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Il pianeta delle utopie concrete

La trappola del referendum
Si cambia con la lotta, non con il voto I referendum abrogativi previsti per le giornate dell’8 e 9 giugno, i cui quesiti riguarderanno il reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, le indennità per i lavoratori licenziati nelle imprese con meno di 15 dipendenti, i contratti a termine, la responsabilità delle aziende committenti sugli infortuni nel lavoro in caso di appalti e la riduzione del tempo necessario per richiedere la cittadinanza italiana da parte dei cittadini stranieri (da 10 a 5 anni), sono ancora una volta un’arma spuntata per i movimenti sociali. Il gioco referendario ha le sue regole ferree. Se si tiene conto che i referendum sono soggetti ad un meccanismo per cui vengono invalidati se non si raggiunge il quorum del 50% + 1 oltre, ovviamente, alla maggioranza dei Sì, è capitato molto spesso che si risolvessero in un nulla di fatto. Inoltre, la storia ci dimostra che quand’anche sono stati soddisfatti tutti i requisiti, ecco che in diverse occasioni le istituzioni si sono mobilitate per vanificarne i risultati. Ne è un chiaro esempio il referendum sull’acqua pubblica, a distanza di oltre un decennio totalmente ignorato e disatteso. Ma la CGIL ha raccolto le firme necessarie e tutto è pronto per procedere con la votazione. Il sindacalismo confederale e concertativo – che da tanti anni opera per la pacificazione sociale – persegue imperterrito il suo esclusivo interesse, non certo quello delle classi sfruttate e oppresse. Il famigerato “Pacchetto Treu” del 1997, che durante il primo governo Prodi aprì le porte ad un inesorabile processo di precarizzazione del lavoro, venne sostenuto dalle stesse forze partitiche e sindacali che oggi si sgolano per la chiamata alle urne. Al tempo dell’approvazione del Jobs Act e della cancellazione dell’articolo 18, la triade non fece certo i salti mortali per ostacolare le politiche del governo Renzi, limitandosi ad una flebile protesta simbolica. Pesanti riforme neoliberiste che sancirono tagli ai servizi e privatizzazioni, vennero accettate a cuor leggero. L’imperativo era ed è tutt’ora chiaro: il mantenimento dei propri privilegi conta più del domani di chi tocca con mano miseria e precarietà. La proposta dell’ultimo quesito, se possibile è ancora più paradossale. Il pacchetto sicurezza targato Minniti-Orlando, il daspo urbano per poveri e senza documenti, il piano di costruire un CPR in ogni regione, gli accordi con la Libia al fine di facilitare i respingimenti in mare, la chiusura dei porti e il blocco delle navi delle ONG, furono opera della coalizione di centro-sinistra a guida Dem. Non solo. I referendum sono a nostro avviso la cortina fumogena che rischia di distogliere l’attenzione dal conflitto sociale, l’unico terreno dove sfruttate e sfruttati possono ottenere risultati concreti. L’unico terreno sul quale i sindacati di Stato non possono e non vogliono impegnarsi. Rispetto a tali dinamiche, serve una buona dose di consapevolezza e di disincanto. Serve aprire gli occhi sulla natura interclassista e perdente degli strumenti offerti dalle istituzioni borghesi e impugnati dalle burocrazie sindacali. Le leggi non sono altro che il precipitato normativo dei rapporti di forza nella società. Se il referendum sul nucleare del 1987, svoltosi all’indomani del disastroso incidente alla centrale di Chernobyl, si rivelò vincente, ciò fu anche e soprattutto grazie agli scioperi, occupazioni e imponenti iniziative di piazza. Perché conquiste non supportate da una significativa campagna conflittuale, risultano effimere e precarie. Solo attraverso una mobilitazione generale e diffusa è possibile ottenere effettivi miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro dei soggetti coinvolti. Solo rifuggendo la logica della delega e praticando l’azione diretta si può fare in modo che il governo faccia un passo indietro, ripristinando diritti e tutele da tempo smantellate. Rinnoviamo il nostro impegno alla partecipazione sul terreno della lotta. Costruiamo l’alternativa dal basso! La Commissione di Corrispondenza della FAI
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Il lupo argentino e il leone americano
Con la morte di Jorge Bergoglio si è assistito allo spettacolo di gran parte della sinistra, moderata o radicale, in lutto per la scomparsa del pontefice. Tutt* hanno lodato il defunto papa come progressista, pacifista, aperto sui diritti di donne e omosessuali. Sfatiamo un mito: Francesco non era un progressista ma un populista. Bergoglio si dichiarava figlio della Teologia del Pueblo, che si contrappose sul piano teologico, sociale e politico alla Teologia della Liberazione che si era ispirata ed aveva a sua volta contaminato buona parte dei movimenti d’opposizione latino americani sul finire del ventesimo secolo. La Teologia del Pueblo è sul piano teologico la trasposizione del peronismo e del più intransigente populismo politico: il trionfo del nazional cattolicesimo argentino. La Guardia de Hierro, il gruppo politico peronista del quale il giovane Bergoglio era uno dei massimi ideologi, si dichiarava oltre la destra e la sinistra e si contrapponeva alla sinistra ed all’ala progressista dei cattolici. Per loro il Pueblo non è una categoria socio economica ma un insieme di valori e atteggiamenti che custodiscono l’identità collettiva del popolo argentino, la sua morale, la sua intrinseca spiritualità. In sintesi lo strumento ideologico che si contrapponeva alle analisi materialiste e della società. Bergoglio nel 1973 diventa padre Provinciale dei gesuiti. All’epoca i gesuiti erano profondamente divisi e una loro significativa parte propendeva per la Teologia della Liberazione. È in questo contesto che il padre generale Arrupe scelse come provinciale Bergoglio, allora solo trentaseienne. Una scelta di chiaro segno politico. Secondo Bergoglio l’Argentina era in crisi perché era in preda a ideologie lontane dalla sua storia: il liberalismo e il marxismo. La teologia del pueblo si identificava quindi pienamente con il peronismo, in quanto espressione spontanea del popolo, nella sua dimensione giustizialista e tradizionalista. Bergoglio era in buone relazioni con l’ammiraglio Massera e con altri esponenti delle forze armate. Diversi atti concreti dimostrano la sostanziale accettazione della giunta militare da parte di Bergoglio e dei gesuiti. La chiesa argentina collaborò attivamente con la dittatura. Il nunzio apostolico Pio Laghi consigliava i generali sui metodi per massacrare ed uccidere con la benedizione di dio. Anche il giovane capo della compagnia di Gesù a Baires fece la sua parte. Togliendo il proprio appoggio ad Orlando Yorio e Francisco Jalics, due gesuiti, seguaci della teologia della liberazione, che operavano nelle baraccopoli della capitale, avrebbe di fatto favorito il loro arresto da parte dei militari. Yorio e Jalics rifiutarono di sciogliere la comunità da loro fondata a Bajo Flores e per questo Bergoglio vietò loro di dire messa. Entrambi detenuti nella famigerata Esma, verranno torturati per cinque mesi prima di essere rilasciati. Yorio è morto nel 2000, debilitato nel fisico da torture dalle quali non si riprese mai completamente. Jalics, immediatamente dopo l’elezione di Bergoglio, è stato confinato dalla chiesa in un convento sito in una sperduta località della natia Ungheria, con il divieto assoluto di parlare con i giornalisti. Significativa è la piena adesione di Bergoglio alla guerra delle Malvinas. Nell’ottobre del 2009 benedicendo i parenti dei soldati caduti in partenza per le isole dove avrebbero eretto un cenotafio al cimitero disse loro “andate a baciare quella terra che è nostra e che sembra così lontana” e dichiarò che “i loro figli, mariti e padri erano caduti compiendo un gesto quasi religioso quello di baciare con il proprio sangue il suolo della madrepatria”. Nel 2012 in occasione del trentesimo anniversario del conflitto, definì coloro che erano morti “figli della madrepatria andati a difenderla per rivendicare ciò che le apparteneva e le era stato ingiustamente sottratto”. Affermazioni che liquidano ogni interpretazione di Francesco come pacifista. Nel 2007 la conferenza che si tenne nel santuario mariano di Aparecida in Brasile segnò il definitivo tramonto della teologia della Liberazione. La visione di Bergoglio si impose e nel 2013 quando Bergoglio tornò da papa in Brasile parlò di Aparecida come di un “momento che sconfisse la tentazione che si ebbe negli anni precedenti nella chiesa di creare una interpretazione della vita fuori dal vangelo e dalla chiesa. Qui sta tutto il pensiero profondo di Bergoglio: i poveri intesi non come categoria socio economica ma come Ser fundante, “spirito fondatore” dell’autentica comunità argentina che deve resistere all’influsso negativo della globalizzazione. La globalizzazione non va intesa come mera dinamica economica sociale ma soprattutto culturale. La globalizzazione è identificata in quel capitalismo imperialista del “Nord” che si incarna nelle idee e negli stili di vita orientati al liberalismo, al relativismo, all’edonismo che sono del tutto estranei al Ser Fundante argentino e alla spontanea devozione popolare. Il trionfo del nazional cattolicismo espresso dalla Teologia del Pueblo. Uno dei tratti salienti del pontificato di Bergoglio è stata la sua straordinaria abilità nell’usare i media. Ha capito perfettamente che contava di più una frase ad effetto che i gesti concreti, per cui si permetteva di lanciare messaggi di apertura nei confronti di omosessuali e donne, mantenendo inalterata la morale ufficiale della chiesa. Malgrado abbia affermato di non giudicare le persone omosessuali, nei testi della chiesa bergogliana l’omosessualità è definita un disordine, una malattia. L’unica famiglia legittima, la sola possibile è per Francesco quella formata da un uomo e una donna e ha come scopo primario la procreazione. L’aborto è un omicidio e i medici che lo effettuano sicari. Il clero deve restare rigidamente maschile. Bergoglio ha nei fatti ribadito, come tutti i suoi predecessori, il ruolo misogino, omofobo e patriarcale della chiesa. Bergoglio si faceva paladino della libertà religiosa, ma giustificava gli autori della strage di Charlie Hebdo perchè non si può irridere le religioni. Francesco da un lato si mostrava umile laddove non contava (le scarpe lise, la coda alla mensa vaticana, la 500 come auto papale) per crearsi l’immagine del papa che rifuggiva i fasti del potere, dall’altro ha accentrato su di sé il potere vaticano come pochi papi avevano fatto prima di lui. Il suo papato si è contraddistinto per un continuo creare apparenze di cambiamento per far si che tutto restasse come prima. Il gesuita che si è fatto chiamare Francesco è stato un lupo travestito da agnello. Un’analisi compiuta del suo successore è prematura, ma possiamo comunque azzardare qualche ragionevole ipotesi. Al momento possiamo essere cert* che continuerà nella crociata in difesa della famiglia patriarcale. In un’intervista radiofonica del 2012 in Perù Prevost ha dichiarato: “Vogliono convincerci che l’omosessualità è un’opzione neutrale. Ma Dio ha creato l’uomo e la donna, non un’identità fluida”. Le sue perorazioni per una pace “giusta” in Ucraina paiono riposizionare il vaticano nel campo occidentale all’interno dello scontro interimperialistico, al di là delle chiacchiere sulla pace disarmata e disarmante. Prevost è un agostiniano e Agostino giustificavala guerra come strumento per costruire una pace “giusta”, come fanno tutti i governi quando vogliono giustificare guerre e massacri. La scelta del nome non è mai casuale: ogni papa sceglie il proprio in base ad un esplicito richiamo a un predecessore di cui ambisce a ricalcare le orme. Il 23 giugno del 2003 il futuro papa, nel corso di un ritiro spirituale a Cuzco, dichiarò: “I cristiani devono resistere alle tentazioni ideologiche del collettivismo estremo che schiavizza l’anima in nome della giustizia sociale”. In queste parole è facile cogliere l’affinità di Prevost con Leone XIII, il papa della Rerum Novarum cupiditas, l’enciclica in cui venne formulata la dottrina sociale della chiesa cattolica, basata sulla collaborazione di classe in opposizione alla guerra di classe. Questa enciclica difendeva a spada tratta la proprietà privata e nascondeva, dietro a generici appelli alla “giusta mercede” e alla “dignità dell’uomo”, l’odio verso la spinta rivoluzionaria del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici: giudicava lo sciopero “uno sconcio grave” e vedeva dietro l’organizzazione autonoma delle classi sfruttate l’azione di “capi occulti”, che le reggerebbero con criteri contrari al pubblico bene. La Rerum Novarum è stata la risposta cattolica al movimento operaio e alla lotta di classe: era giusto che gli sfruttati si associassero per migliorare la loro condizione, ma dovevano farlo in collaborazione e non in conflitto coi padroni. La divisione in classi sociali, con il suo portato di disuguaglianza, non doveva essere messa in discussione. La questione sociale doveva essere risolta nella collaborazione fra sfruttati e sfruttatori, questi ultimi guidati da un maggiore spirito di carità. In questi tempi, contrassegnati dal tentativo dell’ ideologia dominante di far passare la lotta di classe come visione ormai superata dalla storia, la collaborazione di classe teorizzata alla fine del diciannovesimo secolo dalla chiesa cattolica può tornare utile ai padroni. La povertà si affronta distribuendo una tantum brioches ai clochard, come ha fatto recentemente la chiesa romana su ordine del nuovo papa. E che i poveri restino poveri, altrimenti a chi si fa la carità? Un agostiniano sul soglio di Pietro, con l’insistito ruolo della grazia divina come necessaria ispirazione al bene per gli uomini e le donne altrimenti fonte di ogni male, può tentare di recuperare il terreno sulle chiese evangeliche, che stanno scalzando il cattolicesimo sia in Sud America che in Africa. Al di là dei futuri gesti del nuovo papa, di un fatto siamo comunque sicur*: la chiesa cattolica continuerà a succhiare soldi a tutt* noi. 6,7 miliardi: tale è la cifra che nel 2024 lo stato italiano ha versato alla chiesa. Quest’anno, con i contributi per il giubileo, la cifra sarà probabilmente superiore. Soldi che, come quelli delle spese militari, vengono prelevati dalle nostre tasche. Soldi sottratti alla salute, alla casa, all’istruzione e a quanto ci serve realmente. Oggi sono tutti inginocchiati al trono di Pietro. La sinistra in cerca di autore è continuamente a caccia di qualche sfumatura sociale, pacifista o ambientalista per legittimarsi e legittimare la chiesa. Ma la chiesa è intrinsecamente autoritaria e patriarcale. La chiesa combatte la lotta di classe in nome della fratellanza fra sfruttat* e sfruttator*, tra oppress* e oppressor*. L’esistenza della chiesa è incompatibile con l’idea di libertà, perché la chiesa, qualunque chiesa, si basa sull’idea di dio, sulla convinzione che l’uomo e la donna non possano darsi la propria morale e le proprie regole, perché queste devono discendere dall’alto, dalle divinità e, ovviamente, dai rappresentanti terreni delle divinità, ovvero la chiesa stessa. Se vogliamo davvero costruire un mondo di liber* e uguali, la lotta anticlericale e antireligiosa deve tornare ad essere fra i punti centrali del conflitto sociale. La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana
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Torino. Antimilitaristi contestano la cerimonia militare
Il 2 giugno dei Senzapatria. Nel giorno in cui la Repubblica Italiana celebra se stessa con parate e manifestazioni militari gli antimilitaristi hanno riempito piazza Palazzo di Città con tanti interventi e il canzoniere antimilitarista del Cor’Okkio. Il presidio si è presto trasformato in corteo ed ha raggiunto la piazza della cerimonia dell’ammaina bandiera gonfia di retorica nazionalista ed esaltazione della guerra. In apertura lo striscione “contro tutti gli eserciti per un mondo senza frontiere”. Il corteo ha attraversato la piazza smilitarizzandola, nel segno della solidarietà con le vittime di tutte le guerre, con i disertori di ogni dove, con chi lotta contro gli eserciti, contro i nazionalismi, nel cui nome si massacrano uomini, donne, bambine e bambini. Il corteo si è concluso con interventi, slogan e il canzoniere antimilitarista di Alba. Una giornata di lotta contro la corsa al riarmo, la militarizzazione delle periferie, la guerra ai migranti, la produzione bellica, la militarizzazione delle scuole e delle università. Un segnale forte contro la guerra e a chi la arma. Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo. Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche. Vogliamo farla finita con le guerre e, quindi, con la feroce logica del dominio e del capitalismo. In ogni dove. Non ci sono nazionalismi buoni. Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra. Facciamo nostro l’insegnamento del “disfattismo rivoluzionario”: siamo solidali con chi si batte contro il proprio governo, perché noi lottiamo contro il nostro . Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra. Qui trovate il testo di lancio della giornata di lotta: https://www.anarresinfo.org/il-2-giugno-dei-senzapatria/ Qui alcune immagini dell’iniziativa:  
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Anarres dell’11 aprile. ReArm Europe. Propaganda di guerra targata UE. 5 milioni in marcia contro Trump e il suo mondo. Decreto sicurezza…
ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming Ascolta e diffondi l’audio della puntata: > Anarres dell’11 aprile. ReArm Europe. Propaganda di guerra targata UE. 5 > milioni in marcia contro Trump e il suo mondo. Decreto sicurezza… Dirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti: RiArmo dell’Europa e la crepa nel Patto Atlantico La guerra insanguina vaste aree del pianeta in una spirale che sembra non aver fine. A tre anni dall’accelerazione violenta impressa dall’invasione russa dell’Ucraina il conflitto si inasprisce sempre di più. A Gaza è ripresa la pulizia etnica nella prospettiva della deportazione dei gazawi. Se si aggiungono il conflitto nel Mar Rosso, il moltiplicarsi degli attacchi turchi in Rojava, i massacri degli alewiti in Siria, le tensioni per Taiwan, il perdurare dei conflitti per il controllo delle risorse nel continente africano dal Sudan al Congo, il rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è una possibilità reale. I paesi europei, indeboliti da tre anni di guerra e dal conseguente aumento della spesa energetica, reagiscono al repentino mutamento nella politica estera statunitense con un processo di riarmo, che potrebbe aprire a nuove pericolose escalation belliche. La guerra non è più così lontana come un tempo. Ne abbiamo parlato con Stefano Capello La propaganda bellica targata UE Il 2 aprile il Parlamento ha approvato una risoluzione “sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune” Tra le tante cose al punto 164 si legge: “è necessaria una comprensione più ampia, tra i cittadini dell’UE, delle minacce e dei rischi per la sicurezza al fine di sviluppare una comprensione condivisa e un allineamento delle percezioni delle minacce in tutta Europa e di creare una nozione globale di difesa europea; sottolinea altresì che garantire un sostegno da parte delle istituzioni democratiche e, di conseguenza, dei cittadini è essenziale per sviluppare una difesa dell’UE efficace e coerente a lungo termine, cosa che richiede un dibattito pubblico informato; invita l’UE e i suoi Stati membri a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate, e a rafforzare la resilienza e la preparazione delle società alle sfide in materia di sicurezza, consentendo nel contempo un maggiore controllo e scrutinio pubblico e democratico del settore della difesa; invita la Commissione e gli Stati membri a sviluppare tali programmi nel quadro dello scudo europeo per la democrazia, seguendo il modello di programmi nazionali come l’iniziativa svedese di emergenza civile” Ne abbiamo parlato con Dario Antonelli 5 milioni in marcia contro Trump e il suo mondo Il ciclone Trump comincia a trovare ostacoli lungo il percorso. Le imponenti manifestazioni che hanno attraversato gli States il 5 aprile sono il segnale del raggrumarsi di un’opposizione dal basso all’ondata reazionaria scatenata dal presidente statunitense. Abbiamo provato ad analizzare questo movimento per comprenderne le potenzialità, con uno sguardo alle dinamiche dello scontro di classe Ce ne ha parlato Robertino Barbieri Decreto sicurezza. La zampata del governo Con un colpo di mano il governo ha scippato il ddl 1236 dalla discussione parlamentare e ha fatto passare un testo profondamente liberticida con il ricorso, a dir poco irrituale, alla decretazione di urgenza. L’orizzonte delle leggi fascistissime del 1926 è sempre più vicino. Abbiamo approfondito la questione con l’avvocato Eugenio Losco Appuntamenti: Sabato 12 aprile Sabotare la guerra Disarmare l’Europa giornata antimilitarista ore 10,30 presidio al Balon Solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di libere ed uguali che può porre fine alle guerre. Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo. Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche. In ogni dove. Non ci sono nazionalismi buoni. Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra. Noi pratichiamo il disfattismo rivoluzionario contro le guerre promosse dai “nostri” governi e sosteniamo chi, in ogni dove, diserta, sabota, inceppa gli ingranaggi della guerra Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra. Venerdì 25 aprile ore 15 alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni in corso Giulio Cesare angolo corso Novara dove Ilio cadde combattendo il 26 aprile 1945. Ricordo, bicchierata, fiori, musica. E, dal vivo, il Cor’occhio nel canzoniere anarchico e antifascista (in caso di pioggia ci troviamo in piazza Crispi). A-Distro e SeriRiot ogni mercoledì dalle 18 alle 20 in corso Palermo 46 (A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro SeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte Vieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini! Sostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato! Informati su lotte e appuntamenti! Federazione Anarchica Torinese corso Palermo 46 Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 20,30 per info scrivete a fai_torino@autistici.org Contatti: FB @senzafrontiere.to/ Telegram https://t.me/SenzaFrontiere Iscriviti alla nostra newsletter mandando una mail ad: anarres@inventati.org  
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Il 2 giugno dei Senzapatria
Il 2 giugno contestiamo le cerimonie militariste, la retorica patriottica, la guerra e chi la a(r)ma Lunedì 2 giugno ore 16 Appuntamento in via Garibaldi angolo piazza Castello (se piove in piazza Palazzo di Città) Ogni 2 giugno la Repubblica celebra sé stessa con esibizioni militari, parate e commemorazioni. Con gli anni questa “festa” ha assunto una sempre più marcata connotazione nazionalista e militarista. Il governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, i “sacri” confini, l’esaltazione della guerra. Anche quest’anno il governo usa le cerimonie militari del due giugno per giustificare enormi spese militari, l’invio delle armi e l’impegno diretto dell’Italia nelle missioni militari all’estero, dall’Ucraina all’Africa. Guerre, stupri, occupazioni di terre, bombardamenti, torture, l’intero campionario degli orrori umani, se compiuto da uomini e donne inquadrati in un esercito, diventa legittimo, necessario, opportuno, eroico. Le divise da parata, le bandiere, le medaglie, la triade “dio, patria, famiglia” non sono il mero retaggio di un passato più retorico e magniloquente del nostro presente, ma la rappresentazione sempre attuale dell’attitudine imperialista e neoconiale dello stato italiano. Contestare attivamente queste cerimonie è la chiave di volta per impedire che diventi normale la presenza dei militari per le strade della nostra città, che diventi normale che qualcuno uccida, bombardi, stupri, occupi e devasti territori in nostro nome. Mentre l’Europa – e il mondo – fanno una precipitosa corsa al riarmo è sempre più necessario mettersi di mezzo, inceppare gli ingranaggi, lottare contro l’industria bellica e il militarismo. La guerra insanguina vaste aree del pianeta in una spirale che sembra non aver fine. A tre anni dall’accelerazione violenta impressa dall’invasione russa dell’Ucraina il conflitto si inasprisce sempre di più. A Gaza è ripresa la pulizia etnica volta alla deportazione dei gazawi. Se si aggiungono il conflitto nel Mar Rosso, il moltiplicarsi degli attacchi turchi in Rojava, i massacri degli alewiti in Siria, le tensioni per Taiwan, il perdurare dei conflitti per il controllo delle risorse nel continente africano dal Sudan al Congo, il rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è una possibilità reale. I paesi europei, indeboliti da tre anni di guerra e dal conseguente aumento della spesa energetica, hanno intrapreso un processo di riarmo, che potrebbe aprire a nuove pericolose escalation belliche. La guerra non è più così lontana come un tempo. I potenti che si contendono risorse e potere, sono indifferenti alla distruzione di città, alla contaminazione dell’ambiente, al futuro negato di tanta parte di chi vive sul pianeta. Le macerie sono solo buoni affari per un capitalismo vorace e distruttivo che ha una sola logica, quella del profitto ad ogni costo. Uomini, donne, bambine e bambini sono solo pedine sacrificabili in un gioco terribile, che non ha altro limite se non quello imposto dalla forza di oppress e sfruttat, che si ribellano ad un ordine del mondo intollerabile. Il prezzo delle guerre lo pagano bambine e bambini, uomini e donne massacrati ed affamati in ogni angolo del pianeta. Lo paghiamo noi tutti stretti nella spirale dell’inflazione, tra salari e pensioni da fame e fitti e bollette in costante aumento. Il governo italiano si è schierato nella guerra in Ucraina inviando armi, e dispiegando 3.500 militari nelle missioni in ambito NATO nell’est europeo e nel Mar Nero. L’Italia è impegnata in ben 43 missioni militari all’estero, in buona parte in Africa, dove le truppe tricolori fanno la guerra ai migranti e difendono gli interessi di colossi come l’ENI. L’Italia vende armi a tutti i paesi in guerra, contribuendo direttamente alle guerre di ogni dove. Torino punta tutto sull’industria bellica per il rilancio dell’economia. Un’economia di morte. La nostra città è uno dei maggiori poli dell’industria bellica aerospaziale. Ed è a Torino che sorgerà la Città dell’Aerospazio, un centro di eccellenza per l’industria bellica aerospaziale promosso dal colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino. La Città dell’Aerospazio ospiterà un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della NATO. Progetti di morte che è impegno di tutt* inceppare. Occorre capovolgere la logica perversa che vede nell’industria bellica il motore che renderà più prospera la nostra città. Un’economia di guerra produce solo altra guerra. Provate ad immaginare quante scuole, ospedali, trasporti pubblici di prossimità si potrebbero finanziare se la ricerca e la produzione venissero usate per la vita di noi tutti, per la cura invece che per la guerra. La corsa alla guerra uccide anche in tempo di “pace”. La mancanza di prevenzione e cura per tutti è intrinsecamente omicida. La guerra non dichiarata ai migranti uccide ogni giorno lungo le frontiere del Belpaese. La guerra è anche interna. Il governo con una forzatura inedita, da stato di polizia, ha trasformato il disegno di legge 1236 in decreto, che in questi giorni viene convertito in legge. Colpi sempre più forti a chi lotta nei CPR e nelle carceri, a chi si batte contro gli sfratti, a chi occupa, a chi fa scritte , a chi blocca una strada o una ferrovia, a chi sostiene e diffonde idee sovversive. Il governo risponde alla povertà trattando le questioni sociali in termini di ordine pubblico: i militari dell’operazione “strade sicure” li trovate nelle periferie povere, nei CPR, nelle stazioni, sui confini. A Torino il comitato per l’ordine e la sicurezza ha dichiarato zone a sorveglianza rinforzata Barriera, Aurora, San Salvario, il centro cittadino. Il governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, il militarismo, l’esaltazione della guerra. In periferia retate e controllo etnicamente mirato del territorio sono la normalità di vite sotto costante assedio. Le scuole e le università sono divenute terreno di conquista per l’arruolamento dei corpi e delle coscienze. Solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di libere ed uguali che può porre fine alle guerre. Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo. Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo la retorica patriottica – anche quando veste l’abito buono europeista – come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche, funzionali agli interessi del capitalismo. In ogni dove. Non ci sono nazionalismi buoni. Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra. Facciamo nostro l’insegnamento del “disfattismo rivoluzionario”: siamo solidali con chi si batte contro il proprio governo, perché noi lottiamo contro il nostro . Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra. Coordinamento contro la guerra e chi la arma antimilitarista.to@gmail.com
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Antifascisti alla lapide di Ilio Baroni
Torino. 25 maggio Oggi pomeriggio siamo tornatə davanti alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni, per dare una risposta chiara e inequivocabile contro l’ennesima provocazione fascista che ha colpito il quartiere. Si sono susseguiti alcuni interventi che hanno ripercorso la storia della Barriera antifascista e resistente, intrecciando i fili della memoria e rilanciando sulle tante lotte di oggi che ci vedono tuttə impegnatə. Sono stati deposti dei fiori per rendere omaggio al compagno caduto. I simboli fascisti hanno lasciato il posto ad una bandiera stilizzata, quella dell’anarchia per la quale Ilio ha combattuto fino all’ultimo giorno della sua vita. Portiamo ancora un mondo nuovo nei nostri cuori, un mondo di libere ed eguali, senza stato, padroni, militari e polizia! Viva la resistenza! Viva la rivoluzione sociale! qui l’appello per la giornata di lotta:   > 25 maggio. Imbrattata la lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni: presidio > antifascista  
Torino e dintorni
Antimilitaristi contro lo Space Festival
Nel pomeriggio di sabato 24 maggio il Coordinamento contro la guerra e chi la arma ha effettuato davanti alla Galleria San Federico in via Roma un volantinaggio antimilitarista in occasione di una 3 giorni dedicata all’aerospazio. L’appuntamento prevedeva la presentazione di un libro sull’aeronautica militare. Lo stand informativo relativo all’evento contestato dallə partecipanti, vedeva addettə che esponevano chiaramente il logo del Politecnico subalpino e del progetto D.I.A.N.A. nodo dell’acceleratore di innovazione della NATO che verrà ospitato all’interno della nascente Città dell’Aerospazio di corso Marche, polo di ricerca bellica promosso da Leonardo e Politecnico. Altre foto qui: https://www.facebook.com/share/p/18qnesy7Mc/ E qui: https://www.instagram.com/p/DKC5T0ktZYK/?igsh=MWl1MWQ5dWlncjdlOA== Di seguito il testo del volantino distribuito per l’occasione: “Si scrive Aerospazio, si legge Guerra In questi giorni a Torino si celebrano i viaggi nello Spazio, portandoci nel clima dei film di fantascienza, o delle canzoni di David Bowie. Si tratta di un tema affascinante, che attira giustamente l’interesse di tante persone di ogni età. Purtroppo, ogni medaglia ha il suo rovescio: non vorremmo disturbare la vostra visita, ma lo sapete che: • A Torino, in corso Marche, si sta costruendo un Polo Aerospaziale che di fatto è un Polo di ricerca e progettazione bellica, legato alla NATO? • Thales Alenia, uno dei siti visitabili in questi giorni, produce sistemi di telecomunicazioni militari al servizio delle Forze Armate ed è frutto di una “joint venture” con Leonardo, seconda industria militare in Europa e quattordicesima nel mondo? • Leonardo, il cui principale azionista è il Ministero della Difesa, è dal 1993 il polo aggregante dell’industria bellica italiana: il 75% del suo fatturato proviene infatti proprio dalla produzione di armi? Come dimostra l’incontro di oggi, Aerospazio vuol dire anche produzione di armi , o di strumenti, come i satelliti, che possono essere usati sia a fini civili che militari. Vogliono farci credere che il futuro della nostra città, cessata la produzione di auto, starà nell’industria aerospaziale e bellica: non è vero, e soprattutto non è giusto! Non c’è futuro degno quando si investe nella guerra: solo morte e distruzione! L’industria delle armi non potrà mai sostituire la produzione di beni e servizi utili alla popolazione! E non potrà mai recuperare la perdita di posti di lavoro drasticamente tagliati negli ultimi decenni! I milioni di € che il governo Meloni vuole spendere per raggiungere l’obbiettivo del 2% della spesa bellica (ma la NATO già chiede il 5%) sono altrettanti milioni di euro sottratti alla Sanità pubblica, aumentando ancora di più la vergogna delle liste di attesa; sono risorse sottratte alla scuola, ai trasporti di prossimità, a noi tutti e tutte che paghiamo tasse che, anziché essere destinate alle nostre vite, verrebbero utilizzate per la spesa bellica, che è una spesa di morte! Chi oggi (governi, mercanti d’armi) vuole convincerci che occorre prepararsi alla guerra, costruisce anche ad arte il “nemico” contro cui dovremmo combattere. Le armi prodotte a Torino sono le stesse armi che massacrano uomini, donne e bambini inermi a Gaza (o in Ucraina, in Russia, nel Kurdistan, nel Sudan…) Non solo, ma vivendo accanto ai luoghi dove si producono armi, diventeremo anche noi bersagli, mettendo a rischio le nostre vite e alimentando la militarizzazione del territorio. Vogliamo davvero che Torino diventi la capitale della produzione di aerei da guerra, elicotteri, droni, missili, carri armati, sistemi spaziali militari? O non dobbiamo piuttosto impegnarci contro ogni politica di riarmo, anche a difesa delle conquiste e dei diritti sociali che sono costati anni di lotte e soprattutto per dare ai giovani una prospettiva di vita e non di morte? Vogliamo più servizi sociali e posti di lavoro, non bombe! No alla riconversione dell’industria civile in industria militare! No alla costruzione del polo bellico aerospaziale a Torino! Coordinamento contro la guerra e chi la arma”
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25 maggio. Imbrattata la lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni: presidio antifascista
Croci celtiche alla lapide di Ilio Baroni. Chiamata Antifascista per una Barriera libera e solidale. No Pasarán! Domenica 25 maggio ore 16,30 Presidio antifascista alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni in corso Giulio Cesare, angolo corso Novara. Ad un mese dalla partecipata commemorazione del 25 aprile, ignoti neofascisti hanno insultato la memoria della Resistenza sfregiando con i loro simboli di morte la lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni. Gli esponenti dell’estrema destra xenofoba e razzista sono il braccio armato dei padroni, i loro fedeli servitori, la loro manovalanza prediletta. Gli artefici di questa vile provocazione sono gli stessi che quotidianamente soffiano sul fuoco della guerra tra poveri italiani e poveri immigrati. Provano a metterci gli uni contro gli altri perché sanno che divisi siamo più deboli e sfruttabili. Strizzano l’occhio alle politiche repressive del governo Meloni, ovverosia gli eredi diretti della dittatura del Ventennio che varano leggi speciali come l’ultimo decreto sicurezza che imprime una svolta sempre più autoritaria e liberticida al paese. Applaudono l’incalzante militarizzazione dei territori, le retate e i controlli etnicamente mirati contro i senza documenti, le reclusioni nei CPR, le deportazioni coatte e le migliaia di morti nel Mar Mediterraneo. Ci conducono dritti verso la guerra, sostenendo la corsa al riarmo e agitando il tricolore che rischia di essere la nostra rovina e la nostra tomba. Ma la gente di Barriera di Milano, i nati qui così come i nati altrove, vivono gli stessi problemi, la stessa condizione di sfruttamento e di oppressione, la stessa di chi combatté armi alla mano il fascismo perché voleva una società senza stato né padroni. Barriera è afflitta dall’aumento del prezzo del fitto e delle bollette. È afflitta da lavori precari e pericolosi, salari miseri e ritmi insostenibili. È afflitta da continue minacce di sfratto. È afflitta dai tagli e dalle privatizzazioni dei servizi sociali fondamentali (sanità, scuola, trasporti, ecc). Non ci sono i soldi per casa, educazione, prevenzione e cura. In compenso ce ne sono in abbondanza per far scorrazzare polizia e militari per le strade delle periferie. Oggi come ieri, solo un ampio fronte di lotta contro il nemico comune può consegnarci un mondo di libertà e di uguaglianza. Un manipolo di invasati può anche imbrattare un pezzo di storia della lotta di liberazione dal nazifascismo ma non può certo cancellarlo. La storia di Ilio, la storia degli Arditi del Popolo, la storia dei rivoluzionari di Barriera, risuona ancora nelle lotte di ciascun* di noi, e continuerà a farlo a lungo! Per questo motivo vogliamo scendere in strada e vogliamo farlo in tant*. Vogliamo trovarci e riconoscerci, esprimere tutta la nostra rabbia contro l’ennesimo attacco al cuore del quartiere, a chi quotidianamente lo abita e lo attraversa. Vogliamo ripristinare la lapide e continuare a tenere viva la memoria, facendone un’arma per la trasformazione radicale dell’esistente. «Gli unici stranieri, i fascisti nei quartieri!» Federazione Anarchica Torinese Assemblea Antimilitarista – Torino
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Venerdì 16/5. Transfemminismo e anarchia
Anarchia e transfemminismo Un universale plurale che spezza i generi in un’irriducibile molteplicità di percorsi individuali. Venerdì 16 maggio ore 21 in corso Palermo 46 Presentazione dell’opuscolo della Fat e del Germinal di Trieste con alcun* autor* I nostri corpi degeneri, abbattono le frontiere tra gli Stati, lottano contro il nazionalismi ed ogni identità escludente, frantumano le tante leggi del padre, del padrone, degli dei e dei loro preti. Qui potete leggere e scaricare liberamente i testi: https://www.anarresinfo.org/transfemminismo-percorsi-e-prospettive/ https://germinalts.noblogs.org/post/2025/02/19/non-ci-puo-essere-anarchismo-senza-femminismo/ E qui il PDF: transfemminismo e anarchia Federazione Anarchica Torinese Corso Palermo 46 – riunioni ogni martedì ore 20,30 – www.anarresinfo.org
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Spezzone antimilitarista e anarchico al corteo del Primo Maggio
Il Primo Maggio, in tante e tanti hanno scelto di attraversare lo spezzone rossonero promosso dall’Assemblea Antimilitarista e dalla Federazione Anarchica Torinese. Una calda e gradevole giornata di sole ha fatto da cornice a una manifestazione combattiva che affonda le sue radici nelle imponenti rivendicazioni operaie di fine ‘800 per le otto ore lavorative. Un centinaio di antimilitarist* e anarchic* hanno sfilato in coda al corteo brandendo lo striscione “Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori”, segnando una netta distanza con coloro che formalmente si dichiarano contrari alla guerra, ma nei fatti, si schierano a favore di vecchi e nuovi imperialismi sotto la bandiera della resistenza, fornendo rinnovata linfa vitale a nazionalismi e guerre di religione che da sempre sono nemici di tutte le lotte che aspirano ad una reale emancipazione sociale. Numerosi slogan e interventi hanno ricordato sia le pessime condizioni in cui versa chi è disoccupato o chi è costretto a sopravvivere di lavori precari e sottopagati, sia l’aumento delle morti sul lavoro, diretta conseguenza dalla cinica logica del profitto a tutti i costi. Stessa determinazione ha contraddistinto la necessità di denunciare  fermamente la moltiplicazione degli sfratti, una piaga per coloro che non ce la fanno più a pagare fitto e bollette. Avere garantito un tetto sopra la testa si sta trasformando in un lusso per pochi privilegiati. Ogni contributo portato in piazza ci ha tenuto a ribadire l’urgenza di opporsi all’escalation bellica che sempre più sta travolgendo le nostre esistenze, partendo dai nostri territori, dove le armi vengono prodotte e testate per poi essere utilizzate nei conflitti che insanguinano vaste aree del pianeta; dove la militarizzazione investe con insistenza le periferie più povere e arriva ad assediare scuole e insegnamento; dove Leonardo e Politecnico si stanno impegnando nella costruzione della Città dell’Aerospazio, un polo di ricerca finalizzato alla progettazione di congegni e tecniche militari sempre più micidiali e all’avanguardia per uccidere e avvelenare interi territori. Le spese militari crescono inesorabilmente, così come i tagli ai servizi sociali fondamentali. L’industria bellica si arricchisce, mentre noi vediamo spalancarsi le porte della miseria e rischiamo di morire per mancanza di cure mediche adeguate. Anche in questa occasione, non si è mancato di contestare le politiche del governo fascista, che oltre ad intensificare la retorica patriottica per arruolarci nell’impresa a difesa degli interessi nazionali e renderci complici di massacri di popolazioni civili, si sta servendo di leggi speciali che trattano le questioni sociali come affari di ordine pubblico, portando avanti una spietata guerra ai poveri – autoctoni e migranti – e una durissima repressione di qualsiasi forma di dissenso. Ci vogliono muti e rassegnati, se non addirittura servili. La lotta di classe non è affatto un discorso relegato al passato. Lo sanno bene i burocrati del sindacalismo istituzionale e concertativo che fanno quotidianamente il gioco di chi prosciuga il nostro tempo e le nostre energie investite sul posto di lavoro, pur di continuare a estrarre ed accumulare capitale. Purtroppo, il sindacalismo di base, nonostante il generoso impegno, fa sempre più fatica a intercettare il disagio sociale di coloro che vivono nella nostra città. Ne consegue che serve organizzarsi collettivamente e superare il clima prevalente di atomizzazione e diffidenza tra sfruttat*, se davvero vogliamo che la paura cambi di campo. Siamo consapevoli che l’unica speranza che abbiamo di invertire la rotta, non può che essere quella di costruire e rinforzare reti di solidarietà e lotta in opposizione all’oppressione, allo sfruttamento, alle guerre volute e foraggiate da padroni e governanti. Solo praticando l’azione diretta possiamo pensare di impensierire i potenti della terra. Solo riportando al centro del dibattito il valore del disfattismo rivoluzionario e sostenendo attivamente i disertori di tutte le guerre degli stati, possiamo scongiurare il pericolo di un olocausto nucleare. Solo dando vita a spazi politici non statali possiamo porre le basi per un mondo di libere ed eguali, senza stati, padroni, frontiere, eserciti e polizie. Federazione Anarchica Torinese Assemblea Antimilitarista – Torino corso Palermo 46 – riunioni ogni martedì alle 20,30 – www.anarresinfo.org FB: https://www.facebook.com/ INSTAGRAM: https://www.instagram.com/p/
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25 aprile. Contro guerra, militarismo, repressione, per la rivoluzione sociale
Come ogni anno ci siamo ritrovati alla lapide che ricorda Ilio Baroni, partigiano anarchico. Oggi più che mai ritrovarci in quell’angolo di periferia, dove cadde combattendo Baroni, non è stato un mero esercizio di memoria, ma occasione per intrecciare i fili delle lotte, perché il testimone lasciato da chi non c’è più è ora nelle nostre mani. In un clima di guerra e revisionismo quello di questo 25 aprile è stato un momento di raccolta della comunità libertaria di Barriera di Milano. Una Barriera che i fascisti al governo della Circoscrizione hanno posto sotto assedio militare, per mettere la sordina alle questioni sociali, perché chi oggi fatica a pagare fitto e bollette riversi il proprio rancore sugli ultimi arrivati, quelli che vivono ancora peggio, quelli che nessuno gli affitta una casa, quelli che si arrangiano come possono tra una miriade di lavori precari. Ma la condizione di chi è nato altrove è la stessa di chi vive qui, perché precarietà, sfratti e povertà sono il pane quotidiano di noi tutti.Parlare dei partigiani di Barriera, di quelli che, come Baroni il fascismo lo hanno combattuto negli anni Venti come durante la Resistenza, ci ricorda che, in barba a tutti i revisionismi di Stato, il fascismo è stato ed ha continuato ad essere il braccio armato dei padroni. Oggi ci troviamo di fronte gli stessi, che legge repressiva dopo legge repressiva, stanno scrivendo in modo normale le leggi speciali di questo secolo, quelle che rischiano di seppellire in galera compagni e compagne per banali episodi di lotta. Una scritta sul muro, un blocco stradale, un picchetto, un’occupazione, magari messi insieme da uno dei tanti reati associativi, sono trattati con estrema durezza. Nelle molli maglie della democrazia, il fascismo, anche grazie all’acquiescenza di certa sinistra, sta schiacciando in una morsa sempre più ferrea le poche libertà e tutele, che chi c’era prima si è preso senza chiedere il permesso. Solo con la lotta la sola avremo nelle nostre mani il sogno irrealizzato dai partigiani di Barriera. Eravamo in tanti e la giornata, complice un sole luminoso, è volata veloce, con la deposizione di fiori alla lapide che ricorda Ilio Baroni e il ricco e coinvolgente canzoniere anarchico e antifascista del Cor’okkio. Una bicchierata, due taralli e l’impegno a ritrovarci in piazza il 1 maggio con uno spezzone anarchico e antimilitarista.   Di seguito il volantino distribuito in piazza:   1945-2025. Oggi come ieri Azione diretta contro Stato e fascisti! La memoria è uno strumento per leggere il presente e trasformarlo radicalmente. Il 25 aprile rappresenta un’occasione preziosa. Rievocare l’epopea partigiana non è un esercizio retorico, ci ricorda l’importanza di lottare apertamente contro il fascismo, da sempre braccio armato dei padroni che ci costringono ad un’intollerabile condizione di miseria e di sfruttamento. Oggi viviamo in un clima di guerra e di revisionismo senza precedenti. La Resistenza viene ridotta a mera lotta di liberazione nazionale, per cancellarne la spinta sovversiva, internazionalista, contro stato e capitalismo. La prospettiva rivoluzionaria si eclissa sotto il peso di una narrazione egemone che vede la Repubblica come approdo definitivo, frutto degli sforzi di tanti e tante che al contrario volevano farla finita con una società divisa in classi. Nel frattempo le periferie della nostra città sono sotto costante assedio militare. Si moltiplicano le retate contro coloro che non hanno in tasca il giusto documento. Questioni sociali vengono trattate come problemi di ordine pubblico. I ricchi diventano sempre più ricchi, mentre i poveri sono sempre più poveri. Il lavoro non c’è, e anche quando c’è è sottopagato, pericoloso, sfruttato, privo di qualsivoglia tutela. Precarietà, sfratti, povertà sono all’ordine del giorno. Fitto e bollette sono cresciuti a dismisura e sempre più persone faticano ad arrivare alla fine del mese. Il governo fascista soffia sul fuoco della guerra fra poveri, per nascondere la guerra sociale che ha scatenato contro tutti i poveri, italiani e nati altrove. Il tentativo è quello di imprimere una svolta sempre più autoritaria e liberticida al paese, dotandosi di strumenti utili a reprimere sul nascere qualsiasi insorgenza sociale. La ricetta scelta per ostacolare l’opposizione politica e sociale è l’ultimo Decreto Legge “Sicurezza” (ex DDL 1236), approvato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12 aprile. Il provvedimento appena entrato in vigore bypassando completamente il parlamento, si inserisce nel solco già aperto da altri provvedimenti (i decreti rave, Cutro, immigrazione, Caivano), che colpiscono i poveri, gli stili di vita non conformi, gli stranieri senza documenti. Blocchi stradali o ferroviari, picchetti, occupazioni, scritte su caserme o commissariati, prevedono pene durissime. Normali forme di lotta attuate dai movimenti climatici, sociali e sindacali, anticarcerari e no border rischiano di costare la galera a tante compagne e compagni. Viene confermata l’introduzione del reato di “terrorismo della parola”. Viene concesso ancora più potere, agibilità e impunità alle forze di polizia. Le lotte portate avanti nelle carceri e nei CPR – anche sotto forma di resistenza passiva – possono essere perseguite in modo più duro perché chi le attua è dipinto come costitutivamente criminale, illegale, fuori norma. La logica sottesa al decreto è quella del diritto penale del nemico. Una logica di guerra, nella quale coloro che vengono identificati come nemici vanno annientati, ridotti a nulla, privati di vita, libertà e dignità. Per il nemico non valgono le tutele formali riservate ai cittadini. Quando la logica bellica si applica al diritto, alcuni gruppi umani vengono repressi per quello che sono più che per quello che fanno. L’intera azione dell’esecutivo è informata a questo principio. Un principio sulle cui fondamenta sono stati costruiti i lager nazisti e i gulag staliniani. Oggi la democrazia getta via la maschera e mostra il suo vero volto, quello della più spudorata violenza a salvaguardia del privilegio di classe e del potere nelle mani di pochi. Non solo. La stretta repressiva in atto e la criminalizzazione dei movimenti sociali vanno di pari passo con un intenso impegno bellico, sostenuto sia dalla sinistra che dalla destra istituzionale. Il piano ReArm Europe prevede di destinare ben 800 miliardi di euro al riarmo su ampia scala. La spesa militare nel nostro paese ha da tempo toccato quota 108 milioni di euro al giorno. Le missioni all’estero delle forze armate italiane a difesa dei propri interessi neocoloniali si sono moltiplicate. In compenso, servizi pubblici essenziali vanno incontro ad ingenti tagli. Casa, sanità, istruzione, trasporti pubblici di prossimità efficienti sono un vero e proprio miraggio. Il warfare prende definitivamente il posto delle sorpassate politiche di welfare. L’industria militare fa affari d’oro, a pagarne le spese sono uomini, donne e bambini che periscono sotto le bombe costruite a due passi dalle nostre case. La nostra città – vera e propria eccellenza nel settore aerospaziale bellico – si impegna a costruire la Città dell’Aerospazio, polo di ricerca promosso dal colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino, il quale ospiterà persino un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei del D.I.A.N.A, struttura della NATO. Vogliono arruolare i nostri corpi e le nostre coscienze bombardandoci di retorica patriottica, a partire dalle scuole e dalle università. Vogliono prepararci ad un allargamento del conflitto che può essere solo foriero di morte. Ma le leggi dettate dal clima repressivo e dall’economia di guerra non sono altro che il precipitato normativo dei rapporti di forza all’interno della società. Siamo ancora in tempo per far sì che la paura cambi di campo, per fermare l’avanzata del fascismo, del nazionalismo, del militarismo. Le tante libertà che padroni e governanti continuano a sottrarci con la forza possiamo riprendercele soltanto praticando l’azione diretta, la solidarietà, il mutuo appoggio tra sfruttat*. I partigiani che imbracciarono le armi e combatterono strada per strada e sui sentieri di montagna fino alla seconda metà degli anni ’40 del Novecento, lo sapevano bene. Spetta a noi raccoglierne l’eredità e fare in modo che il loro sforzo non sia stato vano. Spetta a noi realizzare giorno dopo giorno il sogno di un mondo di libere ed eguali, di una società realmente autogestita, libera da stato, padroni, militari, polizia. Giovedì 1 maggio ore 9 piazza Vittorio   Spezzone antimilitarista e anarchico Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere!   Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori! Federazione Anarchica Torinese Assemblea Antimilitarista – Torino riunioni, aperte agli interessat, ogni martedì alle 20,30 in corso Palermo 46
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