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Voci dall’Iran sotto le bombe
Vi proponiamo testimonianze e prese di posizione di singoli ed organizzazioni iraniane dopo l’attacco israeliano del 13 giugno e l’appello di alcuni gruppi di iraniani che vivono in Italia. La testimonianza di un anarchico di Teheran 14 giugno 2025 Una notte di fuoco e confusione Ieri notte, mentre dormivamo, Israele ha attaccato l’Iran. Gli attacchi hanno preso di mira Teheran, ma anche altre città. Ho sentito brontolii, ho visto lampi: ho pensato fosse un temporale. Niente faceva pensare a una guerra, soprattutto con le discussioni tra Iran e Stati Uniti. Solo stamattina (14 giugno, NdR), attraverso il Fronte Anarchico, abbiamo appreso cosa era realmente accaduto: molteplici attacchi, morti tra i civili. Sono uscito per indagare. La città era transennata. L’esercito e la polizia bloccavano l’accesso alle zone colpite. Bombe inesplose giacevano ancora negli edifici. In ospedale, mi è stato impedito di entrare e la polizia ha cancellato tutte le foto dal mio telefono. Secondo un giornalista presente sul posto, almeno sette bambini sono stati uccisi. Alcuni piangevano. Altri – prevedibilmente – gioivano per la morte di esponenti del regime. Il giorno dopo: un inferno senza allarmi Nelle ore successive, ho visto scene apocalittiche. Il cielo era striato di missili. Il fuoco cadeva sulle strade. La gente fuggiva da Teheran: intere famiglie, giovani lavoratori, anziani. Aspettavamo aiuto sui marciapiedi. Feriti, ustionati, due morti davanti ai miei occhi. Nessun allarme. Nessun riparo. Niente. I maxi schermi trasmettevano la versione ufficiale: la Repubblica Islamica aveva colpito Tel Aviv, Israele aveva promesso di reagire. Ho dei compagni lì: anarchici, pacifisti, coloro che si rifiutano di servire nell’esercito. Non vogliamo questa guerra. Una popolazione in modalità sopravvivenza L’aria è inquinata: gli impianti nucleari sono stati colpiti. La gente sta inscatolando, accumulando scorte, fuggendo dalle grandi città… per poi tornare, in mancanza di alternative. Le strade sono congestionate. I media statali cantano inni e trasmettono menzogne. Unica fonte affidabile: Telegram e canali satellitari. Le manifestazioni sono ancora rare. Troppa polizia, troppa paura. Ieri, davanti agli ospedali, le famiglie cercavano i loro cari scomparsi. Abbiamo urlato. Abbiamo pianto. Abbiamo resistito. Nessun rifugio, nessuna evacuazione. Le istituzioni rimangono aperte come se nulla fosse successo. Non ci sono istruzioni di sicurezza, né sirene, né centri di accoglienza. Le perdite chimiche sono probabili, ma non ci sono protocolli in atto. Così, la gente diserta di propria iniziativa: le aziende chiudono, gli studenti si rifiutano di sostenere gli esami, i dipendenti pubblici restano a casa. Solo i servizi di emergenza sono ancora in piedi. A volte mi sento ancora vivo solo perché Israele non sta (ancora) colpendo le zone residenziali. Ma gli incendi, le ricadute radioattive, i colpi vaganti continuano comunque a uccidere persone. E non c’è aiuto. Niente. Nessun supporto umanitario, nessuna organizzazione esterna, nessuna medicina – e le sanzioni stanno già uccidendo da anni. Quattro Iran, una terra sotto le bombe È importante capire che il popolo iraniano è frammentato: 1. Una maggioranza silenziosa, che odia il regime ma rifiuta la guerra. Sopravvive, fugge, piange i morti maledicendo i leader. 2. Gli islamisti, fedeli al governo, che parlano di martirio e vogliono vendicarsi. 3. I monarchici e i liberali, spesso filo-israeliani, che applaudono gli attacchi contro le Guardie Rivoluzionarie. 4. Gli anarchici e gli attivisti di sinistra, come noi: contro la Repubblica Islamica, ma anche contro Israele, contro tutti gli stati. Per la sopravvivenza, l’aiuto reciproco, l’autonomia. Che posto hanno gli anarchici in questa guerra? Non siamo armati. Non partecipiamo ai combattimenti. Il nostro compito è altrove: informare, salvare, creare connessioni, contrastare la propaganda. Aiutiamo come meglio possiamo: pronto soccorso, canali di informazione e consapevolezza del rischio chimico. Ci prendiamo cura di noi stessi e di chi non ha nessuno. Rifiutiamo la retorica semplicistica. Né “tutti gli israeliani devono morire”, né “i sionisti sono i nostri salvatori”. Siamo tra due fuochi: il fondamentalismo religioso da una parte, il militarismo sionista dall’altra. Il nostro ruolo è quello di essere ponti. Trasmettitori di idee. Aprire brecce nel fatalismo. Rimanere saldi, anche disarmati, anche nella paura. In lutto per il movimento contro la guerra Devo ammettere: sono triste. Profondamente. Dieci anni fa, ho parlato con i pacifisti israeliani. Quelli che si sono rifiutati di servire. Curdi, Arabi, Armeni, Anarchici. Sognavamo insieme un Medio Oriente libero, senza esercito, senza stato. Ma abbiamo perso. Non eravamo abbastanza forti da impedire la guerra. Non avevamo abbastanza sostegno. Oggi la gente ha paura di parlare di pace. Crede che sarebbe tradimento. Che chiedere la fine degli attacchi aerei significhi arrendersi al nemico. Eppure, tutti vogliono la pace. Ma nessuno osa pretenderla. Una voce nel tumulto Non so per quanto tempo resisteremo. Proprio ieri sera, gli aerei rombavano come un’autostrada nel cielo. Ma so una cosa: finché ci saranno persone di cui prendersi cura, resistere e organizzarsi senza aspettare lo stato, ci saranno semi di anarchia, anche tra le macerie. Conclusione: non normalizziamo l’insopportabile. Prima di tutto, voglio ringraziare sinceramente tutti i compagni che si sono presi la briga di ascoltarci. In un mondo in cui siamo costantemente schiacciati da forze politiche, economiche e di polizia, è raro che ci venga ancora dato lo spazio per parlare. Anche senza bombe, la violenza ci circonda: assume la forma di affitti impagabili, scartoffie infinite, discriminazione, stanchezza e isolamento. Una violenza silenziosa, presentata come “normale”, a cui non dovremmo mai abituarci. Ma quando scoppia la guerra, questa violenza si disintegra improvvisamente in pieno giorno. Ciò che era tollerato diventa insopportabile. E allora, paradossalmente, possiamo parlare. Ho potuto scrivervi perché tutto è crollato. Perché, nel caos, le verità più semplici tornano ad essere udibili. Quello che voglio dirvi è questo: non lasciate che questo discorso cada nel silenzio. Non lasciate che il nostro dolore – qui in Iran, come altrove – venga relegato ai margini, come se fosse semplicemente “locale”, “specifico”, “culturale” o “eccezionale”. Perché in verità, condividiamo la stessa guerra: quella combattuta dagli stati contro le nostre vite. Quindi vi imploro, compagni: non accettate la violenza della vita quotidiana come un dato di fatto. Rifiutate l’idea che dobbiamo aspettare che i missili colpiscano prima di reagire. Non aspettate che la nostra sofferenza diventi spettacolare prima di meritare la vostra attenzione. Parliamo ora. Organizziamoci. Creiamo spazi reali di azione e di mutuo soccorso. Affinché la guerra qui non diventi un rumore di fondo. Affinché non siate ridotti a semplici “salvatori” di fronte alla nostra sofferenza, ma piuttosto complici della lotta. Appello alla solidarietà internazionale Oggi la situazione è instabile, critica, forse sull’orlo di una catastrofe umanitaria. Se l’Iran è isolato dal mondo – dalle bombe o dalla censura della Repubblica Islamica – diffondete la nostra parola. Raccontate cosa ci sta succedendo. Date voce a chi ne è privato. Non beneficiamo di alcuna protezione internazionale. Le ONG sono quasi inesistenti. Le sanzioni aggravano la nostra sofferenza. Se avete contatti, influenza o connessioni in collettivi, sindacati, associazioni o reti sanitarie: mobilitateli. Chiedete assistenza medica urgente, una maggiore vigilanza sulle violazioni e una mediazione internazionale che trascenda la logica statale. Ma soprattutto, rifiutate le narrazioni semplicistiche. Non siamo né pedine di Israele né pedine del regime islamico. Non crediamo né nelle bombe “liberatorie” né nei mullah “resistenti”. Siamo intrappolati tra due macchine di morte e continuiamo a cercare, ancora e ancora, di costruire qualcosa di diverso. Non c’è ancora un esodo di massa. Ma se la guerra si estende, le conseguenze saranno spaventose. Quindi, compagni, solleviamoci insieme. Non per sostenere una parte contro l’altra, ma per far sentire un’altra voce: quella della vita, della libertà e della solidarietà, contro tutti gli stati, tutti i confini e tutte le guerre. **** Dichiarazione del fronte anarchico di Iran e Afghanistan contro la furia bellica dei governi Noi, il fronte anarchico di Iran e Afghanistan, riaffermiamo la nostra posizione incrollabile e di principi: Ogni guerra – su ogni scala e su ogni scusa – iniziata o sostenuta dagli Stati, deve essere inequivocabilmente condannata. I Paesi, indipendentemente dalla loro forma o aspetto, usano la guerra come strumento di sopravvivenza e controllo. E in questo processo vengono calpestati sotto i loro piedi la vita, la dignità e il futuro della gente comune. In un momento in cui il mondo è ancora una volta afflitto da violenza, bombe, morte, sfollamento e insicurezza, insistiamo su questa verità continua: le vere vittime della guerra sono sempre le persone, non i paesi, non le ideologie, non i confini. La nostra lotta, come sempre, non è per la ridistribuzione del potere tra le élite, ma contro la stessa istituzione dello Stato e ogni forma di controllo organizzato. Siamo solidali – con attenzione e decisione – a fianco del popolo iraniano, dell’Afghanistan e della regione più ampia. Quello a cui assistiamo oggi sono, da un lato, i crimini palesi del regime israeliano, che colpiscono i civili di Gaza e altrove con crudeltà selvaggia. D’altra parte, vediamo la Repubblica Islamica dell’Iran manipolare la paura pubblica, giocare partite geopolitiche a costo della vita degli iraniani per imporre il peso della guerra alla società. Noi vediamo la Repubblica Islamica non solo come lo scoppio di una guerra regionale, ma come parte di una catena globale di controllo e oppressione – un regime che da decenni attacca il popolo iraniano con censura, povertà, prigionia, tortura ed esecuzione, mettendo in pericolo milioni di persone attraverso provocazioni militari. Mentre condanniamo le atrocità del regime sionista nei termini più duri, affermiamo anche che la lotta contro la Repubblica Islamica fa parte della nostra lotta più ampia contro tutti gli Stati e le strutture di controllo – una lotta che continuerà. Combattiamo per un mondo senza confini, senza paesi, senza eserciti o autorità – un mondo in cui umanità, vita e libertà sono al centro. La nostra guerra principale è sempre stata la guerra contro l’autorità politica, il totalitarismo e lo stato stesso. Fronte anarchico Iran e Afganistan 13 giugno 2025 **** Qui potete ascoltare l’intervista di radio Blackout a Behrooz di “Together with Iran”: https://radioblackout.org/2025/06/voci-dalliran-sotto-le-bombe/ In allegato il comunicato/appello di alcuni gruppi di iraniani che vivono in Italia.
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La trappola del referendum
Si cambia con la lotta, non con il voto I referendum abrogativi previsti per le giornate dell’8 e 9 giugno, i cui quesiti riguarderanno il reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, le indennità per i lavoratori licenziati nelle imprese con meno di 15 dipendenti, i contratti a termine, la responsabilità delle aziende committenti sugli infortuni nel lavoro in caso di appalti e la riduzione del tempo necessario per richiedere la cittadinanza italiana da parte dei cittadini stranieri (da 10 a 5 anni), sono ancora una volta un’arma spuntata per i movimenti sociali. Il gioco referendario ha le sue regole ferree. Se si tiene conto che i referendum sono soggetti ad un meccanismo per cui vengono invalidati se non si raggiunge il quorum del 50% + 1 oltre, ovviamente, alla maggioranza dei Sì, è capitato molto spesso che si risolvessero in un nulla di fatto. Inoltre, la storia ci dimostra che quand’anche sono stati soddisfatti tutti i requisiti, ecco che in diverse occasioni le istituzioni si sono mobilitate per vanificarne i risultati. Ne è un chiaro esempio il referendum sull’acqua pubblica, a distanza di oltre un decennio totalmente ignorato e disatteso. Ma la CGIL ha raccolto le firme necessarie e tutto è pronto per procedere con la votazione. Il sindacalismo confederale e concertativo – che da tanti anni opera per la pacificazione sociale – persegue imperterrito il suo esclusivo interesse, non certo quello delle classi sfruttate e oppresse. Il famigerato “Pacchetto Treu” del 1997, che durante il primo governo Prodi aprì le porte ad un inesorabile processo di precarizzazione del lavoro, venne sostenuto dalle stesse forze partitiche e sindacali che oggi si sgolano per la chiamata alle urne. Al tempo dell’approvazione del Jobs Act e della cancellazione dell’articolo 18, la triade non fece certo i salti mortali per ostacolare le politiche del governo Renzi, limitandosi ad una flebile protesta simbolica. Pesanti riforme neoliberiste che sancirono tagli ai servizi e privatizzazioni, vennero accettate a cuor leggero. L’imperativo era ed è tutt’ora chiaro: il mantenimento dei propri privilegi conta più del domani di chi tocca con mano miseria e precarietà. La proposta dell’ultimo quesito, se possibile è ancora più paradossale. Il pacchetto sicurezza targato Minniti-Orlando, il daspo urbano per poveri e senza documenti, il piano di costruire un CPR in ogni regione, gli accordi con la Libia al fine di facilitare i respingimenti in mare, la chiusura dei porti e il blocco delle navi delle ONG, furono opera della coalizione di centro-sinistra a guida Dem. Non solo. I referendum sono a nostro avviso la cortina fumogena che rischia di distogliere l’attenzione dal conflitto sociale, l’unico terreno dove sfruttate e sfruttati possono ottenere risultati concreti. L’unico terreno sul quale i sindacati di Stato non possono e non vogliono impegnarsi. Rispetto a tali dinamiche, serve una buona dose di consapevolezza e di disincanto. Serve aprire gli occhi sulla natura interclassista e perdente degli strumenti offerti dalle istituzioni borghesi e impugnati dalle burocrazie sindacali. Le leggi non sono altro che il precipitato normativo dei rapporti di forza nella società. Se il referendum sul nucleare del 1987, svoltosi all’indomani del disastroso incidente alla centrale di Chernobyl, si rivelò vincente, ciò fu anche e soprattutto grazie agli scioperi, occupazioni e imponenti iniziative di piazza. Perché conquiste non supportate da una significativa campagna conflittuale, risultano effimere e precarie. Solo attraverso una mobilitazione generale e diffusa è possibile ottenere effettivi miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro dei soggetti coinvolti. Solo rifuggendo la logica della delega e praticando l’azione diretta si può fare in modo che il governo faccia un passo indietro, ripristinando diritti e tutele da tempo smantellate. Rinnoviamo il nostro impegno alla partecipazione sul terreno della lotta. Costruiamo l’alternativa dal basso! La Commissione di Corrispondenza della FAI
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Video. Crisi climatica e azione diretta
📌 Crisi climatica e azione diretta Strumenti di ricerca, misurazione, analisi e lotta 🔥 Venerdì 31 gennaio ore 21 alla FAT corso Palermo 46 Torino si è tenuto ll’incontro con il fisico Andrea Merlone, Dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM) e ricercatore associato all’Istituto di Scienze Polari del CNR. 🟢 Che sia in atto un cambiamento climatico con un’accelerazione senza precedenti è un dato ormai privo di dimostrazioni opposte. Le estese analisi della comunità climatologica portano a una conclusione unica: il clima sta cambiando a una velocità tale per cui le forme di vita vengono poste in seria difficoltà di adattamento. Variazioni di concentrazioni di elementi e pochi gradi in più di aumento delle temperature portano a collassi repentini in un sistema regolato da equilibri stabili ma caotici. Ricerche e studi sul clima, mai abbastanza supportati rispetto ad altre discipline tecnologiche e belliche, basano le loro analisi su una comunità di ricerca competente, distribuita e in continuo confronto, che produce le decine di migliaia di analisi costantemente esaminate dalle Commissioni internazionali di climatologia. 🟣 Lontano dall’essere in mano a lobby di interesse, scienziati e autori IPCC vengono sovente screditati. Alla COP28 il presidente ha sostenuto che non vi è alcuna evidenza circa la necessità di ridurre a 1,5 °C l’innalzamento della temperatura media. Del resto, se a presiedere viene nominato il CEO della compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi, è il minimo che ci si possa attendere. Esternazioni ormai sdoganate senza vergogna, di stampo negazionista e reazionario, simili al rifiorire di esternazioni fasciste e naziste cui si assiste quotidianamente. 🟡 Un problema di origine capitalista non può avere una soluzione capitalista. Il riscaldamento globale è causato principalmente dalle attività umane legate all’impulso-compulsivo verso l’impraticabile crescita infinita. La necessità di azioni di mitigazione è ormai un fatto che il capitalismo ha imparato a cavalcare, “evangelizzando” verso comportamenti virtuosi che incrementano il giro di affari del “green”. Si vedano le sempre maggiori operazioni di “green washing” sbandierate dalle multinazionali. 🔵 Azioni “green” che se da un lato portano un contributo minimo a ridurre gli impatti diretti clima-alteranti, dall’altro causano effetti “indiretti” ben più gravi. Il rallentamento della crescita sino a una sua sostenibile inversione è così l’unica soluzione seriamente adottabile, pur insieme a transizioni energetiche condivise. ⚫ Il cambiamento climatico richiede azioni chiare e urgenti piani di mitigazione, aumentando il dissenso verso i governi che voltano le spalle al problema, rilanciando l’azione autogestita e diretta. 🔴 Misurare il clima che cambia La capacità di valutare il mutamento del clima dipende dalla qualità dei dati che provengono da moltitudini di misure di parametri diversi. Uno sforzo scientifico senza distinzione geografica, che vede centinaia di ricercatori collaborare da discipline diverse. Con un percorso che parte dai laboratori di Torino, andremo a presentare strumenti e stazioni di misura, da quelle urbane all’alta montagna, dalla base artica all’Everest, che riportano come l’accelerazione del mutamento del clima sia un fenomeno perfino sottostimato. ‼️ Andrea Merlone, fisico, è Dirigente di ricerca all’INRiM e ricercatore associato al CNR. Si occupa di misure accurate di temperatura e promuove studi sui dati utili a comprendere il riscaldamento globale. Ha partecipato a diverse missioni scientifiche ed è autore di oltre 120 articoli. Presiede il comitato di esperti sulle misure di temperatura per l’ambiente della World Meteorological Organization.
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Il ritorno del nucleare. In salsa verde
Il ddl che, se approvato, potrebbe riaprire le porte al ritorno delle centrali atomiche nel nostro paese, è stato presentato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Pichetto Fratin. Nulla di cui stupirsi. Da quando l’energia nucleare è stata inserita nell’elenco delle rinnovabili l’avvio di un’operazione di green washing atomico era solo questione di tempo. Questa volta il nucleare, cui verrà garantita una corsia prefererenziale, sarà affidato ai privati, che verranno sostenuti dallo Stato. Già lo scorso autunno era stata lanciata una new company per rilanciare le industrie del settore, capofila l’Enel, già impegnate all’estero. Oggi invece sul piatto c’è l’avvio di un programma di mini centrali di quarta generazione o, in subordine, di “terza generazione avanzata”. Le parole chiave sono “mini” e “quarta generazione”. In questo modo Pichetto Fratin e la sua banda di devastatori ambientali pensano di gabbarci, facendoci credere che le nuove centrali saranno piccole e nuove. Relativamente piccole si, nuove sicuramente no. La tecnologia di fondo è la stessa. Semmai aumenteranno i rischi perché, essendo piccole, dovranno farne di più, moltiplicando le necessità di controllo ed il rischio di errore. In ogni caso, al di là della propaganda che ha preceduto l’avvio dell’iter legislativo per la reintroduzione del nucleare, nel Ddl inviato lo scorso 22 gennaio da Pichetto Fratin al consiglio dei ministri, non si fa esplicito riferimento ad alcuna tecnologia. Si parla vagamente di “nucleare sostenibile” e, soprattutto, si tratta di una legge delega, che consentirebbe di aggirare i risultati dei referendum del 1987 e del 2011. Il Disegno di legge sarà concretamente intellegibile solo quando saranno approntati i decreti attuativi, perché, trattandosi di una legge delega, le decisioni effettive verranno prese dal governo, senza ulteriori passaggi legislativi. Si parla del 2027. Un lungo processo, in cui, oltre alle nuove centrali, viene previsto un piano per le vecchie centrali, lo smaltimento delle scorie, la perennemente irrisolta questione del “deposito nazionale”, l’apertura di impianti per l’arricchimento dell’uranio e di altri per il riprocessamento dei rifiuti atomici. I comuni che ospiteranno le centrali riceveranno un indennizzo. Nelle 14 pagine redatte dallo staff del Ministro per illustrare il Ddl emerge che la preoccupazione principale di Pichetto Fratin è presentare un progetto che segni una cesura con le vecchie centrali (da smantellare definitivamente) in modo che i No emersi dai referendum, possano essere agilmente dribblati. Quando sarà bravo nel tackle questo governo e quanto forte la squadra avversaria nel contrasto, dipenderà anche da una corretta informazione. Ascolta la diretta dell’info con Angelo Tartaglia, professore emerito del Politecnico di Torino: > Il ritorno del nucleare. In salsa verde
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Stato di Polizia
Zone rosse, daspo, militari per le strade, leggi speciali contro l’opposizione politica e sociale Il governo sperimenta nuovi meccanismi di esclusione e controllo degli indesiderabili. Muri invisibili ma concreti segmentano le città, separando chi può accedere liberamente nelle aree più pregiate e chi deve esserne tenuto fuori. Con le zone rosse e il daspo urbano il ministro dell’Interno ha arricchito la cassetta degli attrezzi della polizia di nuovi strumenti, che le forze del disordine statale possono utilizzare senza neppure scomodare un magistrato. La stretta securitaria, collaudata inizialmente a Bologna e Firenze, a dicembre si è estesa a Milano e Napoli, e con l’anno nuovo ha investito Roma, dove la morsa poliziesca durante il giubileo è imponente. A Torino il sindaco annuncia un approccio più “morbido”: niente zone rosse ma aree a “sorveglianza rinforzata”, come a Roma. Difficile cogliere le sfumature di fronte alla declinazione sabauda delle direttive governative. Nei fatti le forze di polizia possono allontanare con la forza chiunque, assuma “atteggiamenti aggressivi, minacciosi o insistentemente molesti”. Va da se che gli “atteggiamenti” non sono atti e, quindi gli uomini e le donne in divisa mandano via le persone il cui modo di stare in strada sia considerato, a loro arbitrio, indesiderabile. Queste direttive sono solo l’ultimo tassello del mosaico repressivo del governo, che colpisce ogni forma di contestazione e lotta politica e sociale. Il DDL 1236 – ex 1660 – approvato alla Camera in settembre ed oggi in discussione alla commissione giustizia e affari costituzionali del Senato si inserisce nel solco già aperto da altri provvedimenti (i decreti rave, Cutro, immigrazione, Caivano) che colpiscono i poveri, gli stili di vita non conformi, gli stranieri senza documenti. Le misure contro la socialità non mercificata, quelle contro i profughi e i migranti, l’affondo verso i giovani, la repressione dei movimenti di lotta sono le architravi del progetto repressivo del governo. Il DDL 1236 infligge colpi sempre più duri a chi lotta nei CPR e nelle carceri, a chi si batte contro gli sfratti, a chi occupa, a chi fa scritte su caserme e commissariati, a chi blocca una strada o un treno, a chi fa picchetti sui luoghi di lavoro, a chi sostiene e diffonde idee sovversive. Si criminalizzano i movimenti climatici, sociali e sindacali, anticarcerari e no border e si cerca di bloccarli, infliggendo lunghe pene detentive per banalissime pratiche di lotta politica e sociale. La logica di classe e di repressione verso chi cerca di cambiare il mondo intollerabile in cui viviamo è connaturata con l’ordinamento giudiziario democratico: ma i provvedimenti adottati da questo governo la rendono sempre più spudorata e violenta.  Quest’insieme di nuove leggi rende sempre più forti i poteri di polizia, riducendo le pur esili tutele alla libertà di espressione, movimento, opposizione sociale. L’articolo 31 del DDL 1236 permette ai servizi segreti di entrare a far parte di organizzazioni terroristiche, cercando di assumerne il controllo, nella certezza dell’anonimato e dell’impunità per i reati commessi. Dulcis in fundo questi agenti provocatori legalizzati possono costruire e detenere bombe. Finisce la favola dei servizi segreti “deviati”, le mele marce che hanno burattinato, con la complicità dei fascisti, le tante stragi di Stato che hanno insanguinato il nostro paese negli anni Settanta ed Ottanta. Oggi, con i fascisti al potere, stanno per ottenere la licenza di strage. Di Stato. Per Legge. Lo stesso articolo prevede l’obbligo, di fatto, anche per università ed enti di ricerca di collaborare con i servizi segreti, inclusa la possibilità di derogare alle normative sulla riservatezza. In generale il fortissimo aumento delle pene, l’introduzione di nuovi reati, la meticolosa scelta dei soggetti da colpire e di quelli da tutelare sono il segno distintivo del DDL 1236. Più galera per molti, ma non per tutti, perché la trama dei vari provvedimenti di Meloni è esplicitamente autoritaria e di classe. Le lotte nelle carceri e nei CPR vengono perseguite in modo più duro perché chi le attua è dipinto come costitutivamente criminale, illegale, fuori norma. A questo governo non basta massacrare di botte, privare di ogni dignità, vuole seppellire in carcere chi da vita a rivolte nei luoghi di reclusione. Questo governo vuole mettere a tacere qualunque protesta, introducendo nell’ordinamento un reato collettivo, equiparato a quelli di mafia e terrorismo, che persegue anche le azioni non violente come lo sciopero della fame. Dalla criminalizzazione pubblica dell’opposizione politica e sociale scaturisce il reato di “terrorismo della parola”. Questi dispositivi si configurano come diritto penale del nemico, pur mantenendosi in una cornice universalista. Il diritto penale del nemico è informato ad una logica di guerra. In guerra i nemici vanno annientati, ridotti a nulla, privati di vita, libertà e dignità. Per il nemico non valgono le tutele formali riservate ai cittadini. Quando la logica bellica si applica al diritto, alcuni gruppi umani vengono repressi per quello che sono più che per quello che fanno. L’intera azione dell’esecutivo è informata a questo principio. Un principio sulle cui fondamenta sono stati costruiti i lager nazisti e i gulag staliniani. La definizione del “nemico” interno è squisitamente politica ed è appannaggio di chi detiene il potere di decidere chi mantiene le prerogative del “cittadino” e chi ne è privato perché considerato individualmente e collettivamente incompatibile con il nuovo ordine che il governo sta costruendo. Un ordine che non ha neppure bisogno delle famigerate “leggi eccezionali” del 1926 per colpire la libertà di scioperare, di scrivere e dire la propria, di lottare per casa, salute, libertà, dignità. Le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all’interno di una società. Oggi i fascisti al governo si sentono forti e giocano tutte le carte a loro disposizione per assicurarsi il totale controllo politico e il disciplinamento sociale. Il governo effettua una manovra a tenaglia, muovendosi contemporaneamente su più fronti. Oltre al piano squisitamente repressivo, Meloni punta ad una riforma istituzionale che renda ancora più forte l’esecutivo, e persegue un’egemonia culturale, che vede la scuola, i media e il territorio come spazi di conquista. Il fascismo sta tornando. Usano la cornice democratica per dare una secca svolta autoritaria al paese: segno che la democrazia è solo illusione di libertà e giustizia sociale. Fermarli è ancora possibile. Occorre rinforzare le reti ed i movimenti che si battono contro la svolta autoritaria e, insieme, mantenere fermo l’impegno contro la guerra, il militarismo, il patriarcato, le frontiere, lo sfruttamento, la devastazione ambientale, il nazionalismo. Il tempo è ora. 
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zone rosse
daspo urbano
ddl 1236
Video. Leggi di guerra
Il video dell’incontro sul DDL 1660 con l’avvocato Eugenio Losco: La serata si è tenuta venerdì 11 ottobre alla FAT, in corso Palermo 46 La stretta securitaria imposta dal DDL 1660 è un ulteriore tassello nel mosaico repressivo del governo. Colpi sempre più duri a chi lotta nei CPR e nelle carceri, a chi si batte contro gli sfratti, a chi occupa, a chi fa scritte su caserme e commissariati, a chi fa un blocco stradale, a chi sostiene e diffonde idee sovversive. Questi dispositivi si configurano come diritto penale del nemico, pur mantenendosi in una cornice universalista. Il diritto penale del nemico è informato ad una logica di guerra. In guerra i nemici vanno annientati, ridotti a nulla, privati di vita, libertà e dignità. Per il nemico non valgono le tutele formali riservate ai cittadini. Per approfondimenti: https://www.anarresinfo.org/contro-la-svolta-autoritaria-per-la-rivoluzione-sociale/ Federazione Anarchica Torinese corso Palermo 46 riunioni ogni martedì alle 20 www.anarresinfo.org
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diritto penale del nemico
ddl 1660
leggi di guerra
il ritorno del fascismo
Libertà per Ilaria Salis e per tutte le antifasciste e gli antifascisti!
A fine marzo la magistratura ungherese ha respinto la richiesta di trasferimento ai domiciliari di Ilaria Salis. Arrestata nel febbraio del 2023 la compagna è in carcere preventivo da 14 mesi. Se non verranno accolti i prossimi ricorsi Ilaria e l’altra antifascista detenuta resteranno in cella almeno sino al termine del processo di primo grado, […]
antifascismo
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ilaria salis
Federazione Anarchica Italiana
ungheria
Video. Spaccare l’atomo in quattro. Contro la favola del nucleare
Il video dell’incontro di venerdì 16 febbraio con Angelo Tartaglia, professore emerito del Politecnico di Torino, autore de “Spaccare l’atomo in quattro. Contro la favola del nucleare” Il nucleare, travestito da energia green, è entrato nell’agenda della Cop 28, svoltasi in Qatar, una delle petromonarchie della penisola arabica, come energia “pulita” che non compromette il […]
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angelo tartaglia
scorie nucleari