Tag - green washing

Il ritorno del nucleare. In salsa verde
Il ddl che, se approvato, potrebbe riaprire le porte al ritorno delle centrali atomiche nel nostro paese, è stato presentato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Pichetto Fratin. Nulla di cui stupirsi. Da quando l’energia nucleare è stata inserita nell’elenco delle rinnovabili l’avvio di un’operazione di green washing atomico era solo questione di tempo. Questa volta il nucleare, cui verrà garantita una corsia prefererenziale, sarà affidato ai privati, che verranno sostenuti dallo Stato. Già lo scorso autunno era stata lanciata una new company per rilanciare le industrie del settore, capofila l’Enel, già impegnate all’estero. Oggi invece sul piatto c’è l’avvio di un programma di mini centrali di quarta generazione o, in subordine, di “terza generazione avanzata”. Le parole chiave sono “mini” e “quarta generazione”. In questo modo Pichetto Fratin e la sua banda di devastatori ambientali pensano di gabbarci, facendoci credere che le nuove centrali saranno piccole e nuove. Relativamente piccole si, nuove sicuramente no. La tecnologia di fondo è la stessa. Semmai aumenteranno i rischi perché, essendo piccole, dovranno farne di più, moltiplicando le necessità di controllo ed il rischio di errore. In ogni caso, al di là della propaganda che ha preceduto l’avvio dell’iter legislativo per la reintroduzione del nucleare, nel Ddl inviato lo scorso 22 gennaio da Pichetto Fratin al consiglio dei ministri, non si fa esplicito riferimento ad alcuna tecnologia. Si parla vagamente di “nucleare sostenibile” e, soprattutto, si tratta di una legge delega, che consentirebbe di aggirare i risultati dei referendum del 1987 e del 2011. Il Disegno di legge sarà concretamente intellegibile solo quando saranno approntati i decreti attuativi, perché, trattandosi di una legge delega, le decisioni effettive verranno prese dal governo, senza ulteriori passaggi legislativi. Si parla del 2027. Un lungo processo, in cui, oltre alle nuove centrali, viene previsto un piano per le vecchie centrali, lo smaltimento delle scorie, la perennemente irrisolta questione del “deposito nazionale”, l’apertura di impianti per l’arricchimento dell’uranio e di altri per il riprocessamento dei rifiuti atomici. I comuni che ospiteranno le centrali riceveranno un indennizzo. Nelle 14 pagine redatte dallo staff del Ministro per illustrare il Ddl emerge che la preoccupazione principale di Pichetto Fratin è presentare un progetto che segni una cesura con le vecchie centrali (da smantellare definitivamente) in modo che i No emersi dai referendum, possano essere agilmente dribblati. Quando sarà bravo nel tackle questo governo e quanto forte la squadra avversaria nel contrasto, dipenderà anche da una corretta informazione. Ascolta la diretta dell’info con Angelo Tartaglia, professore emerito del Politecnico di Torino: > Il ritorno del nucleare. In salsa verde
InformAzione
angelo tartaglia
green washing
il ritorno del nucleare
pichetto fratin
Il ritorno del nucleare. In salsa verde
Il ddl che, se approvato, potrebbe riaprire le porte al ritorno delle centrali atomiche nel nostro paese, è stato presentato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Pichetto Fratin. Nulla di cui stupirsi. Da quando l’energia nucleare è stata inserita nell’elenco delle rinnovabili l’avvio di un’operazione di green washing atomico era solo questione di tempo. […]
L'informazione di Blackout
nucleare
green washing
discarica nucleare
uranio
Ven 31 gen. Crisi climatica e azione diretta
Crisi climatica e azione diretta Strumenti di ricerca, misurazione, analisi e lotta Venerdì 31 gennaio ore 21 alla FAT corso Palermo 46 Torino Interverrà il fisico Andrea Merlone, Dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM) e ricercatore associato all’Istituto di Scienze Polari del CNR. Che sia in atto un cambiamento climatico con un’accelerazione senza precedenti, da quando il pianeta è abitato da forme di vita strutturate in comunità è un dato ormai privo di dimostrazioni opposte. Le estese analisi e i risultati cui è pervenuto il lungo lavoro della comunità climatologica portano a una conclusione unica: il clima sta cambiando a una velocità tale per cui le forme di vita vegetali e animali (inclusa quella umana) vengono poste in seria difficoltà di adattamento. Adattamento fisico, chimico, biologico, sociale e migratorio sono a rischio, sottoposti a forzanti indotte dalla produzione industriale, alimentare e trasportistica sempre più energivora. Variazioni di concentrazioni di elementi (CO2 in primis in atmosfera e nei mari) e pochi gradi in più di aumento delle temperature atmosferiche, marine e del suolo portano a collassi repentini e imprevedibili in un sistema regolato da equilibri stabili ma altrettanto caotici. Ricerche e studi sul clima, mai abbastanza supportati e sovvenzionati rispetto ad altre discipline tecnologiche e belliche, basano le loro analisi su una comunità di ricerca competente, distribuita e in continuo contatto e confronto. La stessa comunità che produce le decine di migliaia di analisi e pubblicazioni costantemente analizzate, in modo critico e rigoroso da iniziative mondiali in seno alle Commissioni internazionali di climatologia della World Meteorological Organization (WMO), dal Global Climate Observing System (GCOS) e dall’International Panel on Climate Change (IPCC). Lontano dall’essere in mano a lobby di interesse, come talvolta anche sostenuto all’interno di alcuni movimenti e pensieri che sfociano in un pericoloso negazionismo a priori, scienziati e autori IPCC vengono sovente screditati. Il caso forse più eclatante sono le COP: alla 28 edizione (Dubai 2023) il presidente ha sostenuto che non vi è alcuna evidenza circa la necessità di ridurre al massimo aumento di 1,5 °C l’innalzamento della temperatura media, rispetto ai valori pre-industriali, riducendo sino all’eliminazione l’utilizzo dei combustibili fossili. Del resto, se a presiedere una COP viene nominato il Sultano Al Jaber, CEO della compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi, è il minimo che ci si possa attendere. Replica puntuale un anno dopo, alla COP29, dove l’Arabia Saudita senza portare controprove solide, ha categoricamente negato la validità dei lavori dell’IPCC. Esternazioni ormai sdoganate senza vergogna, di stampo negazionista e reazionario, simili al rifiorire di esternazioni di stampo fascista e nazista cui si assiste quotidianamente su tante altre questioni a livello nazionale e internazionale. È un ulteriore allarme che segnala l’urgenza diiniziative improcrastinabili di risposta culturale e di azione collettiva e individuale. Un problema di origine capitalista non può avere una soluzione capitalista. Il riscaldamento globale e la sua accelerazione sono causati principalmente dalle emissioni collegate alle attività umane: industriali, di trasporto e alimentari. Tre fattori strettamente legati all’impulso-compulsivo verso l’impraticabile crescita infinita. Che in politica ed economia siano ancora presenti indici matematici e numerici che vedono la crescita della produzione, del consumo e del capitale come un fattore indispensabile al benessere collettivo è indice di come il capitalismo, al pari delle religioni, sia riuscito a introdurre dogmi utili a indirizzare le classi dirigenti e guidare comportamenti decisionali e scelte collettive. La necessità di azioni di mitigazione, osteggiata nei primi momenti sia dalla finanza sia dalla cittadinanza, è ormai un fatto che il capitalismo ha imparato a cavalcare con agilità e destrezza. Al pari delle religioni, si “evangelizza” la persona e il “decision making” verso comportamenti virtuosi che incrementano astutamente e con tempismo il giro di affari del “green”. Con due risultati di rilievo: aumentare la produzione e convincere il “consumatore” di avere fatto una cosa giusta e di tenerci all’ambiente. Si vedano le sempre maggiori operazioni di “green washing” sbandierate da quasi tutte le multinazionali. Il capitalismo quindi si sostituisce al non-decisionismo politico, dal quale però trae legittimità normativa, offrendo soluzioni e strategie di mitigazione: i continui cambi di categoria nei mezzi di trasporto che, con l’aiuto di limitazioni nella circolazione di categorie precedenti, portano a sbarazzarsi di veicoli perfettamente funzionanti verso l’acquisto imposto di nuovi modelli; la pur benvenuta elettrificazione sposta solo il problema, con costi accresciuti e a carico dell’utenza, data la cronica assenza di sistemi di produzione elettrica non clima-alteranti; le tassazioni crescenti e capillari che coinvolgono chiunque possieda un sistema di riscaldamento o di piccola produzione artigianale; fittizi miglioramenti delle classi energetiche degli edifici che portano a declassare immobili più vecchi, portando fuori parametro e conseguentemente fuori mercato piccole case e borghi facilmente recuperabili (se non dove il restauro è per pochi e porta a trasformare antiche dimore in beni di lusso); e molto altro. Azioni “green” che se da un lato portano un contributo minimo a ridurre gli impatti diretti clima-alteranti, dall’altro causano effetti “indiretti” ben più gravi: la sostituzione di un veicolo funzionante ma meno “prestante” in termini di inquinamento con uno elettrico è accompagnata da impatti ambientali (consumo di risorse, trasporti, generazione di gas clima alteranti) certamente superiore a quanto emesso portando a reale fine vita il veicolo esistente. Considerazione applicabile alla quasi totalità delle iniziative, ma ovviamente ben celata. Lontana dal porre in atto serie azioni di mitigazione, l’azione capitalistica è così improntata per natura ad accrescere e aggravare il problema, rifiutando sistematicamente qualsiasi inversione nei livelli di produzione e consumo. Il rallentamento della crescita sino a una sua sostenibile inversione è così l’unica soluzione seriamente adottabile, pur insieme a transizioni energetiche condivise, per avviare concrete ed efficaci contromisure immediate. Una consapevolezza che deve permeare l’azione diretta individuale e di gruppo e non essere relegata a pochi movimenti e alcuni “portavoce” politici o ad alta notorietà. Il cambiamento climatico richiede azioni chiare e urgenti piani di mitigazione. Ed è altrettanto urgente aumentare il dissenso verso i governi che voltano le spalle a un problema ora quotidianamente avvertito sia a livello globale che locale, rilanciando l’azione autogestita e diretta. Misurare il clima che cambia Comprendere il clima e i suoi mutamenti, locali e globali, richiede metodi di calcolo e grandi quantità di dati. Sono proprio i dati l’ingrediente principale di ogni studio climatologico: sia che si tratti di serie storiche, attraverso le quali ricostruire un’evoluzione rispetto al passato, sia che si osservino fenomeni recenti e in tempo reale, soprattutto nel caso di eventi estremi. La capacità di valutare e quantificare il mutamento del clima dipende così dalla qualità dei dati che provengono da moltitudini di misure di parametri diversi. Alle tradizionali misure meteorologiche ora si sono aggiunte diverse osservazioni marine, glaciali, nel terreno e in alta atmosfera. Uno sforzo scientifico senza distinzione di nazione o area geografica, che vede centinaia di ricercatori collaborare da discipline diverse: fisica dell’atmosfera, chimica, geologia, agronomia, biologia e metrologia. Con un percorso che parte dai laboratori di Torino, andremo a presentare strumenti e stazioni di misura, da quelle urbane all’alta montagna, dalla base artica all’Everest. Senza entrare in dettagli ingegneristici, accenneremo ai diversi strumenti che quotidianamente forniscono dati, sempre più affidabili, che riportano in modo chiaro come l’accelerazione del mutamento del clima sia un fenomeno perfino sottostimato. Un accenno a cosa può fare ognuno di noi per misurare e osservare fenomeni climaticamente rilevanti sarà anche parte della discussione. Andrea Merlone, fisico, è Dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM) e ricercatore associato all’Istituto di Scienze Polari del CNR. Si occupa di misure accurate di temperatura, avendo contribuito alla definizione del Kelvin e alla realizzazione di metodi sperimentali e strumenti scientifici. Da oltre un decennio si promuove studi e progetti sulle misure termiche per la climatologia e il miglioramento dei dati utili a comprendere il riscaldamento globale. Ha partecipato a diverse missioni, dalla piramide al campo base Everest, alle stazioni in Artico, dagli studi in alta montagna alle grotte. E’ autore di oltre 120 articoli su riviste scientifiche e presiede il comitato di esperti sulle misure di temperatura per l’ambiente della World Meteorological Organization (Agenzia delle Nazioni Unite per il clima e l’ambiente), di cui è delegato alla Commissione Climatologica. www.anarresinfo.org
torino
cambiamento climatico
energia
Appuntamenti
green washing
Il “poetico” draghiano
Il “piano Draghi per la competitività europea” è stato reso noto. Nelle quasi 400 pagine di trattato, l’ex presidente della BCE propone la “sua” ricetta per risollevare le sorti europee. La posta in gioco consiste nel compiere un investimento enorme, tramite la contrazione di un debito europeo in Eurobond, affinché gli attori privati dei vari Stati […]
L'informazione di Blackout
green washing
apparato militare industriale
Draghi
lo vuole l'europa
Ciclovia del Garda, Devastare il territorio in nome dell’ambiente
Le ciclabili in Italia sono un oggetto strano. Spesso, rappresentano uno strumento da parte di amministrazioni varie per mostrare il loro volto più “green” e sostenere un ruolo di protagonismo nella transizione energetica e nella ricezione di un cambio di paradigma, a a partire dalla mobilità. La realtà è che, per come le si progetta […]
L'informazione di Blackout
alpinismo molotov
ciclovia garda
green washing