Si cambia con la lotta, non con il voto
I referendum abrogativi previsti per le giornate dell’8 e 9 giugno, i cui
quesiti riguarderanno il reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento
illegittimo, le indennità per i lavoratori licenziati nelle imprese con meno di
15 dipendenti, i contratti a termine, la responsabilità delle aziende
committenti sugli infortuni nel lavoro in caso di appalti e la riduzione del
tempo necessario per richiedere la cittadinanza italiana da parte dei cittadini
stranieri (da 10 a 5 anni), sono ancora una volta un’arma spuntata per i
movimenti sociali.
Il gioco referendario ha le sue regole ferree. Se si tiene conto che i
referendum sono soggetti ad un meccanismo per cui vengono invalidati se non si
raggiunge il quorum del 50% + 1 oltre, ovviamente, alla maggioranza dei Sì, è
capitato molto spesso che si risolvessero in un nulla di fatto. Inoltre, la
storia ci dimostra che quand’anche sono stati soddisfatti tutti i requisiti,
ecco che in diverse occasioni le istituzioni si sono mobilitate per vanificarne
i risultati. Ne è un chiaro esempio il referendum sull’acqua pubblica, a
distanza di oltre un decennio totalmente ignorato e disatteso.
Ma la CGIL ha raccolto le firme necessarie e tutto è pronto per procedere con la
votazione.
Il sindacalismo confederale e concertativo – che da tanti anni opera per la
pacificazione sociale – persegue imperterrito il suo esclusivo interesse, non
certo quello delle classi sfruttate e oppresse. Il famigerato “Pacchetto Treu”
del 1997, che durante il primo governo Prodi aprì le porte ad un inesorabile
processo di precarizzazione del lavoro, venne sostenuto dalle stesse forze
partitiche e sindacali che oggi si sgolano per la chiamata alle urne. Al tempo
dell’approvazione del Jobs Act e della cancellazione dell’articolo 18, la triade
non fece certo i salti mortali per ostacolare le politiche del governo Renzi,
limitandosi ad una flebile protesta simbolica. Pesanti riforme neoliberiste che
sancirono tagli ai servizi e privatizzazioni, vennero accettate a cuor leggero.
L’imperativo era ed è tutt’ora chiaro: il mantenimento dei propri privilegi
conta più del domani di chi tocca con mano miseria e precarietà. La proposta
dell’ultimo quesito, se possibile è ancora più paradossale. Il pacchetto
sicurezza targato Minniti-Orlando, il daspo urbano per poveri e senza documenti,
il piano di costruire un CPR in ogni regione, gli accordi con la Libia al fine
di facilitare i respingimenti in mare, la chiusura dei porti e il blocco delle
navi delle ONG, furono opera della coalizione di centro-sinistra a guida Dem.
Non solo. I referendum sono a nostro avviso la cortina fumogena che rischia di
distogliere l’attenzione dal conflitto sociale, l’unico terreno dove sfruttate e
sfruttati possono ottenere risultati concreti.
L’unico terreno sul quale i sindacati di Stato non possono e non vogliono
impegnarsi.
Rispetto a tali dinamiche, serve una buona dose di consapevolezza e di
disincanto.
Serve aprire gli occhi sulla natura interclassista e perdente degli strumenti
offerti dalle istituzioni borghesi e impugnati dalle burocrazie sindacali.
Le leggi non sono altro che il precipitato normativo dei rapporti di forza nella
società.
Se il referendum sul nucleare del 1987, svoltosi all’indomani del disastroso
incidente alla centrale di Chernobyl, si rivelò vincente, ciò fu anche e
soprattutto grazie agli scioperi, occupazioni e imponenti iniziative di piazza.
Perché conquiste non supportate da una significativa campagna conflittuale,
risultano effimere e precarie.
Solo attraverso una mobilitazione generale e diffusa è possibile ottenere
effettivi miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro dei soggetti
coinvolti. Solo rifuggendo la logica della delega e praticando l’azione diretta
si può fare in modo che il governo faccia un passo indietro, ripristinando
diritti e tutele da tempo smantellate.
Rinnoviamo il nostro impegno alla partecipazione sul terreno della lotta.
Costruiamo l’alternativa dal basso!
La Commissione di Corrispondenza della FAI
Source - Anarres
Il pianeta delle utopie concrete
Con la morte di Jorge Bergoglio si è assistito allo spettacolo di gran parte
della sinistra, moderata o radicale, in lutto per la scomparsa del pontefice.
Tutt* hanno lodato il defunto papa come progressista, pacifista, aperto sui
diritti di donne e omosessuali.
Sfatiamo un mito: Francesco non era un progressista ma un populista. Bergoglio
si dichiarava figlio della Teologia del Pueblo, che si contrappose sul piano
teologico, sociale e politico alla Teologia della Liberazione che si era
ispirata ed aveva a sua volta contaminato buona parte dei movimenti
d’opposizione latino americani sul finire del ventesimo secolo.
La Teologia del Pueblo è sul piano teologico la trasposizione del peronismo e
del più intransigente populismo politico: il trionfo del nazional cattolicesimo
argentino.
La Guardia de Hierro, il gruppo politico peronista del quale il giovane
Bergoglio era uno dei massimi ideologi, si dichiarava oltre la destra e la
sinistra e si contrapponeva alla sinistra ed all’ala progressista dei cattolici.
Per loro il Pueblo non è una categoria socio economica ma un insieme di valori e
atteggiamenti che custodiscono l’identità collettiva del popolo argentino, la
sua morale, la sua intrinseca spiritualità. In sintesi lo strumento ideologico
che si contrapponeva alle analisi materialiste e della società.
Bergoglio nel 1973 diventa padre Provinciale dei gesuiti. All’epoca i gesuiti
erano profondamente divisi e una loro significativa parte propendeva per la
Teologia della Liberazione.
È in questo contesto che il padre generale Arrupe scelse come provinciale
Bergoglio, allora solo trentaseienne.
Una scelta di chiaro segno politico. Secondo Bergoglio l’Argentina era in crisi
perché era in preda a ideologie lontane dalla sua storia: il liberalismo e il
marxismo. La teologia del pueblo si identificava quindi pienamente con il
peronismo, in quanto espressione spontanea del popolo, nella sua dimensione
giustizialista e tradizionalista.
Bergoglio era in buone relazioni con l’ammiraglio Massera e con altri esponenti
delle forze armate.
Diversi atti concreti dimostrano la sostanziale accettazione della giunta
militare da parte di Bergoglio e dei gesuiti.
La chiesa argentina collaborò attivamente con la dittatura. Il nunzio apostolico
Pio Laghi consigliava i generali sui metodi per massacrare ed uccidere con la
benedizione di dio.
Anche il giovane capo della compagnia di Gesù a Baires fece la sua parte.
Togliendo il proprio appoggio ad Orlando Yorio e Francisco Jalics, due gesuiti,
seguaci della teologia della liberazione, che operavano nelle baraccopoli della
capitale, avrebbe di fatto favorito il loro arresto da parte dei militari.
Yorio e Jalics rifiutarono di sciogliere la comunità da loro fondata a Bajo
Flores e per questo Bergoglio vietò loro di dire messa. Entrambi detenuti nella
famigerata Esma, verranno torturati per cinque mesi prima di essere rilasciati.
Yorio è morto nel 2000, debilitato nel fisico da torture dalle quali non si
riprese mai completamente.
Jalics, immediatamente dopo l’elezione di Bergoglio, è stato confinato dalla
chiesa in un convento sito in una sperduta località della natia Ungheria, con il
divieto assoluto di parlare con i giornalisti.
Significativa è la piena adesione di Bergoglio alla guerra delle Malvinas.
Nell’ottobre del 2009 benedicendo i parenti dei soldati caduti in partenza per
le isole dove avrebbero eretto un cenotafio al cimitero disse loro “andate a
baciare quella terra che è nostra e che sembra così lontana” e dichiarò che “i
loro figli, mariti e padri erano caduti compiendo un gesto quasi religioso
quello di baciare con il proprio sangue il suolo della madrepatria”. Nel 2012 in
occasione del trentesimo anniversario del conflitto, definì coloro che erano
morti “figli della madrepatria andati a difenderla per rivendicare ciò che le
apparteneva e le era stato ingiustamente sottratto”. Affermazioni che liquidano
ogni interpretazione di Francesco come pacifista.
Nel 2007 la conferenza che si tenne nel santuario mariano di Aparecida in
Brasile segnò il definitivo tramonto della teologia della Liberazione. La
visione di Bergoglio si impose e nel 2013 quando Bergoglio tornò da papa in
Brasile parlò di Aparecida come di un “momento che sconfisse la tentazione che
si ebbe negli anni precedenti nella chiesa di creare una interpretazione della
vita fuori dal vangelo e dalla chiesa.
Qui sta tutto il pensiero profondo di Bergoglio: i poveri intesi non come
categoria socio economica ma come Ser fundante, “spirito fondatore”
dell’autentica comunità argentina che deve resistere all’influsso negativo della
globalizzazione.
La globalizzazione non va intesa come mera dinamica economica sociale ma
soprattutto culturale. La globalizzazione è identificata in quel capitalismo
imperialista del “Nord” che si incarna nelle idee e negli stili di vita
orientati al liberalismo, al relativismo, all’edonismo che sono del tutto
estranei al Ser Fundante argentino e alla spontanea devozione popolare. Il
trionfo del nazional cattolicismo espresso dalla Teologia del Pueblo.
Uno dei tratti salienti del pontificato di Bergoglio è stata la sua
straordinaria abilità nell’usare i media. Ha capito perfettamente che contava di
più una frase ad effetto che i gesti concreti, per cui si permetteva di lanciare
messaggi di apertura nei confronti di omosessuali e donne, mantenendo inalterata
la morale ufficiale della chiesa.
Malgrado abbia affermato di non giudicare le persone omosessuali, nei testi
della chiesa bergogliana l’omosessualità è definita un disordine, una malattia.
L’unica famiglia legittima, la sola possibile è per Francesco quella formata da
un uomo e una donna e ha come scopo primario la procreazione.
L’aborto è un omicidio e i medici che lo effettuano sicari.
Il clero deve restare rigidamente maschile.
Bergoglio ha nei fatti ribadito, come tutti i suoi predecessori, il ruolo
misogino, omofobo e patriarcale della chiesa.
Bergoglio si faceva paladino della libertà religiosa, ma giustificava gli autori
della strage di Charlie Hebdo perchè non si può irridere le religioni.
Francesco da un lato si mostrava umile laddove non contava (le scarpe lise, la
coda alla mensa vaticana, la 500 come auto papale) per crearsi l’immagine del
papa che rifuggiva i fasti del potere, dall’altro ha accentrato su di sé il
potere vaticano come pochi papi avevano fatto prima di lui.
Il suo papato si è contraddistinto per un continuo creare apparenze di
cambiamento per far si che tutto restasse come prima.
Il gesuita che si è fatto chiamare Francesco è stato un lupo travestito da
agnello.
Un’analisi compiuta del suo successore è prematura, ma possiamo comunque
azzardare qualche ragionevole ipotesi. Al momento possiamo essere cert* che
continuerà nella crociata in difesa della famiglia patriarcale. In un’intervista
radiofonica del 2012 in Perù Prevost ha dichiarato: “Vogliono convincerci che
l’omosessualità è un’opzione neutrale. Ma Dio ha creato l’uomo e la donna, non
un’identità fluida”.
Le sue perorazioni per una pace “giusta” in Ucraina paiono riposizionare il
vaticano nel campo occidentale all’interno dello scontro interimperialistico, al
di là delle chiacchiere sulla pace disarmata e disarmante.
Prevost è un agostiniano e Agostino giustificavala guerra come strumento per
costruire una pace “giusta”, come fanno tutti i governi quando vogliono
giustificare guerre e massacri.
La scelta del nome non è mai casuale: ogni papa sceglie il proprio in base ad un
esplicito richiamo a un predecessore di cui ambisce a ricalcare le orme.
Il 23 giugno del 2003 il futuro papa, nel corso di un ritiro spirituale a Cuzco,
dichiarò: “I cristiani devono resistere alle tentazioni ideologiche del
collettivismo estremo che schiavizza l’anima in nome della giustizia sociale”.
In queste parole è facile cogliere l’affinità di Prevost con Leone XIII, il papa
della Rerum Novarum cupiditas, l’enciclica in cui venne formulata la dottrina
sociale della chiesa cattolica, basata sulla collaborazione di classe in
opposizione alla guerra di classe.
Questa enciclica difendeva a spada tratta la proprietà privata e nascondeva,
dietro a generici appelli alla “giusta mercede” e alla “dignità dell’uomo”,
l’odio verso la spinta rivoluzionaria del movimento dei lavoratori e delle
lavoratrici: giudicava lo sciopero “uno sconcio grave” e vedeva dietro
l’organizzazione autonoma delle classi sfruttate l’azione di “capi occulti”, che
le reggerebbero con criteri contrari al pubblico bene.
La Rerum Novarum è stata la risposta cattolica al movimento operaio e alla lotta
di classe: era giusto che gli sfruttati si associassero per migliorare la loro
condizione, ma dovevano farlo in collaborazione e non in conflitto coi padroni.
La divisione in classi sociali, con il suo portato di disuguaglianza, non doveva
essere messa in discussione. La questione sociale doveva essere risolta nella
collaborazione fra sfruttati e sfruttatori, questi ultimi guidati da un maggiore
spirito di carità. In questi tempi, contrassegnati dal tentativo dell’ ideologia
dominante di far passare la lotta di classe come visione ormai superata dalla
storia, la collaborazione di classe teorizzata alla fine del diciannovesimo
secolo dalla chiesa cattolica può tornare utile ai padroni.
La povertà si affronta distribuendo una tantum brioches ai clochard, come ha
fatto recentemente la chiesa romana su ordine del nuovo papa. E che i poveri
restino poveri, altrimenti a chi si fa la carità?
Un agostiniano sul soglio di Pietro, con l’insistito ruolo della grazia divina
come necessaria ispirazione al bene per gli uomini e le donne altrimenti fonte
di ogni male, può tentare di recuperare il terreno sulle chiese evangeliche, che
stanno scalzando il cattolicesimo sia in Sud America che in Africa.
Al di là dei futuri gesti del nuovo papa, di un fatto siamo comunque sicur*: la
chiesa cattolica continuerà a succhiare soldi a tutt* noi. 6,7 miliardi: tale è
la cifra che nel 2024 lo stato italiano ha versato alla chiesa. Quest’anno, con
i contributi per il giubileo, la cifra sarà probabilmente superiore. Soldi che,
come quelli delle spese militari, vengono prelevati dalle nostre tasche. Soldi
sottratti alla salute, alla casa, all’istruzione e a quanto ci serve realmente.
Oggi sono tutti inginocchiati al trono di Pietro.
La sinistra in cerca di autore è continuamente a caccia di qualche sfumatura
sociale, pacifista o ambientalista per legittimarsi e legittimare la chiesa. Ma
la chiesa è intrinsecamente autoritaria e patriarcale.
La chiesa combatte la lotta di classe in nome della fratellanza fra sfruttat* e
sfruttator*, tra oppress* e oppressor*.
L’esistenza della chiesa è incompatibile con l’idea di libertà, perché la
chiesa, qualunque chiesa, si basa sull’idea di dio, sulla convinzione che l’uomo
e la donna non possano darsi la propria morale e le proprie regole, perché
queste devono discendere dall’alto, dalle divinità e, ovviamente, dai
rappresentanti terreni delle divinità, ovvero la chiesa stessa.
Se vogliamo davvero costruire un mondo di liber* e uguali, la lotta
anticlericale e antireligiosa deve tornare ad essere fra i punti centrali del
conflitto sociale.
La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana
Il 2 giugno dei Senzapatria. Nel giorno in cui la Repubblica Italiana celebra se
stessa con parate e manifestazioni militari gli antimilitaristi hanno riempito
piazza Palazzo di Città con tanti interventi e il canzoniere antimilitarista del
Cor’Okkio.
Il presidio si è presto trasformato in corteo ed ha raggiunto la piazza della
cerimonia dell’ammaina bandiera gonfia di retorica nazionalista ed esaltazione
della guerra.
In apertura lo striscione “contro tutti gli eserciti per un mondo senza
frontiere”.
Il corteo ha attraversato la piazza smilitarizzandola, nel segno della
solidarietà con le vittime di tutte le guerre, con i disertori di ogni dove, con
chi lotta contro gli eserciti, contro i nazionalismi, nel cui nome si massacrano
uomini, donne, bambine e bambini.
Il corteo si è concluso con interventi, slogan e il canzoniere antimilitarista
di Alba.
Una giornata di lotta contro la corsa al riarmo, la militarizzazione delle
periferie, la guerra ai migranti, la produzione bellica, la militarizzazione
delle scuole e delle università.
Un segnale forte contro la guerra e a chi la arma.
Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo.
Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo
la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro
pretese espansionistiche. Vogliamo farla finita con le guerre e, quindi, con la
feroce logica del dominio e del capitalismo. In ogni dove.
Non ci sono nazionalismi buoni.
Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra.
Facciamo nostro l’insegnamento del “disfattismo rivoluzionario”: siamo solidali
con chi si batte contro il proprio governo, perché noi lottiamo contro il nostro
.
Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra.
Qui trovate il testo di lancio della giornata di lotta:
https://www.anarresinfo.org/il-2-giugno-dei-senzapatria/
Qui alcune immagini dell’iniziativa:
ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie
concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche
in streaming
Ascolta e diffondi l’audio della puntata:
> Anarres dell’11 aprile. ReArm Europe. Propaganda di guerra targata UE. 5
> milioni in marcia contro Trump e il suo mondo. Decreto sicurezza…
Dirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:
RiArmo dell’Europa e la crepa nel Patto Atlantico
La guerra insanguina vaste aree del pianeta in una spirale che sembra non aver
fine. A tre anni dall’accelerazione violenta impressa dall’invasione russa
dell’Ucraina il conflitto si inasprisce sempre di più. A Gaza è ripresa la
pulizia etnica nella prospettiva della deportazione dei gazawi. Se si aggiungono
il conflitto nel Mar Rosso, il moltiplicarsi degli attacchi turchi in Rojava, i
massacri degli alewiti in Siria, le tensioni per Taiwan, il perdurare dei
conflitti per il controllo delle risorse nel continente africano dal Sudan al
Congo, il rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è una
possibilità reale.
I paesi europei, indeboliti da tre anni di guerra e dal conseguente aumento
della spesa energetica, reagiscono al repentino mutamento nella politica estera
statunitense con un processo di riarmo, che potrebbe aprire a nuove pericolose
escalation belliche.
La guerra non è più così lontana come un tempo.
Ne abbiamo parlato con Stefano Capello
La propaganda bellica targata UE
Il 2 aprile il Parlamento ha approvato una risoluzione “sull’attuazione della
politica di sicurezza e di difesa comune”
Tra le tante cose al punto 164 si legge:
“è necessaria una comprensione più ampia, tra i cittadini dell’UE, delle minacce
e dei rischi per la sicurezza al fine di sviluppare una comprensione condivisa e
un allineamento delle percezioni delle minacce in tutta Europa e di creare una
nozione globale di difesa europea; sottolinea altresì che garantire un sostegno
da parte delle istituzioni democratiche e, di conseguenza, dei cittadini è
essenziale per sviluppare una difesa dell’UE efficace e coerente a lungo
termine, cosa che richiede un dibattito pubblico informato; invita l’UE e i suoi
Stati membri a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in
particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i
dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate, e a
rafforzare la resilienza e la preparazione delle società alle sfide in materia
di sicurezza, consentendo nel contempo un maggiore controllo e scrutinio
pubblico e democratico del settore della difesa; invita la Commissione e gli
Stati membri a sviluppare tali programmi nel quadro dello scudo europeo per la
democrazia, seguendo il modello di programmi nazionali come l’iniziativa svedese
di emergenza civile”
Ne abbiamo parlato con Dario Antonelli
5 milioni in marcia contro Trump e il suo mondo
Il ciclone Trump comincia a trovare ostacoli lungo il percorso.
Le imponenti manifestazioni che hanno attraversato gli States il 5 aprile sono
il segnale del raggrumarsi di un’opposizione dal basso all’ondata reazionaria
scatenata dal presidente statunitense.
Abbiamo provato ad analizzare questo movimento per comprenderne le potenzialità,
con uno sguardo alle dinamiche dello scontro di classe
Ce ne ha parlato Robertino Barbieri
Decreto sicurezza. La zampata del governo
Con un colpo di mano il governo ha scippato il ddl 1236 dalla discussione
parlamentare e ha fatto passare un testo profondamente liberticida con il
ricorso, a dir poco irrituale, alla decretazione di urgenza.
L’orizzonte delle leggi fascistissime del 1926 è sempre più vicino.
Abbiamo approfondito la questione con l’avvocato Eugenio Losco
Appuntamenti:
Sabato 12 aprile
Sabotare la guerra
Disarmare l’Europa
giornata antimilitarista
ore 10,30 presidio al Balon
Solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di
libere ed uguali che può porre fine alle guerre.
Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo.
Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo
la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro
pretese espansionistiche. In ogni dove. Non ci sono nazionalismi buoni.
Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra.
Noi pratichiamo il disfattismo rivoluzionario contro le guerre promosse dai
“nostri” governi e sosteniamo chi, in ogni dove, diserta, sabota, inceppa gli
ingranaggi della guerra
Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra.
Venerdì 25 aprile
ore 15
alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni
in corso Giulio Cesare angolo corso Novara
dove Ilio cadde combattendo il 26 aprile 1945.
Ricordo, bicchierata, fiori, musica.
E, dal vivo, il Cor’occhio nel canzoniere anarchico e antifascista
(in caso di pioggia ci troviamo in piazza Crispi).
A-Distro e SeriRiot
ogni mercoledì
dalle 18 alle 20
in corso Palermo 46
(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro
SeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte
Vieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!
Sostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!
Informati su lotte e appuntamenti!
Federazione Anarchica Torinese
corso Palermo 46
Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 20,30
per info scrivete a fai_torino@autistici.org
Contatti:
FB
@senzafrontiere.to/
Telegram
https://t.me/SenzaFrontiere
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Il 2 giugno contestiamo le cerimonie militariste, la retorica patriottica, la
guerra e chi la a(r)ma
Lunedì 2 giugno
ore 16
Appuntamento in via Garibaldi angolo piazza Castello
(se piove in piazza Palazzo di Città)
Ogni 2 giugno la Repubblica celebra sé stessa con esibizioni militari, parate e
commemorazioni.
Con gli anni questa “festa” ha assunto una sempre più marcata connotazione
nazionalista e militarista.
Il governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, i “sacri”
confini, l’esaltazione della guerra.
Anche quest’anno il governo usa le cerimonie militari del due giugno per
giustificare enormi spese militari, l’invio delle armi e l’impegno diretto
dell’Italia nelle missioni militari all’estero, dall’Ucraina all’Africa.
Guerre, stupri, occupazioni di terre, bombardamenti, torture, l’intero
campionario degli orrori umani, se compiuto da uomini e donne inquadrati in un
esercito, diventa legittimo, necessario, opportuno, eroico.
Le divise da parata, le bandiere, le medaglie, la triade “dio, patria, famiglia”
non sono il mero retaggio di un passato più retorico e magniloquente del nostro
presente, ma la rappresentazione sempre attuale dell’attitudine imperialista e
neoconiale dello stato italiano.
Contestare attivamente queste cerimonie è la chiave di volta per impedire che
diventi normale la presenza dei militari per le strade della nostra città, che
diventi normale che qualcuno uccida, bombardi, stupri, occupi e devasti
territori in nostro nome.
Mentre l’Europa – e il mondo – fanno una precipitosa corsa al riarmo è sempre
più necessario mettersi di mezzo, inceppare gli ingranaggi, lottare contro
l’industria bellica e il militarismo.
La guerra insanguina vaste aree del pianeta in una spirale che sembra non aver
fine. A tre anni dall’accelerazione violenta impressa dall’invasione russa
dell’Ucraina il conflitto si inasprisce sempre di più. A Gaza è ripresa la
pulizia etnica volta alla deportazione dei gazawi. Se si aggiungono il conflitto
nel Mar Rosso, il moltiplicarsi degli attacchi turchi in Rojava, i massacri
degli alewiti in Siria, le tensioni per Taiwan, il perdurare dei conflitti per
il controllo delle risorse nel continente africano dal Sudan al Congo, il
rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è una possibilità
reale.
I paesi europei, indeboliti da tre anni di guerra e dal conseguente aumento
della spesa energetica, hanno intrapreso un processo di riarmo, che potrebbe
aprire a nuove pericolose escalation belliche.
La guerra non è più così lontana come un tempo.
I potenti che si contendono risorse e potere, sono indifferenti alla distruzione
di città, alla contaminazione dell’ambiente, al futuro negato di tanta parte di
chi vive sul pianeta.
Le macerie sono solo buoni affari per un capitalismo vorace e distruttivo che ha
una sola logica, quella del profitto ad ogni costo. Uomini, donne, bambine e
bambini sono solo pedine sacrificabili in un gioco terribile, che non ha altro
limite se non quello imposto dalla forza di oppress e sfruttat, che si ribellano
ad un ordine del mondo intollerabile.
Il prezzo delle guerre lo pagano bambine e bambini, uomini e donne massacrati ed
affamati in ogni angolo del pianeta.
Lo paghiamo noi tutti stretti nella spirale dell’inflazione, tra salari e
pensioni da fame e fitti e bollette in costante aumento.
Il governo italiano si è schierato nella guerra in Ucraina inviando armi, e
dispiegando 3.500 militari nelle missioni in ambito NATO nell’est europeo e nel
Mar Nero.
L’Italia è impegnata in ben 43 missioni militari all’estero, in buona parte in
Africa, dove le truppe tricolori fanno la guerra ai migranti e difendono gli
interessi di colossi come l’ENI.
L’Italia vende armi a tutti i paesi in guerra, contribuendo direttamente alle
guerre di ogni dove.
Torino punta tutto sull’industria bellica per il rilancio dell’economia.
Un’economia di morte.
La nostra città è uno dei maggiori poli dell’industria bellica aerospaziale.
Ed è a Torino che sorgerà la Città dell’Aerospazio, un centro di eccellenza per
l’industria bellica aerospaziale promosso dal colosso armiero Leonardo e dal
Politecnico subalpino. La Città dell’Aerospazio ospiterà un acceleratore
d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei del Defence
Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della
NATO. Progetti di morte che è impegno di tutt* inceppare.
Occorre capovolgere la logica perversa che vede nell’industria bellica il motore
che renderà più prospera la nostra città. Un’economia di guerra produce solo
altra guerra.
Provate ad immaginare quante scuole, ospedali, trasporti pubblici di prossimità
si potrebbero finanziare se la ricerca e la produzione venissero usate per la
vita di noi tutti, per la cura invece che per la guerra.
La corsa alla guerra uccide anche in tempo di “pace”. La mancanza di prevenzione
e cura per tutti è intrinsecamente omicida. La guerra non dichiarata ai migranti
uccide ogni giorno lungo le frontiere del Belpaese.
La guerra è anche interna. Il governo con una forzatura inedita, da stato di
polizia, ha trasformato il disegno di legge 1236 in decreto, che in questi
giorni viene convertito in legge. Colpi sempre più forti a chi lotta nei CPR e
nelle carceri, a chi si batte contro gli sfratti, a chi occupa, a chi fa scritte
, a chi blocca una strada o una ferrovia, a chi sostiene e diffonde idee
sovversive.
Il governo risponde alla povertà trattando le questioni sociali in termini di
ordine pubblico: i militari dell’operazione “strade sicure” li trovate nelle
periferie povere, nei CPR, nelle stazioni, sui confini.
A Torino il comitato per l’ordine e la sicurezza ha dichiarato zone a
sorveglianza rinforzata Barriera, Aurora, San Salvario, il centro cittadino. Il
governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, il militarismo,
l’esaltazione della guerra.
In periferia retate e controllo etnicamente mirato del territorio sono la
normalità di vite sotto costante assedio.
Le scuole e le università sono divenute terreno di conquista per l’arruolamento
dei corpi e delle coscienze.
Solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di
libere ed uguali che può porre fine alle guerre.
Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo.
Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo
la retorica patriottica – anche quando veste l’abito buono europeista – come
elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche,
funzionali agli interessi del capitalismo. In ogni dove.
Non ci sono nazionalismi buoni.
Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra.
Facciamo nostro l’insegnamento del “disfattismo rivoluzionario”: siamo solidali
con chi si batte contro il proprio governo, perché noi lottiamo contro il nostro
.
Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra.
Coordinamento contro la guerra e chi la arma
antimilitarista.to@gmail.com
Torino. 25 maggio
Oggi pomeriggio siamo tornatə davanti alla lapide del partigiano anarchico Ilio
Baroni, per dare una risposta chiara e inequivocabile contro l’ennesima
provocazione fascista che ha colpito il quartiere. Si sono susseguiti alcuni
interventi che hanno ripercorso la storia della Barriera antifascista e
resistente, intrecciando i fili della memoria e rilanciando sulle tante lotte di
oggi che ci vedono tuttə impegnatə. Sono stati deposti dei fiori per rendere
omaggio al compagno caduto. I simboli fascisti hanno lasciato il posto ad una
bandiera stilizzata, quella dell’anarchia per la quale Ilio ha combattuto fino
all’ultimo giorno della sua vita.
Portiamo ancora un mondo nuovo nei nostri cuori, un mondo di libere ed eguali,
senza stato, padroni, militari e polizia!
Viva la resistenza! Viva la rivoluzione sociale!
qui l’appello per la giornata di lotta:
> 25 maggio. Imbrattata la lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni: presidio
> antifascista
Nel pomeriggio di sabato 24 maggio il Coordinamento contro la guerra e chi la
arma ha effettuato davanti alla Galleria San Federico in via Roma un
volantinaggio antimilitarista in occasione di una 3 giorni dedicata
all’aerospazio. L’appuntamento prevedeva la presentazione di un libro
sull’aeronautica militare. Lo stand informativo relativo all’evento contestato
dallə partecipanti, vedeva addettə che esponevano chiaramente il logo del
Politecnico subalpino e del progetto D.I.A.N.A. nodo dell’acceleratore di
innovazione della NATO che verrà ospitato all’interno della nascente Città
dell’Aerospazio di corso Marche, polo di ricerca bellica promosso da Leonardo e
Politecnico.
Altre foto qui:
https://www.facebook.com/share/p/18qnesy7Mc/
E qui:
https://www.instagram.com/p/DKC5T0ktZYK/?igsh=MWl1MWQ5dWlncjdlOA==
Di seguito il testo del volantino distribuito per l’occasione:
“Si scrive Aerospazio, si legge Guerra
In questi giorni a Torino si celebrano i viaggi nello Spazio, portandoci nel
clima dei film di fantascienza, o delle canzoni di David Bowie. Si tratta di un
tema affascinante, che attira giustamente l’interesse di tante persone di ogni
età. Purtroppo, ogni medaglia ha il suo rovescio: non vorremmo disturbare la
vostra visita, ma lo sapete che:
• A Torino, in corso Marche, si sta costruendo un Polo Aerospaziale che di fatto
è un Polo di ricerca e progettazione bellica, legato alla NATO?
• Thales Alenia, uno dei siti visitabili in questi giorni, produce sistemi di
telecomunicazioni militari al servizio delle Forze Armate ed è frutto di una
“joint venture” con Leonardo, seconda industria militare in Europa e
quattordicesima nel mondo?
• Leonardo, il cui principale azionista è il Ministero della Difesa, è dal 1993
il polo aggregante dell’industria bellica italiana: il 75% del suo fatturato
proviene infatti proprio dalla produzione di armi?
Come dimostra l’incontro di oggi, Aerospazio vuol dire anche produzione di armi
, o di strumenti, come i satelliti, che possono essere usati sia a fini civili
che militari.
Vogliono farci credere che il futuro della nostra città, cessata la produzione
di auto, starà nell’industria aerospaziale e bellica: non è vero, e soprattutto
non è giusto!
Non c’è futuro degno quando si investe nella guerra: solo morte e distruzione!
L’industria delle armi non potrà mai sostituire la produzione di beni e servizi
utili alla popolazione! E non potrà mai recuperare la perdita di posti di lavoro
drasticamente tagliati negli ultimi decenni!
I milioni di € che il governo Meloni vuole spendere per raggiungere l’obbiettivo
del 2% della spesa bellica (ma la NATO già chiede il 5%) sono altrettanti
milioni di euro sottratti alla Sanità pubblica, aumentando ancora di più la
vergogna delle liste di attesa; sono risorse sottratte alla scuola, ai trasporti
di prossimità, a noi tutti e tutte che paghiamo tasse che, anziché essere
destinate alle nostre vite, verrebbero utilizzate per la spesa bellica, che è
una spesa di morte!
Chi oggi (governi, mercanti d’armi) vuole convincerci che occorre prepararsi
alla guerra, costruisce anche ad arte il “nemico” contro cui dovremmo
combattere.
Le armi prodotte a Torino sono le stesse armi che massacrano uomini, donne e
bambini inermi a Gaza (o in Ucraina, in Russia, nel Kurdistan, nel Sudan…)
Non solo, ma vivendo accanto ai luoghi dove si producono armi, diventeremo anche
noi bersagli, mettendo a rischio le nostre vite e alimentando la
militarizzazione del territorio.
Vogliamo davvero che Torino diventi la capitale della produzione di aerei da
guerra, elicotteri, droni, missili, carri armati, sistemi spaziali militari?
O non dobbiamo piuttosto impegnarci contro ogni politica di riarmo, anche a
difesa delle conquiste e dei diritti sociali che sono costati anni di lotte e
soprattutto per dare ai giovani una prospettiva di vita e non di morte?
Vogliamo più servizi sociali e posti di lavoro, non bombe!
No alla riconversione dell’industria civile in industria militare!
No alla costruzione del polo bellico aerospaziale a Torino!
Coordinamento contro la guerra e chi la arma”
Croci celtiche alla lapide di Ilio Baroni.
Chiamata Antifascista per una Barriera libera e solidale.
No Pasarán!
Domenica 25 maggio ore 16,30
Presidio antifascista alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni
in corso Giulio Cesare, angolo corso Novara.
Ad un mese dalla partecipata commemorazione del 25 aprile, ignoti neofascisti
hanno insultato la memoria della Resistenza sfregiando con i loro simboli di
morte la lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni.
Gli esponenti dell’estrema destra xenofoba e razzista sono il braccio armato dei
padroni, i loro fedeli servitori, la loro manovalanza prediletta.
Gli artefici di questa vile provocazione sono gli stessi che quotidianamente
soffiano sul fuoco della guerra tra poveri italiani e poveri immigrati. Provano
a metterci gli uni contro gli altri perché sanno che divisi siamo più deboli e
sfruttabili. Strizzano l’occhio alle politiche repressive del governo Meloni,
ovverosia gli eredi diretti della dittatura del Ventennio che varano leggi
speciali come l’ultimo decreto sicurezza che imprime una svolta sempre più
autoritaria e liberticida al paese. Applaudono l’incalzante militarizzazione dei
territori, le retate e i controlli etnicamente mirati contro i senza documenti,
le reclusioni nei CPR, le deportazioni coatte e le migliaia di morti nel Mar
Mediterraneo.
Ci conducono dritti verso la guerra, sostenendo la corsa al riarmo e agitando il
tricolore che rischia di essere la nostra rovina e la nostra tomba.
Ma la gente di Barriera di Milano, i nati qui così come i nati altrove, vivono
gli stessi problemi, la stessa condizione di sfruttamento e di oppressione, la
stessa di chi combatté armi alla mano il fascismo perché voleva una società
senza stato né padroni.
Barriera è afflitta dall’aumento del prezzo del fitto e delle bollette. È
afflitta da lavori precari e pericolosi, salari miseri e ritmi insostenibili. È
afflitta da continue minacce di sfratto. È afflitta dai tagli e dalle
privatizzazioni dei servizi sociali fondamentali (sanità, scuola, trasporti,
ecc). Non ci sono i soldi per casa, educazione, prevenzione e cura. In compenso
ce ne sono in abbondanza per far scorrazzare polizia e militari per le strade
delle periferie.
Oggi come ieri, solo un ampio fronte di lotta contro il nemico comune può
consegnarci un mondo di libertà e di uguaglianza.
Un manipolo di invasati può anche imbrattare un pezzo di storia della lotta di
liberazione dal nazifascismo ma non può certo cancellarlo. La storia di Ilio, la
storia degli Arditi del Popolo, la storia dei rivoluzionari di Barriera, risuona
ancora nelle lotte di ciascun* di noi, e continuerà a farlo a lungo!
Per questo motivo vogliamo scendere in strada e vogliamo farlo in tant*.
Vogliamo trovarci e riconoscerci, esprimere tutta la nostra rabbia contro
l’ennesimo attacco al cuore del quartiere, a chi quotidianamente lo abita e lo
attraversa.
Vogliamo ripristinare la lapide e continuare a tenere viva la memoria, facendone
un’arma per la trasformazione radicale dell’esistente.
«Gli unici stranieri, i fascisti nei quartieri!»
Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista – Torino
Anarchia e transfemminismo
Un universale plurale che spezza i generi in un’irriducibile molteplicità di
percorsi individuali.
Venerdì 16 maggio ore 21
in corso Palermo 46
Presentazione dell’opuscolo della Fat e del Germinal di Trieste con alcun*
autor*
I nostri corpi degeneri, abbattono le frontiere tra gli Stati, lottano contro il
nazionalismi ed ogni identità escludente, frantumano le tante leggi del padre,
del padrone, degli dei e dei loro preti.
Qui potete leggere e scaricare liberamente i testi:
https://www.anarresinfo.org/transfemminismo-percorsi-e-prospettive/
https://germinalts.noblogs.org/post/2025/02/19/non-ci-puo-essere-anarchismo-senza-femminismo/
E qui il PDF: transfemminismo e anarchia
Federazione Anarchica Torinese
Corso Palermo 46 – riunioni ogni martedì ore 20,30 – www.anarresinfo.org
Il Primo Maggio, in tante e tanti hanno scelto di attraversare lo spezzone
rossonero promosso dall’Assemblea Antimilitarista e dalla Federazione Anarchica
Torinese.
Una calda e gradevole giornata di sole ha fatto da cornice a una manifestazione
combattiva che affonda le sue radici nelle imponenti rivendicazioni operaie di
fine ‘800 per le otto ore lavorative. Un centinaio di antimilitarist* e
anarchic* hanno sfilato in coda al corteo brandendo lo striscione “Pace tra gli
oppressi, guerra agli oppressori”, segnando una netta distanza con coloro che
formalmente si dichiarano contrari alla guerra, ma nei fatti, si schierano a
favore di vecchi e nuovi imperialismi sotto la bandiera della resistenza,
fornendo rinnovata linfa vitale a nazionalismi e guerre di religione che da
sempre sono nemici di tutte le lotte che aspirano ad una reale emancipazione
sociale.
Numerosi slogan e interventi hanno ricordato sia le pessime condizioni in cui
versa chi è disoccupato o chi è costretto a sopravvivere di lavori precari e
sottopagati, sia l’aumento delle morti sul lavoro, diretta conseguenza dalla
cinica logica del profitto a tutti i costi. Stessa determinazione ha
contraddistinto la necessità di denunciare fermamente la moltiplicazione degli
sfratti, una piaga per coloro che non ce la fanno più a pagare fitto e bollette.
Avere garantito un tetto sopra la testa si sta trasformando in un lusso per
pochi privilegiati.
Ogni contributo portato in piazza ci ha tenuto a ribadire l’urgenza di opporsi
all’escalation bellica che sempre più sta travolgendo le nostre esistenze,
partendo dai nostri territori, dove le armi vengono prodotte e testate per poi
essere utilizzate nei conflitti che insanguinano vaste aree del pianeta; dove la
militarizzazione investe con insistenza le periferie più povere e arriva ad
assediare scuole e insegnamento; dove Leonardo e Politecnico si stanno
impegnando nella costruzione della Città dell’Aerospazio, un polo di ricerca
finalizzato alla progettazione di congegni e tecniche militari sempre più
micidiali e all’avanguardia per uccidere e avvelenare interi territori.
Le spese militari crescono inesorabilmente, così come i tagli ai servizi sociali
fondamentali. L’industria bellica si arricchisce, mentre noi vediamo spalancarsi
le porte della miseria e rischiamo di morire per mancanza di cure mediche
adeguate.
Anche in questa occasione, non si è mancato di contestare le politiche del
governo fascista, che oltre ad intensificare la retorica patriottica per
arruolarci nell’impresa a difesa degli interessi nazionali e renderci complici
di massacri di popolazioni civili, si sta servendo di leggi speciali che
trattano le questioni sociali come affari di ordine pubblico, portando avanti
una spietata guerra ai poveri – autoctoni e migranti – e una durissima
repressione di qualsiasi forma di dissenso. Ci vogliono muti e rassegnati, se
non addirittura servili.
La lotta di classe non è affatto un discorso relegato al passato. Lo sanno bene
i burocrati del sindacalismo istituzionale e concertativo che fanno
quotidianamente il gioco di chi prosciuga il nostro tempo e le nostre energie
investite sul posto di lavoro, pur di continuare a estrarre ed accumulare
capitale.
Purtroppo, il sindacalismo di base, nonostante il generoso impegno, fa sempre
più fatica a intercettare il disagio sociale di coloro che vivono nella nostra
città. Ne consegue che serve organizzarsi collettivamente e superare il clima
prevalente di atomizzazione e diffidenza tra sfruttat*, se davvero vogliamo che
la paura cambi di campo.
Siamo consapevoli che l’unica speranza che abbiamo di invertire la rotta, non
può che essere quella di costruire e rinforzare reti di solidarietà e lotta in
opposizione all’oppressione, allo sfruttamento, alle guerre volute e foraggiate
da padroni e governanti.
Solo praticando l’azione diretta possiamo pensare di impensierire i potenti
della terra.
Solo riportando al centro del dibattito il valore del disfattismo rivoluzionario
e sostenendo attivamente i disertori di tutte le guerre degli stati, possiamo
scongiurare il pericolo di un olocausto nucleare.
Solo dando vita a spazi politici non statali possiamo porre le basi per un mondo
di libere ed eguali, senza stati, padroni, frontiere, eserciti e polizie.
Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista – Torino
corso Palermo 46 – riunioni ogni martedì alle 20,30 – www.anarresinfo.org
FB: https://www.facebook.com/
INSTAGRAM: https://www.instagram.com/p/
Come ogni anno ci siamo ritrovati alla lapide che ricorda Ilio Baroni,
partigiano anarchico.
Oggi più che mai ritrovarci in quell’angolo di periferia, dove cadde combattendo
Baroni, non è stato un mero esercizio di memoria, ma occasione per intrecciare i
fili delle lotte, perché il testimone lasciato da chi non c’è più è ora nelle
nostre mani.
In un clima di guerra e revisionismo quello di questo 25 aprile è stato un
momento di raccolta della comunità libertaria di Barriera di Milano. Una
Barriera che i fascisti al governo della Circoscrizione hanno posto sotto
assedio militare, per mettere la sordina alle questioni sociali, perché chi oggi
fatica a pagare fitto e bollette riversi il proprio rancore sugli ultimi
arrivati, quelli che vivono ancora peggio, quelli che nessuno gli affitta una
casa, quelli che si arrangiano come possono tra una miriade di lavori precari.
Ma la condizione di chi è nato altrove è la stessa di chi vive qui, perché
precarietà, sfratti e povertà sono il pane quotidiano di noi tutti.Parlare dei
partigiani di Barriera, di quelli che, come Baroni il fascismo lo hanno
combattuto negli anni Venti come durante la Resistenza, ci ricorda che, in barba
a tutti i revisionismi di Stato, il fascismo è stato ed ha continuato ad essere
il braccio armato dei padroni.
Oggi ci troviamo di fronte gli stessi, che legge repressiva dopo legge
repressiva, stanno scrivendo in modo normale le leggi speciali di questo secolo,
quelle che rischiano di seppellire in galera compagni e compagne per banali
episodi di lotta. Una scritta sul muro, un blocco stradale, un picchetto,
un’occupazione, magari messi insieme da uno dei tanti reati associativi, sono
trattati con estrema durezza.
Nelle molli maglie della democrazia, il fascismo, anche grazie all’acquiescenza
di certa sinistra, sta schiacciando in una morsa sempre più ferrea le poche
libertà e tutele, che chi c’era prima si è preso senza chiedere il permesso.
Solo con la lotta la sola avremo nelle nostre mani il sogno irrealizzato dai
partigiani di Barriera.
Eravamo in tanti e la giornata, complice un sole luminoso, è volata veloce, con
la deposizione di fiori alla lapide che ricorda Ilio Baroni e il ricco e
coinvolgente canzoniere anarchico e antifascista del Cor’okkio. Una bicchierata,
due taralli e l’impegno a ritrovarci in piazza il 1 maggio con uno spezzone
anarchico e antimilitarista.
Di seguito il volantino distribuito in piazza:
1945-2025. Oggi come ieri
Azione diretta contro Stato e fascisti!
La memoria è uno strumento per leggere il presente e trasformarlo radicalmente.
Il 25 aprile rappresenta un’occasione preziosa.
Rievocare l’epopea partigiana non è un esercizio retorico, ci ricorda
l’importanza di lottare apertamente contro il fascismo, da sempre braccio armato
dei padroni che ci costringono ad un’intollerabile condizione di miseria e di
sfruttamento.
Oggi viviamo in un clima di guerra e di revisionismo senza precedenti. La
Resistenza viene ridotta a mera lotta di liberazione nazionale, per cancellarne
la spinta sovversiva, internazionalista, contro stato e capitalismo. La
prospettiva rivoluzionaria si eclissa sotto il peso di una narrazione egemone
che vede la Repubblica come approdo definitivo, frutto degli sforzi di tanti e
tante che al contrario volevano farla finita con una società divisa in classi.
Nel frattempo le periferie della nostra città sono sotto costante assedio
militare. Si moltiplicano le retate contro coloro che non hanno in tasca il
giusto documento. Questioni sociali vengono trattate come problemi di ordine
pubblico.
I ricchi diventano sempre più ricchi, mentre i poveri sono sempre più poveri. Il
lavoro non c’è, e anche quando c’è è sottopagato, pericoloso, sfruttato, privo
di qualsivoglia tutela. Precarietà, sfratti, povertà sono all’ordine del giorno.
Fitto e bollette sono cresciuti a dismisura e sempre più persone faticano ad
arrivare alla fine del mese.
Il governo fascista soffia sul fuoco della guerra fra poveri, per nascondere la
guerra sociale che ha scatenato contro tutti i poveri, italiani e nati altrove.
Il tentativo è quello di imprimere una svolta sempre più autoritaria e
liberticida al paese, dotandosi di strumenti utili a reprimere sul nascere
qualsiasi insorgenza sociale. La ricetta scelta per ostacolare l’opposizione
politica e sociale è l’ultimo Decreto Legge “Sicurezza” (ex DDL 1236), approvato
dal Consiglio dei Ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12
aprile. Il provvedimento appena entrato in vigore bypassando completamente il
parlamento, si inserisce nel solco già aperto da altri provvedimenti (i decreti
rave, Cutro, immigrazione, Caivano), che colpiscono i poveri, gli stili di vita
non conformi, gli stranieri senza documenti. Blocchi stradali o ferroviari,
picchetti, occupazioni, scritte su caserme o commissariati, prevedono pene
durissime. Normali forme di lotta attuate dai movimenti climatici, sociali e
sindacali, anticarcerari e no border rischiano di costare la galera a tante
compagne e compagni.
Viene confermata l’introduzione del reato di “terrorismo della parola”. Viene
concesso ancora più potere, agibilità e impunità alle forze di polizia. Le lotte
portate avanti nelle carceri e nei CPR – anche sotto forma di resistenza passiva
– possono essere perseguite in modo più duro perché chi le attua è dipinto come
costitutivamente criminale, illegale, fuori norma. La logica sottesa al decreto
è quella del diritto penale del nemico. Una logica di guerra, nella quale coloro
che vengono identificati come nemici vanno annientati, ridotti a nulla, privati
di vita, libertà e dignità. Per il nemico non valgono le tutele formali
riservate ai cittadini. Quando la logica bellica si applica al diritto, alcuni
gruppi umani vengono repressi per quello che sono più che per quello che fanno.
L’intera azione dell’esecutivo è informata a questo principio.
Un principio sulle cui fondamenta sono stati costruiti i lager nazisti e i gulag
staliniani. Oggi la democrazia getta via la maschera e mostra il suo vero volto,
quello della più spudorata violenza a salvaguardia del privilegio di classe e
del potere nelle mani di pochi.
Non solo. La stretta repressiva in atto e la criminalizzazione dei movimenti
sociali vanno di pari passo con un intenso impegno bellico, sostenuto sia dalla
sinistra che dalla destra istituzionale. Il piano ReArm Europe prevede di
destinare ben 800 miliardi di euro al riarmo su ampia scala. La spesa militare
nel nostro paese ha da tempo toccato quota 108 milioni di euro al giorno. Le
missioni all’estero delle forze armate italiane a difesa dei propri interessi
neocoloniali si sono moltiplicate. In compenso, servizi pubblici essenziali
vanno incontro ad ingenti tagli. Casa, sanità, istruzione, trasporti pubblici di
prossimità efficienti sono un vero e proprio miraggio. Il warfare prende
definitivamente il posto delle sorpassate politiche di welfare. L’industria
militare fa affari d’oro, a pagarne le spese sono uomini, donne e bambini che
periscono sotto le bombe costruite a due passi dalle nostre case.
La nostra città – vera e propria eccellenza nel settore aerospaziale bellico –
si impegna a costruire la Città dell’Aerospazio, polo di ricerca promosso dal
colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino, il quale ospiterà persino
un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei
del D.I.A.N.A, struttura della NATO.
Vogliono arruolare i nostri corpi e le nostre coscienze bombardandoci di
retorica patriottica, a partire dalle scuole e dalle università. Vogliono
prepararci ad un allargamento del conflitto che può essere solo foriero di
morte.
Ma le leggi dettate dal clima repressivo e dall’economia di guerra non sono
altro che il precipitato normativo dei rapporti di forza all’interno della
società. Siamo ancora in tempo per far sì che la paura cambi di campo, per
fermare l’avanzata del fascismo, del nazionalismo, del militarismo.
Le tante libertà che padroni e governanti continuano a sottrarci con la forza
possiamo riprendercele soltanto praticando l’azione diretta, la solidarietà, il
mutuo appoggio tra sfruttat*. I partigiani che imbracciarono le armi e
combatterono strada per strada e sui sentieri di montagna fino alla seconda metà
degli anni ’40 del Novecento, lo sapevano bene.
Spetta a noi raccoglierne l’eredità e fare in modo che il loro sforzo non sia
stato vano.
Spetta a noi realizzare giorno dopo giorno il sogno di un mondo di libere ed
eguali, di una società realmente autogestita, libera da stato, padroni,
militari, polizia.
Giovedì 1 maggio
ore 9 piazza Vittorio
Spezzone antimilitarista e anarchico
Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere!
Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori!
Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista – Torino
riunioni, aperte agli interessat, ogni martedì alle 20,30 in corso Palermo 46
Giovedì 1 maggio
ore 9 piazza Vittorio
Spezzone antimilitarista rosso e nero
Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere!
Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori!
Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista
Corso Palermo 46
Riunioni ogni martedì dalle 20,30