Attraverso le pratiche brutali della polizia e un alto livello repressivo – che
arriva a criminalizzare, senza successo, anche l’utilizzo del coro “from the
river to the sea” – lo stato tedesco tenta di soffocare le piazze pro Pal.
L’intervento poliziesco distingue tra le piazze radicali e quelle indette
dall’associazionismo, nonostante la stretta non si […]
Tag - solidarietà
La mobilitazione in solidarietà alla resistenza palestinese e allx attivistx
della Global Sumud Flottilla, dopo intense giornate di blocchi in tutta Italia,
ha portato Sabato 4 Ottobre per le strade di Roma circa un milione di persone.
In una città blindata e bloccata non sono mancate tensioni e momenti di scontro:
diverse centinaia le identificazioni […]
Ci sono certi quartieri di certe città italiane dove la sopravvivenza è una
resistenza quotidiana. San Berillo a Catania è un quartiere resistente, che il
governo prova a distruggere da…
La quotidianità nel centro torinese durante le ultime settimane é stata scandita
da continui momenti di protesta. Venerdì 19 settembre una stanza dell’area Verde
é stata resa completamente inagibile dal…
Dopo una grande settimana di mobilitazioni in tutt’Italia, il governo, che sul
piano pubblico continua a mantenere una posizione ambigua (e implicitamente
complice) sul genocidio portato avanti da Israele, è invece risoluto ed
efficiente nel portare avanti il suo progetto di repressione del dissenso
interno.
La storia di Anan, Alì e Mansour dimostra chiaramente sia la fame di repressione
che l’asservimento allo Stato genocida. A Milano, dove 200000 persone hanno
cercato di occupare la stazione centrale in segno di solidarietà col popolo
palestinese, la repressione ha colpito con una brutalità tanto eccessiva quanto
gratuita. Due compagnx minorenni organizzatx nell’ambito del CSA Lambretta sono
statx arrestatx con motivazioni pretestuose e, dopo aver passato 3 notti in
attesa di udienza al carcere Beccaria (tristemente noto per gli abusi della
gestione), si sono trovatx ad affrontare aggravanti pesanti, domiciliari e, cosa
di una gravità inaudita, persino il divieto di frequentare la scuola. A questo
si aggiungono altri arresti e altre misure repressive come l’obbligo di firma
per altrx compagnx maggiorenni.L’apparato repressivo mostra come la vera
violenza non siano due vetrine rotte, le cui spese verrano prontamente coperte
dalle assicurazioni dei marchi miliardari che hanno negli anni colonizzato la
stazione centrale, ma la furia con cui lo Stato si scaglia contro qualunque
espressione di dissenso che esca dai confini del “decoro”. Viene criminalizzato
qualunque momento di piazza nel quale la rabbia, l’angoscia e il legittimo
desiderio di lottare per un mondo migliore non si lascino imbrigliare
all’interno di una cornice pacificata, innocua per chi sta al potere e
accettabile per il pubblico moderato che guarda da casa, i cui sogni tranquilli
non vanno perturbati.Queste misure repressive cercano di farci sentire solx e
impotentx, sotto la perenne minaccia di uno Stato in grado di rovinare le nostre
vite e la nostra salute fisica e mentale se non ci lasciamo disciplinare.
Come CSOA Gabrio esprimiamo la nostra piena solidarietà e complicità a
Lambretta, a tutti i collettivi di Milano che sono scesi in piazza il 22
settembre e a tuttx lx compagnx arrestatx. Lx ringraziamo per aver avuto il
coraggio di sfidare il dispositivo di polizia che voleva impedire loro di
esercitare il diritto di scioperare e di portare la legittima e doverosa
solidarietà al popolo palestinese.In quelle stazioni c’eravamo tuttx e non
avremo paura di tornarci nelle prossime settimane.
Libertà per tuttx!
Ieri 22 settembre si è svolta la seconda udienza del processo per la morte di
Moussa Balde.
Per la prima volta la famiglia ha avuto modo di vedere in faccia i responsabili
della morte di Moussa e raccontare la sua storia in aula.
Dai numerosi testimoni tra il personale, le forze dell’ordine e
l’amministrazione del cpr, invece, è emersa chiaramente l’assenza totale di
una reale regolamentazione.
Il personale ha riportato che in Cpr tutto è lasciato all’informalità e
discrezionalità di chi c’è al momento.
Le risorse del capitolato non sono sufficienti né per garantire tutele né per
svolgere servizi essenziali. Di fronte a tali condizioni degradanti, anche il
giudice ha avuto difficoltà a definire “ospiti” i detenuti del CPR.
In questo momento il dibattito si sta concentrando sullo stabilire i
responsabili dell’isolamento di Moussa nell’ospedaletto.
Gli avvocati dell’ ex direttrice del CPR e dell’ex medico, gli unici
imputati, tentano di attribuire la colpa alla prefettura e perfino agli altri
detenuti che avrebbero rifiutato di riaccogliere Moussa in sezione per un
sospetto di scabbia (rivelatosi infondato).
Un vergognoso rimbalzo della colpa che mira solo a mettere confusione
e a cercare di uscirne puliti, senza dare la responsabilità a nessun di quanto
successo.
Ma sappiamo, e non ci stancheremo mai di dirlo, che la colpa della morte di
Moussa e di tutte le altre morti è sistemica. Il Cpr è un sistema che uccide,
tortura e maltratta.
Alla prossima udienza, il 20 ottobre, saranno sentiti gli ex dirigenti
dell’Ufficio Immigrazione e della Prefettura.
Continueremo a portare solidarietà alla famiglia di Moussa e tutti i detenuti e
le detenute del CPR davanti al tribunale.
MAI PIÙ CPR MAI PIÙ LAGER!
Torniamo a raccogliere beni di prima necessità per le persone recluse nel CPR.
Mercoledì 10 settembre dalle 16.30 e durante il Festival @solchi Sabato 13 e
domenica 14 settembre
I detenuti sono trattenuti in condizioni invivibili, sia in termini materiali
sia rispetto alla violenza quotidiana a cui sono costretti.
Da dentro chiedono di poter accedere a beni di prima necessità.
Il cibo, “offerto” dal nuovo gestore Sanitalia è, oltre che immangiabile e a
volte scaduto, pieno di psicofarmaci per sedare i reclusi, esattamente come in
passato.
Dentro il cpr c’è uno spaccio alimentare dove i prezzi sono proibitivi (un pacco
di biscotti costa 7€) perché l’unico interesse di Sanitalia è di lucrare sulla
pelle delle persone.
La nostra solidarietà è un’arma, usiamola!
N.B. dopo le prime raccolte infastiditi da questa iniziativa hanno smesso di
ritirarci i vestiti usati, per cui raccogliamo SOLO VESTITI NUOVI
"INFEDELE ALLA LINEA" NIENTE SOLIDARIETÀ SILENZIO CENSURA
Piazza Castello, Torino - Torino, piazza Castello
(lunedì, 1 settembre 00:00)
L’attivista marocchina LGBT IBTISSAME LACHGAR (Betty) è stata imprigionata il 10
agosto a Rabat per blasfemia, un reato che non prevede l’arresto preventivo in
Marocco ma che può portare dai 5 ai 10 anni di carcere.
Aveva indossato pubblicamente una maglietta con su scritto ALLAH È LESBICA .
Il processo fissato per il 27 agosto è stato rinviato di sette giorni.
E Betty resta in galera - in isolamento - nonostante sia paziente oncologica (ha
49 anni).
Betty che si dichiara atea, è ben nota per aver promosso il MALI movimento
alternativo per le libertà individuali e tutta una serie di iniziative,
prevalentemente performance, considerate provocatorie e blasfeme nel suo Paese,
che vanno dal bacio collettivo, al picnic durante il Ramadan.
Il 27 ci sono stati i vari presidi in Spagna davanti a consolati e ambasciate
del Marocco per rivendicare la sua libertà. Nonostante la notizia fosse
circolata poco. Così il presidio più numeroso è stato quello di Barcellona con 8
persone: 6 femministe e 2 anarchici, Madrid 7, Bilbao 6 e Algesiras 2.
Un po’ meglio in Francia, Betty ha anche la nazionalità francese .
In Italia non se ne parla neanche.
Ci domandiamo: come mai? Sappiamo bene che nei movimenti che si proclamano
antagonisti, alternativi radicali, rivoluzionari, persino fra gli anarchici,
dilaga una singolare attitudine legata al più bieco opportunismo politico e
all’ignoranza della storia dei movimenti. Quello di lasciar fare agli oggetti
delle proprie brame di inglobamento ciò che desiderano. Negli ultimi anni così
vediamo sui furgoni delle manifestazioni, come alla radio, personaggi urlanti
allah è grande! sventolare bandiere di Stati esistenti o in divenire. E
critiche, anche blande, all’integralismo religioso, venir bollate come
islamofobia, termine molto alla moda e razzismo, con relativi processi ed
espulsioni.
L’opportunismo politico ha sempre fatto schifo a noi anarchici che facciamo
politica per distruggerla (Proudhon), è la diarrea del motto autoritario “con
qualunque mezzo necessario“.
Ora si sprofonda nell’osceno e nell’assurdo e nel lesivo. E così addirittura le
aggressioni fisiche a compagne e compagni omosessuali o meno, divenute negli
ultimi anni oggetto di processi, e i processi prevedono giudici, sbirri,
esecutori… con condanne a vita, improvvisamente non sono più episodi gravi e gli
stessi aggressori seriali te li trovi la sera |al concerto - invitati - dove
possono riprendere le loro violenze a donne, gay, anziani o anche solo ad
individui isolati, a chiunque si presenti indifeso.
Se alcuni gruppi politici, dediti al proselitismo compulsivo, vivono la politica
come una fogna di baccagli e di stalking, strizzando l’occhio ai propri
aggressori e molestatori nella speranza di intrupparli - in massa - nelle
proprie fila, non tutti devono farne le spese.
Possiamo solo dire: siete la negazione di ogni prospettiva rivoluzionaria in
senso libertario. E state pedestramente ricalcando le tappe di vecchie politiche
autoritarie già penosamente fallite negli anni ‘70 con altro target.
Per quel che riguarda gli anarchici o coloro che si definiscono tali. Ricordiamo
che l’anarchia, pur non essendo un’ideologia, presenta alcuni punti fermi di
base senza i quali proprio non ci si può dire anarchici e non si sa più cosa sia
anarchia. Uno è la lotta contro le religioni oppressive. Prima di tutto quelle
monoteiste. L’uomo al potere inventa l’idea di dio per giustificare e nobilitare
gli stupri che gli assicurano il privilegio che potrà mantenere solo con l’uso
della violenza organizzata. Dall’idea di dio discende direttamente l’idea di
potere.
Quindi gli anarchici combattono apertamente l’oppressione religiosa a cominciare
proprio dal cristianesimo, dall’ebraismo e dall’islamismo: le più feroci.
Inoltre gli anarchici, combattono qualunque Stato, se no con l’anarchia proprio
non c’entrano nulla. “Come si fa ad essere così coglioni da pensare che ci sono
poteri buoni“ dice la canzone, insultando giustamente i miserabili della
politika, che noi anarchici chiamiamo semplicemente autoritari.
Non si pensava fosse necessario ricordarlo, ma siamo arrivati ad un punto di
degenero tale che, addobbate del “politicamente corretto”, vengono messe in
dubbio e accantonate le poche idee base, che praticate, fanno sì che l’anarchia
non sia un fantasma, ma ciò che fa tremare qualunque potere costituito.
Dunque, massima solidarietà a Betty Lachgar abbandonata da quasi tutti in
galera. Condividiamo le tue idee e le tue pratiche iconoclaste e le difenderemo
contro tutti i poteri esistenti o in formazione, anche quelli striscianti che
prendono alle spalle, ti creano il vuoto attorno e ti lasciano sola!
Barocchio squat garden west coast
28 agosto 2025
Da più di un anno Maja è rinchius* nelle carceri ungheresi, estradat* e poi
torturat* nel paese liberticida di cui Orban è dittatore, per il solo “crimine”
di essere antifascista — crimine del quale siamo tutte, tutt* e tutti colpevol*!
Negli ultimi mesi, Maja, ha subito abusi non troppo dissimili da quelli inflitti
a Ilaria Salis: catene ai piedi e alle mani, collare e guinzaglio, un processo
giuridico opaco e infiltrato da un chiaro messaggio politico fascista e
autoritario contro chi lotta per la libertà.
Come ultimo atto di autodeterminazione, Maja ha iniziato uno sciopero della
fame, dapprima in cella d’isolamento e ora nell’ospedale carcerario ungherese al
confine con la Romania.
Un mese di lotta, attraverso il proprio corpo, che ha portato le sue attuali
condizioni di salute ad essere a dir poco allarmanti: drastica perdita di peso,
deterioramento degli organi vitali, danni al cuore.
Riconosciamo e rimarchiamo la necessità del sostegno internazionale a tutt* l*
compas e, in questo momento tragico, a Maja.
Nel nostro piccolo, vogliamo mandare un messaggio di solidarietà e rilanciamo le
richieste avanzate dal padre di Maja, Wolfram Jarosch, come possibile via
d’uscita dal supplizio che l* compas sta subendo:
1. «In nessun caso si deve impiantare un pacemaker contro la volontà di Maja.
Non sarebbe utile dal punto di vista medico, poiché la bassa frequenza
cardiaca è una conseguenza diretta dello sciopero della fame.»
2. «Maja non deve essere legat* al letto. Una misura del genere sarebbe crudele
e priva di giustificazione medica.»
3. «Il Ministero degli Esteri tedesco deve urgentemente porre fine
all’isolamento carcerario e ottenere il rientro di Maja in Germania.»
4. «Non devono avvenire altre estradizioni verso l’Ungheria!»
[Estratto da: Comunicato stampa congiunto di Wolfram Jarosch e del Comitato di
solidarietà per lo sciopero della fame di Maja]
Pretendiamo la liberazione immediata di Maja!
Urge un fronte comune di lotta contro questa ondata fascista che, come un olezzo
di roba rancida e putrefatta, si è riversata sul nostro mondo e nelle nostre
città.
Non possiamo aspettarci niente da uno stato fascista – ungherese o italiano che
sia – e sicuramente non ci aspettiamo una narrazione istituzionale che definisca
i nazisti come un problema di libertà.
Cosa possiamo aspettarci, allora, da un tribunale in cui l’unico giudice fa
anche parte dell’accusa, se non un teatrino della peggior specie?
Possiamo però essere e restare solidal*, possiamo fare tutto ciò che pensiamo
sia giusto per aumentare la solidarietà in maniera esponenziale, immaginando
anche nuove forme di lotta.
A Torino gridiamo da oltre trent’anni che “si parte e si torna insieme”: non è
solo un coro, è una sfida vitale!
Maja non è sol*
#FreeAllAntifas
#FreeMaja
L’attacco a Manituana è un ulteriore atto nella guerra a bassa intensità che
l’amministrazione comunale ha dichiarato contro gli spazi liberati e
l’auto-organizzazione dal basso.
La Torino che sognano di costruire è una città “smart” e ricca, dove chi ha
potere economico può avere tutto, mentre chi è pover* semplicemente scompare.
Una città di rentiers che spremono valore dalla speculazione edilizia, dagli
affitti sempre più inaccessibili e dai grandi eventi.
Naturalmente in tutto questo non c’è spazio per le persone in carne ed ossa che
questa città la abitano davvero: persone con necessità e bisogni (casa, reddito,
salute), con desideri e sogni (di relazioni sociali soddisfacenti, di una vita
degna e interessante), con rabbia e aspirazioni ad un mondo altro.
È in questo humus fertile, fatto di relazioni e politica, di auto-organizzazione
e lotta, che gli spazi sociali come Manituana nascono e proliferano: perchè,
come ci ricordano lu compas, una collettività politica non si può sradicare.
Ed è difficile convincere chi ha sperimentato la possibilità di decidere sulla
propria vita e sulle scelte della propria comunità a rientrare nei ranghi
dell’obbedienza al comando della ragion (economica) di Stato.
Manituana non ha genere, non ha specie e non ha padroni. È l’insradicabile
necessità di costruire, immaginare futuri diversi, coltivare speranze e lotte in
un presente in cui il cemento prova a soffocare ogni seme di resistenza.
Di fronte al furto di spazio che GTT e Amiat-Iren progettano, Manituana promette
di resistere. Non solo noi lo crediamo, ma assicuriamo fin d’ora che siamo e
saremo al loro fianco.