Di recente ha iniziato ad assumere una certa rilevanza nel dibattito messicano,
tanto in quello mediatico che critico, il concetto di “gentrificazione”. Non è
un caso che il 4 luglio di quest’anno si sia svolta una prima manifestazione
“contro la gentrificazione” a Città del Messico, e che nella città di Oaxaca,
situata nel sud-sudest messicano e teatro nel 2006 di una grande insurrezione
popolare ricordata come la Comune di Oaxaca, si sia svolto il “primo incontro
nazionale contro la gentrificazione”.
L’uso dilagante e omogeneizzante della parola “gentrificazione”, esportata dal
contesto londinese degli anni sessanta e che ruota spesso attorno ad analisi
prettamente immobiliari e demografiche, va messo in discussione. Il turismo
esperienziale è un problema di cui nessuna lettura semplicemente economica o
economicista può rendere ragione. La patrimonializzazione di luoghi e culture,
che diventano beni da consumare, dove il turista è uno spettatore che compra una
esperienza dell’autenticità, si fonda sulla mistificazione della violenza
dell’esproprio delle stesse popolazioni indigene la cui storia addomesticata
viene messa in scena e data letteralmente in pasto alla massa di
spettatori-consumatori.
Asservire significa privare di suolo non solo in senso materiale, ma nel senso
più profondo dell’iscrizione in una catena di trasmissione di significato. E’ un
furto della memoria. Presuppone insomma una cancellazione genealogica, di modo
che l’unica via d’uscita diventi farsi cosa, e questa è la matrice ultima di
quello che succede nella città di Oaxaca, il cui “centro storico” dal 1987 è
patrimonio culturale dell’umanità dell’UNESCO.
Ne parliamo con due abitanti di Oaxaca.
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Un mese dopo la presentazione della roadmap per una difesa UE a prova di
aggressioni esterne entro il 2030, la Commissione europea fa un salto di qualità
nella mobilità militare dell’Unione, che si scontra oggi con la realtà di 27
Stati nazionali che limitano gli attraversamenti di truppe e mezzi sui loro
territori. L’obiettivo è creare una ‘Schengen militare’ entro il 2027, perché –
come affermato dal commissario UE per la Difesa, Andrius Kubilius, prendendo in
prestito le parole di un generale statunitense – “la fanteria vince le
battaglie, la logistica vince le guerre”.
Che Bruxelles faccia sul serio, si evince dalle presenze dei commissari europei
alla presentazione del pacchetto sulla mobilità militare: oltre a Kubilius, la
vicepresidente esecutiva Henna Virkkunen, l’Alta rappresentante per gli Affari
esteri Kaja Kallas, il commissario per i Trasporti, Apostolos Tzitzikostas. Il
dato di partenza è inesorabile: alcuni Paesi membri “richiedono ancora un
preavviso di 45 giorni prima che le truppe di altri Paesi possano attraversare
il loro territorio per svolgere esercitazioni”, ha affermato Kallas.
Nel regolamento proposto dalla Commissione, l’obiettivo è ridurre i tempi
burocratici ad un massimo di tre giorni. Eliminando barriere normative e
semplificando le procedure doganali, Bruxelles vuole introdurre le prime norme
armonizzate a livello UE per i movimenti militari transfrontalieri. Alcuni
esempi pratici li ha indicati Tzitzikostas: “Semplificare le norme sul trasporto
di merci pericolose”, o ancora “consentire i movimenti militari nei fine
settimana e nei giorni festivi”.
Attraverso l‘istituzione di un quadro di emergenza poi, verrebbe dedicato
l’accesso prioritario alle infrastrutture agli apparati militari, e le procedure
per lo spostamento di contingenti potrebbero essere ulteriormente accelerate.
Sarebbe facoltà della Commissione, con l’approvazione degli Stati membri,
formalizzare le situazioni di emergenza.
Su un binario parallelo alla semplificazione delle normative, corre il
potenziamento delle infrastrutture. “Se un ponte non è in grado di sostenere un
carro armato da 60 tonnellate, se una pista è troppo corta per un aereo cargo,
abbiamo un problema”, ha sottolineato l’Alta rappresentante UE. Lo scheletro
esiste già, è l’infrastruttura della rete TEN-T. Su quella, la Commissione
europea ha identificato 4 principali corridoi militari e 500 punti nevralgici da
rafforzare. “Nella maggior parte dei casi – ha confermato Tzitzikostas – si
tratterà di potenziare le infrastrutture esistenti”. In un ottica dual use,
civile-militare, perché “nel 99,9 per cento dei casi” la rete servirà per
cittadini e merci”.
Un ruolo chiave nella rete TEN-T è stato assunto dall’Italia: quattro dei nove
corridoi attraversano lo stivale, il Baltico-Adriatico, lo
Scandinavia-Mediterraneo, il Reno-Alpi e il Mediterraneo. Dal punto di vista
geostrategico e militare è particolarmente rilevante il corridoio Mediterraneo
che collega i porti della penisola iberica con l’Ucraina, passando per il sud
della Francia, l’Italia settentrionale, la Slovenia e la Croazia.
Abbiamo contattato Fabrizio, del movimento no tav, per parlarci del TAV
all’interno della mobilità militare europea, come snodo del corridoio strategico
che unisce la penisola iberica all’Ucraina.
Abbiamo poi chiesto a una compagna antimilitarista genovese di parlarci del
progetto di ampliamento dei binari a Sampierdarena e del porto di Genova
all’interno della mobilità militare europea, nel corridoio Reno-mediterraneo.
Con una compagna di Messina abbiamo commentato l’inserimento del ponte sullo
stretto all’interno del corridoio TEN-T ‘Scandinavo-Mediterraneo’.
Citati nella puntata.
Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità militare europea
Sulle ferrovie di Sampierdarena e del Porto di Genova
Sull’operazione Ipogeo
L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo del Comitato Militare della Nato lo ha
detto senza mezzi termini: «Dovremmo essere più proattivi e aggressivi. Un
attacco preventivo potrebbe essere considerato un’azione difensiva, ma
attenzione: è lontano dal nostro abituale modo di pensare e comportarci». Si
tratta, ha chiarito Dragone, di valutazioni, al momento. Ma valutazioni che solo
a un anno fa la dottrina militare occidentale e le leggi dei paesi dell’Alleanza
precludevano. «Stiamo valutando di agire in modo più aggressivo e preventivo,
piuttosto che reagire».
Lo scontro diretto tra Russia e Nato è sempre più vicino
Ne abbiamo parlato con Antonio Mazzeo
Ascolta la diretta:
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Collaborazione tra Happy Hour e Ghigliottina (Radio Neanderthal, Napoli), questo
approfondimento tratta delle recenti rivolte contro l’I.C.E. negli Stati Uniti,
che oggi stanno incendiando Chicago, Minneapolis e Charlotte. L’I.C.E.
(Immigration and Customs Enforcement), anche detta la migra, è la polizia
anti-immigrazione creata dall’Homeland Security Act del 2002, dopo l’11
settembre, le cui retate oggi altamente spettacolarizzate hanno fatto sparire,
nella sola Chicago, oltre 3.000 persone dall’inizio dell’operazione “Midway
Blitz” a settembre.
E’ la guerra civile mondiale a riflettersi nella guerra civile interna agli
Stati Uniti, dove la violenza poliziesca cerca di disarticolare le reti di
solidarietà popolare entrando al loro interno. I poliziotti dell’I.C.E. vengono
infatti reclutati e profumatamente pagati all’interno delle stesse realtà
latine, afrodiscendenti e asiatiche che vengono colpite: è per questo che
indossano passamontagna per non essere riconosciuti durante le retate, che
avvengono spesso senza mandato e con mezzi privi di targhe.
Un immaginario, questo, che spesso viene associato alle pratiche dei
paramilitari o dei cartelli, ma che invece esemplifica ciò che è stato
lucidamente espresso oltre trent’anni fa, ovvero che « non solo Stato e Mafia si
alimentano mutuamente, ma che lo spettacolo dello Stato si manifesta in modi
squisitamente mafiosi » (Intorno al drago. La droga e il suo spettacolo sociale,
AAVV, 1990).
Il contesto statunitense ci parla anche di quanto accade qui, dove pure la
detenzione amministrativa è arma di guerra ormai spogliata di qualunque orpello,
e dove la “guerra ai migranti” si intreccia con quella al “terrore”, dal 7
ottobre in modo sfacciato, come dimostrano il caso di Seif a Roma, di Mansour a
L’Aquila, di Ahmad a Campobasso e dell’imam Mohamed a Torino. Questa guerra è
europea, è globale, come dimostra anche il caso di Abdulrahman al-Khalidi,
dissidente saudita oggi da 1500 giorni in detenzione amministrativa a Sofia
(Bulgaria), per volontà dell’Agenzia di Stato per la “sicurezza nazionale”
bulgara, contraria persino ai pareri tribunalizi, e su richiesta del regime
saudita, forse in cambio di favori energetici al cane da guardia delle frontiere
europee.
Con due compagne da El Paso (Texas) e Denver (Colorado) tracciamo un breve
resoconto delle lotte contro la migra nel ventre della bestia, dall’utilizzo
della paura come arma di controllo, alla centralità delle tecnologie che svelano
la continuità tra diversi fronti di guerra, dalla Cisgiordania a Chigaco;
dall’indeterminatezza degli attacchi polizieschi, dove la “guerra ai migranti”
si sovrappone a quella al “terrore”, alle pratiche di autodifesa popolare, che
dalla testimonianza sono passate alla rivolta, e al blocco di snodi strategici
per la macchina delle deportazioni affiancano l’organizzazione di reti di
prossimità in grado di attaccare direttamente la violenza statale a partire
dagli spazi di vita quotidiana, in forme estranee alla grammatica politica della
destra e della sinistra.
Canzoni:
Body Count, Cop Killer
Residente y Ibeyi, This is Not America
Krudas Cubensi, Emigrar
Chico Trujillo, Reina de todas las fiestas
Il 25 novembre 2025, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, per
il secondo anno ha visto riempirsi piazze da tutta Italia: l’obbiettivo di dare
risalto ai nodi territoriali sfida il classico corteo nella capitale che
quest’anno si è tenuto sabato 22, contando 70 mila persone.
Ad oggi in Italia si parla di 91 femminicidi monitorati dall’osservatorio di
nudm solo nel 2025 e almeno 68 tentati femminicidi riportati. Il lavoro
dell’osservatorio è particolarmente importante in quanto in Italia non esiste
una banca dati pubblica sui femminicidi. Mentre secondo l’ISTAT sono 6,4 milioni
le donne che hanno riportato di aver subito delle forme di violenza.
Inoltre i dati dell’ISTAT pubblicati martedì confermano che le uccisioni
avvengono all’interno delle relazioni più strette della persona. Infatti si
riporta “Nel 2024, sulla base delle variabili disponibili, si stimano 106
femminicidi presunti su 116 omicidi con una vittima donna. Si tratta di 62 donne
uccise nell’ambito della coppia, dal partner o ex partner, 37 donne uccise da un
altro parente; sette casi, di cui tre donne uccise da un amico o conoscente e
quattro da sconosciuti, per i quali l’accanimento sul corpo della donna motiva
la classificazione dell’omicidio come femminicidio.”
La giornata è stata caratterizzata dal discorso sulla violenza strutturale che
ci circonda, espressa dal nesso tra guerra e patriarcato, due processi sistemici
aventi matrici comuni. Infatti non sono mancati i rimandi alle mobilitazioni a
sostegno della palestina con la esplicita volontà di inserirsi in una settimana
che si concluderà con lo sciopero generale contro la legge finanziaria di
economia di guerra venerdì 28 e il la 29 giornata mondiale per la palestina.
A questo proposito Fatou di nudm Torino ci racconta il comunicato nazionale
“Perchè come transfemministe sabotiamo la guerra”: (metti link)
Con Maria di nudm Torino il racconto della giornata, partita dalla mattina con
il fino al corteo serale cittadino:
Con Simona di Lucha y Siesta commentiamo il crescente attacco del governo ai
danni dei centri antiviolenza:
Mentre con Carlotta di nudm Milano raccontiamo il corteo che ha contato almeno
10.000 persone, culminato nell’occupazione simbolica del villaggio olimpico:
In ultimo riportiamo alcune delle interviste che abbiamo realizzato nel corso
del corteo per restituire il clima e la voce dellx partecipantx :
Il ministro della difesa tedesco Boris Pistorius, che nel 2024 sosteneva che
saremo in guerra con la Russia nel 2029, adesso dice che succederà forse nel
2028, anzi che “alcuni storici militari ritengono addirittura che abbiamo già
avuto la nostra ultima estate di pace”.
Venerdì scorso, il Generale Fabien Mandon, Capo di Stato Maggiore delle forze
armate francese, ha parlato esplicitamente del rischio di “perdere i propri
figli” in un futuro conflitto con la Russia e ha esortato la Francia a
prepararsi a sacrifici — umani o economici — vista la crescente ambizione russa
di un confronto con la NATO entro la fine del decennio.
«Siamo sotto attacco: il tempo per agire è subito»: così riporta il documento
redatto dal ministro della Difesa Guido Crosetto, ora al vaglio del Parlamento.
A minacciare l’Occidente e l’Italia sarebbe la «guerra ibrida» portata avanti,
in particolare, da Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, combattuta tanto a colpi
di disinformazione e pressione politica quanto di minacce cibernetiche. Per
questo, l’Italia avrebbe bisogno della creazione di un’arma cyber, composta di
almeno cinquemila unità tra personale civile e militare. Solamente due settimane
fa, Crosetto aveva dichiarato che l’esercito italiano avrebbe bisogno di almeno
trentamila soldati in più.
In Polonia, in risposta agli atti di sabotaggio che hanno colpito le
infrastrutture strategiche della Paese, il premier Donald Tusk ha lanciato
un’operazione su larga scala, l’operazione Horizon, per aumentare i controlli
sulle infrastrutture del Paese, dispiegando 10mila soldati che lavoreranno
insieme a polizia, Guardia di frontiera, Servizio di protezione delle ferrovie e
ad altri enti responsabili della sicurezza dello Stato.
Appena una settimana fa, un mese dopo la presentazione della roadmap per una
difesa UE a prova di aggressioni esterne entro il 2030, la Commissione
europea dichiara di voler incrementare fortemente la mobilità militare
dell’Unione, che si scontra oggi con la realtà di 27 Stati nazionali che
limitano gli attraversamenti di truppe e mezzi sui loro territori. L’obiettivo è
creare una ‘Schengen militare’ entro il 2027, perché – come affermato dal
commissario UE per la Difesa, Andrius Kubilius, prendendo in prestito le parole
di un generale statunitense – “la fanteria vince le battaglie, la logistica
vince le guerre”.
Nei primi 15 minuti, parliamo del non paper di Crosetto sulla guerra ibrida, dei
piani di riarmo europeo delle infrastrutture, della logistica di guerra facendo
un po’ di rassegna stampa.
Successivamente approfondiamo gli stessi temi, a partire dagli ultimi sviluppi
nella guerra tra Russia e Ucraina, con la bozza di Trump per un piano di pace
che ha contrariato l’Europa, con lo storico Francesco Dall’Aglio, saggista,
esperto di est Europa e di questioni strategico-militari, gestore del canale
Telegram «War Room».- Russia, Ucraina, NATO.
Citati nella puntata:
Non-paper sul contrasto alla guerra ibrida di Crosetto
Libro bianco europeo per il 2030
Il Piano Rearm Europe
di Laila Hassan* Perché il palestinese buono è quello morto o rassegnato.
Appunti sull’inadeguatezza della sinistra italiana “La guerra di liberazione non
è un’istanza di riforme, ma lo sforzo grandioso …
Il cosiddetto “piano Trump”, oggi avallato anche dall’ONU, continua a essere
presentato come una soluzione politica per il “conflitto israelo-palestinese”,
ma nella realtà consolida la logica di colonizzazione e di dominio che soffoca
la popolazione palestinese. Nel frattempo, l’esercito israeliano intensifica gli
attacchi contro Gaza e il Libano, mentre la situazione umanitaria in Palestina
precipita verso condizioni insostenibili.
Il governo italiano, nel frattempo, rilancia il tentativo di frenare le grandi
mobilitazioni del 28 settembre e del 3-4 ottobre con il DDL Gasparri: un
provvedimento che punta a usare la definizione di “antisemitismo” come clava per
colpire chi critica il sionismo, le politiche genocidarie di Israele, le
complicità del governo italiano e il generale clima di guerra che si sta
costruendo in Europa. Criminalizzare le posizioni anti-sioniste significa
colpire direttamente i movimenti che, in queste mobilitazioni, hanno sostenuto
la resistenza del popolo palestinese.
In un simile scenario, il movimento internazionale di solidarietà con la
resistenza palestinese non può rallentare. Anche per questo, domenica 23
novembre, al Centro sociale G. Costa di Bologna, la rete “Liberi/e di lottare –
contro lo stato di guerra e di polizia”, insieme a realtà studentesche,
insegnanti e collettivi di movimento, convoca un’assemblea nazionale contro il
DDL Gasparri e contro la guerra in Palestina. Ne parliamo con Pietro Basso,
della rete “Liberi/e di lottare”.
Contro l’escalation bellica e i tagli alle scuole e alle università, e in
solidarietà con la Palestina, venerdì, è stata una giornata di lotta e sciopero
studentesco in decine di città italiane, organizzato da collettivi studenteschi
e dal movimento Fridays For Future, per denunciare anche “una situazione
drammatica per la scuola, con investimenti a pioggia nell’economia bellica e
poco o nulla per formazione, istruzione, cultura”. La giornata di mobilitazione
di venerdì è stata anche definita come “No Meloni Day”, con il blocco non solo
di scuole, ma anche di Università, con scioperi, presidi e manifestazioni.
Ieri, domenica, all’alba gli agenti della Digos di Torino hanno fatto irruzione
a casa di uno studente diciottenne, attivista dei collettivi studenteschi
torinesi, che è stato arrestato e posto agli arresti domiciliari.
Stamattina comparirà davanti al giudice per il processo per direttissima.
L’operazione è stata eseguita in flagranza differita, una procedura che permette
l’arresto anche a distanza di ore dal fatto.
La reazione del mondo studentesco non si è fatta attendere, con un comunicato di
diffuso ieri e che riportiamo per intero e diversi appuntamenti: oggi alle ore
16 davanti alla Prefettura in Piazza castello, domani alle ore 18, appuntamento
a Palazzo Nuovo per l’assembea pubblica di Torino per Gaza e il 28 novembre,
giornata di sciopero generale.
Abbiamo chiesto a uno studente del collettivo del liceo Einstein di raccontarci
la giornata di venerdì e di darci più informazioni rispetto all’arresto di ieri
e ai prossimi appuntamenti.
Di seguito, il comunicato uscito ieri dal Collettivo Gioberti di Torino,
Assemblea studentesca e KSA Torino a seguito dell’arresto in flagranza differita
nei confronti di Omar, uno studente del liceo Gioberti che ha partecipato alla
manifestazione studentesca di venerdì 14 novembre.
Stamattina, domenica 16 novembre, la polizia è piombata in casa di uno
studente appena diciottenne, portandolo in questura per poi metterlo ai
domiciliari, impedendogli categoricamente di andare a scuola nei
prossimi giorni, il suo processo è fissato per domani in direttissima e non gli
sono neanche stati consegnati gli atti per preparare la difesa, che invece che
in mesi dovrà essere preparata in ore.
Omar non è che uno studente, un compagno di scuola e di lotta, un
coetaneo che la polizia ha deciso di individuare come soggetto su cui
accanirsi violentemente per colpire ed intimidire tutti coloro che hanno
preso parte allo sciopero di venerdì 14 novembre.
È evidente infatti, che quest’azione miri a rompere l’unità e la coesione
studentesca andatasi a creare dopo mesi di mobilitazioni e occupazioni che hanno
visto protagoniste più di quaranta scuole Torinesi, nel tentativo di spaventare
lə innumerevoli studentə che si sono viste protagoniste delle piazza di venerdì
e provando a sminuire le azioni che sono state fatte a seguito di decisioni
COLLETTIVE, riducendole ad un atto dislocato e facendone gravare le conseguenze
su una singola persona.
In una giornata che ha visto un grande coinvolgimento da parte delle
scuole, la risposta da parte delle forze dell’ordine non è stata che
violenta, prima a Porta Nuova e in un secondo tempo a Città
Metropolitana, luogo in cui ci siamo diretti per portare ancora un volta
alla luce le gravi mancanze a livello strutturale e finanziario nell’istituzione
scolastica, situazioni di disagio per cui lə studentə hanno bloccato le scuole
dimostrando, come al liceo Lagrange, che nel
momento in cui si fa pressione i fondi per ristrutturare le scuole
magicamente compaiono.
Alla città metropolitana c’eravamo tutte e rivendichiamo collettivamente ciò che
invece la questura di Torino affilia ad una sola persona, e ricordiamo che i
famosi scontri per i quali viene accusato Omar sono partiti dopo che la polizia
ha chiuso uno studente in uno stanzino e gli ha spaccato la testa, prendendolo
in ostaggio.
Del resto, questo modus operandi non ci è nuovo. è un copione già
scritto infatti, quello in cui le dimensioni di scontro di piazza collettive
vengano depoliticizzate e ridotte a meri atti di violenza imputabili a
singole soggettività, unico modo per legittimare la repressione su chi
lotta contro gli sporchi interessi governativi, contro una scuola asservita alla
conversione bellica, contro al taglio sempre crescente di fondi al welfare
pubblico in favore del suprematismo occidentale a suon di bombe.
Siamo indignati, incazzati, ma non così sorpresi da queste dinamiche
repressive, infantili e quasi di ripicca da parte del governo, che si vede
messo all’angolo dai giovani ormai esasperati che non si tirano indietro
nel mostrare il loro dissenso ad un governo complice che giorno dopo
giorno mette sempre più da parte la scuola, preparandosi a tagliare 600
milioni di euro dall’istruzione per investirli nell’industria bellica.
Ma non basteranno i manganelli a farci abbassare la testa.
Siamo tenaci, furiosi e non abbiamo paura di alzare la voce continuando
a bloccare tutto per un futuro diverso,per un mondo nuovo.
In piazza con Omar c’eravamo tutti. Non era da solo, e per quanto
possano provare a confinarlo in casa e ad isolarlo non lo sarà nemmeno
ora.
Non gliela daremo vinta, la lotta è appena iniziata, torniamo nelle nostre
scuole, alziamo la voce,disertiamo le lezioni, blocchiamo tutto,
prendiamoci gli spazi scolastici che in quanto studenti ci appartengono e
dimostriamo che gli studenti sono una collettività unita a cui i loro sporchi
giochi di potere di divisione e repressione delle lotte
Omar ha il diritto di andare a scuola esattamente come tutti noi.
Se non lo potrà fare lui, non lo farà nessuno.
Omar libero subito
Per comprendere la natura del conflitto ucraino dobbiamo farci la classica
domanda “cui prodest” ed uno degli effetti strutturali più rilevanti della
guerra in Ucraina è che a livello energetico gli Stati Uniti stanno diventando
per l’Ue quello che fino al 2022 era stata la Russia per l’approvvigionamento di
energia visto che gli USA già oggi pesano per oltre il 50% delle importazioni di
gas liquefatto (e il 15% di quelle petrolifere).
A ottobre, per la prima volta, un singolo Paese gli USA ha esportato oltre 10
milioni di tonnellate metriche (mmt) di gas liquefatto, il 70% delle quali verso
l’Europa. e l’export di Gnl Usa, si stima, raddoppierà da qui al 2028 ,inoltre
nell’accordo sui dazi con la Casa Bianca, la Commissione s’è impegnata a un
ammontare folle di acquisti nel settore energetico Usa: 750 miliardi di dollari
in tre anni. Gli Stati Uniti hanno raggiunto con la guerra in Ucraina lo scopo
indicato da Brezinski ( La grande scacchiera,) il quale sosteneva che
l’obiettivo strategico degli Stati Uniti fosse quello di separare la Russia
dall’Europa per impedire la formazione di un blocco continentale che potesse
sfidare la potenza americana.
Non solo gas ma anche la nuova corsa agli armamenti , si parla del missile
ipersonico Dark Eagle che schierato in Germania potrebbe colpire obiettivi nella
Russia centrale nell’arco di sei-sette minuti. In risposta a queste minacce, la
Russia ha sospeso la moratoria sul dispiegamento di missili a medio e corto
raggio, dopo aver testato con successo il missile Burevestnik e il drone
sottomarino Poseidon.
L’ambasciatrice ucraina negli Stati Uniti ha dichiarato che il suo Paese «sta
conducendo negoziati positivi» con gli Stati Uniti incentrati sulla consegna a
Kiev di missili Tomahawk e altre armi a lungo raggio. Sta cominciando una nuova
corsa al riarmo tra Russia e Stati Uniti come quella che impose con conseguenze
catastrofiche per l’Urss Reagan negli anni 80 ,mentre gli Stati Uniti progettano
il sistema di difesa integrale “golden dom”.
Ne parliamo con Francesco Dall’Aglio esperto dell’Europa orientale e di
strategia.