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RIPRENDE LA RACCOLTA SOLIDALE PER I DETENUTI DEL CPR DI TORINO
Torniamo a raccogliere beni di prima necessità per le persone recluse nel CPR. Mercoledì 10 settembre dalle 16.30 e durante il Festival @solchi Sabato 13 e domenica 14 settembre I detenuti sono trattenuti in condizioni invivibili, sia in termini materiali sia rispetto alla violenza quotidiana a cui sono costretti. Da dentro chiedono di poter accedere a beni di prima necessità. Il cibo, “offerto” dal nuovo gestore Sanitalia è, oltre che immangiabile e a volte scaduto, pieno di psicofarmaci per sedare i reclusi, esattamente come in passato. Dentro il cpr c’è uno spaccio alimentare dove i prezzi sono proibitivi (un pacco di biscotti costa 7€) perché l’unico interesse di Sanitalia è di lucrare sulla pelle delle persone. La nostra solidarietà è un’arma, usiamola! N.B. dopo le prime raccolte infastiditi da questa iniziativa hanno smesso di ritirarci i vestiti usati, per cui raccogliamo SOLO VESTITI NUOVI
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[2025-09-01] "INFEDELE ALLA LINEA" Niente solidarietà Silenzio Censura @ Piazza Castello, Torino
"INFEDELE ALLA LINEA" NIENTE SOLIDARIETÀ SILENZIO CENSURA Piazza Castello, Torino - Torino, piazza Castello (lunedì, 1 settembre 00:00) L’attivista marocchina LGBT IBTISSAME LACHGAR (Betty) è stata imprigionata il 10 agosto a Rabat per blasfemia, un reato che non prevede l’arresto preventivo in Marocco ma che può portare dai 5 ai 10 anni di carcere. Aveva indossato pubblicamente una maglietta con su scritto ALLAH È LESBICA . Il processo fissato per il 27 agosto è stato rinviato di sette giorni. E Betty resta in galera - in isolamento - nonostante sia paziente oncologica (ha 49 anni). Betty che si dichiara atea, è ben nota per aver promosso il MALI movimento alternativo per le libertà individuali e tutta una serie di iniziative, prevalentemente performance, considerate provocatorie e blasfeme nel suo Paese, che vanno dal bacio collettivo, al picnic durante il Ramadan. Il 27 ci sono stati i vari presidi in Spagna davanti a consolati e ambasciate del Marocco per rivendicare la sua libertà. Nonostante la notizia fosse circolata poco. Così il presidio più numeroso è stato quello di Barcellona con 8 persone: 6 femministe e 2 anarchici, Madrid 7, Bilbao 6 e Algesiras 2. Un po’ meglio in Francia, Betty ha anche la nazionalità francese . In Italia non se ne parla neanche. Ci domandiamo: come mai? Sappiamo bene che nei movimenti che si proclamano antagonisti, alternativi radicali, rivoluzionari, persino fra gli anarchici, dilaga una singolare attitudine legata al più bieco opportunismo politico e all’ignoranza della storia dei movimenti. Quello di lasciar fare agli oggetti delle proprie brame di inglobamento ciò che desiderano. Negli ultimi anni così vediamo sui furgoni delle manifestazioni, come alla radio, personaggi urlanti allah è grande! sventolare bandiere di Stati esistenti o in divenire. E critiche, anche blande, all’integralismo religioso, venir bollate come islamofobia, termine molto alla moda e razzismo, con relativi processi ed espulsioni. L’opportunismo politico ha sempre fatto schifo a noi anarchici che facciamo politica per distruggerla (Proudhon), è la diarrea del motto autoritario “con qualunque mezzo necessario“. Ora si sprofonda nell’osceno e nell’assurdo e nel lesivo. E così addirittura le aggressioni fisiche a compagne e compagni omosessuali o meno, divenute negli ultimi anni oggetto di processi, e i processi prevedono giudici, sbirri, esecutori… con condanne a vita, improvvisamente non sono più episodi gravi e gli stessi aggressori seriali te li trovi la sera |al concerto - invitati - dove possono riprendere le loro violenze a donne, gay, anziani o anche solo ad individui isolati, a chiunque si presenti indifeso. Se alcuni gruppi politici, dediti al proselitismo compulsivo, vivono la politica come una fogna di baccagli e di stalking, strizzando l’occhio ai propri aggressori e molestatori nella speranza di intrupparli - in massa - nelle proprie fila, non tutti devono farne le spese. Possiamo solo dire: siete la negazione di ogni prospettiva rivoluzionaria in senso libertario. E state pedestramente ricalcando le tappe di vecchie politiche autoritarie già penosamente fallite negli anni ‘70 con altro target. Per quel che riguarda gli anarchici o coloro che si definiscono tali. Ricordiamo che l’anarchia, pur non essendo un’ideologia, presenta alcuni punti fermi di base senza i quali proprio non ci si può dire anarchici e non si sa più cosa sia anarchia. Uno è la lotta contro le religioni oppressive. Prima di tutto quelle monoteiste. L’uomo al potere inventa l’idea di dio per giustificare e nobilitare gli stupri che gli assicurano il privilegio che potrà mantenere solo con l’uso della violenza organizzata. Dall’idea di dio discende direttamente l’idea di potere. Quindi gli anarchici combattono apertamente l’oppressione religiosa a cominciare proprio dal cristianesimo, dall’ebraismo e dall’islamismo: le più feroci. Inoltre gli anarchici, combattono qualunque Stato, se no con l’anarchia proprio non c’entrano nulla. “Come si fa ad essere così coglioni da pensare che ci sono poteri buoni“ dice la canzone, insultando giustamente i miserabili della politika, che noi anarchici chiamiamo semplicemente autoritari. Non si pensava fosse necessario ricordarlo, ma siamo arrivati ad un punto di degenero tale che, addobbate del “politicamente corretto”, vengono messe in dubbio e accantonate le poche idee base, che praticate, fanno sì che l’anarchia non sia un fantasma, ma ciò che fa tremare qualunque potere costituito. Dunque, massima solidarietà a Betty Lachgar abbandonata da quasi tutti in galera. Condividiamo le tue idee e le tue pratiche iconoclaste e le difenderemo contro tutti i poteri esistenti o in formazione, anche quelli striscianti che prendono alle spalle, ti creano il vuoto attorno e ti lasciano sola! Barocchio squat garden west coast 28 agosto 2025
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FREE MAYA
Da più di un anno Maja è rinchius* nelle carceri ungheresi, estradat* e poi torturat* nel paese liberticida di cui Orban è dittatore, per il solo “crimine” di essere antifascista — crimine del quale siamo tutte, tutt* e tutti colpevol*! Negli ultimi mesi, Maja, ha subito abusi non troppo dissimili da quelli inflitti a Ilaria Salis: catene ai piedi e alle mani, collare e guinzaglio, un processo giuridico opaco e infiltrato da un chiaro messaggio politico fascista e autoritario contro chi lotta per la libertà. Come ultimo atto di autodeterminazione, Maja ha iniziato uno sciopero della fame, dapprima in cella d’isolamento e ora nell’ospedale carcerario ungherese al confine con la Romania. Un mese di lotta, attraverso il proprio corpo, che ha portato le sue attuali condizioni di salute ad essere a dir poco allarmanti: drastica perdita di peso, deterioramento degli organi vitali, danni al cuore. Riconosciamo e rimarchiamo la necessità del sostegno internazionale a tutt* l* compas e, in questo momento tragico, a Maja. Nel nostro piccolo, vogliamo mandare un messaggio di solidarietà e rilanciamo le richieste avanzate dal padre di Maja, Wolfram Jarosch, come possibile via d’uscita dal supplizio che l* compas sta subendo: 1. «In nessun caso si deve impiantare un pacemaker contro la volontà di Maja. Non sarebbe utile dal punto di vista medico, poiché la bassa frequenza cardiaca è una conseguenza diretta dello sciopero della fame.» 2. «Maja non deve essere legat* al letto. Una misura del genere sarebbe crudele e priva di giustificazione medica.» 3. «Il Ministero degli Esteri tedesco deve urgentemente porre fine all’isolamento carcerario e ottenere il rientro di Maja in Germania.» 4. «Non devono avvenire altre estradizioni verso l’Ungheria!» [Estratto da: Comunicato stampa congiunto di Wolfram Jarosch e del Comitato di solidarietà per lo sciopero della fame di Maja] Pretendiamo la liberazione immediata di Maja! Urge un fronte comune di lotta contro questa ondata fascista che, come un olezzo di roba rancida e putrefatta, si è riversata sul nostro mondo e nelle nostre città. Non possiamo aspettarci niente da uno stato fascista – ungherese o italiano che sia – e sicuramente non ci aspettiamo una narrazione istituzionale che definisca i nazisti come un problema di libertà. Cosa possiamo aspettarci, allora, da un tribunale in cui l’unico giudice fa anche parte dell’accusa, se non un teatrino della peggior specie? Possiamo però essere e restare solidal*, possiamo fare tutto ciò che pensiamo sia giusto per aumentare la solidarietà in maniera esponenziale, immaginando anche nuove forme di lotta. A Torino gridiamo da oltre trent’anni che “si parte e si torna insieme”: non è solo un coro, è una sfida vitale! Maja non è sol* #FreeAllAntifas #FreeMaja
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In solidarietà a Manituana
L’attacco a Manituana è un ulteriore atto nella guerra a bassa intensità che l’amministrazione comunale ha dichiarato contro gli spazi liberati e l’auto-organizzazione dal basso. La Torino che sognano di costruire è una città “smart” e ricca, dove chi ha potere economico può avere tutto, mentre chi è pover* semplicemente scompare. Una città di rentiers che spremono valore dalla speculazione edilizia, dagli affitti sempre più inaccessibili e dai grandi eventi. Naturalmente in tutto questo non c’è spazio per le persone in carne ed ossa che questa città la abitano davvero: persone con necessità e bisogni (casa, reddito, salute), con desideri e sogni (di relazioni sociali soddisfacenti, di una vita degna e interessante), con rabbia e aspirazioni ad un mondo altro. È in questo humus fertile, fatto di relazioni e politica, di auto-organizzazione e lotta, che gli spazi sociali come Manituana nascono e proliferano: perchè, come ci ricordano lu compas, una collettività politica non si può sradicare. Ed è difficile convincere chi ha sperimentato la possibilità di decidere sulla propria vita e sulle scelte della propria comunità a rientrare nei ranghi dell’obbedienza al comando della ragion (economica) di Stato. Manituana non ha genere, non ha specie e non ha padroni. È l’insradicabile necessità di costruire, immaginare futuri diversi, coltivare speranze e lotte in un presente in cui il cemento prova a soffocare ogni seme di resistenza. Di fronte al furto di spazio che GTT e Amiat-Iren progettano, Manituana promette di resistere. Non solo noi lo crediamo, ma assicuriamo fin d’ora che siamo e saremo al loro fianco.
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La Torino che Vogliamo
SPECULAZIONE
Aggiornamenti dalla raccolta solidale
Dalla riapertura del lager di Corso Brunelleschi abbiamo sempre cercato di portare la nostra solidarietà alle persone recluse -che sbirri e operatori del centro con nervosismo continuano a chiamare “”ospiti””. Le condizioni all’interno del lager continuano a essere, e saranno sempre, degradanti. Le rivolte scoppiate nelle scorse settimane lo dimostrano chiaramente: non può esistere una vita dignitosa tra quelle mura. Negli ultimi giorni stanno venendo aperte nuove aree e le persone recluse sono sempre di più, quasi settanta ormai. Come ci raccontano i reclusi all’interno del lager, le condizioni di vita sono degradanti e i detenuti vengono umiliati quotidianamente. Crediamo che la solidarietà passi anche attraverso la consegna dei pacchi contenenti vestiti e generi alimentari. Questi ultimi molto importanti, non solo perché allo “shop” del CPR un pacco di biscotti arriva a costare 7 euro, ma anche perché il cibo somministrato è pieno di psicofarmaci utilizzati per sedare le persone recluse. Ma soprattutto gli consente di avere la libertà di scegliere se accettare o rifiutare il pasto. Consegnare i pacchi per noi è un modo per fare sentire alle persone recluse che non sono sole, che esiste una solidarietà, anche molto concreta, fuori da quelle mure. Sbirri, militari e operatori hanno sempre mostrato grande nervosismo quando siamo andat3 a consegnare tutti quei pacchi. Dopo le prime rivolte hanno man mano aggiunto regole e procedure per danneggiare anche questa forma di solidarietà, cercando sempre pretesti per non fare arrivare i pacchi ai detenuti. Qualche pacco (fortunatamente pochi) non è arrivato, il cibo prossimo alla scadenza le ultime volte è stato rifiutato, alcune cose accettate una volta, non lo sono state la volta successiva. E dulcis in fundo, durante l’ultime consegne ci è stato detto che si possono consegnare vestiti esclusivamente nuovi o con lo scontrino della lavanderia. Tutto ciò, dicono, per il “benessere” dei detenuti che altrimenti rischierebbero la scabbia (come se non fossimo in grado di lavare i vestiti). Ancor peggio è che, se per i primi pacchi era possibile incontrare i reclusi, salutarsi brevemente vis a vis, anche se circondatɜ da una dozzina di sbirri di ogni tipo, dopo le prime rivolte hanno deciso che questo non era più ammesso dal regolamento, che “non c’era bisogno”. Nel continuo processo di disumanizzazione e isolamento totale adesso sono gli sbirri a consegnare i pacchi. Insomma, la vendetta istituzionale per essersi rivoltati tenta di recidere i pochi legami di solidarietà, ma non arrendiamoci. Grazie alla raccolta, siamo riuscitɜ a fare delle grandi consegne di pacchi, ma le richieste da dentro continuano ad arrivare, per questo la raccolta va avanti. Ricordiamo che a causa delle nuove restrizioni i vestiti che raccogliamo devono essere NUOVI. Per chi volesse contribuire alla raccolta può passare il martedì e il mercoledì dalle 17.00 alle 20.30 al Gabrio in via Millio 42 o contribuire economicamente via satispay. Per chi volesse organizzarsi ci vediamo in assemblea tutti i martedì alle 19.30 al Gabrio Freedom, Hurrya, Libertà!
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AGGIORNAMENTI QUESTURA
L’orologio segna le 6.53. La coda che conduce all’ingresso di via Doré è tanto lunga da girare l’angolo e arrivare all’altro ingresso di via Grattoni. Qui, vengono distribuiti, ogni mattina, circa 8 tagliandini che consentono l’accesso alla struttura per formalizzare la domanda di asilo, un passo fondamentale senza cui i propri diritti al lavoro, alla casa, alla salute sono spesso negati. Fortunatamente, oggi non piove: il gazebo blu montato qualche mese fa non è infatti sufficiente a coprire nemmeno un quarto delle persone che già da ore attendono in coda.  A. è arrivato alle 4 e mezza del mattino per essere tra i primi della coda, trovando però già diverse persone davanti a lui. G. ha sedici anni, è in fila già da un paio d’ore. Dice che sta avendo problemi a scuola perché da ormai due settimane è costretto ad entrare alla seconda ora per tentare di presentare domanda di asilo.  Dopo un po’ il portone della questura si socchiude: la fila si ricompone e si forma anche un certo silenzio. Dal portone esce un uomo di mezza età, vestito con un pantalone mimetico, anfibi, un pullover nero e un cappellino verde militare che gli copre lo sguardo. Si accosta al portone e si accende una sigaretta. E’ solo osservando il modo in cui si rivolge ad alcune persone in divisa, uscite dopo di lui, che realizzo che non si tratta di qualcuno che hanno rilasciato dalla questura ma di un ispettore di polizia.  Per quanto alienante risulti per me, un poliziotto travestito da militare rispecchia la fusione tra apparato poliziesco e militare che a Torino caratterizza ormai la gestione dell'”ordine pubblico”. Una realtà familiare per molte delle persone in fila, esposte alla militarizzazione di interi quartieri e pratiche di profilazione razziale. Ad un certo punto, chiedono alla fila di spingersi contro il muro. Iniziano a camminare lungo la fila, ma l’ispettore non sembra degnare di uno sguardo nessuno. Cammina in mezzo ai poliziotti, aspirando di tanto in tanto dalla sua sigaretta. Fanno avanti e indietro un paio di volte, e disinteressandosi all’ordine della fila selezionano alcune persone. Dopo un po’, vado loro incontro, per segnalargli che vicino a me c’è una signora con un minore. “Loro sono sudamericani? Ho già preso una famiglia stamattina… devo dividere un po’ le etnie. Facciamo lunedì. Tanto io me li ricordo”. Alla mia richiesta di come avviene la selezione la risposta è che “cerchiamo di valutare un po’ tutto… le esigenze più grosse… la presenza più costante”.  Gli agenti invitano la fila a disperdersi: per oggi basta, bisogna tornare la prossima settimana. Qualcuno si allontana scuotendo la testa, esausto: “Lunedì, sempre lunedì… e poi la stessa storia“ Ovviamente nessun vero screening di vulnerabilità è stato fatto, nessun nome è stato annotato, nessuna lista è stata creata. L’accesso al diritto di asilo a Torino è lasciato al caso, alle procedure di profilazione razziale del funzionario di turno, alla speranza che la prossima volta non ci sia un ispettore diverso, che si ricordi di te o che non sia già stata fatta entrare una persona che condivide le tue stesse vulnerabilità o la tua stenza apparenza “etnica”.  Dietro all’informalità e regole contraddittorie, continuano a nascondersi discrezionalità e violenza. Di fronte a una persona che tenta da settimane di entrare, i funzionari non hanno problemi a riconoscere di vederlo lì tutte le mattine, ma di non averlo mai fatto entrare perché è “giovane e forte”.  Inoltre, se ad eventuali accompagnatori, spesso avvocati bianchi, è riservato un trattamento a tratti cordiale, chi attende in fila è frequentemente aggredito. A una persona che insisteva a chiedere informazioni sulla distribuzione dei numeri per entrare il questurino dice “abbassa la voce che sono le 7, non ti ho mai visto, la prossima volta impara a svegliarti prima e arrivare per tempo”. 
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[2025-06-06] Alla Fine Sfaso @ Parco della Colletta
ALLA FINE SFASO Parco della Colletta - Torino (venerdì, 6 giugno 14:20) ‼️ALLA FINE SFASO‼️ il 6/06 alle 14:30 in colletta ci sarà un pomeriggio di svago,di musica ,di birre e varie attività . abbiamo la possibilità di esprimerci e di conoscere chi e ciò che ci circonda fotografandolo con Elettostatika,oppure ballando, per esprimere la nostra libertà con Asia e Ilaria. Ci sarà PSO dove potrete prendere delle spille e delle pezze e infine Frangin con stampe,toppe ecc.. dalle 16:30 ci sarà dj set tekno con @animatribe33 e @metalexo_at33: vi aspettiamo numerosi!!
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