitalia in questi giorni si è rifiutata di interloquire con i
detenuti in sciopero della fame, e i detenuti lamentano di non aver accesso a
visite mediche e medicinali specifici.
Al momento, sono tre le aree del CPR ad essere aperte – blu, verde e gialla – e
a causa del sovraffollamento, alcune persone sono costrette a dormire per terra,
anche nella mensa. Inoltre, manca il riscaldamento e si muore di freddo e alcuni
detenuti riportano patologie gravi e del tutto ignorate. Alle rivendicazioni
portate avanti dai reclusi le forze dell’ordine rispondono con pestaggi e
trasferimenti al carcere delle Vallette. Di fronte alla lotta disperata di chi
saliva sul tetto sabato sera, la risposta è stata un dispiegamento di
poliziotti, carabinieri, finanzieri e vigili del fuoco schierati, con scudi e
manganelli.
Abbiamo chiesto a una compagna dell’assemblea No Cpr Torino di aggiornarci sulla
situazione all’interno del Centro di Corso Brunelleschi.
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La Procura di Catania ha coordinato l’Operazione Ipogeo, eseguendo due ordinanze
di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettantx compagnx per il
corteo del 17 maggio, organizzato dalla “Rete No DDL Sicurezza Catania” per
protestare contro il ddl Sicurezza.
Perquisizioni domiciliari sono state eseguite dalla polizia con la
collaborazione delle Digos nelle città di Palermo, Bari, Brindisi, Messina e
Siracusa.
Abbiamo chiesto a un compagno di Messina di parlarci dell’operazione repressiva
e delle occasioni di portare solidarietà allx arrestatx.
Per scrivere allx compagnx reclusx
Luigi Calogero bertolani
C/o casa circondariale
Piazza Lanza 11
95123 Catania
Gabriele Maria Venturi
C/o Casa Circondariale
Via Appia 131
72100 Brindisi
LUIGI, BAK, ANDRE, GUI LIBERX SUBITO!!
LIBERX TUTTX!!!
PALESTINA LIBERA!
NO AL PONTE SULLO STRETTO!
Le dichiarazioni della premier giapponese, Sanae Takaichi, secondo cui un
eventuale attacco cinese a Taiwan «minaccerebbe la sopravvivenza del Giappone» e
potrebbe dunque giustificare l’impiego delle Forze di autodifesa anche senza un
attacco diretto, hanno provocato la reazione immediata di Pechino .
La prima risposta alle dichiarazioni di Takaichi è stata quella classica, la
convocazione dell’ambasciatore giapponese a Pechino. Immediatamente è stata
attivata l’oliata e sempre più pervasiva macchina della propaganda, soprattutto
attraverso i social, che ha presentato Takaichi come un mostro che vuole far
rivivere gli orrori del militarismo imperiale nipponico. Per inciso, la storia
dell’occupazione e dei massacri giapponesi in Cina in questa vicenda conta. Dal
massacro di Nanchino alle nefandezze dell’Unità 731 comandata da Shiro Ishii,
quella memoria viene tramandata da decenni sia a tutela della legittimità del
partito che (assieme al Kuomintang) ha liberato il paese dagli occupanti, sia
per contrastare ogni nuova tentazione militarista di Tokyo.
Poi è arrivato l’invito del governo a studenti e tour operator a non andare in
Giappone (a poco più di un mese dal Capodanno cinese, per l’economia nipponica
si profilano perdite pesanti), perché il paese sarebbe “pericoloso”. Su questo
fronte – quello economico-commerciale – nei prossimi giorni la Cina potrebbe
esercitare ulteriori pressioni sul Giappone, per ottenere il dietrofront di
Takaichi. Navi della guardia costiera di Pechino si sono dirette verso le isole
contese Diaoyu-Senkaku.
I missili Usa di medio raggio, testati per la prima volta in Giappone (e già
provati nelle Filippine), così come la risposta di Pechino all’esternazione su
Taiwan della neopremier nipponica, sono un sintomo delle cause profonde di
questa crisi: nel Pacifico occidentale l’egemonia Usa sta subendo forti
scossoni, sia per l’ascesa economico-militare della Cina, sia per la scelta di
Washington di delegare in parte agli alleati la difesa dei suoi interessi e i
relativi oneri.
Ne parliamo con Sabrina Moles di China files.
Continua in Cisgiordania la pulizia etnica da parte dei coloni e l’esercito
contro i residenti palestinesi con un crescendo che fa supporre una prossima
annessione.
Ad ottobre si sono registrati 264 attacchi di coloni israeliani contro
palestinesi: il numero più alto da quando l’Onu ha iniziato il monitoraggio.
Alberi bruciati, strade chiuse, case colpite da incursioni notturne, auto date
alle fiamme. La stagione della raccolta delle olive, momento comunitario in cui
si consolida il legame dei palestinesi con la terra , è stata quella più
colpita. Circa 150 attacchi, 140 feriti, oltre 4.200 alberi distrutti. Per molti
villaggi, quegli alberi sono il principale sostegno economico. Perderli
significa perdere mesi di lavoro e parte del reddito annuale. Nelle zone rurali,
come a Masafer Yatta, i contadini sono cacciati dai loro campi, pastori
inseguiti da gruppi di coloni armati, tende bruciate, greggi disperse. Nei campi
profughi,a Tulkarem o Jenin le incursioni militari sono quotidiane. Secondo
l’Ufficio Onu per i diritti umani dal 7 ottobre 2023 mille palestinesi sono
stati uccisi in Cisgiordania , uno su cinque era un bambino.
Continuano le demolizioni di abitazioni palestinesi, migliaia di famiglie sono
costrette ad andare via senza poter prendere niente vittime dell’operazione
“muro di ferro” lanciata dagli israeliani il 21 gennaio scorso .
Pochi giorni fa Human Rights Watch ha pubblicato il suo ultimo rapporto sulla
Cisgiordania. Un documento che ricostruisce le operazioni militari dei mesi
scorsi nei campi profughi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams. Secondo
l’organizzazione, circa 32.000 persone sono state costrette a lasciare le loro
case tra gennaio e febbraio. Molti edifici sono stati demoliti, altri resi
inabitabili. Le testimonianze parlano di evacuazioni rapide, annunciate da droni
che sorvolavano i tetti ordinando di uscire. Le famiglie hanno raccontato di
aver preso ciò che potevano in pochi minuti, senza alcuna certezza di poter
tornare.
I gruppi di resistenza a Jenin e Tulkarem sono stati duramente colpiti con
uccisioni ed arresti anche ad opera dell’ANP che partecipa attivamente insieme
all’IDF alla repressione della resistenza .
Le restrizioni alla mobilità aumentano deviazioni obbligate e attese ai
checkpoint che si moltiplicano, i tempi di percorrenza raddoppiano, talvolta
triplicano. Per andare al lavoro, per raggiungere la scuola, per arrivare in
ospedale: ogni percorso è un calcolo di rischio, di orario, di strade possibili.
Molti lavoratori hanno perso i permessi per entrare in Israele da cui dipendeva
il reddito familiare; altri li rinnovano mese dopo mese senza alcuna garanzia.
Nelle aree agricole, i contadini si trovano spesso davanti a cancelli chiusi
senza preavviso. Intere porzioni di terra vengono dichiarate zone militari
temporanee, bloccando la raccolta dell’olio o impedendo l’accesso ai campi
durante i giorni del raccolto.
Ci aggiorna sulla situazione una compagna che si trova in Cisgiordania.
La guerra, il genocidio e la violenza patriarcale sono unite dallo stesso filo,
un filo rosso che ci vuole impaurit3, ricattabili, vittime sacrificabili, chius3
nei confini dei ruoli di genere tradizionali. Per questo, il 25 novembre sono
stati indetti appuntamenti contro la violenza patriarcale in quasi tutte le
città d’Italia.
A Torino, gli appuntamenti sono due, alle 18.30 in Piazza Carlo Felice e alle 17
pre concentramento a Palazzo Nuovo, ma tutto il giorno sono previste iniziative,
per rimanere aggiornat3, ascoltate la radio e seguite le pagine social di NUDM
Torino.
Abbiamo ricordato al telefono con Maria, di NUDM Torino, gli appuntamenti
cittadini e fatto alcune riflessioni in vista di domani. Tutt3 in piazza!
Il cosiddetto “piano Trump”, oggi avallato anche dall’ONU, continua a essere
presentato come una soluzione politica per il “conflitto israelo-palestinese”,
ma nella realtà consolida la logica di colonizzazione e di dominio che soffoca
la popolazione palestinese. Nel frattempo, l’esercito israeliano intensifica gli
attacchi contro Gaza e il Libano, mentre la situazione umanitaria in Palestina
precipita verso condizioni insostenibili.
Il governo italiano, nel frattempo, rilancia il tentativo di frenare le grandi
mobilitazioni del 28 settembre e del 3-4 ottobre con il DDL Gasparri: un
provvedimento che punta a usare la definizione di “antisemitismo” come clava per
colpire chi critica il sionismo, le politiche genocidarie di Israele, le
complicità del governo italiano e il generale clima di guerra che si sta
costruendo in Europa. Criminalizzare le posizioni anti-sioniste significa
colpire direttamente i movimenti che, in queste mobilitazioni, hanno sostenuto
la resistenza del popolo palestinese.
In un simile scenario, il movimento internazionale di solidarietà con la
resistenza palestinese non può rallentare. Anche per questo, domenica 23
novembre, al Centro sociale G. Costa di Bologna, la rete “Liberi/e di lottare –
contro lo stato di guerra e di polizia”, insieme a realtà studentesche,
insegnanti e collettivi di movimento, convoca un’assemblea nazionale contro il
DDL Gasparri e contro la guerra in Palestina. Ne parliamo con Pietro Basso,
della rete “Liberi/e di lottare”.
In questo approfondimento facciamo un punto su questioni aperte, problemi e
prospettive della Siria contemporanea, a partire dalla visita del nuovo
presidente Aḥmad al-Sharaʿ alla Casa Bianca il 9 novembre scorso, il primo
incontro tra un presidente siriano e uno americano dall’indipendenza del paese
dalla Francia, nel 1946.
Abbiamo parlato con Hani El Debuch, Dottorando in Storie, Culture e Politiche
del Globale (UniBo), direttore della Special Task Force on Syrian Heritage
presso il Heritage International Institute e collaboratore di UNHCR in diversi
scenari di crisi, di questa visita, della situazione politica generale del paese
e del rapporto tra Siria ed Israele, che occupa le Alture del Golan dal 1967 e
ha effettuato una serie di attacchi e di manovre strategiche a partire dalla
caduta dell’ex presidente siriano Bashar Al-Assad
Lunedì 17 Novembre a Prato il presidio di lavoratori e lavoratrici, che insieme
al sindacato SUDDCOBAS si organizzano per arginare lo sfruttamento nel più
grande comparto tessile d’Europa, ha resistito all’aggressione di alcuni
imprenditori di fronte al magazzino Euroingro.
Come racconta l’aggressione dei giorni passati – che segue a numerose altre
aggressioni ai danni di lavoratori e lavoratrici in sciopero negli ultimi anni –
un sistema predatorio fatto di aggressioni e intimidazioni è estremamente
consolidato nel settore.
Le inchieste delle procure e soprattutto l’attività sindacale hanno dato modo di
fare luce sulle responsabilità dei committenti, spesso grandi marchi del MADE IN
ITALY, ma anche sulle responsabilità politiche e la corruzione che
caratterizzano il comparto tessile italiano.
Con il disegno di legge sulle piccole e medie imprese la risposta del governo
allo scandalo di Loro Piana, Tod’s e altri grandi marchi – accusati di omettere
controlli sulla catena produttiva e mettere in commercio prodotti realizzati in
regime di sfruttamento – va nella direzione di deresponsabilizzare le grandi
aziende attraverso una certificazione volontaria di sostenibilità dell’impresa,
da delegare ad un’autorità terza e che consentirebbe uno scudo penale contro le
accuse di sfruttamento.
Le mobilitazioni non si fermano né di fronte alle aggressioni, né tantomeno di
fronte alle proposte normative del governo e riescono, nonostante le difficoltà,
a strappare tavoli di contrattazione e regolarizzazioni.
Ci aiuta a ricostruire questi giorni e le mobilitazioni Elena di SUDDCOBAS in
diretta da Prato.
Ascolta qui la diretta:
Martedì 18 è stata ufficialmente esposta da parte di ECCHR ( European Centre for
Costitutional and Human Rights) denuncia ai danni di TotalEnergies presso
l’antiterrorismo francese, per accuse di complicità in crimini di guerra,
torture e sparizioni forzate legate alle azioni di soldati governativi in
Mozambico nel 2021 nell’ambito del cosidetto “Massacro dei container”. (metti
link)
Il colosso petrolifero è accusato di aver finanziato direttamente e supportato
materialmente l’unità speciale di forze armate, nell’ambito di un accordo di
sicurezza con lo stato, perchè quest’ultime protegessero le installazioni di
estrazione di GNL installate da Total a Capo Delgado.
La situazione a Capo Delgado è epicentro di un conflitto fra esercito e milizie
di ispirazione jihadista affiliate allo Stato Islamico. Le mani di Total sono
sporche del trasferimento forzato di migliaia di famiglie, oltre che della
degradazione ambientale legata ai progetti estrattivi, che ha acuito le tensioni
sociali, mentre la povertà è aumentata di più dell’80%.
La denuncia riprende la dettagliata inchiesta della testata Politico ” All must
be beheaded, revelations of atrocities at French energy giant’s African
stronghold” pubblicata nel 2024.
L’accusa arriva a poche settimane di distanza dalla dichiarazione di Total di
voler far ripartire il progetto, considerato il più grande investimento privato
mai realizzato in Africa, con un costo totale di 50 miliardi di dollari. La
ripresa del progetto non avverrà prima del concordato con il governo di Maputo e
sarà sostenuta dal prestito di 4,7 miliardi di dollari dall’Export-Impost Bank
statunitense ed è prevista entro il 2029.
La banca statunitense non è l’unico finanziatore pubblico al progetto, infatti
altri due importanti partner commerciali sono le italiane SACE e Cassa Depositi
e Prestiti. Nelle parole di Simone Ogno “la SACE italiana è stata la prima
agenzia di credito all’esportazione a confermare il proprio sostegno finanziario
a Mozambique LNG, e lo ha fatto senza una nuova valutazione degli impatti
sociali e ambientali associati al progetto. Oggi l’US EXIM sta facendo lo
stesso. In queste scelte possiamo vedere il rapporto stretto tra il governo
della premier Giorgia Meloni e quello del presidente Donald Trump, in totale
disprezzo per le violazioni dei diritti umani direttamente e indirettamente
associate a Mozambique LNG”.
Ne parliamo con Simone Ogno, campaigner di Recommon:
Qui trovate il link al report di Recommon “Dieci anni perduti“.
Lunedì 17 novembre alle Nazioni Unite si è votato il famigerato Board of Peace
sulla striscia di Gaza: con 13 sì e l’astensione di Russia e Cina viene
approvato il piano di 20 punti Trump-Netanyahu.
Così il tycoon ottiene la delega formale esecutiva e politica per la gestione
della striscia e di fatto la restaurazione delle sfere d’influenza nella
regione. Non a caso l’interlocuzione tra Trump e Mohammad Bin Salman di martedì
18 ha visto segnare un ulteriore punto verso gli Accordi di Abramo e la
normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele.
L’istituzione di una governance estera sui territori della striscia, la
demilitarizzazione completa e … sono alcuni dei punti principali con cui si
sigla la piena negazione di autodeterminazione per il popolo palestinese e si
rende la logica di guerra un modello di amministrazione dall’alto. Assenti
invece in maniera quasi totale meccanismi che limitino l’agency di Tel Aviv: non
vi sono riferimenti alla fine dell’occupazione israeliana, né attribuzioni di
responsabilità per i 70 mila morti ufficiali (per quanto uno studio di The
Lancet denunci cifre che si aggirano attorno a 186.000) e tanto meno meccanismi
di monitoraggio della gestione.
Il tentativo di deportazione di 153 palestinesi in Sudafrica – bloccato dal
paese il cui ministro degli esteri ha dichiarato “Riteniamo che l’arrivo del
gruppo faccia parte di un piano più ampio per trasferire i palestinesi in varie
regioni del mondo” e che “Il Sudafrica è fermamente contrario a questo piano di
espulsioni e non è disposto ad accettare nuovi voli”-, ci dimostra come l’esito
di questa riorganizzazione territoriale non prevederà mai un ritorno a casa dei
palestinesi.
Continua l’inasprirsi dei bombardamenti in Libano, che hanno visto solo nella
giornata di ieri almeno 15 palestinesi (25 secondo fonti non ufficiali) uccisi
dall’aviazione aerea a Ein El Hilwe, alla periferia di Sidone. E anche in
Cisgiordania, i coloni sotto scorta dell’esercito israeliano procedono
all’attacco sistematico dei contadini e dei raccolti, non sono mai cessate le
uccisioni e procede il progetto di divisione in due della West Bank con
l’intento di impedire qualsiasi unità territoriale palestinese.
Ne parliamo con Eliana Riva, caporedattrice di Pagine Esteri: