Intervista a Flavio Rossi Albertini, legale di Alfredo Cospito “segnalato”
all’ordine degli avvocati dalla direzione del carcere di Sassari per un saluto.
“Gli riconosco la dignità di essere umano, che è un principio cardine della
nostra cultura e gli esprimo la mia vicinanza perché ritengo ingiusto per lui il
41 bis” di Michele Gambirasi da […]
Tag - 41bis
Flavio Rossi Albertini legale di Alfredo Cospito, saluta il suo assistito con
una stretta di mano e due baci sulle guance, il direttore del carcere di
Sassari/Bancali lo segnala all’Ordine degli Avvocati per eventuali provvedimenti
disciplinari Una stretta di mano e due baci sulle guance. Così l’avvocato Flavio
Rossi Albertini, lo scorso maggio, ha salutato […]
Il Tribunale di Milano ha condannato a 10 anarchici a pene fra 1 anno e 6 mesi e
4 anni e 7 mesi di reclusione per la manifestazione in solidarietà di Alfredo
Cospito e contro il 41 bis dell’11 febbraio 2023 a Milano Oggi a Milano la
sentenza di primo grado del processo per il […]
Il 4 Marzo 2023 un corteo in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo
Cospito – intrapreso il 17 Ottobre 2022 contro 41 bis ed ergastolo ostativo – ha
attraversato…
Ad Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto al 41bis, è stato vietato l’acquisto
dei vangeli apocrifi e di libri di fisica e fantascienza. Per la direzione del
carcere di Sassari. dov’è recluso, i libri sono pericolosi.
di Frank Cimini da l’Unità
Nel caso specifico parliamo di un testo sui vangeli apocrifi, uno di fisica
quantistica e due di fantascienza. La direzione del carcere di Sassari Bancali
ne ha vietato l’acquisto all’anarchico Alfredo Cospito adducendo un parere
negativo dell’autorità giudiziaria che non vi sarebbe stato secondo i difensori,
i quali hanno presentato ricorso. Sarà celebrata un’udienza per stabilire se
Cospito può avere quei libri perché evidentemente la giustizia ha tempo da
perdere.
“Nell’ultimo mese – spiega l’avvocato Flavio Rossi Albertini – a Cospito era
stato negato pure l’acquisto di un Cd musicale. Era stato negato l’accesso alla
biblioteca del carcere che non aveva neppure provveduto a ritirare
tempestivamente un pacco inviatogli dalla sorella, determinandone il rinvio al
mittente”. In relazione all’accesso alla biblioteca la direzione della prigione
spiegava che il “disguido” era stato generato da problemi organizzativi interni
e che sarebbe stato emesso apposito ordine di servizio. Le condizioni di
detenzione dì Cospito ristretto al 41bis sono peggiorate non proprio per caso
dopo la condanna in primo grado per rivelazione del segreto d’ufficio del
sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro delle Vedove per la vicenda
delle intercettazioni ambientali divulgate in Parlamento, delle conversazioni
tra Alfredo e gli altri reclusi che all’epoca facevano parte del “gruppo di
socialità”.
Altre “coincidenze” che viene da pensare possano avere il loro peso in questa
vicenda sono le dimissioni alla fine del dicembre scorso del direttore del Dap,
Giovanni Russo, che aveva testimoniato non proprio a favore di Delmastro nel
processo a suo carico, e ancora, il ritorno al comando della sezione 41bis di
Bancali del graduato del gruppo operativo mobile che era stato trasferito
proprio per il suo coinvolgimento nella faccenda delle intercettazioni.
Alfredo Cospito sta continuando a pagare sulla propria pelle il lunghissimo
sciopero della fame per protestare contro il 41bis non solo e non tanto per sé
ma per gli altri 700 detenuti ai quali viene applicato. Le simpatie suscitate
dal digiuno avevano messo in imbarazzo il sistema che da allora si sta
vendicando. Era stato considerato una sorta di sciopero della fame “a scopo di
terrorismo”. La storia dei libri negati è solo l’ultimo episodio di una lunga
serie. Negare la possibilità di leggere rappresenta una tortura ulteriore. Libri
pericolosi. Negli anni ‘70 un bambino spiegava l’arresto del padre “terrorista”
dicendo: “Aveva troppi libri in casa”.
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La Cedu condanna l’Italia per la detenzione in regime di 41bis di un detenuto
affetto da demenza. Penalisti contro la circolare punitiva per l’Alta sicurezza
e la censura ai detenuti redattori
di Eleonora Martini da il manifesto
Mentre arriva l’ennesima condanna all’Italia da parte della Corte europea dei
diritti umani, questa volta riguardo un detenuto affetto da demenza sottoposto
al 41 bis, e mentre scoppia la polemica su una circolare del Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria che impone un giro di vite per i detenuti
dell’Alta Sicurezza, Carlo Nordio annuncia l’«imminente» sblocco dell’empasse
istituzionale che da quattro mesi congela al vertice della gestione
penitenziaria la facente funzione Lina Di Domenico, figura particolarmente
vicina ad Andrea Delmastro Delle Vedove. Rispondendo al question time in Senato,
il Guardasigilli ha puntualizzato però che «spetta al ministro proporre al
Consiglio dei ministri la nomina del capo del Dap, non certamente al
sottosegretario». Mentre sul sovraffollamento è riuscito ad affermare che non è
colpa della «bulimia legislativa» del governo «ma di chi commette reati e della
magistratura che li mette in prigione».
Nordio in ogni caso ha difeso la prima magistrata donna arrivata a capo del
Dipartimento di Largo Daga: «Ha fatto un lavoro che dimostra una sua attenzione
eccezionale», ha detto il ministro ricordando, tra le altre cose, «il gruppo di
lavoro multidisciplinare» da lei creato «per la prevenzione degli eventi
suicidari delle persone detenute». Che però non ha impedito il suicidio in
carcere e nelle Rems già di ben 28 detenuti dall’inizio dell’anno, mentre si
contano 88 decessi totali dietro le sbarre. Un numero che è «il segno più
eclatante del malessere che alberga negli istituti penitenziari», segnala
l’Unione delle camere penali che evidenzia come in questo contesto il Dap
consideri invece prioritario emanare «una circolare-manifesto» che impartisce
regole di vita più dure per i detenuti dell’Alta Sicurezza e una più «rigorosa
applicazione del regime di “custodia chiusa”».
Una circolare, insiste l’Ucpi, datata 27 febbraio ma «disponibile da poco
tempo», e giustificata da «non meglio precisate “relazioni di servizio”, anonime
“proteste” e “lamentele”» che segnalerebbero, secondo il Dap, «modalità
organizzative disallineate rispetto alle circolari in vigore» e non aderenti
«alle imprescindibili e primarie esigenze di sicurezza penitenziaria». Gli
avvocati penalisti si scagliano anche contro la «cortina di silenzio che il Dap
ha fatto scendere sulla situazione nelle carceri, al punto di vietare la
pubblicazione, in alcuni istituti, di giornali animati dai detenuti o di
silenziarne la voce, impedendo, in altri, che gli articoli di stampa sul carcere
vengano sottoscritti con il nome e cognome degli autori». Un problema, questo,
che è stato denunciato dal direttore del trimestrale Voci dentro Francesco Lo
Piccolo e dal coordinamento dei giornali delle carceri che riferiscono anche
l’«imposizione da parte del Dap di argomenti ammessi alla pubblicazione con la
precisa esclusione di altri temi ritenuti non idonei» e «la lettura preventiva
degli articoli o dell’intero giornale da parte delle direzioni».
In questo quadro inquietante cala la condanna emessa ieri dalla Cedu nei
confronti dell’Italia per aver continuato a tenere recluso in regime di 41 bis
un novantenne capo mafioso, Giuseppe Morabito, dal 2014 detenuto nel carcere
milanese di Opera, «nonostante il suo progressivo deterioramento cognitivo» e le
tante patologie di cui è affetto. Il Governo non ha convinto la Corte di
Strasburgo della necessità di applicare in questo specifico caso il regime
detentivo finalizzato a recidere ogni possibile contatto con gli altri membri
delle organizzazioni criminali di appartenenza. I giudici infatti, puntualizza
la sentenza firmata dalla presidente Ivana Jelic, non vedono «come una persona
affetta da un indiscusso declino cognitivo – e addirittura diagnosticata con il
morbo di Alzheimer – e incapace di comprendere la propria condotta o di seguire
un’udienza giudiziaria, possa allo stesso tempo conservare una capacità
sufficiente per mantenere o riprendere – in un’età così avanzata, dopo quasi
vent’anni trascorsi in un regime particolarmente restrittivo – contatti
significativi con un’organizzazione criminale».
La Cedu ha invece rigettato il ricorso presentato dall’avvocata Giovanna
Beatrice Araniti in difesa di Morabito riguardo l’incompatibilità dell’uomo con
la detenzione. Ma ha comunque stabilito che la constatazione della violazione
dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani – che proibisce di
sottoporre chiunque a trattamenti inumani e degradanti – «costituisce di per sé
un’equa soddisfazione, sufficiente per il danno morale subito» dall’anziano
detenuto. L’avvocata si augura che la sentenza di Strasburgo pesi ora sul
ricorso presentato da Morabito in Cassazione per ottenere la sospensione del
cosiddetto regime di “carcere duro” che subisce come fosse una pena aggiuntiva.
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La consulta ritiene illegittima la norma che dimezza il diritto dei detenuti:
«Non aumenta la sicurezza». Altri due suicidi in meno di 48 ore
di Eleonora Martini da il manifesto
Non lasciarli respirare è incostituzionale. Se per il sottosegretario alla
Giustizia Andrea Delmastro togliere idealmente l’aria ai detenuti in regime di
41 bis è «un’intima gioia», come dichiarò qualche tempo fa presentando la nuova
auto blindata adibita al trasporto di questo tipo di reclusi, per la Corte
costituzionale è invece «illegittimo» concedere loro meno di quattro ore al
giorno di permanenza all’aria aperta.
La Consulta lo ha stabilito con la sentenza numero 30 depositata ieri tramite la
quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 41bis, comma
2-quater, dell’Ordinamento penitenziario. Pur senza porre «in alcun modo in
discussione l’impianto complessivo del regime speciale». Una modalità di
detenzione chiamata comunemente, non a caso, di “carcere duro”.
LA NORMA CENSURATA dai giudici costituzionali prevedeva «una durata non
superiore a due ore al giorno», limite stabilito «in seguito al dimezzamento
operato dalla legge 94 del 2009». A sollevare le questioni di legittimità
costituzionale era stato il Tribunale di Sorveglianza di Sassari al quale si era
rivolto G.B., un detenuto al 41 bis nel locale carcere di Bancali dove gli
venivano concesse soltanto due ore d’aria al giorno, mentre l’uomo chiedeva di
goderne almeno quattro, come previsto per i detenuti in regime ordinario
(articolo10 ord. pen.) e come stabilito nel trattamento di «miglior favore»
introdotto dalla riforma del 2018. Il magistrato di sorveglianza di Sassari
aveva rifiutato la richiesta e così il Tribunale si è rivolto alla Consulta.
Ora, considerando che nel «regime differenziato» del 41 bis il detenuto
trascorre le ore d’aria in «un gruppo di persone molto ristretto (non più di
quattro, e quindi anche tre o due), opportunamente selezionato
dall’amministrazione penitenziaria», la Corte ha ritenuto che il limite massimo
di due ore al giorno (a meno di «giustificati motivi» o nel caso di reclusi
sottoposti «a sorveglianza particolare») nulla ha a che fare con la finalità
rieducativa della pena, né con la necessità di impedire i contatti del carcerato
con le organizzazioni criminali di affiliazione.
UNA NORMA da censurare, dunque, perché «mentre comprime, in misura ben maggiore
del regime ordinario, la possibilità per i detenuti di fruire di luce naturale e
di aria, nulla fa guadagnare alla collettività in termini di sicurezza, alla
quale viceversa provvede, e deve provvedere, l’accurata selezione del gruppo di
socialità, unitamente all’adozione di misure che escludano la possibilità di
contatti tra diversi gruppi di socialità». Invece, si legge nella sentenza
firmata dai giudici Amoroso e Petitti, «beneficiare di aria e luce all’aperto
contribuisce a delineare una condizione di vita penitenziaria che, non solo
oggettivamente, ma anche e soprattutto nella percezione dei detenuti, possa
essere ritenuta più rispondente al senso di umanità, in conformità alle
specifiche raccomandazioni espresse sul punto dal Comitato europeo per la
prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti
(Cpt)».
> La norma censurata nulla fa guadagnare alla collettività in termini di
> sicurezza, alla quale viceversa provvede, e deve provvedere, l’accurata
> selezione del gruppo di socialità
D’ALTRONDE che le condizioni di vita nel carcere di Bancali abbiano superato i
limiti della tollerabilità, lo testimonia anche la Garante dei detenuti della
Sardegna Irene Testa che visitando ieri la Casa circondariale di Sassari ha
trovato «un ragazzo di 20 anni che non mangia dal 14 febbraio e ha perso oltre
15 kg». Non solo: «In una sezione con 16 celle sono presenti 55 detenuti, la
maggior parte stipati in quattro per cella. I soffitti sono umidi, le pareti
scrostate, le stanze in condizioni igieniche precarie, a volte senza termosifoni
o porte nei bagni. Urla continue. Detenuti psichiatrici che parlano da soli, che
gridano o che gettano acqua, cibo e detersivo nei corridoi. Tanti stranieri
hanno chiesto di poter avere vestiti e scarpe».
VA DETTO che non va meglio negli altri istituti penitenziari d’Italia. E nelle
ultime 48 ore in particolare a Montorio, Verona, dove in meno di due giorni due
detenuti si sono tolti la vita. Portando a 19 il numero dei suicidi in cella
dall’inizio dell’anno. Un tema, questo, sul quale l’opposizione ha chiesto ieri
al ministro Nordio un’informativa al Senato. Mentre la seduta straordinaria per
parlare delle carceri a 360 gradi richiesta dagli stessi partiti del centro
sinistra si terrà domani, alla Camera. Sperando che la discussione porti
consiglio.
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Il carcere è un’istituzione totale prodotto di una società basata sul dominio e
sullo sfruttamento. Lungi dall’essere una soluzione ai problemi sociali,
rappresenta una delle tante facce della violenza degli stati.
di Eugenio Losco da Umanità Nova
Gennaio 2023. Con uno sciopero della fame a oltranza, l’anarchico Cospito sta
costringendo tutto il paese a interrogarsi sulla legittimità del 41 bis, il
regime di carcere durissimo cui è sottoposto. La determinazione dell’anarchico
sta facendo emergere il tema del rispetto dei diritti umani dei detenuti in
genere, e di quelli sottoposti a regimi detentivi differenziati, uno dei grandi
rimossi del dibattito pubblico italiano. Il governo più a destra della storia
della repubblica, insediato solo pochi mesi prima, è in difficoltà. Ma il
deputato meloniano Donzelli crede di avere in mano la carta vincente per
cambiare la narrazione: ha la prova che Cospito ha parlato con un condannato per
mafia, ricevendone solidarietà. Coincidenza, succedeva nello stesso giorno in
cui alcuni parlamentari della sinistra (non invitati) si recavano in visita
all’anarchico. Risulta da un rapporto della Polizia Penitenziaria, che ha
registrato la conversazione. Apriti cielo. Il 31 gennaio, il deputato Donzelli,
con ostentato sdegno, svela il contenuto del rapporto alla Camera: “Questa
sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi con la mafia?”.
A tanto è ridotto il livello del dibattito parlamentare. Parole che non
meriterebbero neppure replica non fosse che, senza volere assumere la difesa
d’ufficio dei parlamentari accusati, offrono un’occasione per ricordare cosa
significa essere sottoposti al 41 bis. Censura totale della corrispondenza;
limitazione dei colloqui con i familiari, che avvengono con un vetro divisorio;
accesso limitato ai mezzi di informazione, scelti arbitrariamente
dall’amministrazione penitenziaria; assurdi divieti alimentari. Si sta chiusi in
isolamento per ventidue ore al giorno e l’ora d’aria si svolge in piccoli
cortili sotto stretta sorveglianza; al detenuto è concessa la possibilità di
incontrarsi con al massimo altri tre detenuti, ovviamente sottoposti allo stesso
regime e scelti dall’amministrazione.
E arriviamo al presunto scandalo sbandierato dal deputato di Fratelli d’Italia.
L’anarchico parlava con un condannato per mafia e ne riceveva la solidarietà. E
che scandalo sarebbe? Se Cospito parlava con un condannato per mafia è perché,
letteralmente, era l’unica persona umana con cui l’amministrazione penitenziaria
gli avesse consentito di farlo. I detenuti sottoposti alla tortura del 41 bis in
Italia sono circa 700; tutti (tranne Cospito e i BR-NCC Lioce, Mezzasalma e
Morandi) sono condannati per mafia. Con chi mai avrebbe Cospito potuto
confrontarsi se non con altri detenuti sottoposti al 41 bis? Da chi mai avrebbe
potuto ricevere solidarietà per una battaglia in nome dell’uguaglianza nella
lotta se non da altri, sottoposti allo stesso regime?
Per aver divulgato il contenuto della relazione al deputato e compagno di
partito (nonché, sembra, coinquilino) è stato adesso condannato in primo grado a
8 mesi di reclusione Andrea Delmastro, sottosegretario alla giustizia del
governo Meloni. Secondo la Procura, che aveva chiesto per l’imputato
l’assoluzione per difetto dell’elemento soggettivo, Delmastro non sapeva, quando
le ha divulgate, che fossero notizie segrete. Diversa la valutazione del
Tribunale. Senza entrare troppo nel merito, così, anche a occhio, il contenuto
di una conversazione tra detenuti al 41 bis, è una cosa un po’ riservata:
difficile (o grave) che un sottosegretario alla giustizia, che è anche avvocato,
lo potesse ignorare.
Quel che resta, alla fine di questa storia, è la determinazione di Cospito nel
portare avanti anche a rischio della propria vita la battaglia contro le
condizioni detentive cui sono sottoposti i detenuti al 41 bis e forse, il modo
migliore per ricordarla lo ha offerto proprio il deputato Donzelli, svelando al
Parlamento le sue parole: “Deve essere una lotta contro il regime 41 bis e
contro l’ergastolo ostativo: non deve essere una lotta solo per me. Per me noi
al 41 bis siamo tutti uguali”.
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In politica le parole sono piume. Ma quando si tratta di galera diventano ceppi.
«Il 41bis e l’ergastolo ostativo sono imprescindibili. Sul carcere duro non si
arretra di un millimetro» annuncia la premier Meloni
di Andrea Colombo da il manifesto
In politica le parole sono piume. Ma quando si tratta di galera diventano ceppi.
«Il 41bis e l’ergastolo ostativo sono imprescindibili» salmodiava un paio di
giorni fa la premier Meloni. «Sul carcere duro non si arretra di un millimetro»,
s’infervorava il ministro-ombra della Giustizia Andrea Delmastro, quello che se
la gode quando i detenuti restano senza aria da respirare e se ne vanta pure.
Detto fatto. La commissione antimafia ha iniziato a darsi da fare per irrigidire
il carcere duro. Già così la Francia ce lo invidia e s’industria di imitarlo.
Figurarsi quando sarà durissimo: il vanto della Nazione.
La scusa, pardon l’occasione, è la maxiretata di Palermo: 181 arresti e la prova
provata che dal carcere arrivavano chiamate con i cellulari criptati. Non da
galeotti in 41bis, per la verità. Ad adoperare i telefoni entrati di
contrabbando in cella erano i dannati del girone infernale appena inferiore, il
regime d’alta sicurezza: non proprio una tortura (certificata dalla Corte
europea per i diritti dell’uomo) come il 41bis ma pur sempre roba forte. Il
salto logico per cui per una falla nell’alta sicurezza si stringono le maglie
già soffocanti del carcere duro sfugge ma tant’è. Di fronte alle parole mafia e
terrorismo nessuno si formalizzerà.
Il guaio è che c’è di mezzo la Corte costituzionale. Nel 2021 la Consulta aveva
ordinato di modificare entro un anno l’ergastolo ostativo, art. 4 bis,
considerandolo incostituzionale. Era stato necessario sfornare in tutta fretta,
nel 2022, una legge che eliminasse «il divieto di concessione dei benefici
penitenziari» ai detenuti che non collaborano con la giustizia, cioè che non
denunciano qualcuno per provare l’avvenuta redenzione. Paletti e limitazioni di
ogni tipo hanno per la verità reso la modifica imposta dalla Corte
costituzionale più formale che reale. I 738 carcerati attualmente in regime di
massima restrizione continuano in linea di massima ad avere sempre la stessa
chiave per aprire la cella. Ma alla maggioranza quello spiraglio di civiltà è
sembrato da subito una resa, un cedimento, uno spalancar le porte ai cosiddetti
boss e si sa che se uno finisce in quel regime penitenziario è boss per
definizione anche se non ha mai dato un ordine in vita sua e persino se, essendo
in attesa di giudizio, è dubbio che ne abbia anche solo ricevuti.
Ora che la retata regala un alibi il primo obiettivo sarebbe appunto rimangiarsi
quella vergogna tornando ai fasti di Guantanamo, oooppssss del 4 bis: chi non
parla non esce e poche storie. Certo ci vorrà una certa perizia per aggirare una
sentenza della Corte ma qualcosa le teste d’uovo capitanate da Chiara Colosimo,
la Sorella che presiede l’Antimafia, cercheranno di inventarsela. Senza fermarsi
a questo, ci mancherebbe. Per «attuare un taglio netto e radicale del cordone
ombelicale tra detenuti e famiglie criminali di riferimento», secondo la fiorita
prosa della presidente Colosimo, e soprattutto «per evitare pericolose derive
interpretative», cioè per evitare che la legge imposta dalla Consulta venga
applicata anche solo per caso ed eccezione, non ci sarà limite alla fantasia
perversa del legislatore.
Non che la destra al governo di fantasia ne abbia per la verità molta. Qualsiasi
sia il nodo da sciogliere la formula è sempre la stessa: più galera, a meno che
naturalmente non si tratti di torturatori libici. La differenza sta nel fatto
che su tutto il resto l’opposizione qualcosa da pigolare ce l’ha. Quando si
arriva al 41 bis e all’ergastolo ostativo invece l’accordo è generale, l’intesa
perfetta. Non è bello sapere che qualcosa che unisce la nazione in fondo c’è?
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Inchiesta Sibilla, assolto Alfredo Cospito. Ovviamente non sapremo mai i costi
di questa inchiesta perché sul tema vige una sorta di segreto di Stato. In nome
della sacra lotta al terrorismo, pure in tempo di repressione senza sovversione,
procure e apparati investigativi fanno quello che vogliono e legittimano le
barbarie del 41bis
di Frank Cimini da L’Unità
Alfredo Cospito è stato assolto insieme ad altri 11 anarchici dal giudice per le
indagini preliminari di Perugia in relazione alle attività della rivista
Vetriolo considerata “clandestina” con imputazioni di istigazione a delinquere e
istigazione all’evasione aggravate dalla finalità di terrorismo.
Ma prima di essere assolto Cospito aveva preso la parola da remoto nel carcere
di Sassari Bancali “per ringraziare” la celebrazione dell’udienza. “Mi tocca
ringraziarvi – sono state le sue parole. Dopo un anno di silenzio grazie al
vostro imbarazzante e anacronistico procedimento penale mi è concesso di
esprimere il mio pensiero pubblicamente anche se per il breve tempo di un
battito d’ali oggi posso strapparmi il bavaglio, la mordacchia medioevale di un
41bis che un governo di centrosinistra anni fa mi ha applicato per mettere a
tacere la mia voce scomoda per quanto minoritaria e ininfluente ma certo nemica
di questa vostra democrazia. Questi due anni di regime speciale mi hanno
definitivamente aperto gli occhi sul vero volto del vostro diritto, delle vostre
garanzie costituzionali rivelando un sistema criminogeno fatto di totalitarismo
osceno quanto crudo e assassino”.
Il procedimento denominato “Sibilla” era nato nel 2021. Anni di intercettazioni
e pedinamenti, 22mila atti. Il gup ha deciso il non a luogo a procedere.
Ovviamente non sapremo mai i costi di questa inchiesta perché sul tema vige una
sorta di segreto di Stato. In nome della sacra lotta al terrorismo, pure in
tempo di repressione senza sovversione, procure e apparati investigativi fanno
quello che vogliono. Incontrollati e incontrollabili.
“In questa aula – ha aggiunto Cospito dal carcere di Sassari Bancali – stiamo
subendo un processo inquisitoriale basato su una intervista rilasciata con
regolare posta carceraria e non come vuol far credere l’accusa attraverso il
colloquio con mia sorella trascinata in aula per il solo fatto di continuare
imperterrita a fare colloqui con il fratello. Classica strategia di tutti i
regimi autoritari nel mondo, usata regolarmente al 41bis per fare terreno
bruciato di ogni legame affettivo con l’esterno”.
Alfredo Cospito, protagonista di un lunghissimo sciopero della fame nel 2023 per
ricordare a tutti la tortura del 41bis che riguarda oltre 700 detenuti non
demorde e continua a denunciare “una concezione del diritto degna della vostra
epoca. Questa è la lebbra che chiamate civiltà”. Intanto in diversi tribunali
del paese sono in corso inchieste a carico di persone che parteciparono ai
cortei e alle manifestazioni di solidarietà a Cospito, uno dei pochi punti di
riferimento di una opposizione che fa fatica a realizzarsi.
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