Almeno 10 mila – hanno partecipato alla giornata di lotta in Val di Susa; in
corteo, numerose le bandiere della Palestina in solidarietà con le vittime di
Gaza. Sanzionati i cantieri, bloccata l’autostrada. Le minacce di Piantedosi e
Meloni “Li puniremo” Almeno 10 mila – hanno partecipato alla giornata di lotta;
in corteo, numerose le […]
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Lo Stato presenta il conto contro il movimento No Tav: cartelle da migliaia di
euro ai militanti del maxi-processo. Riguardano il processo per i fatti di
giugno e luglio 2011: 20 persone, quelle con le pene più grosse, hanno ricevuto
importi da circa 3mila euro di notav.info Nel 2011 la popolazione valsusina fu
in grado […]
A Vicenza, le forze dell’ordine hanno iniziato lo sgombero del bosco di Ca’
Alte, rimuovendo attivisti e attiviste che si erano incatenati davanti ai
cancelli d’accesso in difesa di quel prezioso spazio verde. Il bosco, infatti,
rischia di essere distrutto per fare posto ai lavori per il Tav. L’Italia
continua a essere martoriata dalle grandi […]
A marzo scorso il Tribunale di Torino faceva cadere il capo di imputazione per
associazione a delinquere nei confronti di Askatasuna, Movimento No Tav e Spazio
Popolare Neruda a seguito di un lungo e tortuoso processo. Il teorema di Procura
e Questura di Torino nelle motivazioni dei giudici viene spacchettato pezzo per
pezzo e vengono […]
Carcerazione domiciliare di due anni per il referente del sindacato in lotta Si
Cobas di Modena, Enrico Semprini. Tale ordine riguarderebbe una condanna
collegata alle lotte No Tav ed alla partecipazione ad alcune iniziative di
protesta davanti alle fabbriche. Enrico Semprini non ha infatti ottenuto di pene
alternative alla detenzione domiciliare a seguito delle denunce per gli scioperi
e per l’attività svolta col sindacato al fianco di operai/e.
Enrico Semprini ai microfoni di Radio Onda d’Urto Ascolta o scarica
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Lunedì 31 marzo sarà emessa la sentenza di primo grado nel processo contro 26
compagni e compagne del centro sociale Askatasuna, dello spazio popolare Neruda
e del movimento NO TAV, con condanne richieste per un totale di 88 anni. 16 tra
loro sono accusati di “associazione e delinquere”, dopo una lunga e costosa
inchiesta della […]
Il libro “Carcere ai ribell3: il carcere come strumento di repressione del
dissenso” è appena uscito per l’Associazione Editoriale Multimage ed è stato
curato Nicoletta Salvi Ouazzene, attivista del comitato Mamme in piazza per la
libertà del dissenso di Torino. Il libro racconta diverse storie che hanno visto
come protagoniste in particolare donne, militanti e […]
Gianni è stato tante cose diverse. Era del 1938. Sua madre partorì in casa a
Mombercelli. Lui era prematuro e gracile: la durezza degli anni della guerra
facevano presagire che non avrebbe passato l’infanzia. Invece “Spinacino” ce ha
fatta. In barba al freddo, alle bombe, alla fame e ai tanti malanni di quei
primi anni, arriverà al 5 febbraio 2025, quando se ne è andato nel sonno.
Lasciato il paese, da cui riporterà il ricordo indelebile degli alberi, delle
foglie, dell’aria di collina, con i genitori e il fratellino si trasferisce a
Torino. Il panorama della città nel primo dopoguerra è segnato dalle macerie
delle case bombardate e dagli alberi dei viali tagliati per fare legna. I soldi
sono pochi e la vita, in due stanze con il ballatoio ed il cesso fuori, è grama.
La scuola sarà per lui un mondo speciale, che amerà sin dai primi anni.
Al punto che sceglierà di fare il maestro. La laurea, che, all’epoca non serviva
per insegnare alle “elementari” come si chiamavano allora, la prenderà anni
dopo, con una tesi di pedagogia libertaria.
A cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta il giovane maestro viene
allontanato dall’insegnamento per cinque lunghi anni, in cui verrà confinato in
un ufficio. Le sue idee erano troppo sovversive.
A quell’epoca la scuola elementare era simile ad una piccola caserma. I bambini
separati dalle bambine, le divise, lo stare sull’attenti, il recitare la
preghiera, l’alzarsi in piedi quando entrava l’autorità, lo stare per ore
immobili, “composti” nei banchi.
Gianni si nutre delle idee e delle esperienze di Celestin Freinet, del nativo
canadese Wilfred Peltier, della scuola pedagogica statunitense.
Gianni, quando arriva in classe si fa dare del tu ai bambini, non li rinchiude
nell’aula, li porta fuori a toccare con mano le cose: il fiume, gli alberi, ma
anche la realtà sociale, quella dei profughi istriani delle Vallette, quella dei
napoletani emigrati in gran numero a Cirié, all’imbocco delle valli di Lanzo,
dove insegnerà a lungo dopo la pausa forzata imposta dal Ministero.
A Cirié, complice una mamma che sapeva riparare le bici, i bambini partono ad
esplorare il territorio per capire la cosa più importante: le domande da fare,
la curiosità che nasce dall’esperienza, il proprio percorso nella vita. Con le
bici Gianni e i suoi bambini arrivano ad invadere la pista dell’aeroporto di
Caselle, per vedere come erano fatti gli aerei, con i quali i più fortunati
partivano per paesi favolosi, che ai ragazzini della Ciriè operaia erano
preclusi. Tante imprese, tanti viaggi, soprattutto viaggi nella realtà sociale,
dove si parla di lavoro e di licenziamenti punitivi. Una volta, con i bambini
occupa l’ufficio del sindaco perché a scuola fa freddo.
Storie di frontiera in una scuola che oggi non è più fatta di autorità e
disciplina anche grazie ai partigiani dei bambini come Gianni Milano.
Lui lo diceva a chiare lettere: “bisogna dar voce ai bambini: sono loro che
decidono come apprendere meglio, e cosa fare”.
Gli ultimi anni a scuola, dove lavorerà per 40 anni, li trascorre a Lanzo dove
insegna alle future maestre.
Quando i suoi capelli sono diventati tutti bianchi, ha continuato a portarli
lunghi e scarrufati, come ai tempi in cui si guadagnò il soprannome
dispregiativo, ma portato con orgoglio, di “maestro capellone”.
Lui non ne parlava più di tanto, ma se date un’occhiata ai libri, alle riviste,
alla storia di quegli anni speciali scoprirete che è stato tra i protagonisti
della cultura beat nel nostro paese.
Era un fricchettone colto, scriveva poesie sulla sua lettera 32. Poesie che
trovate sparse qua e là, di recente molte sono state raccolte in un volume per
le edizioni Fenix.
D’estate, quando le scuole erano chiuse, autostop e via per il mondo. Ma poi
tornava sempre a Torino, che non era più la città bigia e dura dei suoi primi
anni, ma sempre la città in cui si sentiva a casa, all’ombra delle montagne.
Era amico di Fernanda Pivano e di Allen Ginsberg, è stato uno dei protagonisti
della beat generation: pubblica Off Limits (1966), Guru (1967), Prana (1968),
King Kong (1973), Uomo Nudo (Tampax, 1975). È tra i fondatori della
Pitecantropus Editrice, un tentativo di unire le anime della cultura Beat.
Spirito profondamente libertario, specie negli ultimi anni si lega al movimento
anarchico, attraversandone le lotte.
Abitava in fondo a corso Vercelli, a due passi dal Balon, dove lo incontravamo
spesso in occasione di presidi e banchetti. Arrivava e parlava con tutti,
indossando un fazzoletto rosso e nero, spacciando idee e libri. Vivace come un
folletto, mai stanco, nonostante gli anni che passavano ed i nuovi malanni.
Lo ricordiamo in tanti 25 aprile, tanti primi maggi, portare con orgoglio la
bandiera rossa e nera. Anche in valle ha intersecato varie volte le strade dei
cortei e delle lotte, perché in quella lotta popolare, specie in certi anni,
seppe riconoscere il tempo che muta, quando la gente comune, quella che non ci è
avvezza, alza la testa.
Lo conoscevano tutt. Con la sua parlantina sciolta e il suo stile da vecchio
maestro, lo trovavate nei posti dove la gente sceglie di essere protagonista, di
alzarsi in piedi, di costruire da se il proprio cammino.
Eravamo in tanti a salutarlo nel piazzale del Cimitero Maggiore di Torino,
nonostante il freddo e la pioggerellina insistita. Il Cor’Occhio circondato da
bandiere anarchiche, sullo sfondo uno striscione No Tav ha intonato i canti
anarchici e quelli di chi diserta la guerra. Gianni che l’aveva conosciuta fu un
antimilitarista convinto, senza sfumature.
Lo abbiamo ricordato con la musica, le parole, le sue poesie.
In questi tempi grami, con le scuole che rischiano di diventare nuovamente
caserme, il ricordo del maestro capellone, che sfrecciava alla testa della sua
ciurma di bambini liberati dai banchi per la campagna piemontese, resterà
un’ancora che renderà più forte la determinazione a continuare a pedalare per
cambiare il mondo intollerabile in cui siamo forzati a vivere.
Nel lungo percorso attraverso le grandi statue del monumentale siamo arrivati in
una zona povera. Gianni, nato sulla terra, ha scelto di tornarvi. Sulla bara una
bandiera nera e tanti garofani rossi.
Elfo di città, con un cuore contadino, continueremo a vederlo volteggiare a
Torino e in Valle, o al Balon, dove si mescolava con gli anarchici e i
senzapatria.
Ciao Gianni!
I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese
Durante la giornata di ieri a San Didero sono iniziati i lavori per la
costruzione della rotonda antistante al cantiere, sin da subito i No Tav hanno
presidiato il piazzale del presidio, luogo in cui l’allargamento della rotonda
potrebbe proseguire. Sono già stati posizionati nuovi jersey lungo la statale
25, creando non poche difficoltà per […]
In A.C.A.B., la serie prodotta dalla multinazionale americana Netflix la lotta
No Tav viene mostrata in modo macchiettistico e violento, in linea oltretutto
con la retorica giornalistica che abbiamo visto in questi anni. La
rappresentazione equilibra forzatamente le violenze, suggerendo una simmetria
tra le parti, con un ferito per parte, come se il peso reale della repressione
fosse bilanciato. il divario è ben più marcato e lo dimostrano le inchieste
giudiziarie che ci hanno colpito in questi anni, gli anni di carcere elargiti
come se fossero noccioline, i nostri feriti e il territorio militarizzato come
se fossimo in guerra.
di Movimento No Tav da notav.info
In Val Susa abbiamo avuto modo di vedere A.C.A.B., la serie prodotta dalla
multinazionale americana Netflix e uscita mercoledi 15 gennaio. Eravamo curiosi
di osservare come una fiction di tale portata avrebbe trattato la nostra terra e
la nostra lotta. Quello che abbiamo visto non ci ha colpiti: la Val Susa, in
questo caso, è solo un pretesto narrativo per introdurre la storia dei reparti
celere protagonisti.
È significativo, tuttavia, che la lotta No Tav venga mostrata in modo
macchiettistico e violento, in linea oltretutto con la retorica giornalistica
che abbiamo visto in questi anni. La rappresentazione equilibra forzatamente le
violenze, suggerendo una simmetria tra le parti, con un ferito per parte, come
se il peso reale della repressione fosse bilanciato. In realtà, il divario è ben
più marcato e lo dimostrano le inchieste giudiziarie che ci hanno colpito in
questi anni, gli anni di carcere elargiti come se fossero noccioline, i nostri
feriti e il territorio militarizzato come se fossimo in guerra.
Quello che la serie mette in scena non è uno scontro realistico, ma una sorta di
battaglia epica, che ricorda le lotte tra antichi romani e popolazioni
barbariche, in cui solo l’inganno consente ai “barbari” di colpire un valoroso
centurione.
La narrazione non appare squilibrata solo nella rappresentazione della violenza,
ma anche nell’attribuzione delle sue origini. Si tenta di far credere al vasto
pubblico globale di Netflix che le violenze perpetrate dalle forze dell’ordine
in Val Susa – e altrove – siano una reazione inevitabile, giustificata dalla
tensione generata dai manifestanti. Questi vengono rappresentati attraverso la
solita retorica manichea, che li divide in “pensionati buoni” e “zecche
pericolose”, oppure riducendo ogni abuso a episodi isolati causati dal singolo
elemento irruento: la stanca e falsa narrazione della “mela marcia” che nega, di
fatto, la verità incontrovertibile per cui è il sistema ad essere violento,
imponendo con la forza ciò che viene rifiutato da più di 30 anni in questa
valle. E quindi nessun riferimento, ovviamente, alle ragioni della protesta,
alle origini di una contrarietà ragionata e diffusa nella nostra valle, alla
devastazione che quotidianamente osserviamo, ai nostri boschi distrutti, alle
colate di cemento, all’inquinamento, ai rischi per la nostra salute.
Poiché noi la realtà la viviamo quotidianamente sulla nostra pelle, sappiamo che
quello che accade in Valsusa non è un film e infatti conosciamo il prezzo per
difendere il nostro territorio dalla devastazione. Siamo di fronte ad un crimine
ambientale che all’oggi non vede punire i colpevoli, anche se sappiamo bene chi
sono. Cosa che invece sta accadendo è che alcuni di noi sono accusati del reato
di associazione a delinquere e dai vari ministeri e da Telt ci viene richiesto
un rimborso pluri-milionario per difendere quei cantieri che la nostra valle non
ha mai richiesto. La realtà è qui, tra le persone che vivono queste montagne. In
questo documentario di cui vi alleghiamo il link, Archiviato (regia di Carlo
Amblino, con voce narrante di Elio Germano) sono elencati una piccola parte
degli abusi che abbiamo subito in questi anni. La nostra Resistenza ci porterà
alla vittoria e questo è quanto basta.
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