Fotogalleria di Gaia Del Piano
Dopo vent’anni di patetici fallimenti un sindaco di Napoli riesce finalmente a
portare a Bagnoli la Coppa America di vela, inaugurando una stagione di
speculazioni che, in via di esaurimento lo spazio su terra, si apprestano ad
assalire il mare e la costa. Gaetano Manfredi agisce ancora una volta più come
un commissario straordinario dai pieni poteri che come un sindaco, nel senso che
della candidatura napoletana nessuno ha saputo niente fino al momento
dell’ufficialità, così che gli abitanti del quartiere dovranno infilare la
supposta senza poter proferire parola.
Per questo motivo stamattina cinquanta persone si sono presentate fuori al
Castel dell’Ovo, dove si svolgeva la conferenza stampa di presentazione della
kermesse, sottolineando che questo presunto successo viene proclamato con grande
soddisfazione nel momento meno opportuno: durante la crisi bradisismica più
violenta degli ultimi quarant’anni, che ha colpito come forse non mai il
quartiere in termini di danni all’abitato e traumi alla popolazione.
Più che alle regate, e all’ennesimo mega-evento che non serve a niente e a
nessuno, il Comune farebbe meglio a pensare agli appartenenti alla sua comunità.
Agli sfollati, per esempio, che ha tenuto per due mesi in alberghi dall’altra
parte della città, e che dopodomani caccerà senza avergli proposto una soluzione
alternativa; ai due terzi tra questi che hanno richiesto il sostegno all’affitto
e non l’hanno ancora ricevuto, la maggior parte per colpa di risolvibili
questioni burocratiche; ai cinque nuclei familiari dove abbondano i soggetti
fragili, che sono stati dislocati in una struttura comunale e che da ieri sono
tecnicamente “abusivi”, avendo ricevuto un sollecito di allontanamento
volontario; a tutta la popolazione che sta rischiando di dover lasciare il
quartiere, perché il governo – senza che da Palazzo San Giacomo si batta ciglio
– ha stanziato risorse che non bastano nemmeno a intervenire sulla messa in
sicurezza delle case, figuriamoci sul miglioramento sismico di tutti gli
edifici, una condizione necessaria, come avviene in tante parti del mondo, per
poter convivere con le scosse e perché Bagnoli non si svuoti.
La priorità dell’amministrazione sono invece i milioni della Coppa America,
milioni che finiranno nelle tasche dei soliti noti grossi imprenditori, senza
lasciare nulla sul territorio. Anzi, questa coppa qualcosa lascia: la colmata.
Solo oggi si spiega, dopo che è stata comunicata l’intenzione di alloggiare il
villaggio per gli atleti sulla gigantesca colmata a mare, la fretta con cui il
sindaco Manfredi e la premier Meloni hanno agito per cambiare numerose leggi e
formalizzare la permanenza della struttura. Quando si diffuse la notizia,
previdentemente scrivemmo: va bene, volete lasciare la colmata perché è troppo
complicato e costosa toglierla? Non è vero, ma facciamo finta che lo sia. Il
sindaco allora ci dia garanzie che quella colmata verrà utilizzata
esclusivamente per una discesa a mare libera, pubblica e gratuita, e non per
altro. Quelle garanzie non sono arrivate, e anzi dopo qualche mese è arrivata la
notizia che la Coppa America sarà il primo esperimento per renderla una piazza
per grandi eventi privati.
La critica alla Coppa America a Bagnoli va ben oltre la critica ai grandi
eventi, al loro battage pubblicitario e alla presunta utilità economica. A
queste baggianate non crede più nessuno, tanto è vero che parlando con i
bagnolesi (i cittadini “normali”, non gli attivisti o i militanti) di
bradisismo, di emergenza casa, di svuotamento del quartiere, sono loro i primi a
chiosare con un indignato: “…invece ‘e sorde p‘a Coppa America ‘e trovano!”. La
gravità di questa iniziativa sta soprattutto nell’avviare una stagione di
speculazioni a Bagnoli, che vanificheranno uno dei più grandi risultati ottenuti
in trent’anni di lotta: la spiaggia per tutti a risarcimento di cento anni di
inquinamento, malattie e morti. Mai come questa volta, i responsabili di questa
porcata hanno un nome preciso. (riccardo rosa)
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Fotogalleria di Victor Serri
Questa mattina il parlamento catalano ha finalmente approvato la
regolamentazione degli affitti brevi turistici, dopo anni di pressioni da parte
dei movimenti per la casa, e dopo le grandi manifestazioni in tutto lo stato
spagnolo di sabato scorso.
Oltre centomila persone, secondo gli organizzatori (poco più di ventimila per la
polizia municipale), hanno sfilato a Barcellona per esigere la riduzione degli
affitti, mentre un’altra manifestazione avveniva nello stesso momento a Madrid e
in altre quaranta città dello stato spagnolo. La grande mobilitazione per la
casa, in crescita da alcuni anni grazie al lavoro di base di un gran numero di
strutture organizzate, per lo più assemblee territoriali, ha minacciato di far
partire un grande sciopero degli affitti in tutto lo stato, se non verranno
soddisfatte le richieste fondamentali degli inquilini: la riduzione degli
affitti, il ritorno ai contratti indefiniti aboliti dal Partito Socialista negli
anni Novanta, la fine delle compravendite speculative, il recupero delle case
vuote e di quelle adibite a case vacanza, e l’aumento del numero di case
popolari.
La Catalogna è il territorio di tutto lo stato che sta subendo in modo più
violento le conseguenze dell’impennata dei valori immobiliari: nei primi due
trimestri del 2024 sono stati eseguiti più di quattromila sfratti, di cui mille
e ottocento solo a Barcellona; gli affitti sono aumentati del quarantacinque
per cento in dieci anni, al punto che oggi l’affitto medio per una famiglia a
Barcellona è di 1.300 euro al mese.
Due grandi episodi di resistenza hanno segnato la fine del 2024 nella capitale
catalana: lo sgombero della Antiga Massana, un’ex accademia d’arte occupata dal
Movimento Socialista a due passi dalla Rambla, e il tentativo di sfratto degli
inquilini della Casa Orsola, un palazzetto modernista del quartiere Eixample,
acquistata da un fondo immobiliare. Nel primo caso, migliaia di attivisti e
attiviste avevano riempito le strade del centro in protesta contro l’espulsione;
nel secondo, un picchetto di almeno un migliaio di persone per impedire
l’accesso alla polizia è durato tutta la notte, mentre alcuni artisti suonavano
o parlavano dai balconi degli appartamenti minacciati di sfratto.
Il movimento catalano comprende varie anime, ognuna con il suo modello
organizzativo. La più antica è la PAH, la struttura creata dopo le mobilitazioni
del 2010 per difendere gli abitanti che perdevano le case per la crisi dei
mutui. La PAH era riuscita a occupare molto spazio nell’opinione pubblica di
tutto lo stato, al punto che dalle sue fila era emerso il movimento
municipalista di Barcelona en Comú, guidato dall’ex sindaca Ada Colau. La PAH ha
segnato il modello per tutti gli altri movimenti, ma ultimamente ha perso forza,
anche se si mantengono varie assemblee territoriali.
Una seconda struttura, che oggi ha più protagonismo nella sfera pubblica, è
quella dei Sindicats d’habitatge, i sindacati inquilini, emersi invece dalle
lotte dei quartieri dopo il 2017. Si tratta per lo più di assemblee di
inquilini, organizzate in forma orizzontale, con basi nelle diverse cittadine
catalane e nei quartieri di Barcellona. Una struttura più grande
chiamata Sindicat de llogateres de Catalunya mantiene la stessa struttura
organizzativa e si coordina con i sindacati più piccoli, ma il suo ambito è
tutto il territorio catalano. La confluenza di queste assemblee ha dato luogo
alla Confederació Sindical de l’Habitatge, a cui partecipano anche diverse
assemblee della PAH (ma non quella di Barcellona).
Un terzo modello si è diffuso negli ultimi anni: il Moviment Socialista, emerso
nel País Vasco e poi in Catalogna. In rottura con i movimenti indipendentisti e
contro l’istituzionalizzazione del municipalismo di Podemos e Barcelona en Comù,
considerato un fallimento, è cresciuta un’organizzazione comunista
centralizzata, organizzata gerarchicamente, con sezioni locali e una struttura
di coordinatori e rappresentanti. Il MS ha saputo fare un uso molto efficace
delle reti sociali, mobilitando migliaia di giovani e giovanissimi: alcuni
sindacati della casa catalani si sono dichiaratamente posizionati all’interno di
questa organizzazione, e sono rappresentati da un Sindicat d’Habitatge
Socialista. Questa struttura però potrebbe però aver raggiunto il suo limite di
espansione, ed è la più reticente a coordinarsi con i gruppi di diverso
orientamento politico.
Eppure, la volontà di convergenza e organizzazione comune è generalizzata. Il
congresso di febbraio e la manifestazione di sabato sono riusciti proprio perché
hanno tenuto insieme le diverse anime – PAH, Confederació, Sindicat socialista –
senza che nessuna perdesse le proprie strutture, facendone un movimento
unitario. Il nuovo ciclo di lotte di cui le ultime manifestazioni sono
espressione sarà il banco di prova per vedere se una forma organizzativa di
questo tipo riuscirà a tenere insieme le migliaia di inquilini in lotta nello
stato spagnolo organizzando uno sciopero degli affitti – con tutto ciò che
comporta in termini di repressione e di sfratti – e a consolidare finalmente un
ribaltamento radicale dei rapporti di potere intorno alla questione della casa.
Il patto tra le forze di governo per regolare gli affitti brevi è sicuramente un
primo passo, ottenuto dai movimenti non grazie a complesse alleanze
istituzionali, ma grazie alla pressione popolare che si è espressa nei
picchetti, nelle proteste e nell’ultima grande manifestazione. (stefano
portelli)
Fotografie di Giuseppe Carrella
Un corteo unitario di circa mille persone ha sfilato ieri pomeriggio a Napoli
per rivendicare il diritto alla casa, alla sicurezza abitativa e alla gestione
pubblica dei beni comuni. Contro sfratti e caro affitti, insieme ai promotori
della mobilitazione della rete Resta Abitante hanno manifestato i comitati di
lotta per la casa di Melito e San Giovanni a Teduccio, le famiglie del Frullone
e dell’ex Motel Agip.
Il corteo è partito da piazza Dante, ha attraversato Montesanto e ha raggiunto
Palazzo San Giacomo. Le settemila firme raccolte in questi mesi per la petizione
cittadina “Stop B&B” sono state consegnate al Comune, proprio mentre uno
striscione calato da un’impalcatura, in riferimento al recente suicidio di un
trentunenne, avvenuto a seguito della notifica di sfratto a Caivano, ha
sottolineato che “chi toglie casa toglie vita”.
Fotografie di Mario Spada
Nel pomeriggio di ieri un gruppo di lavoratori dell’azienda Gls, organizzati nel
sindacato Sol Cobas, si è radunato davanti la sede dell’Unione Industriali di
Napoli, a piazza dei Martiri, e ha esposto un lunghissimo striscione con
scritto: “Ordini con un clic, le mie ossa fanno crac. Corro sempre, ‘o pacco
pesa, pochi soldi a fine mese. Mo’ basta!”.
I lavoratori denunciano continui licenziamenti e sospensioni di massa legate
allo stato di agitazione che da mesi portano avanti per ottenere il rispetto dei
contratti, in particolare su scatti di anzianità, malattie e infortuni, una
retribuzione più equa, condizioni di lavoro generali umane.
In Italia la Gls è presente con oltre centocinquanta sedi e tredici centri di
smistamento, per un fatturato che supera i centocinquanta milioni di euro annui.