di Giovanni Vighetti* Nessun movimento di opposizione ha mai avuto, in Italia,
una durata trentennale come quello contro la nuova linea ferroviaria
Torino-Lyon, la quale, per parte sua è di …
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ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie
concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche
in streaming
Ascolta e diffondi l’audio della puntata:
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Dirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:
Il reuccio dem di New York
L’elezione di Mamdani a sindaco di New York City ha ridato un certo entusiasmo a
una sinistra riformista che vive in uno stato di prostrazione e confusione dal
momento della vittoria di Trump alle presidenziali.
Le proposte di espansione della spesa sociale sono state il cavallo vincente di
Mamdani così come la sua capacità di parlare a un elettorato demograficamente
assai composito.
Ma potranno questi figliocci della borghesia intellettuale, perché questo è
Mamdani e questo è il suo entourage, rappresentare una via d’uscita dalla
traiettoria autoritaria che il neoliberismo sta compiendo da anni? Le proposte
politiche socialdemocratiche – ma sarebbe più corretto chiamarle demo-socialiste
in quanto neanche a livello teorico viene posto l’obiettivo di superamento della
società mercantile, come invece faceva la socialdemocrazia storica – nel corso
del novecento hanno svolto il ruolo di puntello sinistro del capitale,
garantendo, con un’apertura a fisarmonica data dai rapporti di forza tra classi,
la ridistribuzione di una quota parte dei profitti. Ma questo era possibile con
un’economia basata su di una produzione industriale, spesso ad alto valore
aggiunto, e con l’apporto del valore estratto dalla periferia del sistema mondo
mediante la spoliazione coloniale. Con la fine delle grandi concentrazioni
industriali in Occidente, il ridisegnarsi post-coloniale dei rapporti con i
territori della periferia, e con nuove dinamiche nei rapporti tra le classi
grandemente favorevoli alla classe dominante il meccanismo di ridistribuzione è
entrato in una crisi da cui non si è mai ripreso.
Ne abbiamo parlato con Lollo
Stati Uniti. Trump e il ritorno della frontiera
Trump alle nostre latitudini appare come elemento di rottura rispetto
all’immagine edulcorata che gli States riescono ancora a vendere.
Se si guarda più da vicino è facile cogliere che Trump non fa che riproporre il
mito wasp della frontiera, con tutto il suo portato di violenza simbolica e
morale.
Ne abbiamo parlato con Fabrizio Eva, geografo politico
La Città dell’aerospazio non decolla
Il più grande progetto di Leonardo per il settore aerospaziale in Piemonte da
tempo dimostrava delle crepe. In occasione della decima edizione degli Aerospace
and defence meetings, nella cornice dell’Oval Lingotto di Torino è stato
presentato un aggiornamento del progetto presentato all’ottava edizione del
mercato delle armi nel 2021 e sostenuto da Leonardo, il Politecnico, la Regione
Piemonte, l’Unione industriali di Torino e la Camera di commercio.
La parola chiave è “aggiornamento”, che dimostra che il protagonismo di Leonardo
è più nelle parole che nei fatti. In realtà è quasi tutto fermo. Annunciare in
pompa magna l’apertura di quattro nuovi laboratori con 30 addetti nella vecchia
palazzina di corso Francia dopo sei anni è il segno inequivocabile che le crepe
nella Cittadella delle armi sono ormai ben visibili.
Vediamo di capire meglio cosa sta succedendo.
Torino Un lungo novembre di informazione e lotta antimilitarista
Venaus. Vent’anni dopo
Nonostante la primavera, al tempo della Repubblica della Maddalena il paese di
Chiomonte era grigio, buio, silente. Al di là del fiume che si stringe nella
gorgia, nello spazio libero fatto di vigne, barricate, cibo condiviso, assemblee
c’era il rumore delle vite della comunità resistente, comunità d’elezione e non
di terra, di sangue, di identità escludenti e del loro tremendo portato di
violenza.
Lì imparammo a camminare nella notte. Insieme e da soli, incespicando e
rialzandoci. Tanta gente in quegli anni, sin dall’insurrezione di Venaus, aveva
scoperto che riscrivere una storia già scritta era possibile, che i tempi che ci
era dato vivere non erano un destino ineluttabile.
Poi arrivarono l’occupazione, la repressione, i processi: la nostra comunità
perse la sua forza creativa, la resistenza venne ridotta a logoro rituale e
prevalse la delega istituzionale.
Ma. Quelle notti di veglia, essere stati parte di quella comunità d’elezione
continua a ricordarci di una possibilità che dobbiamo saperci dare.
Appuntamenti:
Sabato 20 dicembre
ore 20
corso Palermo 46
Cena Antinatalizia
Menù vegan
Benefit lotte
Quanto costa? Tantissimo per chi ne ha, meno per chi ha meno, poco per chi ha
poco. Sosteniamo le lotte qui e in ogni dove, diamo solidarietà a chi è colpito
dalla repressione, mettiamo un mattone nella direzione di una società libera,
autogestita, solidale.
Porta la tua statuetta per il pres-empio autogestito!
Per prenotazioni scrivere a antimilitarista.to@gmail.com
A-Distro e SeriRiot
ogni mercoledì
dalle 18 alle 20
in corso Palermo 46
(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro
SeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte
Vieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!
Sostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!
Informati su lotte e appuntamenti!
Federazione Anarchica Torinese
corso Palermo 46
Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 20,30
per info scrivete a fai_torino@autistici.org
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Il reuccio dem di New York
L’elezione di Mamdani a sindaco di New York City ha ridato un certo entusiasmo a
una sinistra riformista che vive in uno stato di prostrazione e confusione dal
momento della vittoria di Trump alle presidenziali.
Le proposte di espansione della spesa sociale sono state il cavallo vincente di
Mamdani così come la sua capacità di parlare a un elettorato demograficamente
assai composito.
Ma potranno questi figliocci della borghesia intellettuale, perché questo è
Mamdani e questo è il suo entourage, rappresentare una via d’uscita dalla
traiettoria autoritaria che il neoliberismo sta compiendo da anni? Le proposte
politiche socialdemocratiche – ma sarebbe più corretto chiamarle demo-socialiste
in quanto neanche a livello teorico viene posto l’obiettivo di superamento della
società mercantile, come invece faceva la socialdemocrazia storica – nel corso
del novecento hanno svolto il ruolo di puntello sinistro del capitale,
garantendo, con un’apertura a fisarmonica data dai rapporti di forza tra classi,
la ridistribuzione di una quota parte dei profitti. Ma questo era possibile con
un’economia basata su di una produzione industriale, spesso ad alto valore
aggiunto, e con l’apporto del valore estratto dalla periferia del sistema mondo
mediante la spoliazione coloniale. Con la fine delle grandi concentrazioni
industriali in Occidente, il ridisegnarsi post-coloniale dei rapporti con i
territori della periferia, e con nuove dinamiche nei rapporti tra le classi
grandemente favorevoli alla classe dominante il meccanismo di ridistribuzione è
entrato in una crisi da cui non si è mai ripreso.
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Stati Uniti. Trump e il ritorno della frontiera
Trump alle nostre latitudini appare come elemento di rottura rispetto
all’immagine edulcorata che gli States riescono ancora a vendere.
Se si guarda più da vicino è facile cogliere che Trump non fa che riproporre il
mito wasp della frontiera, con tutto il suo portato di violenza simbolica e
morale.
Ne abbiamo parlato con Fabrizio Eva, geografo politico
La Città dell’aerospazio non decolla
Il più grande progetto di Leonardo per il settore aerospaziale in Piemonte da
tempo dimostrava delle crepe. In occasione della decima edizione degli Aerospace
and defence meetings, nella cornice dell’Oval Lingotto di Torino è stato
presentato un aggiornamento del progetto presentato all’ottava edizione del
mercato delle armi nel 2021 e sostenuto da Leonardo, il Politecnico, la Regione
Piemonte, l’Unione industriali di Torino e la Camera di commercio.
La parola chiave è “aggiornamento”, che dimostra che il protagonismo di Leonardo
è più nelle parole che nei fatti. In realtà è quasi tutto fermo. Annunciare in
pompa magna l’apertura di quattro nuovi laboratori con 30 addetti nella vecchia
palazzina di corso Francia dopo sei anni è il segno inequivocabile che le crepe
nella Cittadella delle armi sono ormai ben visibili.
Vediamo di capire meglio cosa sta succedendo.
Torino Un lungo novembre di informazione e lotta antimilitarista
Venaus. Vent’anni dopo
Nonostante la primavera, al tempo della Repubblica della Maddalena il paese di
Chiomonte era grigio, buio, silente. Al di là del fiume che si stringe nella
gorgia, nello spazio libero fatto di vigne, barricate, cibo condiviso, assemblee
c’era il rumore delle vite della comunità resistente, comunità d’elezione e non
di terra, di sangue, di identità escludenti e del loro tremendo portato di
violenza.
Lì imparammo a camminare nella notte. Insieme e da soli, incespicando e
rialzandoci. Tanta gente in quegli anni, sin dall’insurrezione di Venaus, aveva
scoperto che riscrivere una storia già scritta era possibile, che i tempi che ci
era dato vivere non erano un destino ineluttabile.
Poi arrivarono l’occupazione, la repressione, i processi: la nostra comunità
perse la sua forza creativa, la resistenza venne ridotta a logoro rituale e
prevalse la delega istituzionale.
Ma. Quelle notti di veglia, essere stati parte di quella comunità d’elezione
continua a ricordarci di una possibilità che dobbiamo saperci dare.
Appuntamenti:
Sabato 20 dicembre
ore 20
corso Palermo 46
Cena Antinatalizia
Menù vegan
Benefit lotte
Quanto costa? Tantissimo per chi ne ha, meno per chi ha meno, poco per chi ha
poco. Sosteniamo le lotte qui e in ogni dove, diamo solidarietà a chi è colpito
dalla repressione, mettiamo un mattone nella direzione di una società libera,
autogestita, solidale.
Porta la tua statuetta per il pres-empio autogestito!
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A-Distro e SeriRiot
ogni mercoledì
dalle 18 alle 20
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Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 20,30
per info scrivete a fai_torino@autistici.org
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Nonostante la primavera, al tempo della Repubblica della Maddalena il paese di
Chiomonte era grigio, buio, silente. Al di là del fiume che si stringe nella
gorgia, nello spazio libero fatto di vigne, barricate, cibo condiviso, assemblee
c’era il rumore delle vite della comunità resistente, comunità d’elezione e non
di terra, di sangue, di identità escludenti e del loro tremendo portato di
violenza.
Lì imparammo a camminare nella notte. Insieme e da soli, incespicando e
rialzandoci.
Tanta gente in quegli anni, sin dall’insurrezione di Venaus, aveva scoperto che
riscrivere una storia già scritta era possibile, che i tempi che ci era dato
vivere non erano un destino ineluttabile.
Poi arrivarono l’occupazione, la repressione, i processi: la nostra comunità
perse la sua forza creativa, la resistenza venne ridotta a logoro rituale e
prevalse la delega istituzionale. Proprio in questi giorni la polizia sta
prendendosi le case a Susa.
Ma. Quelle notti di veglia, essere stati parte di quella comunità d’elezione
continua a ricordarci di una possibilità che dobbiamo saperci dare.
Oggi più che mai.
Viviamo tempi bui, tempi di guerra, tempi in cui si allungano le ombre di una
notte senza stelle.
Il riemergere potente dei nazionalismi, delle religioni, dell’autoritarismo, del
patriarcato è una delle cifre di un secolo che non riesce a fare i conti con il
precipitare della crisi ambientale e sociale, perché la logica del capitalismo
impone la ricerca del profitto a tutti i costi.
Oltre la metà della popolazione mondiale vive scavando nelle discariche, il
simbolo concreto di un’umanità assoggettata, di persone le cui vite valgono meno
dei rifiuti tra cui scavano per sopravvivere.
In ogni angolo del pianeta ci sono governi in cui prevalgono istanze
autoritarie, religiose, razziste perfettamente compatibili con il capitalismo e
i suoi frutti avvelenati.
I movimenti che all’alba di questo secolo osarono tentare un’alleanza
transnazionale degli oppressi e degli sfruttati sono stati spazzati via.
L’incapacità di opporsi alle “guerre di civiltà” in Afganistan e in Iraq ne ha
decretato la fine ben più della repressione o del riassorbimento in ambiti
compatibili con l’ordine esistente.
L’incapacità di cogliere che la guerra afgana non era per la liberazione delle
donne dalla schiavitù ma un regolamento di conti con storici alleati dei tempi
della guerra fredda rende ancor oggi difficile cogliere che le guerre di
religione sono utili per reclutare aspiranti martiri ma non spiegano una realtà
in cui le alleanze sono a geografia variabile e soggette a continui cambiamenti
di fronte. Nell’ultimo mese abbiamo assistito alla promozione di Al Jolani, il
nuovo signore e padrone della Siria a partner affidabile degli Stati Uniti. Con
buona pace di cristiani, alewiti, drusi siriani nei cui confronti viene attuata
una feroce repressione.
Al Jolani è il capo della branca siriana di Al Queda, la stessa organizzazione
di Osama bin Laden. D’altra parte nel 2021 gli Stati Uniti riconsegnarono il
futuro delle donne afgane ai talebani in cambio della promessa di non far
sconfinare la jihad.
Le alleanze tra gli Stati, al di là della retorica utilizzata per raccogliere
consenso non hanno altra etica che non sia quella dell’affermazione degli
obiettivi dei blocchi di potere che sostengono i vari governi.
Non è banale ricordarlo, perché purtroppo tanta parte dei movimenti di
opposizione alle guerre e al riarmo resta ancorata a dinamiche campiste. La
spinta ad un’alleanza transnazionale degli oppressi e degli sfruttati fatica a
(ri)trovare spazio, quando prevale il sostegno a Brics, una rete economica i cui
pilastri sono campioni di libertà come la Russia, la Cina, l’India, l’Egitto gli
Emirati arabi uniti, l’Iran…
La feroce pulizia etnica su vasta scala attuata da Israele negli ultimi due anni
è stata e continua ad essere un’immane catastrofe umanitaria per la popolazione
palestinese. Alle nostre latitudini il potente moto di indignazione per il
genocidio che ha riempito le piazze italiane con numeri imponenti e pratiche di
lotta radicali non è stato capace di svincolarsi da logiche stolidamente
campiste. Definire i macellai delle donne iraniane, il regime di Assad e i loro
alleati libanesi “asse della resistenza” ne è stato l’indice inequivocabile.
La spinta alla decolonialità è uno strumento importante per percorsi di
liberazione in cui emerga il protagonismo di popolazioni e gruppi sociali
marginalizzati e razzializzati ma diventa un boomerang se si trasforma nel
relativismo culturale già tanto caro alla destra differenzialista.
Eppure mai come ora sarebbe necessaria la crescita di un movimento
antimilitarista radicale, capace di far saltare la corsa al riarmo e alla guerra
che rischia di travolgerci tutt.
L’Assemblea Antimilitarista nata tre anni ha posto al centro la lotta ai
confini, agli eserciti alle guerre sostenendo disertori, obiettori e chi si
oppone a massacri e razzismo in una logica internazionalista e solidale.
L’Assemblea è stata accanto a compagn impegnat a costruire relazioni sociali tra
libere ed eguali anche nell’infuriare di guerre e genocidi.
L’assemblea ha promosso iniziative contro missioni militari all’estero, basi
militari, poligoni di tiro, fabbriche d’armi, nella consapevolezza che le radici
delle guerre affondano nello stesso terreno in cui sono costruite le case dove
viviamo. Sradicarle è il nostro compito.
Di recente l’Assemblea ha attivamente contrastato l’Aerospace and defence
meetings, la mostra mercato delle armi aerospaziali di guerra che si tiene ogni
due anni a Torino, con il chiaro obiettivo della chiusura dell’industria
bellica.
Sappiamo che i tempi sono bui. Una buona ragione per mettercela tutta per non
perdere il controllo del timone nonostante la tempesta, la confusione, il timore
di non farcela.
Abbiamo imparato a camminare nella notte senza perdere la strada, inciampando e
sostenendoci a vicenda.
di Chiara Sasso* L’8 dicembre 2005, decine di migliaia di valsusini, incuranti
della neve, aggirarono lo schieramento della polizia, presero possesso dei
terreni di Venaus dove dovevano iniziare i lavori …
Un mese dopo la presentazione della roadmap per una difesa UE a prova di
aggressioni esterne entro il 2030, la Commissione europea fa un salto di qualità
nella mobilità militare dell’Unione, che si scontra oggi con la realtà di 27
Stati nazionali che limitano gli attraversamenti di truppe e mezzi sui loro
territori. L’obiettivo è creare una ‘Schengen militare’ entro il 2027, perché –
come affermato dal commissario UE per la Difesa, Andrius Kubilius, prendendo in
prestito le parole di un generale statunitense – “la fanteria vince le
battaglie, la logistica vince le guerre”.
Che Bruxelles faccia sul serio, si evince dalle presenze dei commissari europei
alla presentazione del pacchetto sulla mobilità militare: oltre a Kubilius, la
vicepresidente esecutiva Henna Virkkunen, l’Alta rappresentante per gli Affari
esteri Kaja Kallas, il commissario per i Trasporti, Apostolos Tzitzikostas. Il
dato di partenza è inesorabile: alcuni Paesi membri “richiedono ancora un
preavviso di 45 giorni prima che le truppe di altri Paesi possano attraversare
il loro territorio per svolgere esercitazioni”, ha affermato Kallas.
Nel regolamento proposto dalla Commissione, l’obiettivo è ridurre i tempi
burocratici ad un massimo di tre giorni. Eliminando barriere normative e
semplificando le procedure doganali, Bruxelles vuole introdurre le prime norme
armonizzate a livello UE per i movimenti militari transfrontalieri. Alcuni
esempi pratici li ha indicati Tzitzikostas: “Semplificare le norme sul trasporto
di merci pericolose”, o ancora “consentire i movimenti militari nei fine
settimana e nei giorni festivi”.
Attraverso l‘istituzione di un quadro di emergenza poi, verrebbe dedicato
l’accesso prioritario alle infrastrutture agli apparati militari, e le procedure
per lo spostamento di contingenti potrebbero essere ulteriormente accelerate.
Sarebbe facoltà della Commissione, con l’approvazione degli Stati membri,
formalizzare le situazioni di emergenza.
Su un binario parallelo alla semplificazione delle normative, corre il
potenziamento delle infrastrutture. “Se un ponte non è in grado di sostenere un
carro armato da 60 tonnellate, se una pista è troppo corta per un aereo cargo,
abbiamo un problema”, ha sottolineato l’Alta rappresentante UE. Lo scheletro
esiste già, è l’infrastruttura della rete TEN-T. Su quella, la Commissione
europea ha identificato 4 principali corridoi militari e 500 punti nevralgici da
rafforzare. “Nella maggior parte dei casi – ha confermato Tzitzikostas – si
tratterà di potenziare le infrastrutture esistenti”. In un ottica dual use,
civile-militare, perché “nel 99,9 per cento dei casi” la rete servirà per
cittadini e merci”.
Un ruolo chiave nella rete TEN-T è stato assunto dall’Italia: quattro dei nove
corridoi attraversano lo stivale, il Baltico-Adriatico, lo
Scandinavia-Mediterraneo, il Reno-Alpi e il Mediterraneo. Dal punto di vista
geostrategico e militare è particolarmente rilevante il corridoio Mediterraneo
che collega i porti della penisola iberica con l’Ucraina, passando per il sud
della Francia, l’Italia settentrionale, la Slovenia e la Croazia.
Abbiamo contattato Fabrizio, del movimento no tav, per parlarci del TAV
all’interno della mobilità militare europea, come snodo del corridoio strategico
che unisce la penisola iberica all’Ucraina.
Abbiamo poi chiesto a una compagna antimilitarista genovese di parlarci del
progetto di ampliamento dei binari a Sampierdarena e del porto di Genova
all’interno della mobilità militare europea, nel corridoio Reno-mediterraneo.
Con una compagna di Messina abbiamo commentato l’inserimento del ponte sullo
stretto all’interno del corridoio TEN-T ‘Scandinavo-Mediterraneo’.
Citati nella puntata.
Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità militare europea
Sulle ferrovie di Sampierdarena e del Porto di Genova
Sull’operazione Ipogeo
Lunedì scorso è stata avvistata una prima trivella in località Isolabella, a
Bussoleno. Immediatamente è partito il monitoraggio sul territorio da parte del
popolo valsusino.
Sono 56 le persone sotto indagine della Digos per le manifestazioni di protesta
tenutesi contro la linea ad Alta Velocità di Vicenza. A darne notizia, è la
stessa Questura. I fatti contestati risalgono a due episodi distinti
verificatisi l’8 e il 12 luglio, lungo il fiume Retrone, dove era previsto lo
sgombero di un’area occupata […]
Almeno 10 mila – hanno partecipato alla giornata di lotta in Val di Susa; in
corteo, numerose le bandiere della Palestina in solidarietà con le vittime di
Gaza. Sanzionati i cantieri, bloccata l’autostrada. Le minacce di Piantedosi e
Meloni “Li puniremo” Almeno 10 mila – hanno partecipato alla giornata di lotta;
in corteo, numerose le […]
Lo Stato presenta il conto contro il movimento No Tav: cartelle da migliaia di
euro ai militanti del maxi-processo. Riguardano il processo per i fatti di
giugno e luglio 2011: 20 persone, quelle con le pene più grosse, hanno ricevuto
importi da circa 3mila euro di notav.info Nel 2011 la popolazione valsusina fu
in grado […]