Per il 9 febbraio c’è una chiama imprescindibile.
Non solo le Olimpiadi di cui abbiamo scritto un anno fa, ciò che accade nelle
terre interne, lungo i rilievi di tutta la penisola, non può lasciare
indifferenti.
Mentre la terra brucia per via della crisi climatica in cui siamo immersi,
annusatone il sangue, i predoni dell’estrattivismo che fa rima con accanimento
apparecchiano un banchetto di corvi sulla pretesa carogna di intere comunità,
decisi a spremere dal turismo tutto quel che possono.
Disboscano foreste giunte al limite di sopportazione e colpite da bostrico e
dissesti assortiti, percorrono la strada della cementificazione esasperata per
nuove strutture, infrastrutture e palazzetti dal gusto distopico. Attraggono
mosche sullo zucchero di non-altrove utili a mettere in scena experience
fotocopia, fatte degli stessi panorami fitti di vetro e cemento, degli stessi
sapori, odori, colori e ritmi: recluse a sciare in cattedrali post-atomiche, a
passeggio per i “corsi” di ex villaggi di pastori e stalle, ingozzandosi degli
stessi cibi di lusso.
Venghino siori venghino, il ceto medio si indebiti per una settimana bianca
all-inclusive, terme-spa-motoslitta e pesce di mare. Per un giro a Cortina a
respirare la stessa aria di Milano e replicarne le stesse pose fatte di vasche
dello shopping e apericena.
Sono gli ultimi colpi di maglio di un capitalismo – col capitale degli altri
però (cioè soldi nostri) – che non si arrende e non sa immaginare altro che
portare allo sfinimento un modello-cadavere fatto di nuovi piloni e cannoni via
via più performanti (si legga: idrovori).
Beautiful che incontra il sogno di soldi facili e il fatalismo della corsa
all’oro nel Klondike, l’eterno presente capitalista la cui mentalità viene
diffusa a pioggia da soap opere eterne, con Ridge in decadenza che giunto
all’ottantesima stagione – i primi impianti coincidono grossomodo con l’Italia
repubblicana – è costretto a recitare aggrappato al deambulatore e col catetere
infilato.
Un modello da gusto del macabro che attrezza pacchetti divertimento per
qualsiasi gusto purché non siano rispettosi di luoghi che muoiono, purché non
spingano a calarvisi incuriositi, ma a colonizzare; tantopiù che all’occorrenza
si può sempre far sbriluccicare gli specchietti condendoli con la retorica del
“recupero” della montagna abbandonata, dal recover washing si potrebbe dire.
Champagne e motori; sfarzo sguaiato e arroganza, il requiem specchiato nella
nostra decadenza fatto di topi festanti mentre la nave affonda, mentre non
soltanto questi abbagli di uno sviluppo che non c’è se non nei conti in banca di
chi lo sfrutta andrebbero spazzati via, ma con loro tutta un’infrastrutturazione
nociva, le narrazioni sull’aria sana, i miti romantici dell’alpe e del quanto si
stia bene in montagna.
Tutto ciò non è emendabile, non perfettibile, non c’è compensazione o
posti-lavoro che tenga. È da abbattere in toto, fino a festeggiarne il cadavere.
Solo allora sarà possibile provare a immaginare qualcosa che possa avere senso.
Il quadro che abbiamo tracciato è piuttosto apocalittico, e tutt’attorno ai
monti non è meglio. L’intero pianeta umano sta subendo scosse telluriche forti,
capaci di disarticolare e annichilire il pensiero dei più positivi.
È frustrante trovarsi immersi in questo clima, sa dell’amara perdita di ogni
speranza e voglia di rimettersi in gioco.
Del resto i primi a rendersi conto che la pacchia del turismo invernale è finita
sono proprio i costruttori di impianti di risalita, che infatti cercano
grottescamente di rifilare le loro cabinovie alle città, spacciandole per mezzi
di trasporto urbani sostenibili ed eco-friendly.
È successo a Kotor in Montenegro, sta succedendo a Trieste, prossimamente
succederà a Genova. A Trieste la mobilitazione spontanea di cittadini e comitati
di quartiere è per ora riuscita a fermare un progetto ad alto impatto
ambientale, che prevede la distruzione di un bosco protetto per permettere la
costruzione di una cabinovia al servizio delle navi da crociera e del loro
indotto. Diciamo “per ora” perché dopo due anni di mobilitazioni e di azioni
legali è finalmente saltato il finanziamento PNRR; ma l’ineffabile ministro
Salvini ha promesso un finanziamento ad hoc, con fondi ministeriali, perché lo
Stato e la ditta appaltatrice, la Leitner, non possono permettersi di essere
messi in scacco da un’accozzaglia di pezzenti.
Proprio per questo è ancora più importante esserci a ogni latitudine, tener duro
e non abbandonarsi al fato.
Siamo in ottima compagnia, la rete che sta stringendo le maglie è larga e
importante, dobbiamo darle continuità e forza ben oltre alle Olimpiadi, perché
ne va anche delle nostre vite, della differenza che corre tra arrancarvici e
viverle.
Abbiamo deciso di aderire all’appello La montagna non si arrende e abbiamo
deciso di mettere a nudo le difficoltà che attraversano noi e l’intero
paesaggio.
Ci sono iniziative di tutti i tipi, sono ben accette anche piccole testimonianze
pressoché individuali, contribuiamo a propagare l’onda, partecipate, inventatevi
qualcosa e stringete rapporti.
Dal canto nostro, noi abbiamo deciso di non concentrarci su una manifestazione
singola, ma di contaminarci e contaminare, spalmandoci e stando nella galassia
di iniziative che si vanno a creare.
Restituiremo le esperienze dei nostri corpi. A dopo il 9, ancora e ancora.
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Tag - olimpiadi 2026
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