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Vicenza: sgombero presidio No Tav a Ca’ Alte
A Vicenza, le forze dell’ordine hanno iniziato lo sgombero del bosco di Ca’ Alte, rimuovendo attivisti e attiviste che si erano incatenati davanti ai cancelli d’accesso in difesa di quel prezioso spazio verde. Il bosco, infatti, rischia di essere distrutto per fare posto ai lavori per il Tav. L’Italia continua a essere martoriata dalle grandi […]
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Torino: pubblicate le motivazioni della sentenza in primo grado del processo per associazione a delinquere
A marzo scorso il Tribunale di Torino faceva cadere il capo di imputazione per associazione a delinquere nei confronti di Askatasuna, Movimento No Tav e Spazio Popolare Neruda a seguito di un lungo e tortuoso processo. Il teorema di Procura e Questura di Torino nelle motivazioni dei giudici viene spacchettato pezzo per pezzo e vengono […]
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Due anni di carcerazione domiciliare per il referente sindacale dei Si-Cobas di Modena
Carcerazione domiciliare di due anni per il referente del sindacato in lotta Si Cobas di Modena, Enrico Semprini. Tale ordine riguarderebbe una condanna collegata alle lotte No Tav ed alla partecipazione ad alcune iniziative di protesta davanti alle fabbriche. Enrico Semprini non ha infatti ottenuto di pene alternative alla detenzione domiciliare a seguito delle denunce per gli scioperi e per l’attività svolta col sindacato al fianco di operai/e. Enrico Semprini ai microfoni di Radio Onda d’Urto Ascolta o scarica   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
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Di fronte all’accusa di associazione a delinquere siamo tutti/e “Associazione a Resistere”! Lunedì 31 marzo presidio al Tribunale
Lunedì 31 marzo sarà emessa la sentenza di primo grado nel processo contro 26 compagni e compagne del centro sociale Askatasuna, dello spazio popolare Neruda e del movimento NO TAV, con condanne richieste per un totale di 88 anni. 16 tra loro sono accusati di “associazione e delinquere”, dopo una lunga e costosa inchiesta della […]
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Carcere ai ribell3: il carcere come strumento di repressione del dissenso
Il libro “Carcere ai ribell3: il carcere come strumento di repressione del dissenso” è appena uscito per l’Associazione Editoriale Multimage ed è stato curato Nicoletta Salvi Ouazzene, attivista del comitato Mamme in piazza per la libertà del dissenso di Torino. Il libro racconta diverse storie che hanno visto come protagoniste in particolare donne, militanti e […]
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Il maestro e le margherite
Gianni è stato tante cose diverse. Era del 1938. Sua madre partorì in casa a Mombercelli. Lui era prematuro e gracile: la durezza degli anni della guerra facevano presagire che non avrebbe passato l’infanzia. Invece “Spinacino” ce ha fatta. In barba al freddo, alle bombe, alla fame e ai tanti malanni di quei primi anni, arriverà al 5 febbraio 2025, quando se ne è andato nel sonno. Lasciato il paese, da cui riporterà il ricordo indelebile degli alberi, delle foglie, dell’aria di collina, con i genitori e il fratellino si trasferisce a Torino. Il panorama della città nel primo dopoguerra è segnato dalle macerie delle case bombardate e dagli alberi dei viali tagliati per fare legna. I soldi sono pochi e la vita, in due stanze con il ballatoio ed il cesso fuori, è grama. La scuola sarà per lui un mondo speciale, che amerà sin dai primi anni. Al punto che sceglierà di fare il maestro. La laurea, che, all’epoca non serviva per insegnare alle “elementari” come si chiamavano allora, la prenderà anni dopo, con una tesi di pedagogia libertaria. A cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta il giovane maestro viene allontanato dall’insegnamento per cinque lunghi anni, in cui verrà confinato in un ufficio. Le sue idee erano troppo sovversive. A quell’epoca la scuola elementare era simile ad una piccola caserma. I bambini separati dalle bambine, le divise, lo stare sull’attenti, il recitare la preghiera, l’alzarsi in piedi quando entrava l’autorità, lo stare per ore immobili, “composti” nei banchi. Gianni si nutre delle idee e delle esperienze di Celestin Freinet, del nativo canadese Wilfred Peltier, della scuola pedagogica statunitense. Gianni, quando arriva in classe si fa dare del tu ai bambini, non li rinchiude nell’aula, li porta fuori a toccare con mano le cose: il fiume, gli alberi, ma anche la realtà sociale, quella dei profughi istriani delle Vallette, quella dei napoletani emigrati in gran numero a Cirié, all’imbocco delle valli di Lanzo, dove insegnerà a lungo dopo la pausa forzata imposta dal Ministero. A Cirié, complice una mamma che sapeva riparare le bici, i bambini partono ad esplorare il territorio per capire la cosa più importante: le domande da fare, la curiosità che nasce dall’esperienza, il proprio percorso nella vita. Con le bici Gianni e i suoi bambini arrivano ad invadere la pista dell’aeroporto di Caselle, per vedere come erano fatti gli aerei, con i quali i più fortunati partivano per paesi favolosi, che ai ragazzini della Ciriè operaia erano preclusi. Tante imprese, tanti viaggi, soprattutto viaggi nella realtà sociale, dove si parla di lavoro e di licenziamenti punitivi. Una volta, con i bambini occupa l’ufficio del sindaco perché a scuola fa freddo. Storie di frontiera in una scuola che oggi non è più fatta di autorità e disciplina anche grazie ai partigiani dei bambini come Gianni Milano. Lui lo diceva a chiare lettere: “bisogna dar voce ai bambini: sono loro che decidono come apprendere meglio, e cosa fare”. Gli ultimi anni a scuola, dove lavorerà per 40 anni, li trascorre a Lanzo dove insegna alle future maestre. Quando i suoi capelli sono diventati tutti bianchi, ha continuato a portarli lunghi e scarrufati, come ai tempi in cui si guadagnò il soprannome dispregiativo, ma portato con orgoglio, di “maestro capellone”. Lui non ne parlava più di tanto, ma se date un’occhiata ai libri, alle riviste, alla storia di quegli anni speciali scoprirete che è stato tra i protagonisti della cultura beat nel nostro paese. Era un fricchettone colto, scriveva poesie sulla sua lettera 32. Poesie che trovate sparse qua e là, di recente molte sono state raccolte in un volume per le edizioni Fenix. D’estate, quando le scuole erano chiuse, autostop e via per il mondo. Ma poi tornava sempre a Torino, che non era più la città bigia e dura dei suoi primi anni, ma sempre la città in cui si sentiva a casa, all’ombra delle montagne. Era amico di Fernanda Pivano e di Allen Ginsberg, è stato uno dei protagonisti della beat generation: pubblica Off Limits (1966), Guru (1967), Prana (1968), King Kong (1973), Uomo Nudo (Tampax, 1975). È tra i fondatori della Pitecantropus Editrice, un tentativo di unire le anime della cultura Beat. Spirito profondamente libertario, specie negli ultimi anni si lega al movimento anarchico, attraversandone le lotte. Abitava in fondo a corso Vercelli, a due passi dal Balon, dove lo incontravamo spesso in occasione di presidi e banchetti. Arrivava e parlava con tutti, indossando un fazzoletto rosso e nero, spacciando idee e libri. Vivace come un folletto, mai stanco, nonostante gli anni che passavano ed i nuovi malanni. Lo ricordiamo in tanti 25 aprile, tanti primi maggi, portare con orgoglio la bandiera rossa e nera. Anche in valle ha intersecato varie volte le strade dei cortei e delle lotte, perché in quella lotta popolare, specie in certi anni, seppe riconoscere il tempo che muta, quando la gente comune, quella che non ci è avvezza, alza la testa. Lo conoscevano tutt. Con la sua parlantina sciolta e il suo stile da vecchio maestro, lo trovavate nei posti dove la gente sceglie di essere protagonista, di alzarsi in piedi, di costruire da se il proprio cammino. Eravamo in tanti a salutarlo nel piazzale del Cimitero Maggiore di Torino, nonostante il freddo e la pioggerellina insistita. Il Cor’Occhio circondato da bandiere anarchiche, sullo sfondo uno striscione No Tav ha intonato i canti anarchici e quelli di chi diserta la guerra. Gianni che l’aveva conosciuta fu un antimilitarista convinto, senza sfumature. Lo abbiamo ricordato con la musica, le parole, le sue poesie. In questi tempi grami, con le scuole che rischiano di diventare nuovamente caserme, il ricordo del maestro capellone, che sfrecciava alla testa della sua ciurma di bambini liberati dai banchi per la campagna piemontese, resterà un’ancora che renderà più forte la determinazione a continuare a pedalare per cambiare il mondo intollerabile in cui siamo forzati a vivere. Nel lungo percorso attraverso le grandi statue del monumentale siamo arrivati in una zona povera. Gianni, nato sulla terra, ha scelto di tornarvi. Sulla bara una bandiera nera e tanti garofani rossi. Elfo di città, con un cuore contadino, continueremo a vederlo volteggiare a Torino e in Valle, o al Balon, dove si mescolava con gli anarchici e i senzapatria. Ciao Gianni! I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese
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Val di Susa: allargamento al cantiere di San Didero
Durante la giornata di ieri a San Didero sono iniziati i lavori per la costruzione della rotonda antistante al cantiere, sin da subito i No Tav hanno presidiato il piazzale del presidio, luogo in cui l’allargamento della rotonda potrebbe proseguire. Sono già stati posizionati nuovi jersey lungo la statale 25, creando non poche difficoltà per […]
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A.C.A.B.: la Val Susa secondo Netflix vs la realtà che viviamo
In A.C.A.B., la serie prodotta dalla multinazionale americana Netflix la lotta No Tav viene mostrata in modo macchiettistico e violento, in linea oltretutto con la retorica giornalistica che abbiamo visto in questi anni. La rappresentazione equilibra forzatamente le violenze, suggerendo una simmetria tra le parti, con un ferito per parte, come se il peso reale della repressione fosse bilanciato. il divario è ben più marcato e lo dimostrano le inchieste giudiziarie che ci hanno colpito in questi anni, gli anni di carcere elargiti come se fossero noccioline, i nostri feriti e il territorio militarizzato come se fossimo in guerra. di Movimento No Tav da notav.info In Val Susa abbiamo avuto modo di vedere A.C.A.B., la serie prodotta dalla multinazionale americana Netflix e uscita mercoledi 15 gennaio. Eravamo curiosi di osservare come una fiction di tale portata avrebbe trattato la nostra terra e la nostra lotta. Quello che abbiamo visto non ci ha colpiti: la Val Susa, in questo caso, è solo un pretesto narrativo per introdurre la storia dei reparti celere protagonisti. È significativo, tuttavia, che la lotta No Tav venga mostrata in modo macchiettistico e violento, in linea oltretutto con la retorica giornalistica che abbiamo visto in questi anni. La rappresentazione equilibra forzatamente le violenze, suggerendo una simmetria tra le parti, con un ferito per parte, come se il peso reale della repressione fosse bilanciato. In realtà, il divario è ben più marcato e lo dimostrano le inchieste giudiziarie che ci hanno colpito in questi anni, gli anni di carcere elargiti come se fossero noccioline, i nostri feriti e il territorio militarizzato come se fossimo in guerra. Quello che la serie mette in scena non è uno scontro realistico, ma una sorta di battaglia epica, che ricorda le lotte tra antichi romani e popolazioni barbariche, in cui solo l’inganno consente ai “barbari” di colpire un valoroso centurione. La narrazione non appare squilibrata solo nella rappresentazione della violenza, ma anche nell’attribuzione delle sue origini. Si tenta di far credere al vasto pubblico globale di Netflix che le violenze perpetrate dalle forze dell’ordine in Val Susa – e altrove – siano una reazione inevitabile, giustificata dalla tensione generata dai manifestanti. Questi vengono rappresentati attraverso la solita retorica manichea, che li divide in “pensionati buoni” e “zecche pericolose”, oppure riducendo ogni abuso a episodi isolati causati dal singolo elemento irruento: la stanca e falsa narrazione della “mela marcia” che nega, di fatto, la verità incontrovertibile per cui è il sistema ad essere violento, imponendo con la forza ciò che viene rifiutato da più di 30 anni in questa valle. E quindi nessun riferimento, ovviamente, alle ragioni della protesta, alle origini di una contrarietà ragionata e diffusa nella nostra valle, alla devastazione che quotidianamente osserviamo, ai nostri boschi distrutti, alle colate di cemento, all’inquinamento, ai rischi per la nostra salute. Poiché noi la realtà la viviamo quotidianamente sulla nostra pelle, sappiamo che quello che accade in Valsusa non è un film e infatti conosciamo il prezzo per difendere il nostro territorio dalla devastazione. Siamo di fronte ad un crimine ambientale che all’oggi non vede punire i colpevoli, anche se sappiamo bene chi sono. Cosa che invece sta accadendo è che alcuni di noi sono accusati del reato di associazione a delinquere e dai vari ministeri e da Telt ci viene richiesto un rimborso pluri-milionario per difendere quei cantieri che la nostra valle non ha mai richiesto. La realtà è qui, tra le persone che vivono queste montagne. In questo documentario di cui vi alleghiamo il link, Archiviato (regia di Carlo Amblino, con voce narrante di Elio Germano) sono elencati una piccola parte degli abusi che abbiamo subito in questi anni. La nostra Resistenza ci porterà alla vittoria e questo è quanto basta.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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