Spina Tremula. Le foto di Spada e Ippolito negli spazi del Chikù a Scampia(foto da: spina tremula)
Fino al 31 dicembre sarà possibile visitare Spina Tremula, la mostra di Mario
Spada e Gaetano Ippolito allestita negli spazi del centro Chikù (largo della
Cittadinanza attiva – viale della Resistenza, Comparto 12) a Scampia. Insieme
all’esposizione, quindici giovani della città verranno coinvolti in un
laboratorio di narrazione e di fotografia stenopeica. Martedì 12 novembre, alle
12:00, sempre da Chikù, sarà possibile incontrare e discutere con gli autori
della mostra.
Spina Tremula è il lavoro presentato il 24 ottobre nella sede di Chi rom e chi
no da Mario Spada e Gaetano Ippolito, artisti napoletani di casa al Centro di
fotografia indipendente di piazza Guglielmo Pepe, in zona Porta Nolana. Spada ne
è fondatore e insegnante; Gaetano, cresciuto nell’area nord, vi è entrato come
studente e ora insegna anche lui, specializzato nelle pratiche di sviluppo e
stampa in camera oscura. Se appare evidente la differenza generazionale in
Gaetano e Mario, entrambi i loro lavori sono realizzati a Napoli e partono dalla
raccolta di migliaia di fotografie. La selezione qui riunita corrode i confini
tra le due sequenze per la scelta di abbandonare l’ordine autoriale. Ragionano
entrambi sulla possibilità della perdita del nome, confondono le ricerche per
smarrirsi e spostare chi osserva; e chi legge, a partire dal titolo.
La firma che sgomita per accedere agli spazi espositivi del mondo dell’arte e
del mercato, a Napoli e altrove, dove bandi, call e residenze basano festival e
campagne di produzione sul principio della competizione, trova spazio di rivolta
in Spina Tremula. Lo stesso vale per la produzione del lavoro durante il
processo di realizzazione. Una sincerità asciutta e reciproca vive nel confronto
quotidiano tra i due. Ciascuno ha scelto per l’altro le immagini da selezionare
e da escludere per la costruzione della mostra, portando a confondersi i due
sguardi sulla città. “Nelle opere si vuole uscire da uno sguardo confortevole –
incide Spada – su una città che non è possibile raccontare attraverso la
fotografia”. Il suo lavoro è radicato nell’incertezza; le fotografie non
descrivono, ma fanno sussultare direttamente la vista, e tremano non soltanto
nello scatto, ma amplificano tale tremore sino al corpo eretto di chi guarda.
Arrivare a chiedersi: se questa non è la città che viene raccontata, e neppure
quella che conosco, dunque dove ci si trova, per dove arrivare? La posizione è
altresì spinosa, e tremula; si abbassa china sulle zampe del cane che incontrano
i piedi minuti del neonato; e si apre al cielo, affrontando la gravità del tuffo
dall’alto; sta alle spalle di una muta alata, piccola e pronta all’incontro con
il paesaggio scuro; avverte posizioni laterali, del passeggero attratto
dall’incavo del vagone, che distrattamente possono sfuggire allo sguardo
addomesticato.
La possibilità di veder stampate in tali dimensioni e in qualità fine art queste
fotografie può provocare l’inciampo di percorsi di vita di ragazzi e di ragazze
che quotidianamente attraversano il centro Chikù; chissà che qualcuna e
qualcuno, di fronte a queste non si innamori dell’atto, e trovi nei laboratori
che verranno avviati nel centro la possibilità di comunicare le proprie
inquietudini. Raggiungere lo sguardo di più ragazzi potrebbe essere il
proseguimento della tensione sprigionata da questa iniziativa, alimentando il
discorso e l’incontro intorno alla fotografia, che in quanto scrittura con luce
non si riduca alla stampa posizionata, ma che allacci un percorso cominciato
dalla postura dell’artista che sceglie di essere occhio testimone, e di non
voltarsi di fronte agli eventi quotidiani speciali, orrendi, semplici o normali,
ma di sostare prossimo a questi, qualificandoli nel quadro, tramite ciò che sta
al di fuori, ciò che sta alle spalle, nella creazione di un proprio tempo che
tenta di sabotare il dispositivo. La mostra è per Spada anche un’occasione che
consente di guardare a muro le fotografie, per alimentare la motivazione a
cercare gli ultimi fondi che mancano alla pubblicazione dell’atteso libro Spina,
dopo un anno di lavoro di editing condiviso con Patrizio Esposito.
La mostra rientra nella cornice dell’Ecomuseo diffuso di Scampia, un tentativo
di unire il patrimonio materiale e immateriale del quartiere, che attraversa lo
spazio pubblico con uno sguardo critico che taglia la neutralità apparente
rispetto la narrazione dei luoghi, e risalta le trasformazioni avviate dal basso
e contro le possibilità negate a quegli spazi a oggi chiusi e inaccessibili,
ancora una volta privati ai cittadini.
L’ultimo lavoro apparso in città di Gaetano Ippolito era stato installato al
Giardino Liberato, per i due eventi Family Jewels curati da Chiara Pannunzio.
Insieme a Lia Morreale, Gaetano aveva allestito la stanza come fosse l’occhio
saturato dallo stratificarsi delle immagini di violenza, che nell’esporsi si
abitua. Centinaia di immagini al muro, a terra tre schermi di televisori
catodici, mostravano i resti dei materiali dai quali le immagini venivano
estrapolate. Uno di questi una scritta: nell’invito a prenderne parte
attivamente. Invito alla distruzione. Nello strappare le immagini, e portarle
con sé.
Spina Tremula, citando l’intervento di Maurizio Zanardi durante l’apertura,
vuole “fare inciampare quella maledetta fotografia della città. L’immagine di
Napoli non compare mai nelle foto di Spina. Napoli viene dimenticata. Solo così
è possibile ricordarla, attraversandone le membra scritte con la luce”.
(leonardo galanti)