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Transfemminismo. Percorsi e prospettive
Universale singolare. Transfemminismo e anarchia I percorsi di libertà tracciati dalle soggettività tenute ai margini dalla cultura patriarcale hanno scosso dalle fondamenta un ordine che pareva immutabile arrivando a spezzarne la logica binaria ed essenzialista. La logica binaria è quella che divide le persone in base al sesso attribuito alla nascita cui si pretende corrispondano precise caratteristiche di genere. Il binarismo implica uno iato tra il più ed il meno, il pieno e il vuoto, il vaso e il seme, lo spazio dei sentimenti e quello della ragione. Questa logica, che si pretende naturale, fonda l’ordine patriarcale. L’universale umano nasce e resta a lungo saldamente maschile. Un maschile cui vengono iscritte le qualità intrinseche che “giustificano” la gerarchia tra i generi, all’interno della gabbia normativa familiare e nella lunga esclusione delle donne dalla vita pubblica. L’ordine patriarcale si fonda sulla pretesa che la gerarchia sia biologicamente fondata e su questa costruisce una cultura in cui si danno identità costanti, fisse, socialmente definite. La servitù femminile non è stata caratteristica di tutte le culture umane, ma è stata ed è prevalente a tutte le latitudini. La dinamica patriarcale fa si che la gerarchia si riproduca in ogni relazione umana. Spezzare l’ordine patriarcale è necessario ad una trasformazione sociale di segno libertario. Essenzialismo, decostruzione queer e approccio anarchico Con essenzialismo intendiamo la scelta di considerare giuste ed immutabili tipizzazioni di genere del tutto culturali. La critica all’essenzialismo si nutre della decostruzione delle identità di genere. Concepire l’identità, ogni identità, come costruzione sociale, confine mobile tra inclusione ed esclusione, è un approdo teorico che si alimenta della rottura operata dal femminismo e dai movimenti lgbtqia+. La sfida è su più fronti. Sfida allo Stato (etico), al patriarcato reattivo e al capitalismo. Una sfida che non è mera astrazione o suggestione filosofica, ma si attua nel convergere delle lotte, delle prospettive e degli immaginari capaci di dar vita ad una prospettiva inedita. Il sommarsi di diverse cesure identitarie, che spesso coincidono con varie forme di esclusione, permette una contestazione permanente del privilegio nei confronti delle gerarchie di potere. Le “identità sessuali”, anche nel loro farsi storico, non sono un conglomerato concettuale da cui partire, ma semmai la questione stessa. Oltrepassarle per cancellarle è un percorso complesso, perché investe una dimensione del sé che, pur squisitamente culturale, è tanto forte ed introiettata sin dalla nascita da parerci naturale. Al punto che gli stereotipi di genere finiscono con l’essere fatti propri persino da chi rifiuta quello che gli/le è stato assegnato alla nascita. Il costruzionismo queer attua la strategia di decostruire le identità che passano come naturali considerandole invece come complesse formazioni socio-culturali in cui si intrecciano discorsi diversi. Un approccio libertario deve e può andare oltre la decostruzione delle narrazioni che costituiscono le identità di genere, perché vi innesta l’elemento di rottura rappresentato dall’agire politico e sociale di soggetti, che si costituiscono a partire dalle proprie molteplici alterità, rivendicate ed esperite sul piano della lotta. Soggetti capaci di una autonoma produzione di senso, di relazioni, di pratiche sovversive rispetto all’ordine patriarcale, alla logica binaria, alla naturalizzazione delle relazioni sociali. Un percorso importante ma delicato, perché, in modo del tutto paradossale, talora la spinta ad aprire spazi che aspirano al riconoscimento delle cesure discriminanti che segnano le vite di tante persone, finisce con il produrre un cortocircuito identitario. Proviamo a spiegarci meglio. Nessuno meglio di chi vive una discriminazione può renderla intelleggibile a tutt* e promuovere istanze che consentano un percorso di liberazione. Il movimento femminista, quello LGBTQIA+, prendono le mosse dalla presa di parola autonoma, dalla contestazione del linguaggio che marca la gerarchia, dalla frantumazione della materialità dell’oppressione. Se l’universale è maschile, europeo, ricco, eterosessuale, il resto è margine inessenziale, che va sottomesso, negato, asservito e, spesso anche eliminato. Quindi la parola libera di chi era (ed è) la striscia bianca ai lati del grande libro della storia umana è intrisecamente sovversiva. Quando questa parola entra nel discorso pubblico lo modifica in modo radicale: ha un ruolo cruciale nel frantumare ogni logica escludente ed oppressiva. I processi di soggettivazione degli esclusi dall’astratto universale illuminista hanno innescato percorsi trasformativi, in cui le differenze e, quindi, il frantumarsi del soggetto politico borghese, maschio, eterosessuale, ricco, di cultura europea hanno aperto un orizzonte di lotta inedito. Si è trattato di un percorso lungo, non terminato, che purtroppo oggi rischia di perdersi in mille rivoli identitari chiusi in se stessi, incapaci di aspirare collettivamente ad un universale includente. In certi ambiti di movimento la presa di parola ed iniziativa degl* esclus* si declina nella pretesa che la sola parola legittima sia quella di chi vive una discriminazione. Agl* altr* è concesso solo “mettersi in ascolto”. Da qui al negoziare il proprio diritto all’alterità con il riconoscimento acritico di qualsiasi altro percorso identitario, il percorso è breve. Il rischio, evidente, è l’affermarsi di una nuova, più subdola, forma di essenzialismo, che spesso si interseca con una lettura distorta dei percorsi decoloniali, che finisce con il legittimare nazionalismi, comunitarismi, identitarismi religiosi. Su questo terreno è necessario un lungo lavoro di elaborazione teorica e, insieme, una capacità di attraversare gli ambiti transfemministi e queer con proposte e orizzonti di lotta di segno libertario. Femminismi della differenza e transfemminismo I femminismi della differenza sono lo specchio capovolto del dominio maschile. Binarismo ed essenzialismo permangono in questi femminismi, che, pur negando il disvalore delle donne, riproducono al femminile le gerarchie tipiche delle culture fondate sul dominio maschile ed eterosessuale. Il mero afflato paritario sul piano dei diritti si limita a riempire il vuoto, inserire l’eguale, dare corpo al vaso, attenuare la dicotomia tra ragione e sentimento, senza spezzare la logica binaria. Sono femminismi incapaci di cogliere come il patriarcato sia uno dei tasselli che disegnano il mosaico di società basate sulla competizione, lo sfruttamento, la violenza sistemica nei confronti di chi è posto ai margini. Questi femminismi sono facilmente riassorbibili nell’ordine statale e capitalista. Al contrario il transfemminismo all’alba del terzo decennio del secolo esperisce la possibilità di passare dal genere all’individuo, dalla gerarchia sessualizzata alla molteplicità. È un femminismo che, in ogni angolo del pianeta, si deve confrontare con l’estrema violenza della reazione patriarcale, che si traduce sia in gabbie normative, sia in violenza sistemica nei confronti delle identità mobili, irriducibili ad ogni logica binaria. Chi vive al di là e contro i generi, i ruoli, le maschere ha una forza dirompente, perché sbriciola il binarismo e l’essenzialismo. All’interno delle nostre società questi percorsi fanno paura. Per le destre e per le religioni la difesa di identità rigide ed escludenti diviene il centro nevralgico dell’azione politica. Il piedistallo “identitario” è la base che regge la pretesa di disciplinare identità e corpi non conformi. Sanno bene che l’ordine del padre si incrina di fronte alle donne ribelli, alle identità ibride, transeunti, fluide, in viaggio, mutanti, quando l’io diviene approdo di percorsi irriducibilmente individuali ma esperiti nella forza di lotte collettive. La reazione patriarcale Le destre identitarie e sovraniste, sostengono il capitalismo e la divisione in classi, ma li vorrebbero mitigati da un forte stato etico, saldamente fondato sulla famiglia, sulla nazione, sulla religione. Dio, patria, famiglia, un assioma che non disturba gli affari ma rimette in ordine il mondo. A tutte le latitudini del pianeta si attacca la materialità dei percorsi di liberazione che hanno segnato il secolo scorso. La libertà di decidere sulla maternità, l’uso normalizzante della psichiatria, sino alla negazione dell’accesso all’istruzione, al lavoro, alla stessa possibilità di muoversi in autonomia segnano le vite di tanta parte delle donne e delle persone non conformi che vivono su questo pianeta. Vi è profonda assonanza tra le politiche delle destre dell’Occidente “democratico” e quelle dei paesi dove si sono imposte varie forme di fondamentalismo religioso. La “famiglia” come nucleo etico rappresenta l’elemento normalizzatore di “anomalie”, che le lotte delle donne, delle persone omosessuali, asessuali, transgender, hanno reso visibili e pericolose per ogni pretesa di socializzazione autoritaria dei bambini, delle bambine, dei bambinu. Non solo. Oggi il disciplinamento delle donne, specie di quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale. Un “sinistro” essenzialismo Il lutto per le identità forti, smarrite e da ritrovare, attraversa anche certa sinistra, orfana di una narrazione che dia senso al proprio mondo. La deriva identitaria non è mero patrimonio delle destre sovraniste, localiste, fasciste, misogine, omofobe, razziste, perché sfiora anche ambiti di movimento, che si pretendono distanti dall’approccio essenzialista della destra. La reazione alla violenza del capitalismo, all’anomia della merce, alla feroce logica del profitto, alla paura dell’onnipotenza della tecnica rischiano di produrre mostri peggiori di quelli da cui si fugge. L’anarchismo si sta confrontando con un mondo dove ci sono stati cambiamenti epocali. Nel giro di pochi decenni siamo passati dal pallottoliere al web, dalla macchina fotografica alle immagini satellitari, dalle lettere alle chat, dai sorveglianti umani agli occhi elettronici, dal posto fisso alla precarietà strutturale, dal lavoro alla catena alle catene del telelavoro. Un lungo processo di straniamento. Il moloch tecnologico, assunto come nemico totale, ha aperto la strada ad un anarchismo che fugge in un passato immaginario, dove germogli un futuro che nega l’umano, così come si è costruito nel processo di civilizzazione, identificato tout court con la nascita e il consolidarsi della gerarchia, del dominio, della violenza dei pochi sui molti. Il futuro diviene “primitivo”, nel senso etimologico del termine, un tempo-spazio dove si torna al primus, ad una dimensione in cui l’umano si (ri)naturalizza, in una concezione essenzialista e non culturale della “natura”. Una fuga nichilista che riflette l’impotenza di fronte ad una complessità che non si riesce a capire né a controllare: il moloch può essere distrutto solo a prezzo di rinunciare alla libertà, per rifugiarci tra le braccia esigenti e soffocanti della natura-madre. Il processo di rinaturalizzazione dell’umano operato da queste correnti nega i percorsi costruiti dalle identità fluide, disancorate, in viaggio che si reinventano fuori e contro la logica binaria dei generi. Fuggire al dominio della merce, al controllo dello stato, alla paura della tecnica che si ritiene impossibile controllare, porta a negare la diversità e pluralità dei percorsi individuali. Manca la gerarchia formale ma non c’è traccia di libertà. L’unica libertà è quella di adeguarsi ad essere quello che “spontaneamente” saremmo, se le incrostazioni della “civiltà” non si avessero snaturat*. Da qui a negare l’aborto, le tecniche contraccettive non “naturali”, l’utilizzo di ormoni e tecniche chirurgiche per modificare il proprio corpo, il passo è stato breve. La negazione dei percorsi di decostruzione del genere conduce ad approdi non troppo distanti da quelli delle religioni e delle destre fasciste. Le questioni di genere vengono relegate ai margini di un discorso di trasformazione sociale, che, nella migliore delle ipotesi, le considera inessenziali. Universale plurale I corpi fuori norma, i corpi fuori luogo, che scientemente si sottraggono alla logica identitaria, per fare i conti con le cesure che il genere, la classe, la razza hanno imposto ai singoli, sono pericolosamente sovversivi. Le dislocazioni, i transiti e le ricombinazioni che rompono con qualsiasi pretesa di pietrificare le identità, frantumano l’essenzialismo ed aprono una sfida radicale, insuscettibile di riassorbimento in logiche gerarchiche e capitaliste. Lo scarto degl* esclus* non è iscritto nella natura ma nemmeno nella cultura, è solo una possibilità, la possibilità che ha sempre chi si libera: cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi. Nessuna posizione può pretendere di riassumere in se l’oppressione e i relativi percorsi di liberazione, se non divenendo, a sua volta, escludente. In questa prospettiva il relativismo dei posizionamenti, viene superato dall’universalismo della spinta ad una radicale trasformazione della società. L’universale occidentale, costitutivamente escludente e marginalizzante nei confronti di tutt* coloro che non sono considerat* pienamente cittadini (poveri, migranti, donne, soggettività non conformi alla norma etero-cispatriarcale, ecc.), e il relativismo assoluto, sostanzialmente acritico nei confronti di usanze e pratiche spesso pesantemente oppressive, sono due facce della stessa medaglia. Si pongono in posizione equidistante rispetto alla concreta prospettiva di un universale plurale in via di costruzione, che scaturisce dai percorsi di lotta intrapresi dai movimenti. Movimenti in cui hanno un ruolo importante coloro che si soggettivano a partire dalla consapevolezza della propria condizione e sanno, insieme, sperimentare strade in cui ogni gabbia identitaria viene spezzata. Non è mera astrazione, ma la prospettiva concreta del pluriverso, un mondo nel quale convivono più mondi, nel quale sia possibile valorizzare al massimo la diversità nell’uguaglianza, la libertà di tutt* e di ciascun*. Il femminismo libertario e anarchico pone al centro una critica radicale dell’istituito, perché ciascun* attraversi la propria vita con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci. Lo sguardo transfemminista è imprescindibile per un processo rivoluzionario che miri al sovvertimento in senso anarchico dell’ordine sociale e politico in cui siamo forzat* tutt* a vivere. Il percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie. Una scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico. (questo testo è frtto del confronto tra le compagne e i compagni della FAT)
December 27, 2024 / Anarres
Anarres del 24 novembre. Argentina secondo Milei. Povertà e fame. Femminismo libertario e violenza di genere, No ai mercanti d’armi!…
ll podcast del nostro nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming. Ascolta e diffondi l’audio della puntata: Anarres del 24 novembre. Argentina secondo Milei. Povertà e fame. Femminismo libertario e violenza di genere, No ai mercanti d’armi!… […]
November 27, 2023 / Anarres
Il folle, la bestia, l’umano. Femminismo libertario e violenza di genere
Il cittadino: maschio, adulto, eterosessuale Libertà, uguaglianza, solidarietà. I tre principi che costituiscono la modernità, rompendo con la gerarchia che modellava l’ordine formale del mondo prima delle rotture rivoluzionarie della fine del Settecento, hanno il loro lato oscuro, un’ombra lunga fatta di esclusione, discriminazione, violenza. Tanta parte dell’umanità resta(va) fuori dal loro ombrello protettivo: poveri, […]
November 23, 2023 / Anarres