Vi proponiamo testimonianze e prese di posizione di singoli ed organizzazioni
iraniane dopo l’attacco israeliano del 13 giugno e l’appello di alcuni gruppi di
iraniani che vivono in Italia.
La testimonianza di un anarchico di Teheran
14 giugno 2025
Una notte di fuoco e confusione
Ieri notte, mentre dormivamo, Israele ha attaccato l’Iran. Gli attacchi hanno
preso di mira Teheran, ma anche altre città. Ho sentito brontolii, ho visto
lampi: ho pensato fosse un temporale. Niente faceva pensare a una guerra,
soprattutto con le discussioni tra Iran e Stati Uniti.
Solo stamattina (14 giugno, NdR), attraverso il Fronte Anarchico, abbiamo
appreso cosa era realmente accaduto: molteplici attacchi, morti tra i civili.
Sono uscito per indagare. La città era transennata. L’esercito e la polizia
bloccavano l’accesso alle zone colpite. Bombe inesplose giacevano ancora negli
edifici.
In ospedale, mi è stato impedito di entrare e la polizia ha cancellato tutte le
foto dal mio telefono. Secondo un giornalista presente sul posto, almeno sette
bambini sono stati uccisi.
Alcuni piangevano. Altri – prevedibilmente – gioivano per la morte di esponenti
del regime.
Il giorno dopo: un inferno senza allarmi
Nelle ore successive, ho visto scene apocalittiche.
Il cielo era striato di missili. Il fuoco cadeva sulle strade. La gente fuggiva
da Teheran: intere famiglie, giovani lavoratori, anziani. Aspettavamo aiuto sui
marciapiedi. Feriti, ustionati, due morti davanti ai miei occhi. Nessun allarme.
Nessun riparo. Niente.
I maxi schermi trasmettevano la versione ufficiale: la Repubblica Islamica aveva
colpito Tel Aviv, Israele aveva promesso di reagire. Ho dei compagni lì:
anarchici, pacifisti, coloro che si rifiutano di servire nell’esercito.
Non vogliamo questa guerra.
Una popolazione in modalità sopravvivenza
L’aria è inquinata: gli impianti nucleari sono stati colpiti. La gente sta
inscatolando, accumulando scorte, fuggendo dalle grandi città… per poi tornare,
in mancanza di alternative. Le strade sono congestionate.
I media statali cantano inni e trasmettono menzogne. Unica fonte affidabile:
Telegram e canali satellitari.
Le manifestazioni sono ancora rare. Troppa polizia, troppa paura. Ieri, davanti
agli ospedali, le famiglie cercavano i loro cari scomparsi. Abbiamo urlato.
Abbiamo pianto. Abbiamo resistito.
Nessun rifugio, nessuna evacuazione.
Le istituzioni rimangono aperte come se nulla fosse successo. Non ci sono
istruzioni di sicurezza, né sirene, né centri di accoglienza. Le perdite
chimiche sono probabili, ma non ci sono protocolli in atto.
Così, la gente diserta di propria iniziativa: le aziende chiudono, gli studenti
si rifiutano di sostenere gli esami, i dipendenti pubblici restano a casa. Solo
i servizi di emergenza sono ancora in piedi.
A volte mi sento ancora vivo solo perché Israele non sta (ancora) colpendo le
zone residenziali. Ma gli incendi, le ricadute radioattive, i colpi vaganti
continuano comunque a uccidere persone.
E non c’è aiuto. Niente. Nessun supporto umanitario, nessuna organizzazione
esterna, nessuna medicina – e le sanzioni stanno già uccidendo da anni.
Quattro Iran, una terra sotto le bombe
È importante capire che il popolo iraniano è frammentato:
1. Una maggioranza silenziosa, che odia il regime ma rifiuta la guerra.
Sopravvive, fugge, piange i morti maledicendo i leader.
2. Gli islamisti, fedeli al governo, che parlano di martirio e vogliono
vendicarsi.
3. I monarchici e i liberali, spesso filo-israeliani, che applaudono gli
attacchi contro le Guardie Rivoluzionarie.
4. Gli anarchici e gli attivisti di sinistra, come noi: contro la Repubblica
Islamica, ma anche contro Israele, contro tutti gli stati. Per la sopravvivenza,
l’aiuto reciproco, l’autonomia.
Che posto hanno gli anarchici in questa guerra?
Non siamo armati. Non partecipiamo ai combattimenti. Il nostro compito è
altrove: informare, salvare, creare connessioni, contrastare la propaganda.
Aiutiamo come meglio possiamo: pronto soccorso, canali di informazione e
consapevolezza del rischio chimico. Ci prendiamo cura di noi stessi e di chi non
ha nessuno.
Rifiutiamo la retorica semplicistica. Né “tutti gli israeliani devono morire”,
né “i sionisti sono i nostri salvatori”.
Siamo tra due fuochi: il fondamentalismo religioso da una parte, il militarismo
sionista dall’altra.
Il nostro ruolo è quello di essere ponti. Trasmettitori di idee. Aprire brecce
nel fatalismo. Rimanere saldi, anche disarmati, anche nella paura.
In lutto per il movimento contro la guerra
Devo ammettere: sono triste. Profondamente. Dieci anni fa, ho parlato con i
pacifisti israeliani. Quelli che si sono rifiutati di servire. Curdi, Arabi,
Armeni, Anarchici. Sognavamo insieme un Medio Oriente libero, senza esercito,
senza stato.
Ma abbiamo perso. Non eravamo abbastanza forti da impedire la guerra. Non
avevamo abbastanza sostegno. Oggi la gente ha paura di parlare di pace. Crede
che sarebbe tradimento. Che chiedere la fine degli attacchi aerei significhi
arrendersi al nemico.
Eppure, tutti vogliono la pace. Ma nessuno osa pretenderla.
Una voce nel tumulto
Non so per quanto tempo resisteremo. Proprio ieri sera, gli aerei rombavano come
un’autostrada nel cielo. Ma so una cosa: finché ci saranno persone di cui
prendersi cura, resistere e organizzarsi senza aspettare lo stato, ci saranno
semi di anarchia, anche tra le macerie.
Conclusione: non normalizziamo l’insopportabile.
Prima di tutto, voglio ringraziare sinceramente tutti i compagni che si sono
presi la briga di ascoltarci. In un mondo in cui siamo costantemente schiacciati
da forze politiche, economiche e di polizia, è raro che ci venga ancora dato lo
spazio per parlare. Anche senza bombe, la violenza ci circonda: assume la forma
di affitti impagabili, scartoffie infinite, discriminazione, stanchezza e
isolamento. Una violenza silenziosa, presentata come “normale”, a cui non
dovremmo mai abituarci.
Ma quando scoppia la guerra, questa violenza si disintegra improvvisamente in
pieno giorno. Ciò che era tollerato diventa insopportabile. E allora,
paradossalmente, possiamo parlare. Ho potuto scrivervi perché tutto è crollato.
Perché, nel caos, le verità più semplici tornano ad essere udibili.
Quello che voglio dirvi è questo: non lasciate che questo discorso cada nel
silenzio. Non lasciate che il nostro dolore – qui in Iran, come altrove – venga
relegato ai margini, come se fosse semplicemente “locale”, “specifico”,
“culturale” o “eccezionale”.
Perché in verità, condividiamo la stessa guerra: quella combattuta dagli stati
contro le nostre vite. Quindi vi imploro, compagni: non accettate la violenza
della vita quotidiana come un dato di fatto. Rifiutate l’idea che dobbiamo
aspettare che i missili colpiscano prima di reagire. Non aspettate che la nostra
sofferenza diventi spettacolare prima di meritare la vostra attenzione.
Parliamo ora. Organizziamoci. Creiamo spazi reali di azione e di mutuo soccorso.
Affinché la guerra qui non diventi un rumore di fondo. Affinché non siate
ridotti a semplici “salvatori” di fronte alla nostra sofferenza, ma piuttosto
complici della lotta.
Appello alla solidarietà internazionale
Oggi la situazione è instabile, critica, forse sull’orlo di una catastrofe
umanitaria. Se l’Iran è isolato dal mondo – dalle bombe o dalla censura della
Repubblica Islamica – diffondete la nostra parola. Raccontate cosa ci sta
succedendo. Date voce a chi ne è privato.
Non beneficiamo di alcuna protezione internazionale. Le ONG sono quasi
inesistenti. Le sanzioni aggravano la nostra sofferenza.
Se avete contatti, influenza o connessioni in collettivi, sindacati,
associazioni o reti sanitarie: mobilitateli. Chiedete assistenza medica urgente,
una maggiore vigilanza sulle violazioni e una mediazione internazionale che
trascenda la logica statale.
Ma soprattutto, rifiutate le narrazioni semplicistiche.
Non siamo né pedine di Israele né pedine del regime islamico. Non crediamo né
nelle bombe “liberatorie” né nei mullah “resistenti”. Siamo intrappolati tra due
macchine di morte e continuiamo a cercare, ancora e ancora, di costruire
qualcosa di diverso.
Non c’è ancora un esodo di massa. Ma se la guerra si estende, le conseguenze
saranno spaventose. Quindi, compagni, solleviamoci insieme. Non per sostenere
una parte contro l’altra, ma per far sentire un’altra voce: quella della vita,
della libertà e della solidarietà, contro tutti gli stati, tutti i confini e
tutte le guerre.
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Dichiarazione del fronte anarchico di Iran e Afghanistan contro la furia bellica
dei governi
Noi, il fronte anarchico di Iran e Afghanistan, riaffermiamo la nostra posizione
incrollabile e di principi:
Ogni guerra – su ogni scala e su ogni scusa – iniziata o sostenuta dagli Stati,
deve essere inequivocabilmente condannata.
I Paesi, indipendentemente dalla loro forma o aspetto, usano la guerra come
strumento di sopravvivenza e controllo. E in questo processo vengono calpestati
sotto i loro piedi la vita, la dignità e il futuro della gente comune.
In un momento in cui il mondo è ancora una volta afflitto da violenza, bombe,
morte, sfollamento e insicurezza, insistiamo su questa verità continua: le vere
vittime della guerra sono sempre le persone, non i paesi, non le ideologie, non
i confini.
La nostra lotta, come sempre, non è per la ridistribuzione del potere tra le
élite, ma contro la stessa istituzione dello Stato e ogni forma di controllo
organizzato.
Siamo solidali – con attenzione e decisione – a fianco del popolo iraniano,
dell’Afghanistan e della regione più ampia.
Quello a cui assistiamo oggi sono, da un lato, i crimini palesi del regime
israeliano, che colpiscono i civili di Gaza e altrove con crudeltà selvaggia.
D’altra parte, vediamo la Repubblica Islamica dell’Iran manipolare la paura
pubblica, giocare partite geopolitiche a costo della vita degli iraniani per
imporre il peso della guerra alla società.
Noi vediamo la Repubblica Islamica non solo come lo scoppio di una guerra
regionale, ma come parte di una catena globale di controllo e oppressione – un
regime che da decenni attacca il popolo iraniano con censura, povertà,
prigionia, tortura ed esecuzione, mettendo in pericolo milioni di persone
attraverso provocazioni militari.
Mentre condanniamo le atrocità del regime sionista nei termini più duri,
affermiamo anche che la lotta contro la Repubblica Islamica fa parte della
nostra lotta più ampia contro tutti gli Stati e le strutture di controllo – una
lotta che continuerà.
Combattiamo per un mondo senza confini, senza paesi, senza eserciti o autorità –
un mondo in cui umanità, vita e libertà sono al centro. La nostra guerra
principale è sempre stata la guerra contro l’autorità politica, il totalitarismo
e lo stato stesso.
Fronte anarchico Iran e Afganistan
13 giugno 2025
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Qui potete ascoltare l’intervista di radio Blackout a Behrooz di “Together with
Iran”:
https://radioblackout.org/2025/06/voci-dalliran-sotto-le-bombe/
In allegato il comunicato/appello di alcuni gruppi di iraniani che vivono in
Italia.
Source - Anarres
Il pianeta delle utopie concrete
Sabato 28 giugno
ore 10
antimilitaristi
in corso Palermo angolo via Sesia
Vivere in periferia non è mai stato facile. Oggi va ancora peggio: ovunque si
allungano le file dei senza casa, senza reddito, senza prospettive. Per mettere
insieme il pranzo con la cena in tanti si adattano ad una miriade di lavori
precari, sottopagati, in nero, senza tutele.
Ovunque si allunga la lista dei morti e dei mutilati sul lavoro: non sono
incidenti ma la feroce logica del profitto che si mangia la vita e la salute di
tanta gente.
In questi ultimi anni i ricchi sono diventati ancora più ricchi, mentre chi era
povero è diventato ancora più povero. Il prezzo di gas e luce è raddoppiato,
tanta gente è sotto sfratto o con la casa messa all’asta. Se non ci sono i soldi
per il fitto e le bollette, la tutela della salute diventa una merce di lusso
che possono permettersi in pochi. Così dal 2015, ben prima della pandemia, per
la prima volta dal 1945, l’aspettativa di vita nel nostro paese si è ridotta.
Barriera di Milano, ormai da anni, è divenuta un laboratorio dove sperimentare
tecniche di controllo sociale prima impensabili, pur di non spendere un soldo
per la casa, la sanità, i trasporti, le scuole. In questi anni la spesa militare
è costantemente aumentata, le missioni all’estero delle forze armate italiane si
sono moltiplicate.
I militari fanno sei mesi in missioni militari all’estero, sei mesi per le
strade delle nostre città.
Tante missioni sono in Africa, dove le bandiere tricolori sventolano accanto a
quelle gialle con il cane a sei zampe dell’ENI, la punta di diamante del
colonialismo italiano.
La guerra per il controllo delle risorse energetiche va di pari passo con
l’offensiva contro le persone in viaggio, per ricacciarle nelle galere libiche,
dove torture, stupri e omicidi sono fatti normali.
In Barriera tanti sono immigrati o figli di immigrati arrivati dal sud come i
cerignolesi della piazza del mercato. Poi sono arrivate altre persone, nate in
Africa, in Cina, in Sudamerica: i loro figli e nipoti vanno nelle stesse scuole
e negli stessi giardinetti dei figli e dei nipoti degli immigrati degli anni
Sessanta. Tanti degli attuali abitanti delle Barriera sono arrivati su un
barcone e sono passati dalle prigioni in Libia e dagli hotspot in Italia.
Il governo e i fascisti soffiano sul fuoco della guerra tra poveri italiani e
poveri immigrati, per avere mano libera a fare la guerra a noi tutti.
Nei quartieri poveri il controllo militare è diventato normale. Anzi! Ogni
giorno è peggio.
Intere aree del quartiere vengono messe sotto assedio, con continue retate di
persone senza documenti o che vivono grazie ad un’economia informale.
Torino da città dell’auto si sta trasformando in città dei bombardieri e vetrina
per turisti. Una vetrina che i poveri che passano ore ai giardinetti non devono
sporcare. L’aspirazione ad una socialità non mercificata va repressa.
Il governo a tutti i livelli punta il dito sulle persone più povere,
razzializzate, con il continuo ricatto dei permessi, per nascondere la guerra
sociale che ha scatenato contro tutti i poveri, italiani e nati altrove,
schierandosi a fianco dei padroni grandi e piccoli.
Il controllo etnicamente mirato del territorio mira a reprimere sul nascere ogni
possibile insorgenza sociale.
Da quando i militari dell’operazione “Strade Sicure”, sono stati inviati i
Barriera di Milano, l’area di corso Palermo limitrofa al mercato di piazza
Foroni è stata costantemente militarizzata: in corso Palermo angolo via Sesia
stazionano stabilmente mezzi dell’esercito e un’auto pattuglia della polizia o
dei carabinieri. Da aprile i militari sono anche in largo Giulio Cesare.
Per cosa? Per spostare di qualche centinaio di metri i pusher? Per alimentare la
favola che se si cacciano gli spacciatori, poi, per magia, Barriera diventa come
la Crocetta?
Eppure. Basterebbe farla finita con il proibizionismo, consentendo la vendita
delle sostanze, con tanto di etichetta e foglio informativo in appositi negozi,
per farla finita con le mafie e la disperazione dei tossici. E diminuirebbero
drasticamente le morti causate da sostanze tagliate male, velenose, pericolose.
Con la lotta, la solidarietà il mutuo appoggio, possiamo far si che le nostre
vite diventino migliori.
Riprendiamoci gli spazi del quartiere militarizzati e resi deserti dalla polizia
e dai militari. Proviamo ad immaginare di farla finita, sin da ora, con stato,
padroni, militari, polizia.
Ci raccontano la favola che una società complessa è ingovernabile dal basso
mentre ci annegano nel caos della gestione centralizzata e burocratica delle
scuole, degli ospedali, dei trasporti.
Costruiamo insieme assemblee territoriali, spazi, scuole, trasporti, ambulatori
autogestiti! Non è un’utopia ma l’unico orizzonte possibile per liberarci dallo
stato e dal capitalismo.
La sicurezza è casa, reddito, sanità per tutte e tutti, non soldati per per le
strade!
Si cambia con la lotta, non con il voto
I referendum abrogativi previsti per le giornate dell’8 e 9 giugno, i cui
quesiti riguarderanno il reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento
illegittimo, le indennità per i lavoratori licenziati nelle imprese con meno di
15 dipendenti, i contratti a termine, la responsabilità delle aziende
committenti sugli infortuni nel lavoro in caso di appalti e la riduzione del
tempo necessario per richiedere la cittadinanza italiana da parte dei cittadini
stranieri (da 10 a 5 anni), sono ancora una volta un’arma spuntata per i
movimenti sociali.
Il gioco referendario ha le sue regole ferree. Se si tiene conto che i
referendum sono soggetti ad un meccanismo per cui vengono invalidati se non si
raggiunge il quorum del 50% + 1 oltre, ovviamente, alla maggioranza dei Sì, è
capitato molto spesso che si risolvessero in un nulla di fatto. Inoltre, la
storia ci dimostra che quand’anche sono stati soddisfatti tutti i requisiti,
ecco che in diverse occasioni le istituzioni si sono mobilitate per vanificarne
i risultati. Ne è un chiaro esempio il referendum sull’acqua pubblica, a
distanza di oltre un decennio totalmente ignorato e disatteso.
Ma la CGIL ha raccolto le firme necessarie e tutto è pronto per procedere con la
votazione.
Il sindacalismo confederale e concertativo – che da tanti anni opera per la
pacificazione sociale – persegue imperterrito il suo esclusivo interesse, non
certo quello delle classi sfruttate e oppresse. Il famigerato “Pacchetto Treu”
del 1997, che durante il primo governo Prodi aprì le porte ad un inesorabile
processo di precarizzazione del lavoro, venne sostenuto dalle stesse forze
partitiche e sindacali che oggi si sgolano per la chiamata alle urne. Al tempo
dell’approvazione del Jobs Act e della cancellazione dell’articolo 18, la triade
non fece certo i salti mortali per ostacolare le politiche del governo Renzi,
limitandosi ad una flebile protesta simbolica. Pesanti riforme neoliberiste che
sancirono tagli ai servizi e privatizzazioni, vennero accettate a cuor leggero.
L’imperativo era ed è tutt’ora chiaro: il mantenimento dei propri privilegi
conta più del domani di chi tocca con mano miseria e precarietà. La proposta
dell’ultimo quesito, se possibile è ancora più paradossale. Il pacchetto
sicurezza targato Minniti-Orlando, il daspo urbano per poveri e senza documenti,
il piano di costruire un CPR in ogni regione, gli accordi con la Libia al fine
di facilitare i respingimenti in mare, la chiusura dei porti e il blocco delle
navi delle ONG, furono opera della coalizione di centro-sinistra a guida Dem.
Non solo. I referendum sono a nostro avviso la cortina fumogena che rischia di
distogliere l’attenzione dal conflitto sociale, l’unico terreno dove sfruttate e
sfruttati possono ottenere risultati concreti.
L’unico terreno sul quale i sindacati di Stato non possono e non vogliono
impegnarsi.
Rispetto a tali dinamiche, serve una buona dose di consapevolezza e di
disincanto.
Serve aprire gli occhi sulla natura interclassista e perdente degli strumenti
offerti dalle istituzioni borghesi e impugnati dalle burocrazie sindacali.
Le leggi non sono altro che il precipitato normativo dei rapporti di forza nella
società.
Se il referendum sul nucleare del 1987, svoltosi all’indomani del disastroso
incidente alla centrale di Chernobyl, si rivelò vincente, ciò fu anche e
soprattutto grazie agli scioperi, occupazioni e imponenti iniziative di piazza.
Perché conquiste non supportate da una significativa campagna conflittuale,
risultano effimere e precarie.
Solo attraverso una mobilitazione generale e diffusa è possibile ottenere
effettivi miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro dei soggetti
coinvolti. Solo rifuggendo la logica della delega e praticando l’azione diretta
si può fare in modo che il governo faccia un passo indietro, ripristinando
diritti e tutele da tempo smantellate.
Rinnoviamo il nostro impegno alla partecipazione sul terreno della lotta.
Costruiamo l’alternativa dal basso!
La Commissione di Corrispondenza della FAI
Con la morte di Jorge Bergoglio si è assistito allo spettacolo di gran parte
della sinistra, moderata o radicale, in lutto per la scomparsa del pontefice.
Tutt* hanno lodato il defunto papa come progressista, pacifista, aperto sui
diritti di donne e omosessuali.
Sfatiamo un mito: Francesco non era un progressista ma un populista. Bergoglio
si dichiarava figlio della Teologia del Pueblo, che si contrappose sul piano
teologico, sociale e politico alla Teologia della Liberazione che si era
ispirata ed aveva a sua volta contaminato buona parte dei movimenti
d’opposizione latino americani sul finire del ventesimo secolo.
La Teologia del Pueblo è sul piano teologico la trasposizione del peronismo e
del più intransigente populismo politico: il trionfo del nazional cattolicesimo
argentino.
La Guardia de Hierro, il gruppo politico peronista del quale il giovane
Bergoglio era uno dei massimi ideologi, si dichiarava oltre la destra e la
sinistra e si contrapponeva alla sinistra ed all’ala progressista dei cattolici.
Per loro il Pueblo non è una categoria socio economica ma un insieme di valori e
atteggiamenti che custodiscono l’identità collettiva del popolo argentino, la
sua morale, la sua intrinseca spiritualità. In sintesi lo strumento ideologico
che si contrapponeva alle analisi materialiste e della società.
Bergoglio nel 1973 diventa padre Provinciale dei gesuiti. All’epoca i gesuiti
erano profondamente divisi e una loro significativa parte propendeva per la
Teologia della Liberazione.
È in questo contesto che il padre generale Arrupe scelse come provinciale
Bergoglio, allora solo trentaseienne.
Una scelta di chiaro segno politico. Secondo Bergoglio l’Argentina era in crisi
perché era in preda a ideologie lontane dalla sua storia: il liberalismo e il
marxismo. La teologia del pueblo si identificava quindi pienamente con il
peronismo, in quanto espressione spontanea del popolo, nella sua dimensione
giustizialista e tradizionalista.
Bergoglio era in buone relazioni con l’ammiraglio Massera e con altri esponenti
delle forze armate.
Diversi atti concreti dimostrano la sostanziale accettazione della giunta
militare da parte di Bergoglio e dei gesuiti.
La chiesa argentina collaborò attivamente con la dittatura. Il nunzio apostolico
Pio Laghi consigliava i generali sui metodi per massacrare ed uccidere con la
benedizione di dio.
Anche il giovane capo della compagnia di Gesù a Baires fece la sua parte.
Togliendo il proprio appoggio ad Orlando Yorio e Francisco Jalics, due gesuiti,
seguaci della teologia della liberazione, che operavano nelle baraccopoli della
capitale, avrebbe di fatto favorito il loro arresto da parte dei militari.
Yorio e Jalics rifiutarono di sciogliere la comunità da loro fondata a Bajo
Flores e per questo Bergoglio vietò loro di dire messa. Entrambi detenuti nella
famigerata Esma, verranno torturati per cinque mesi prima di essere rilasciati.
Yorio è morto nel 2000, debilitato nel fisico da torture dalle quali non si
riprese mai completamente.
Jalics, immediatamente dopo l’elezione di Bergoglio, è stato confinato dalla
chiesa in un convento sito in una sperduta località della natia Ungheria, con il
divieto assoluto di parlare con i giornalisti.
Significativa è la piena adesione di Bergoglio alla guerra delle Malvinas.
Nell’ottobre del 2009 benedicendo i parenti dei soldati caduti in partenza per
le isole dove avrebbero eretto un cenotafio al cimitero disse loro “andate a
baciare quella terra che è nostra e che sembra così lontana” e dichiarò che “i
loro figli, mariti e padri erano caduti compiendo un gesto quasi religioso
quello di baciare con il proprio sangue il suolo della madrepatria”. Nel 2012 in
occasione del trentesimo anniversario del conflitto, definì coloro che erano
morti “figli della madrepatria andati a difenderla per rivendicare ciò che le
apparteneva e le era stato ingiustamente sottratto”. Affermazioni che liquidano
ogni interpretazione di Francesco come pacifista.
Nel 2007 la conferenza che si tenne nel santuario mariano di Aparecida in
Brasile segnò il definitivo tramonto della teologia della Liberazione. La
visione di Bergoglio si impose e nel 2013 quando Bergoglio tornò da papa in
Brasile parlò di Aparecida come di un “momento che sconfisse la tentazione che
si ebbe negli anni precedenti nella chiesa di creare una interpretazione della
vita fuori dal vangelo e dalla chiesa.
Qui sta tutto il pensiero profondo di Bergoglio: i poveri intesi non come
categoria socio economica ma come Ser fundante, “spirito fondatore”
dell’autentica comunità argentina che deve resistere all’influsso negativo della
globalizzazione.
La globalizzazione non va intesa come mera dinamica economica sociale ma
soprattutto culturale. La globalizzazione è identificata in quel capitalismo
imperialista del “Nord” che si incarna nelle idee e negli stili di vita
orientati al liberalismo, al relativismo, all’edonismo che sono del tutto
estranei al Ser Fundante argentino e alla spontanea devozione popolare. Il
trionfo del nazional cattolicismo espresso dalla Teologia del Pueblo.
Uno dei tratti salienti del pontificato di Bergoglio è stata la sua
straordinaria abilità nell’usare i media. Ha capito perfettamente che contava di
più una frase ad effetto che i gesti concreti, per cui si permetteva di lanciare
messaggi di apertura nei confronti di omosessuali e donne, mantenendo inalterata
la morale ufficiale della chiesa.
Malgrado abbia affermato di non giudicare le persone omosessuali, nei testi
della chiesa bergogliana l’omosessualità è definita un disordine, una malattia.
L’unica famiglia legittima, la sola possibile è per Francesco quella formata da
un uomo e una donna e ha come scopo primario la procreazione.
L’aborto è un omicidio e i medici che lo effettuano sicari.
Il clero deve restare rigidamente maschile.
Bergoglio ha nei fatti ribadito, come tutti i suoi predecessori, il ruolo
misogino, omofobo e patriarcale della chiesa.
Bergoglio si faceva paladino della libertà religiosa, ma giustificava gli autori
della strage di Charlie Hebdo perchè non si può irridere le religioni.
Francesco da un lato si mostrava umile laddove non contava (le scarpe lise, la
coda alla mensa vaticana, la 500 come auto papale) per crearsi l’immagine del
papa che rifuggiva i fasti del potere, dall’altro ha accentrato su di sé il
potere vaticano come pochi papi avevano fatto prima di lui.
Il suo papato si è contraddistinto per un continuo creare apparenze di
cambiamento per far si che tutto restasse come prima.
Il gesuita che si è fatto chiamare Francesco è stato un lupo travestito da
agnello.
Un’analisi compiuta del suo successore è prematura, ma possiamo comunque
azzardare qualche ragionevole ipotesi. Al momento possiamo essere cert* che
continuerà nella crociata in difesa della famiglia patriarcale. In un’intervista
radiofonica del 2012 in Perù Prevost ha dichiarato: “Vogliono convincerci che
l’omosessualità è un’opzione neutrale. Ma Dio ha creato l’uomo e la donna, non
un’identità fluida”.
Le sue perorazioni per una pace “giusta” in Ucraina paiono riposizionare il
vaticano nel campo occidentale all’interno dello scontro interimperialistico, al
di là delle chiacchiere sulla pace disarmata e disarmante.
Prevost è un agostiniano e Agostino giustificavala guerra come strumento per
costruire una pace “giusta”, come fanno tutti i governi quando vogliono
giustificare guerre e massacri.
La scelta del nome non è mai casuale: ogni papa sceglie il proprio in base ad un
esplicito richiamo a un predecessore di cui ambisce a ricalcare le orme.
Il 23 giugno del 2003 il futuro papa, nel corso di un ritiro spirituale a Cuzco,
dichiarò: “I cristiani devono resistere alle tentazioni ideologiche del
collettivismo estremo che schiavizza l’anima in nome della giustizia sociale”.
In queste parole è facile cogliere l’affinità di Prevost con Leone XIII, il papa
della Rerum Novarum cupiditas, l’enciclica in cui venne formulata la dottrina
sociale della chiesa cattolica, basata sulla collaborazione di classe in
opposizione alla guerra di classe.
Questa enciclica difendeva a spada tratta la proprietà privata e nascondeva,
dietro a generici appelli alla “giusta mercede” e alla “dignità dell’uomo”,
l’odio verso la spinta rivoluzionaria del movimento dei lavoratori e delle
lavoratrici: giudicava lo sciopero “uno sconcio grave” e vedeva dietro
l’organizzazione autonoma delle classi sfruttate l’azione di “capi occulti”, che
le reggerebbero con criteri contrari al pubblico bene.
La Rerum Novarum è stata la risposta cattolica al movimento operaio e alla lotta
di classe: era giusto che gli sfruttati si associassero per migliorare la loro
condizione, ma dovevano farlo in collaborazione e non in conflitto coi padroni.
La divisione in classi sociali, con il suo portato di disuguaglianza, non doveva
essere messa in discussione. La questione sociale doveva essere risolta nella
collaborazione fra sfruttati e sfruttatori, questi ultimi guidati da un maggiore
spirito di carità. In questi tempi, contrassegnati dal tentativo dell’ ideologia
dominante di far passare la lotta di classe come visione ormai superata dalla
storia, la collaborazione di classe teorizzata alla fine del diciannovesimo
secolo dalla chiesa cattolica può tornare utile ai padroni.
La povertà si affronta distribuendo una tantum brioches ai clochard, come ha
fatto recentemente la chiesa romana su ordine del nuovo papa. E che i poveri
restino poveri, altrimenti a chi si fa la carità?
Un agostiniano sul soglio di Pietro, con l’insistito ruolo della grazia divina
come necessaria ispirazione al bene per gli uomini e le donne altrimenti fonte
di ogni male, può tentare di recuperare il terreno sulle chiese evangeliche, che
stanno scalzando il cattolicesimo sia in Sud America che in Africa.
Al di là dei futuri gesti del nuovo papa, di un fatto siamo comunque sicur*: la
chiesa cattolica continuerà a succhiare soldi a tutt* noi. 6,7 miliardi: tale è
la cifra che nel 2024 lo stato italiano ha versato alla chiesa. Quest’anno, con
i contributi per il giubileo, la cifra sarà probabilmente superiore. Soldi che,
come quelli delle spese militari, vengono prelevati dalle nostre tasche. Soldi
sottratti alla salute, alla casa, all’istruzione e a quanto ci serve realmente.
Oggi sono tutti inginocchiati al trono di Pietro.
La sinistra in cerca di autore è continuamente a caccia di qualche sfumatura
sociale, pacifista o ambientalista per legittimarsi e legittimare la chiesa. Ma
la chiesa è intrinsecamente autoritaria e patriarcale.
La chiesa combatte la lotta di classe in nome della fratellanza fra sfruttat* e
sfruttator*, tra oppress* e oppressor*.
L’esistenza della chiesa è incompatibile con l’idea di libertà, perché la
chiesa, qualunque chiesa, si basa sull’idea di dio, sulla convinzione che l’uomo
e la donna non possano darsi la propria morale e le proprie regole, perché
queste devono discendere dall’alto, dalle divinità e, ovviamente, dai
rappresentanti terreni delle divinità, ovvero la chiesa stessa.
Se vogliamo davvero costruire un mondo di liber* e uguali, la lotta
anticlericale e antireligiosa deve tornare ad essere fra i punti centrali del
conflitto sociale.
La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana
Il 2 giugno dei Senzapatria. Nel giorno in cui la Repubblica Italiana celebra se
stessa con parate e manifestazioni militari gli antimilitaristi hanno riempito
piazza Palazzo di Città con tanti interventi e il canzoniere antimilitarista del
Cor’Okkio.
Il presidio si è presto trasformato in corteo ed ha raggiunto la piazza della
cerimonia dell’ammaina bandiera gonfia di retorica nazionalista ed esaltazione
della guerra.
In apertura lo striscione “contro tutti gli eserciti per un mondo senza
frontiere”.
Il corteo ha attraversato la piazza smilitarizzandola, nel segno della
solidarietà con le vittime di tutte le guerre, con i disertori di ogni dove, con
chi lotta contro gli eserciti, contro i nazionalismi, nel cui nome si massacrano
uomini, donne, bambine e bambini.
Il corteo si è concluso con interventi, slogan e il canzoniere antimilitarista
di Alba.
Una giornata di lotta contro la corsa al riarmo, la militarizzazione delle
periferie, la guerra ai migranti, la produzione bellica, la militarizzazione
delle scuole e delle università.
Un segnale forte contro la guerra e a chi la arma.
Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo.
Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo
la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro
pretese espansionistiche. Vogliamo farla finita con le guerre e, quindi, con la
feroce logica del dominio e del capitalismo. In ogni dove.
Non ci sono nazionalismi buoni.
Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra.
Facciamo nostro l’insegnamento del “disfattismo rivoluzionario”: siamo solidali
con chi si batte contro il proprio governo, perché noi lottiamo contro il nostro
.
Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra.
Qui trovate il testo di lancio della giornata di lotta:
https://www.anarresinfo.org/il-2-giugno-dei-senzapatria/
Qui alcune immagini dell’iniziativa:
ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie
concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche
in streaming
Ascolta e diffondi l’audio della puntata:
> Anarres dell’11 aprile. ReArm Europe. Propaganda di guerra targata UE. 5
> milioni in marcia contro Trump e il suo mondo. Decreto sicurezza…
Dirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:
RiArmo dell’Europa e la crepa nel Patto Atlantico
La guerra insanguina vaste aree del pianeta in una spirale che sembra non aver
fine. A tre anni dall’accelerazione violenta impressa dall’invasione russa
dell’Ucraina il conflitto si inasprisce sempre di più. A Gaza è ripresa la
pulizia etnica nella prospettiva della deportazione dei gazawi. Se si aggiungono
il conflitto nel Mar Rosso, il moltiplicarsi degli attacchi turchi in Rojava, i
massacri degli alewiti in Siria, le tensioni per Taiwan, il perdurare dei
conflitti per il controllo delle risorse nel continente africano dal Sudan al
Congo, il rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è una
possibilità reale.
I paesi europei, indeboliti da tre anni di guerra e dal conseguente aumento
della spesa energetica, reagiscono al repentino mutamento nella politica estera
statunitense con un processo di riarmo, che potrebbe aprire a nuove pericolose
escalation belliche.
La guerra non è più così lontana come un tempo.
Ne abbiamo parlato con Stefano Capello
La propaganda bellica targata UE
Il 2 aprile il Parlamento ha approvato una risoluzione “sull’attuazione della
politica di sicurezza e di difesa comune”
Tra le tante cose al punto 164 si legge:
“è necessaria una comprensione più ampia, tra i cittadini dell’UE, delle minacce
e dei rischi per la sicurezza al fine di sviluppare una comprensione condivisa e
un allineamento delle percezioni delle minacce in tutta Europa e di creare una
nozione globale di difesa europea; sottolinea altresì che garantire un sostegno
da parte delle istituzioni democratiche e, di conseguenza, dei cittadini è
essenziale per sviluppare una difesa dell’UE efficace e coerente a lungo
termine, cosa che richiede un dibattito pubblico informato; invita l’UE e i suoi
Stati membri a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in
particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i
dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate, e a
rafforzare la resilienza e la preparazione delle società alle sfide in materia
di sicurezza, consentendo nel contempo un maggiore controllo e scrutinio
pubblico e democratico del settore della difesa; invita la Commissione e gli
Stati membri a sviluppare tali programmi nel quadro dello scudo europeo per la
democrazia, seguendo il modello di programmi nazionali come l’iniziativa svedese
di emergenza civile”
Ne abbiamo parlato con Dario Antonelli
5 milioni in marcia contro Trump e il suo mondo
Il ciclone Trump comincia a trovare ostacoli lungo il percorso.
Le imponenti manifestazioni che hanno attraversato gli States il 5 aprile sono
il segnale del raggrumarsi di un’opposizione dal basso all’ondata reazionaria
scatenata dal presidente statunitense.
Abbiamo provato ad analizzare questo movimento per comprenderne le potenzialità,
con uno sguardo alle dinamiche dello scontro di classe
Ce ne ha parlato Robertino Barbieri
Decreto sicurezza. La zampata del governo
Con un colpo di mano il governo ha scippato il ddl 1236 dalla discussione
parlamentare e ha fatto passare un testo profondamente liberticida con il
ricorso, a dir poco irrituale, alla decretazione di urgenza.
L’orizzonte delle leggi fascistissime del 1926 è sempre più vicino.
Abbiamo approfondito la questione con l’avvocato Eugenio Losco
Appuntamenti:
Sabato 12 aprile
Sabotare la guerra
Disarmare l’Europa
giornata antimilitarista
ore 10,30 presidio al Balon
Solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di
libere ed uguali che può porre fine alle guerre.
Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo.
Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo
la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro
pretese espansionistiche. In ogni dove. Non ci sono nazionalismi buoni.
Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra.
Noi pratichiamo il disfattismo rivoluzionario contro le guerre promosse dai
“nostri” governi e sosteniamo chi, in ogni dove, diserta, sabota, inceppa gli
ingranaggi della guerra
Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra.
Venerdì 25 aprile
ore 15
alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni
in corso Giulio Cesare angolo corso Novara
dove Ilio cadde combattendo il 26 aprile 1945.
Ricordo, bicchierata, fiori, musica.
E, dal vivo, il Cor’occhio nel canzoniere anarchico e antifascista
(in caso di pioggia ci troviamo in piazza Crispi).
A-Distro e SeriRiot
ogni mercoledì
dalle 18 alle 20
in corso Palermo 46
(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro
SeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte
Vieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!
Sostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!
Informati su lotte e appuntamenti!
Federazione Anarchica Torinese
corso Palermo 46
Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 20,30
per info scrivete a fai_torino@autistici.org
Contatti:
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https://t.me/SenzaFrontiere
Iscriviti alla nostra newsletter mandando una mail ad: anarres@inventati.org
Il 2 giugno contestiamo le cerimonie militariste, la retorica patriottica, la
guerra e chi la a(r)ma
Lunedì 2 giugno
ore 16
Appuntamento in via Garibaldi angolo piazza Castello
(se piove in piazza Palazzo di Città)
Ogni 2 giugno la Repubblica celebra sé stessa con esibizioni militari, parate e
commemorazioni.
Con gli anni questa “festa” ha assunto una sempre più marcata connotazione
nazionalista e militarista.
Il governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, i “sacri”
confini, l’esaltazione della guerra.
Anche quest’anno il governo usa le cerimonie militari del due giugno per
giustificare enormi spese militari, l’invio delle armi e l’impegno diretto
dell’Italia nelle missioni militari all’estero, dall’Ucraina all’Africa.
Guerre, stupri, occupazioni di terre, bombardamenti, torture, l’intero
campionario degli orrori umani, se compiuto da uomini e donne inquadrati in un
esercito, diventa legittimo, necessario, opportuno, eroico.
Le divise da parata, le bandiere, le medaglie, la triade “dio, patria, famiglia”
non sono il mero retaggio di un passato più retorico e magniloquente del nostro
presente, ma la rappresentazione sempre attuale dell’attitudine imperialista e
neoconiale dello stato italiano.
Contestare attivamente queste cerimonie è la chiave di volta per impedire che
diventi normale la presenza dei militari per le strade della nostra città, che
diventi normale che qualcuno uccida, bombardi, stupri, occupi e devasti
territori in nostro nome.
Mentre l’Europa – e il mondo – fanno una precipitosa corsa al riarmo è sempre
più necessario mettersi di mezzo, inceppare gli ingranaggi, lottare contro
l’industria bellica e il militarismo.
La guerra insanguina vaste aree del pianeta in una spirale che sembra non aver
fine. A tre anni dall’accelerazione violenta impressa dall’invasione russa
dell’Ucraina il conflitto si inasprisce sempre di più. A Gaza è ripresa la
pulizia etnica volta alla deportazione dei gazawi. Se si aggiungono il conflitto
nel Mar Rosso, il moltiplicarsi degli attacchi turchi in Rojava, i massacri
degli alewiti in Siria, le tensioni per Taiwan, il perdurare dei conflitti per
il controllo delle risorse nel continente africano dal Sudan al Congo, il
rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è una possibilità
reale.
I paesi europei, indeboliti da tre anni di guerra e dal conseguente aumento
della spesa energetica, hanno intrapreso un processo di riarmo, che potrebbe
aprire a nuove pericolose escalation belliche.
La guerra non è più così lontana come un tempo.
I potenti che si contendono risorse e potere, sono indifferenti alla distruzione
di città, alla contaminazione dell’ambiente, al futuro negato di tanta parte di
chi vive sul pianeta.
Le macerie sono solo buoni affari per un capitalismo vorace e distruttivo che ha
una sola logica, quella del profitto ad ogni costo. Uomini, donne, bambine e
bambini sono solo pedine sacrificabili in un gioco terribile, che non ha altro
limite se non quello imposto dalla forza di oppress e sfruttat, che si ribellano
ad un ordine del mondo intollerabile.
Il prezzo delle guerre lo pagano bambine e bambini, uomini e donne massacrati ed
affamati in ogni angolo del pianeta.
Lo paghiamo noi tutti stretti nella spirale dell’inflazione, tra salari e
pensioni da fame e fitti e bollette in costante aumento.
Il governo italiano si è schierato nella guerra in Ucraina inviando armi, e
dispiegando 3.500 militari nelle missioni in ambito NATO nell’est europeo e nel
Mar Nero.
L’Italia è impegnata in ben 43 missioni militari all’estero, in buona parte in
Africa, dove le truppe tricolori fanno la guerra ai migranti e difendono gli
interessi di colossi come l’ENI.
L’Italia vende armi a tutti i paesi in guerra, contribuendo direttamente alle
guerre di ogni dove.
Torino punta tutto sull’industria bellica per il rilancio dell’economia.
Un’economia di morte.
La nostra città è uno dei maggiori poli dell’industria bellica aerospaziale.
Ed è a Torino che sorgerà la Città dell’Aerospazio, un centro di eccellenza per
l’industria bellica aerospaziale promosso dal colosso armiero Leonardo e dal
Politecnico subalpino. La Città dell’Aerospazio ospiterà un acceleratore
d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei del Defence
Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della
NATO. Progetti di morte che è impegno di tutt* inceppare.
Occorre capovolgere la logica perversa che vede nell’industria bellica il motore
che renderà più prospera la nostra città. Un’economia di guerra produce solo
altra guerra.
Provate ad immaginare quante scuole, ospedali, trasporti pubblici di prossimità
si potrebbero finanziare se la ricerca e la produzione venissero usate per la
vita di noi tutti, per la cura invece che per la guerra.
La corsa alla guerra uccide anche in tempo di “pace”. La mancanza di prevenzione
e cura per tutti è intrinsecamente omicida. La guerra non dichiarata ai migranti
uccide ogni giorno lungo le frontiere del Belpaese.
La guerra è anche interna. Il governo con una forzatura inedita, da stato di
polizia, ha trasformato il disegno di legge 1236 in decreto, che in questi
giorni viene convertito in legge. Colpi sempre più forti a chi lotta nei CPR e
nelle carceri, a chi si batte contro gli sfratti, a chi occupa, a chi fa scritte
, a chi blocca una strada o una ferrovia, a chi sostiene e diffonde idee
sovversive.
Il governo risponde alla povertà trattando le questioni sociali in termini di
ordine pubblico: i militari dell’operazione “strade sicure” li trovate nelle
periferie povere, nei CPR, nelle stazioni, sui confini.
A Torino il comitato per l’ordine e la sicurezza ha dichiarato zone a
sorveglianza rinforzata Barriera, Aurora, San Salvario, il centro cittadino. Il
governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, il militarismo,
l’esaltazione della guerra.
In periferia retate e controllo etnicamente mirato del territorio sono la
normalità di vite sotto costante assedio.
Le scuole e le università sono divenute terreno di conquista per l’arruolamento
dei corpi e delle coscienze.
Solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di
libere ed uguali che può porre fine alle guerre.
Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo.
Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo
la retorica patriottica – anche quando veste l’abito buono europeista – come
elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche,
funzionali agli interessi del capitalismo. In ogni dove.
Non ci sono nazionalismi buoni.
Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra.
Facciamo nostro l’insegnamento del “disfattismo rivoluzionario”: siamo solidali
con chi si batte contro il proprio governo, perché noi lottiamo contro il nostro
.
Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra.
Coordinamento contro la guerra e chi la arma
antimilitarista.to@gmail.com
Torino. 25 maggio
Oggi pomeriggio siamo tornatə davanti alla lapide del partigiano anarchico Ilio
Baroni, per dare una risposta chiara e inequivocabile contro l’ennesima
provocazione fascista che ha colpito il quartiere. Si sono susseguiti alcuni
interventi che hanno ripercorso la storia della Barriera antifascista e
resistente, intrecciando i fili della memoria e rilanciando sulle tante lotte di
oggi che ci vedono tuttə impegnatə. Sono stati deposti dei fiori per rendere
omaggio al compagno caduto. I simboli fascisti hanno lasciato il posto ad una
bandiera stilizzata, quella dell’anarchia per la quale Ilio ha combattuto fino
all’ultimo giorno della sua vita.
Portiamo ancora un mondo nuovo nei nostri cuori, un mondo di libere ed eguali,
senza stato, padroni, militari e polizia!
Viva la resistenza! Viva la rivoluzione sociale!
qui l’appello per la giornata di lotta:
> 25 maggio. Imbrattata la lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni: presidio
> antifascista
Nel pomeriggio di sabato 24 maggio il Coordinamento contro la guerra e chi la
arma ha effettuato davanti alla Galleria San Federico in via Roma un
volantinaggio antimilitarista in occasione di una 3 giorni dedicata
all’aerospazio. L’appuntamento prevedeva la presentazione di un libro
sull’aeronautica militare. Lo stand informativo relativo all’evento contestato
dallə partecipanti, vedeva addettə che esponevano chiaramente il logo del
Politecnico subalpino e del progetto D.I.A.N.A. nodo dell’acceleratore di
innovazione della NATO che verrà ospitato all’interno della nascente Città
dell’Aerospazio di corso Marche, polo di ricerca bellica promosso da Leonardo e
Politecnico.
Altre foto qui:
https://www.facebook.com/share/p/18qnesy7Mc/
E qui:
https://www.instagram.com/p/DKC5T0ktZYK/?igsh=MWl1MWQ5dWlncjdlOA==
Di seguito il testo del volantino distribuito per l’occasione:
“Si scrive Aerospazio, si legge Guerra
In questi giorni a Torino si celebrano i viaggi nello Spazio, portandoci nel
clima dei film di fantascienza, o delle canzoni di David Bowie. Si tratta di un
tema affascinante, che attira giustamente l’interesse di tante persone di ogni
età. Purtroppo, ogni medaglia ha il suo rovescio: non vorremmo disturbare la
vostra visita, ma lo sapete che:
• A Torino, in corso Marche, si sta costruendo un Polo Aerospaziale che di fatto
è un Polo di ricerca e progettazione bellica, legato alla NATO?
• Thales Alenia, uno dei siti visitabili in questi giorni, produce sistemi di
telecomunicazioni militari al servizio delle Forze Armate ed è frutto di una
“joint venture” con Leonardo, seconda industria militare in Europa e
quattordicesima nel mondo?
• Leonardo, il cui principale azionista è il Ministero della Difesa, è dal 1993
il polo aggregante dell’industria bellica italiana: il 75% del suo fatturato
proviene infatti proprio dalla produzione di armi?
Come dimostra l’incontro di oggi, Aerospazio vuol dire anche produzione di armi
, o di strumenti, come i satelliti, che possono essere usati sia a fini civili
che militari.
Vogliono farci credere che il futuro della nostra città, cessata la produzione
di auto, starà nell’industria aerospaziale e bellica: non è vero, e soprattutto
non è giusto!
Non c’è futuro degno quando si investe nella guerra: solo morte e distruzione!
L’industria delle armi non potrà mai sostituire la produzione di beni e servizi
utili alla popolazione! E non potrà mai recuperare la perdita di posti di lavoro
drasticamente tagliati negli ultimi decenni!
I milioni di € che il governo Meloni vuole spendere per raggiungere l’obbiettivo
del 2% della spesa bellica (ma la NATO già chiede il 5%) sono altrettanti
milioni di euro sottratti alla Sanità pubblica, aumentando ancora di più la
vergogna delle liste di attesa; sono risorse sottratte alla scuola, ai trasporti
di prossimità, a noi tutti e tutte che paghiamo tasse che, anziché essere
destinate alle nostre vite, verrebbero utilizzate per la spesa bellica, che è
una spesa di morte!
Chi oggi (governi, mercanti d’armi) vuole convincerci che occorre prepararsi
alla guerra, costruisce anche ad arte il “nemico” contro cui dovremmo
combattere.
Le armi prodotte a Torino sono le stesse armi che massacrano uomini, donne e
bambini inermi a Gaza (o in Ucraina, in Russia, nel Kurdistan, nel Sudan…)
Non solo, ma vivendo accanto ai luoghi dove si producono armi, diventeremo anche
noi bersagli, mettendo a rischio le nostre vite e alimentando la
militarizzazione del territorio.
Vogliamo davvero che Torino diventi la capitale della produzione di aerei da
guerra, elicotteri, droni, missili, carri armati, sistemi spaziali militari?
O non dobbiamo piuttosto impegnarci contro ogni politica di riarmo, anche a
difesa delle conquiste e dei diritti sociali che sono costati anni di lotte e
soprattutto per dare ai giovani una prospettiva di vita e non di morte?
Vogliamo più servizi sociali e posti di lavoro, non bombe!
No alla riconversione dell’industria civile in industria militare!
No alla costruzione del polo bellico aerospaziale a Torino!
Coordinamento contro la guerra e chi la arma”
ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie
concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche
in streaming
Ascolta e diffondi l’audio della puntata:
> Anarres del 23 maggio. Il Leone di Chicago. Referendum: una trappola. Fascisti
> in Barriera…
Dirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:
Il Leone di Chicago
Il nuovo papa, agostiniano statunitense, per ora non gode a sinistra delle
stesse simpatie del suo predecessore, nonostante abbia le stesse posizioni sulle
donne, le persone omosessuali, trans, non binarie. Ma che dire? Prevost non è
certo un populista. Anche se, essendo noto per il proprio spiccato
antisemitismo, si è affrettato a correre ai ripari, stringendo la mano al
presidente israeliano.
Per capirne di più dobbiamo mettere in fila alcuni fattori chiave. Il primo è
sicuramente la scelta del nome, mai casuale per i papi, che danno il loro primo
segnale, scegliendo un nome adottato da un papa il cui ruolo è stato in qualche
modo cruciale. Leone XIII fu il papa della Rerum Novarum cupiditas, l’enciclica
con cui venne formulata la dottrina sociale della chiesa cattolica, basata sulla
collaborazione di classe in opposizione alla guerra di classe. In questa stessa
enciclica vi è una critica dei processi di industrializzazione, che oggi, in
tempi mutati potrebbe avere una forte eco.
Inoltre un agostiniano sul soglio di Pietro, con l’insistito ruolo della grazia
divina come necessaria ispirazione al bene, può rappresentare una forte
alternativa alle chiese evangeliche, che stanno scalzando il cattolicesimo sia
in Sud America che in Africa.
Ne abbiamo parlato con Giorgio Sacchetti, docente di storia all’Università di
Firenze
Referendum. Una trappola insidiosa
I referendum abrogativi sul reintegro sul posto di lavoro in caso di
licenziamento illegittimo, le indennità per i lavoratori licenziati nelle
imprese con meno di 15 dipendenti, i contratti a termine, la responsabilità
delle aziende committenti sugli infortuni nel lavoro in caso di appalti e la
riduzione del tempo necessario per richiedere la cittadinanza italiana da parte
dei cittadini stranieri, sono ancora una volta un’arma spuntata per i movimenti
sociali.
Il gioco referendario ha le sue regole ferree: se non si raggiunge il quorum del
50% + 1, il referendum viene invalidato, portando acqua al mulino del governo.
Non solo. In passato anche i referendum che hanno raggiunto il quorum e la
maggioranza sono stati regolarmente svuotati come una vasca da bagno quando si
toglie il tappo.
Un buon esempio è il referendum sull’acqua pubblica che, a distanza di oltre un
decennio, è stato totalmente ignorato.
Ne abbiamo parlato con Gian Maria Valent
Croci celtiche alla lapide di Ilio Baroni.
Chiamata Antifascista per una Barriera libera e solidale. No Pasarán!
Ad un mese dalla partecipata commemorazione del 25 aprile, ignoti neofascisti
hanno insultato la memoria della Resistenza sfregiando con i loro simboli di
morte la lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni.
Domenica 25 maggio ore 16,30 presidio alla lapide in corso Giulio Cesare angolo
corso Novara
Appuntamenti:
Sabato 28 giugno
dalle 10,30 alle 12,30
presidio antimilitarista in corso Palermo angolo via Sesia
Via i militari e la polizia da Barriera di Milano!
A-Distro e SeriRiot
vanno in pausa sino a settembre
Ci troverete alla Blackout fest!
Federazione Anarchica Torinese
corso Palermo 46
Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 20,30
per info scrivete a fai_torino@autistici.org
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Croci celtiche alla lapide di Ilio Baroni.
Chiamata Antifascista per una Barriera libera e solidale.
No Pasarán!
Domenica 25 maggio ore 16,30
Presidio antifascista alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni
in corso Giulio Cesare, angolo corso Novara.
Ad un mese dalla partecipata commemorazione del 25 aprile, ignoti neofascisti
hanno insultato la memoria della Resistenza sfregiando con i loro simboli di
morte la lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni.
Gli esponenti dell’estrema destra xenofoba e razzista sono il braccio armato dei
padroni, i loro fedeli servitori, la loro manovalanza prediletta.
Gli artefici di questa vile provocazione sono gli stessi che quotidianamente
soffiano sul fuoco della guerra tra poveri italiani e poveri immigrati. Provano
a metterci gli uni contro gli altri perché sanno che divisi siamo più deboli e
sfruttabili. Strizzano l’occhio alle politiche repressive del governo Meloni,
ovverosia gli eredi diretti della dittatura del Ventennio che varano leggi
speciali come l’ultimo decreto sicurezza che imprime una svolta sempre più
autoritaria e liberticida al paese. Applaudono l’incalzante militarizzazione dei
territori, le retate e i controlli etnicamente mirati contro i senza documenti,
le reclusioni nei CPR, le deportazioni coatte e le migliaia di morti nel Mar
Mediterraneo.
Ci conducono dritti verso la guerra, sostenendo la corsa al riarmo e agitando il
tricolore che rischia di essere la nostra rovina e la nostra tomba.
Ma la gente di Barriera di Milano, i nati qui così come i nati altrove, vivono
gli stessi problemi, la stessa condizione di sfruttamento e di oppressione, la
stessa di chi combatté armi alla mano il fascismo perché voleva una società
senza stato né padroni.
Barriera è afflitta dall’aumento del prezzo del fitto e delle bollette. È
afflitta da lavori precari e pericolosi, salari miseri e ritmi insostenibili. È
afflitta da continue minacce di sfratto. È afflitta dai tagli e dalle
privatizzazioni dei servizi sociali fondamentali (sanità, scuola, trasporti,
ecc). Non ci sono i soldi per casa, educazione, prevenzione e cura. In compenso
ce ne sono in abbondanza per far scorrazzare polizia e militari per le strade
delle periferie.
Oggi come ieri, solo un ampio fronte di lotta contro il nemico comune può
consegnarci un mondo di libertà e di uguaglianza.
Un manipolo di invasati può anche imbrattare un pezzo di storia della lotta di
liberazione dal nazifascismo ma non può certo cancellarlo. La storia di Ilio, la
storia degli Arditi del Popolo, la storia dei rivoluzionari di Barriera, risuona
ancora nelle lotte di ciascun* di noi, e continuerà a farlo a lungo!
Per questo motivo vogliamo scendere in strada e vogliamo farlo in tant*.
Vogliamo trovarci e riconoscerci, esprimere tutta la nostra rabbia contro
l’ennesimo attacco al cuore del quartiere, a chi quotidianamente lo abita e lo
attraversa.
Vogliamo ripristinare la lapide e continuare a tenere viva la memoria, facendone
un’arma per la trasformazione radicale dell’esistente.
«Gli unici stranieri, i fascisti nei quartieri!»
Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista – Torino
ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie
concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche
in streaming
Ascolta e diffondi l’audio della puntata:
> Anarres del 16 maggio. La sinistra in ginocchio. Il ritorno del corporativismo
> fascista. Transfemminismo e anarchia…
Dirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:
La sinistra in ginocchio
Bergoglio, in arte Francesco, il papa che ha sedotto la sinistra in cerca di
autore. Una sinistra autoritaria allo sbando che non trova altra sponda che
quella delle religioni, il cui controllo sui corpi e sulle menti sta aumentando
a livello planetario.
Tutti in ginocchio. Baciano la mano all’abile gesuita di Buenos Aires, si
genuflettono di fronte ai peggiori reazionari islamici, nella speranza, vana, di
agganciare le “masse”, di recuperare un ruolo storico affogato nella melma delle
purghe staliniane.
Ne abbiamo parlato con Daniele Ratti.
24 maggio. Antimilitaristi allo Space Festival
Lo space Festival è un grande kermesse pubblicitaria messa in campo per gettare
fumo su quanto avviene nella nostra città, sulla riconversione al settore
bellico dopo il tramonto dell’automotive. Film di fantascienza, incontri con gli
astronauti, visite al planetario per nascondere un core business che ha nella
progettazione e costruzione bellica il proprio core business.
Una buona ragione per contestarli.
Il ritorno del corporativismo fascista
In sordina, tra il giubilo dei fascisti, è stata approvata la legge che ci
riporta al corporativismo fascista, alla fabbrica come grande famiglia, in cui
ciascuno, stando al “proprio posto”, contribuisce al bene dell’impresa, che,
neanche a dirlo, corrisponde con il bene di tutt.
Transfemminismo e anarchia
Vi abbiamo anticipato alcuni dei temi di cui si sarebbe parlato in occasione
della presentazione del terzo dei Quaderni di Anarres.
In questo agile opuscoletto abbiamo raccolto due contributi su transfemminismo
ed anarchia.
Questi testi, pur frutto del confronto e della riflessione interna di due gruppi
diversi, la Federazione Anarchica Torinese e il Gruppo anarchico Germinal di
Trieste, affrontano alcune questioni cruciali nei percorsi di soggettivazione e
lotta delle soggettività poste ai margini della narrazione dominante e, insieme,
si interrogano sulla possibilità che la decostruzione del genere approdi
all’individuo e nel contempo si dia un nuovo universale. Un universale plurale
che aggiri le mille trappole identitarie nelle quali troppo spesso cadono i
movimenti.
Il linguaggio e l’approccio metodologico sono molto diversi e, quindi, lungi
dall’essere ridondanti i due testi sono a nostro avviso complementari. É nostro
auspicio che possa scaturirne un dibattito costruttivo. Anarchico e
transfemminista.
Ne abbiamo parlato con Sara del Germinal di Trieste.
Appuntamenti:
A-Distro e SeriRiot
ogni mercoledì sino all’11 giugno… poi si riapre a settembre
dalle 18 alle 20
in corso Palermo 46
(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro
SeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte
Vieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!
Sostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!
Informati su lotte e appuntamenti!
Federazione Anarchica Torinese
corso Palermo 46
Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 20,30
per info scrivete a fai_torino@autistici.org
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