Storie, dialoghi e testimonianze sulla contenzione. Domani a Napoli il libro di Antonio Esposito(disegno di sergio cennini)
Sarà presentato martedì 26 novembre, dalle ore 18,00, a Palazzo Venezia (via
Benedetto Croce 19), il libro di Antoni Esposito Come Cristo in croce. Storie,
dialoghi, testimonianze sulla contenzione (Sensibili alle foglie). Con l’autore
discuteranno Teresa Capacchione, Dario Stefano Dell’Aquila e Novella Formisani.
Pubblichiamo a seguire un estratto del volume, dal capitolo Disumanità e
violenza, le immagini di un Spdc / La storia di Francesco Mastrogiovanni
* * *
Nella storia della contenzione in Italia, esiste uno spartiacque che segna un
prima e un dopo, sia per quanto concerne il campo giuridico-legale e la
riflessione etica e bioetica, sia nell’ambito del dibattito pubblico: la vicenda
di Francesco Mastrogiovanni, il maestro elementare cilentano che, il 4 agosto
2009, muore nel reparto di Diagnosi e cura dell’Ospedale di Vallo della Lucania,
a seguito di una contenzione durata oltre ottantasette ore, tenendolo legato ai
quattro arti a un letto, in condizioni disumane e degradanti, quasi per l’intero
periodo di un ricovero determinato da un Trattamento Sanitario Obbligatorio
iniziato il 31 luglio.
La presenza delle immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza del
reparto, rese pubbliche dalla famiglia che, con il “Comitato Verità e Giustizia
per Francesco Mastrogiovanni”, ha strenuamente lottato perché fosse ricostruito
tutto quanto accaduto in quei giorni e fossero riconosciute le responsabilità
di quanto si era determinato, hanno mostrato a un intero paese la violenza e
l’inumanità di una pratica, la contenzione, che era diventata uno strumento
routinario nella vita quotidiana di quel reparto ospedaliero. I filmati,
inoltre, sono stati determinanti nel corso dei tre gradi di giudizio che hanno
coinvolto medici e infermieri dell’ospedale, portando, in Cassazione, a una
sentenza storica (Sezione V, sentenza n. 50497 del 20/06/2018), con la quale, al
di là delle condanne comminate agli imputati, si giunge, per la prima volta, ad
affermare che la contenzione non può essere considerata un atto medico, quanto
piuttosto un “presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una
finalità curativa né produce materialmente l’effetto di migliorare le
condizioni di salute del paziente – anzi, secondo la letteratura scientifica,
può concretamente provocare, se non utilizzato con le dovute cautele, lesioni
anche gravi all’organismo, determinate non solo dalla pressione esterna del
dispositivo contenitivo, quali abrasioni, lacerazioni, strangolamento, ma anche
dalla posizione di immobilità forzata cui è costretto il paziente – svolgendo
[…] una mera funzione di tipo “cautelare”, essendo diretto a salvaguardare
l’integrità fisica del paziente, o di coloro che vengono a contatto con
quest’ultimo, allorquando ricorra una situazione di concreto pericolo per
l’incolumità dei medesimi”.
Chi scrive ha già ricostruito altrove quanto accaduto a Francesco
Mastrogiovanni, analizzando in dettaglio la sentenza della Cassazione. Rinviando
a quel lavoro per ulteriori approfondimenti, di seguito sono indicati solo i
punti essenziali degli eventi che hanno portato alla morte di Mastrogiovanni e
della successiva vicenda giudiziaria, lasciando, poi, ai dialoghi con Grazia
Serra e Giuseppe Ortano lo spazio di ulteriori indicazioni, riflessioni e
analisi.
Partiamo, quindi, dalla ricostruzione degli accadimenti e delle dinamiche che
hanno portato all’emanazione del Tso, seppure, ancora oggi, la vicenda resti non
del tutto chiara, presentando aspetti mai completamente approfonditi e alcune
incongruenze che, nel tempo, hanno anche portato a dubitare sulla legittimità
di quel provvedimento emanato dall’allora sindaco di Pollica Angelo Vassallo. La
sera del 30 luglio 2009, secondo la ricostruzione della polizia municipale,
un’auto avrebbe attraversato a forte velocità un’isola pedonale di Acciaroli
(senza però causare danni a cose o a persone, elemento che, insieme ad alcune
testimonianze raccolte, porta a dubitare che l’auto andasse a una velocità
sostenuta). Il mattino successivo, i carabinieri hanno avvistato la stessa auto,
che non si sarebbe fermata all’alt delle forze dell’ordine, determinando un
inseguimento conclusosi all’altezza di un cub turistico della zona, dove
Mastrogiovanni, che qui stava trascorrendo le vacanze, si è fermato,
raggiungendo il mare (secondo alcune testimonianze cantando la canzone anarchica
Addio Lugano bella), in cui si è rifugiato mentre, come se si stesse
realizzando una vera e propria caccia all’uomo, sopraggiungevano forze
dell’ordine e operatori sanitari su tutti i fronti: a largo una vedetta della
Capitaneria di porto, sulla spiaggia agenti della polizia municipale,
carabinieri e operatori sanitari con ambulanza a seguito. Dopo una lunga
trattativa, Mastrogiovanni è uscito dal mare, gli sono stati somministrati
farmaci, ha fatto una doccia, è salito autonomamente sull’ambulanza. Tutti
elementi che sembrerebbero far venir meno la necessità di un Tso che invece è
proseguito: con l’ordinanza n. 53 del 31 luglio 2009, il sindaco ha disposto il
Trattamento Sanitario Obbligatorio in degenza ospedaliera, e gli operatori sono
rimasti sordi all’invocazione dello stesso Mastrogiovanni la cui unica
richiesta, al momento di entrare sul mezzo del 118, è stata di non essere
trasferito all’ospedale di Vallo perché lì, con un terribile presagio che
forse ha radici in esperienze passate, si dice certo che lo avrebbero ammazzato.
Come ancora troppo spesso accade, il Trattamento Sanitario Obbligatorio, che
dovrebbe essere uno strumento eccezionale, con esclusiva valenza sanitaria, di
tutela delle persone con sofferenza psichica, sembra trasformarsi in una sorta
di mandato di cattura, un atto che tradisce i principi ispiratori della legge e
delle tutele costituzionali, realizzando sottrazione e compressione dei diritti.
Quello che è accaduto nel reparto psichiatrico dell’Ospedale San Luca, prima
che dagli atti processuali, viene restituito dai filmati delle telecamere di
videosorveglianza del reparto, che, mostrati in trasmissioni televisive,
incontri e nel documentario 87 ore – Gli ultimi giorni di Francesco
Mastrogiovanni di Costanza Quatriglio, hanno rivelato la realtà di un reparto
ospedaliero di psichiatria le cui prassi di intervento nulla sembrano avere a
che fare con la cura: in quelle immagini si riproduce la visione di luoghi
angusti e trasandati, in cui il corpo di Mastrogiovanni (e non solo il suo)
resta legato per giorni interi a un letto, mentre è sedato dagli psicofarmaci,
con cinghie ai polsi e alle caviglie. In un reparto confinato da una porta
sempre chiusa, medici e infermieri appaiono indifferenti al dolore, alle
richieste d’aiuto, non mostrano alcuno sguardo di cura, l’unico intervento è
quello farmacologico e una contenzione protratta per oltre ottantasette ore.
Mastrogiovanni subisce un processo di progressiva mortificazione e
nullificazione della persona, resta bloccato su un lettino troppo piccolo, che
non riesce nemmeno a tenere tutto il suo corpo, a volte nudo, altre solo con un
pannolone, le flebo applicate al braccio da cui, nel corso di questa vera e
propria agonia, fuoriesce anche del sangue che va a formare una chiazza rossa
sul pavimento, pulita dagli inservienti senza prestare alcuna attenzione al
paziente. Un’assenza di empatia che si reitera per tutto il tempo del ricovero,
anche quando portano il pranzo e, nel corso di una scena tragicamente grottesca,
lo lasciano dove Mastrogiovanni, legato, non può arrivare, dovendolo quindi
riportare via intonso, per poi affermare, nel corso del processo, che sarebbe
stato Mastrogiovanni a non voler mangiare. Alcune immagini mostrano anche un
altro uomo legato, evidenziando, come emerso pure nelle diverse fasi
processuali, un utilizzo della contenzione acritico e routinario. […]
Dal 31 luglio al 4 agosto del 2009, quindi, nel reparto psichiatrico di un
ospedale pubblico italiano, un uomo che svolge il lavoro di maestro elementare
ed è amato dai suoi allievi, viene sedato e legato al letto mentre dorme, senza
una giustificazione, senza che nessuno gli parli, lasciato in uno stato di
totale abbandono, senza che si realizzino le doverose e continue azioni di
controllo e monitoraggio delle sue condizioni di salute, che man mano
peggiorano, senza alcuna annotazione della contenzione nella cartella clinica.
Alla nipote, che, come ci racconta di seguito, si era recata in ospedale per
incontrarlo, viene negato il diritto a visitare lo zio, “per non turbarlo” le
dice (come troppo spesso ancora si sente ripetere in situazioni simili) il
medico del reparto. Per tutto il tempo del ricovero, le braccia e le gambe di
quest’uomo restano strette dalle fascette al letto, non può muoversi, non si
alimenta e non beve autonomamente, gli somministrano integratori e psicofarmaci
volti alla sedazione di uno stato di agitazione che, come conferma nel
successivo dialogo Ortano, nulla ha che fare con atteggiamenti auto o
etero-aggressivi (che Mastrogiovanni non manifesta mai durante il ricovero), ma
cresce, col passare delle ore, proprio per l’impossibilità di muoversi, per
l’essere bloccato, per le abrasioni e le escoriazioni sul corpo, determinate da
quella condizione di cattività resa ancora più insopportabile dal caldo di
quelle giornate estive.
Francesco Mastrogiovanni muore nella notte per edema polmonare acuto, ma se ne
accorgeranno solo in mattinata, annotando il decesso nella cartella clinica a
distanza di dieci ore dalla precedente indicazione.