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[2025-05-16] Transfemminismo e anarchia @ Federazione Anarchica Torinese
TRANSFEMMINISMO E ANARCHIA Federazione Anarchica Torinese - corso Palermo 46 (venerdì, 16 maggio 21:00) TRANSFEMMINISMO E ANARCHIA UN UNIVERSALE PLURALE CHE SPEZZA I GENERI IN UN'IRRIDUCIBILE MOLTEPLICITÀ DI PERCORSI INDIVIDUALI. VENERDÌ 16 MAGGIO ORE 21 IN CORSO PALERMO 46 PRESENTAZIONE DELL'OPUSCOLO DELLA FAT E DEL GERMINAL DI TRIESTE CON ALCUN AUTOR I NOSTRI CORPI DEGENERI, ABBATTONO LE FRONTIERE TRA GLI STATI, LOTTANO CONTRO IL NAZIONALISMI ED OGNI IDENTITÀ ESCLUDENTE, FRANTUMANO LE TANTE LEGGI DEL PADRE, DEL PADRONE, DEGLI DEI E DEI LORO PRETI. QUI POTETE LEGGERE E SCARICARE LIBERAMENTE I TESTI: HTTPS://WWW.ANARRESINFO.ORG/TRANSFEMMINISMO-PERCORSI-E-PROSPETTIVE/ HTTPS://GERMINALTS.NOBLOGS.ORG/POST/2025/02/19/NON-CI-PUO-ESSERE-ANARCHISMO-SENZA-FEMMINISMO/ E QUI IL PDF: TRANSFEMMINISMO E ANARCHIA FEDERAZIONE ANARCHICA TORINESE CORSO PALERMO 46 - RIUNIONI OGNI MARTEDÌ ORE 20,30 WWW.ANARRESINFO.ORG
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Venerdì 16/5. Transfemminismo e anarchia
Anarchia e transfemminismo Un universale plurale che spezza i generi in un’irriducibile molteplicità di percorsi individuali. Venerdì 16 maggio ore 21 in corso Palermo 46 Presentazione dell’opuscolo della Fat e del Germinal di Trieste con alcun* autor* I nostri corpi degeneri, abbattono le frontiere tra gli Stati, lottano contro il nazionalismi ed ogni identità escludente, frantumano le tante leggi del padre, del padrone, degli dei e dei loro preti. Qui potete leggere e scaricare liberamente i testi: https://www.anarresinfo.org/transfemminismo-percorsi-e-prospettive/ https://germinalts.noblogs.org/post/2025/02/19/non-ci-puo-essere-anarchismo-senza-femminismo/ E qui il PDF: transfemminismo e anarchia Federazione Anarchica Torinese Corso Palermo 46 – riunioni ogni martedì ore 20,30 – www.anarresinfo.org
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Spezzone antimilitarista e anarchico al corteo del Primo Maggio
Il Primo Maggio, in tante e tanti hanno scelto di attraversare lo spezzone rossonero promosso dall’Assemblea Antimilitarista e dalla Federazione Anarchica Torinese. Una calda e gradevole giornata di sole ha fatto da cornice a una manifestazione combattiva che affonda le sue radici nelle imponenti rivendicazioni operaie di fine ‘800 per le otto ore lavorative. Un centinaio di antimilitarist* e anarchic* hanno sfilato in coda al corteo brandendo lo striscione “Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori”, segnando una netta distanza con coloro che formalmente si dichiarano contrari alla guerra, ma nei fatti, si schierano a favore di vecchi e nuovi imperialismi sotto la bandiera della resistenza, fornendo rinnovata linfa vitale a nazionalismi e guerre di religione che da sempre sono nemici di tutte le lotte che aspirano ad una reale emancipazione sociale. Numerosi slogan e interventi hanno ricordato sia le pessime condizioni in cui versa chi è disoccupato o chi è costretto a sopravvivere di lavori precari e sottopagati, sia l’aumento delle morti sul lavoro, diretta conseguenza dalla cinica logica del profitto a tutti i costi. Stessa determinazione ha contraddistinto la necessità di denunciare  fermamente la moltiplicazione degli sfratti, una piaga per coloro che non ce la fanno più a pagare fitto e bollette. Avere garantito un tetto sopra la testa si sta trasformando in un lusso per pochi privilegiati. Ogni contributo portato in piazza ci ha tenuto a ribadire l’urgenza di opporsi all’escalation bellica che sempre più sta travolgendo le nostre esistenze, partendo dai nostri territori, dove le armi vengono prodotte e testate per poi essere utilizzate nei conflitti che insanguinano vaste aree del pianeta; dove la militarizzazione investe con insistenza le periferie più povere e arriva ad assediare scuole e insegnamento; dove Leonardo e Politecnico si stanno impegnando nella costruzione della Città dell’Aerospazio, un polo di ricerca finalizzato alla progettazione di congegni e tecniche militari sempre più micidiali e all’avanguardia per uccidere e avvelenare interi territori. Le spese militari crescono inesorabilmente, così come i tagli ai servizi sociali fondamentali. L’industria bellica si arricchisce, mentre noi vediamo spalancarsi le porte della miseria e rischiamo di morire per mancanza di cure mediche adeguate. Anche in questa occasione, non si è mancato di contestare le politiche del governo fascista, che oltre ad intensificare la retorica patriottica per arruolarci nell’impresa a difesa degli interessi nazionali e renderci complici di massacri di popolazioni civili, si sta servendo di leggi speciali che trattano le questioni sociali come affari di ordine pubblico, portando avanti una spietata guerra ai poveri – autoctoni e migranti – e una durissima repressione di qualsiasi forma di dissenso. Ci vogliono muti e rassegnati, se non addirittura servili. La lotta di classe non è affatto un discorso relegato al passato. Lo sanno bene i burocrati del sindacalismo istituzionale e concertativo che fanno quotidianamente il gioco di chi prosciuga il nostro tempo e le nostre energie investite sul posto di lavoro, pur di continuare a estrarre ed accumulare capitale. Purtroppo, il sindacalismo di base, nonostante il generoso impegno, fa sempre più fatica a intercettare il disagio sociale di coloro che vivono nella nostra città. Ne consegue che serve organizzarsi collettivamente e superare il clima prevalente di atomizzazione e diffidenza tra sfruttat*, se davvero vogliamo che la paura cambi di campo. Siamo consapevoli che l’unica speranza che abbiamo di invertire la rotta, non può che essere quella di costruire e rinforzare reti di solidarietà e lotta in opposizione all’oppressione, allo sfruttamento, alle guerre volute e foraggiate da padroni e governanti. Solo praticando l’azione diretta possiamo pensare di impensierire i potenti della terra. Solo riportando al centro del dibattito il valore del disfattismo rivoluzionario e sostenendo attivamente i disertori di tutte le guerre degli stati, possiamo scongiurare il pericolo di un olocausto nucleare. Solo dando vita a spazi politici non statali possiamo porre le basi per un mondo di libere ed eguali, senza stati, padroni, frontiere, eserciti e polizie. Federazione Anarchica Torinese Assemblea Antimilitarista – Torino corso Palermo 46 – riunioni ogni martedì alle 20,30 – www.anarresinfo.org FB: https://www.facebook.com/ INSTAGRAM: https://www.instagram.com/p/
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corteo del primo maggio a torino
[2025-05-01] Primo Maggio. Spezzone antimilitarista anarchico @ Torino, piazza Vittorio
PRIMO MAGGIO. SPEZZONE ANTIMILITARISTA ANARCHICO Torino, piazza Vittorio - Piazza Vittorio Veneto, Torino (TO) (giovedì, 1 maggio 09:00) Giovedì 1 maggio ore 9 piazza Vittorio Spezzone antimilitarista anarchico Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere! Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori! Federazione Anarchica Torinese Assemblea Antimilitarista Corso Palermo 46 Riunioni ogni martedì dalle 20,30 www.anarresinfo.org
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Il maestro e le margherite
Gianni è stato tante cose diverse. Era del 1938. Sua madre partorì in casa a Mombercelli. Lui era prematuro e gracile: la durezza degli anni della guerra facevano presagire che non avrebbe passato l’infanzia. Invece “Spinacino” ce ha fatta. In barba al freddo, alle bombe, alla fame e ai tanti malanni di quei primi anni, arriverà al 5 febbraio 2025, quando se ne è andato nel sonno. Lasciato il paese, da cui riporterà il ricordo indelebile degli alberi, delle foglie, dell’aria di collina, con i genitori e il fratellino si trasferisce a Torino. Il panorama della città nel primo dopoguerra è segnato dalle macerie delle case bombardate e dagli alberi dei viali tagliati per fare legna. I soldi sono pochi e la vita, in due stanze con il ballatoio ed il cesso fuori, è grama. La scuola sarà per lui un mondo speciale, che amerà sin dai primi anni. Al punto che sceglierà di fare il maestro. La laurea, che, all’epoca non serviva per insegnare alle “elementari” come si chiamavano allora, la prenderà anni dopo, con una tesi di pedagogia libertaria. A cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta il giovane maestro viene allontanato dall’insegnamento per cinque lunghi anni, in cui verrà confinato in un ufficio. Le sue idee erano troppo sovversive. A quell’epoca la scuola elementare era simile ad una piccola caserma. I bambini separati dalle bambine, le divise, lo stare sull’attenti, il recitare la preghiera, l’alzarsi in piedi quando entrava l’autorità, lo stare per ore immobili, “composti” nei banchi. Gianni si nutre delle idee e delle esperienze di Celestin Freinet, del nativo canadese Wilfred Peltier, della scuola pedagogica statunitense. Gianni, quando arriva in classe si fa dare del tu ai bambini, non li rinchiude nell’aula, li porta fuori a toccare con mano le cose: il fiume, gli alberi, ma anche la realtà sociale, quella dei profughi istriani delle Vallette, quella dei napoletani emigrati in gran numero a Cirié, all’imbocco delle valli di Lanzo, dove insegnerà a lungo dopo la pausa forzata imposta dal Ministero. A Cirié, complice una mamma che sapeva riparare le bici, i bambini partono ad esplorare il territorio per capire la cosa più importante: le domande da fare, la curiosità che nasce dall’esperienza, il proprio percorso nella vita. Con le bici Gianni e i suoi bambini arrivano ad invadere la pista dell’aeroporto di Caselle, per vedere come erano fatti gli aerei, con i quali i più fortunati partivano per paesi favolosi, che ai ragazzini della Ciriè operaia erano preclusi. Tante imprese, tanti viaggi, soprattutto viaggi nella realtà sociale, dove si parla di lavoro e di licenziamenti punitivi. Una volta, con i bambini occupa l’ufficio del sindaco perché a scuola fa freddo. Storie di frontiera in una scuola che oggi non è più fatta di autorità e disciplina anche grazie ai partigiani dei bambini come Gianni Milano. Lui lo diceva a chiare lettere: “bisogna dar voce ai bambini: sono loro che decidono come apprendere meglio, e cosa fare”. Gli ultimi anni a scuola, dove lavorerà per 40 anni, li trascorre a Lanzo dove insegna alle future maestre. Quando i suoi capelli sono diventati tutti bianchi, ha continuato a portarli lunghi e scarrufati, come ai tempi in cui si guadagnò il soprannome dispregiativo, ma portato con orgoglio, di “maestro capellone”. Lui non ne parlava più di tanto, ma se date un’occhiata ai libri, alle riviste, alla storia di quegli anni speciali scoprirete che è stato tra i protagonisti della cultura beat nel nostro paese. Era un fricchettone colto, scriveva poesie sulla sua lettera 32. Poesie che trovate sparse qua e là, di recente molte sono state raccolte in un volume per le edizioni Fenix. D’estate, quando le scuole erano chiuse, autostop e via per il mondo. Ma poi tornava sempre a Torino, che non era più la città bigia e dura dei suoi primi anni, ma sempre la città in cui si sentiva a casa, all’ombra delle montagne. Era amico di Fernanda Pivano e di Allen Ginsberg, è stato uno dei protagonisti della beat generation: pubblica Off Limits (1966), Guru (1967), Prana (1968), King Kong (1973), Uomo Nudo (Tampax, 1975). È tra i fondatori della Pitecantropus Editrice, un tentativo di unire le anime della cultura Beat. Spirito profondamente libertario, specie negli ultimi anni si lega al movimento anarchico, attraversandone le lotte. Abitava in fondo a corso Vercelli, a due passi dal Balon, dove lo incontravamo spesso in occasione di presidi e banchetti. Arrivava e parlava con tutti, indossando un fazzoletto rosso e nero, spacciando idee e libri. Vivace come un folletto, mai stanco, nonostante gli anni che passavano ed i nuovi malanni. Lo ricordiamo in tanti 25 aprile, tanti primi maggi, portare con orgoglio la bandiera rossa e nera. Anche in valle ha intersecato varie volte le strade dei cortei e delle lotte, perché in quella lotta popolare, specie in certi anni, seppe riconoscere il tempo che muta, quando la gente comune, quella che non ci è avvezza, alza la testa. Lo conoscevano tutt. Con la sua parlantina sciolta e il suo stile da vecchio maestro, lo trovavate nei posti dove la gente sceglie di essere protagonista, di alzarsi in piedi, di costruire da se il proprio cammino. Eravamo in tanti a salutarlo nel piazzale del Cimitero Maggiore di Torino, nonostante il freddo e la pioggerellina insistita. Il Cor’Occhio circondato da bandiere anarchiche, sullo sfondo uno striscione No Tav ha intonato i canti anarchici e quelli di chi diserta la guerra. Gianni che l’aveva conosciuta fu un antimilitarista convinto, senza sfumature. Lo abbiamo ricordato con la musica, le parole, le sue poesie. In questi tempi grami, con le scuole che rischiano di diventare nuovamente caserme, il ricordo del maestro capellone, che sfrecciava alla testa della sua ciurma di bambini liberati dai banchi per la campagna piemontese, resterà un’ancora che renderà più forte la determinazione a continuare a pedalare per cambiare il mondo intollerabile in cui siamo forzati a vivere. Nel lungo percorso attraverso le grandi statue del monumentale siamo arrivati in una zona povera. Gianni, nato sulla terra, ha scelto di tornarvi. Sulla bara una bandiera nera e tanti garofani rossi. Elfo di città, con un cuore contadino, continueremo a vederlo volteggiare a Torino e in Valle, o al Balon, dove si mescolava con gli anarchici e i senzapatria. Ciao Gianni! I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese
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Transfemminismo. Percorsi e prospettive
Universale singolare. Transfemminismo e anarchia I percorsi di libertà tracciati dalle soggettività tenute ai margini dalla cultura patriarcale hanno scosso dalle fondamenta un ordine che pareva immutabile arrivando a spezzarne la logica binaria ed essenzialista. La logica binaria è quella che divide le persone in base al sesso attribuito alla nascita cui si pretende corrispondano precise caratteristiche di genere. Il binarismo implica uno iato tra il più ed il meno, il pieno e il vuoto, il vaso e il seme, lo spazio dei sentimenti e quello della ragione. Questa logica, che si pretende naturale, fonda l’ordine patriarcale. L’universale umano nasce e resta a lungo saldamente maschile. Un maschile cui vengono iscritte le qualità intrinseche che “giustificano” la gerarchia tra i generi, all’interno della gabbia normativa familiare e nella lunga esclusione delle donne dalla vita pubblica. L’ordine patriarcale si fonda sulla pretesa che la gerarchia sia biologicamente fondata e su questa costruisce una cultura in cui si danno identità costanti, fisse, socialmente definite. La servitù femminile non è stata caratteristica di tutte le culture umane, ma è stata ed è prevalente a tutte le latitudini. La dinamica patriarcale fa si che la gerarchia si riproduca in ogni relazione umana. Spezzare l’ordine patriarcale è necessario ad una trasformazione sociale di segno libertario. Essenzialismo, decostruzione queer e approccio anarchico Con essenzialismo intendiamo la scelta di considerare giuste ed immutabili tipizzazioni di genere del tutto culturali. La critica all’essenzialismo si nutre della decostruzione delle identità di genere. Concepire l’identità, ogni identità, come costruzione sociale, confine mobile tra inclusione ed esclusione, è un approdo teorico che si alimenta della rottura operata dal femminismo e dai movimenti lgbtqia+. La sfida è su più fronti. Sfida allo Stato (etico), al patriarcato reattivo e al capitalismo. Una sfida che non è mera astrazione o suggestione filosofica, ma si attua nel convergere delle lotte, delle prospettive e degli immaginari capaci di dar vita ad una prospettiva inedita. Il sommarsi di diverse cesure identitarie, che spesso coincidono con varie forme di esclusione, permette una contestazione permanente del privilegio nei confronti delle gerarchie di potere. Le “identità sessuali”, anche nel loro farsi storico, non sono un conglomerato concettuale da cui partire, ma semmai la questione stessa. Oltrepassarle per cancellarle è un percorso complesso, perché investe una dimensione del sé che, pur squisitamente culturale, è tanto forte ed introiettata sin dalla nascita da parerci naturale. Al punto che gli stereotipi di genere finiscono con l’essere fatti propri persino da chi rifiuta quello che gli/le è stato assegnato alla nascita. Il costruzionismo queer attua la strategia di decostruire le identità che passano come naturali considerandole invece come complesse formazioni socio-culturali in cui si intrecciano discorsi diversi. Un approccio libertario deve e può andare oltre la decostruzione delle narrazioni che costituiscono le identità di genere, perché vi innesta l’elemento di rottura rappresentato dall’agire politico e sociale di soggetti, che si costituiscono a partire dalle proprie molteplici alterità, rivendicate ed esperite sul piano della lotta. Soggetti capaci di una autonoma produzione di senso, di relazioni, di pratiche sovversive rispetto all’ordine patriarcale, alla logica binaria, alla naturalizzazione delle relazioni sociali. Un percorso importante ma delicato, perché, in modo del tutto paradossale, talora la spinta ad aprire spazi che aspirano al riconoscimento delle cesure discriminanti che segnano le vite di tante persone, finisce con il produrre un cortocircuito identitario. Proviamo a spiegarci meglio. Nessuno meglio di chi vive una discriminazione può renderla intelleggibile a tutt* e promuovere istanze che consentano un percorso di liberazione. Il movimento femminista, quello LGBTQIA+, prendono le mosse dalla presa di parola autonoma, dalla contestazione del linguaggio che marca la gerarchia, dalla frantumazione della materialità dell’oppressione. Se l’universale è maschile, europeo, ricco, eterosessuale, il resto è margine inessenziale, che va sottomesso, negato, asservito e, spesso anche eliminato. Quindi la parola libera di chi era (ed è) la striscia bianca ai lati del grande libro della storia umana è intrisecamente sovversiva. Quando questa parola entra nel discorso pubblico lo modifica in modo radicale: ha un ruolo cruciale nel frantumare ogni logica escludente ed oppressiva. I processi di soggettivazione degli esclusi dall’astratto universale illuminista hanno innescato percorsi trasformativi, in cui le differenze e, quindi, il frantumarsi del soggetto politico borghese, maschio, eterosessuale, ricco, di cultura europea hanno aperto un orizzonte di lotta inedito. Si è trattato di un percorso lungo, non terminato, che purtroppo oggi rischia di perdersi in mille rivoli identitari chiusi in se stessi, incapaci di aspirare collettivamente ad un universale includente. In certi ambiti di movimento la presa di parola ed iniziativa degl* esclus* si declina nella pretesa che la sola parola legittima sia quella di chi vive una discriminazione. Agl* altr* è concesso solo “mettersi in ascolto”. Da qui al negoziare il proprio diritto all’alterità con il riconoscimento acritico di qualsiasi altro percorso identitario, il percorso è breve. Il rischio, evidente, è l’affermarsi di una nuova, più subdola, forma di essenzialismo, che spesso si interseca con una lettura distorta dei percorsi decoloniali, che finisce con il legittimare nazionalismi, comunitarismi, identitarismi religiosi. Su questo terreno è necessario un lungo lavoro di elaborazione teorica e, insieme, una capacità di attraversare gli ambiti transfemministi e queer con proposte e orizzonti di lotta di segno libertario. Femminismi della differenza e transfemminismo I femminismi della differenza sono lo specchio capovolto del dominio maschile. Binarismo ed essenzialismo permangono in questi femminismi, che, pur negando il disvalore delle donne, riproducono al femminile le gerarchie tipiche delle culture fondate sul dominio maschile ed eterosessuale. Il mero afflato paritario sul piano dei diritti si limita a riempire il vuoto, inserire l’eguale, dare corpo al vaso, attenuare la dicotomia tra ragione e sentimento, senza spezzare la logica binaria. Sono femminismi incapaci di cogliere come il patriarcato sia uno dei tasselli che disegnano il mosaico di società basate sulla competizione, lo sfruttamento, la violenza sistemica nei confronti di chi è posto ai margini. Questi femminismi sono facilmente riassorbibili nell’ordine statale e capitalista. Al contrario il transfemminismo all’alba del terzo decennio del secolo esperisce la possibilità di passare dal genere all’individuo, dalla gerarchia sessualizzata alla molteplicità. È un femminismo che, in ogni angolo del pianeta, si deve confrontare con l’estrema violenza della reazione patriarcale, che si traduce sia in gabbie normative, sia in violenza sistemica nei confronti delle identità mobili, irriducibili ad ogni logica binaria. Chi vive al di là e contro i generi, i ruoli, le maschere ha una forza dirompente, perché sbriciola il binarismo e l’essenzialismo. All’interno delle nostre società questi percorsi fanno paura. Per le destre e per le religioni la difesa di identità rigide ed escludenti diviene il centro nevralgico dell’azione politica. Il piedistallo “identitario” è la base che regge la pretesa di disciplinare identità e corpi non conformi. Sanno bene che l’ordine del padre si incrina di fronte alle donne ribelli, alle identità ibride, transeunti, fluide, in viaggio, mutanti, quando l’io diviene approdo di percorsi irriducibilmente individuali ma esperiti nella forza di lotte collettive. La reazione patriarcale Le destre identitarie e sovraniste, sostengono il capitalismo e la divisione in classi, ma li vorrebbero mitigati da un forte stato etico, saldamente fondato sulla famiglia, sulla nazione, sulla religione. Dio, patria, famiglia, un assioma che non disturba gli affari ma rimette in ordine il mondo. A tutte le latitudini del pianeta si attacca la materialità dei percorsi di liberazione che hanno segnato il secolo scorso. La libertà di decidere sulla maternità, l’uso normalizzante della psichiatria, sino alla negazione dell’accesso all’istruzione, al lavoro, alla stessa possibilità di muoversi in autonomia segnano le vite di tanta parte delle donne e delle persone non conformi che vivono su questo pianeta. Vi è profonda assonanza tra le politiche delle destre dell’Occidente “democratico” e quelle dei paesi dove si sono imposte varie forme di fondamentalismo religioso. La “famiglia” come nucleo etico rappresenta l’elemento normalizzatore di “anomalie”, che le lotte delle donne, delle persone omosessuali, asessuali, transgender, hanno reso visibili e pericolose per ogni pretesa di socializzazione autoritaria dei bambini, delle bambine, dei bambinu. Non solo. Oggi il disciplinamento delle donne, specie di quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale. Un “sinistro” essenzialismo Il lutto per le identità forti, smarrite e da ritrovare, attraversa anche certa sinistra, orfana di una narrazione che dia senso al proprio mondo. La deriva identitaria non è mero patrimonio delle destre sovraniste, localiste, fasciste, misogine, omofobe, razziste, perché sfiora anche ambiti di movimento, che si pretendono distanti dall’approccio essenzialista della destra. La reazione alla violenza del capitalismo, all’anomia della merce, alla feroce logica del profitto, alla paura dell’onnipotenza della tecnica rischiano di produrre mostri peggiori di quelli da cui si fugge. L’anarchismo si sta confrontando con un mondo dove ci sono stati cambiamenti epocali. Nel giro di pochi decenni siamo passati dal pallottoliere al web, dalla macchina fotografica alle immagini satellitari, dalle lettere alle chat, dai sorveglianti umani agli occhi elettronici, dal posto fisso alla precarietà strutturale, dal lavoro alla catena alle catene del telelavoro. Un lungo processo di straniamento. Il moloch tecnologico, assunto come nemico totale, ha aperto la strada ad un anarchismo che fugge in un passato immaginario, dove germogli un futuro che nega l’umano, così come si è costruito nel processo di civilizzazione, identificato tout court con la nascita e il consolidarsi della gerarchia, del dominio, della violenza dei pochi sui molti. Il futuro diviene “primitivo”, nel senso etimologico del termine, un tempo-spazio dove si torna al primus, ad una dimensione in cui l’umano si (ri)naturalizza, in una concezione essenzialista e non culturale della “natura”. Una fuga nichilista che riflette l’impotenza di fronte ad una complessità che non si riesce a capire né a controllare: il moloch può essere distrutto solo a prezzo di rinunciare alla libertà, per rifugiarci tra le braccia esigenti e soffocanti della natura-madre. Il processo di rinaturalizzazione dell’umano operato da queste correnti nega i percorsi costruiti dalle identità fluide, disancorate, in viaggio che si reinventano fuori e contro la logica binaria dei generi. Fuggire al dominio della merce, al controllo dello stato, alla paura della tecnica che si ritiene impossibile controllare, porta a negare la diversità e pluralità dei percorsi individuali. Manca la gerarchia formale ma non c’è traccia di libertà. L’unica libertà è quella di adeguarsi ad essere quello che “spontaneamente” saremmo, se le incrostazioni della “civiltà” non si avessero snaturat*. Da qui a negare l’aborto, le tecniche contraccettive non “naturali”, l’utilizzo di ormoni e tecniche chirurgiche per modificare il proprio corpo, il passo è stato breve. La negazione dei percorsi di decostruzione del genere conduce ad approdi non troppo distanti da quelli delle religioni e delle destre fasciste. Le questioni di genere vengono relegate ai margini di un discorso di trasformazione sociale, che, nella migliore delle ipotesi, le considera inessenziali. Universale plurale I corpi fuori norma, i corpi fuori luogo, che scientemente si sottraggono alla logica identitaria, per fare i conti con le cesure che il genere, la classe, la razza hanno imposto ai singoli, sono pericolosamente sovversivi. Le dislocazioni, i transiti e le ricombinazioni che rompono con qualsiasi pretesa di pietrificare le identità, frantumano l’essenzialismo ed aprono una sfida radicale, insuscettibile di riassorbimento in logiche gerarchiche e capitaliste. Lo scarto degl* esclus* non è iscritto nella natura ma nemmeno nella cultura, è solo una possibilità, la possibilità che ha sempre chi si libera: cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi. Nessuna posizione può pretendere di riassumere in se l’oppressione e i relativi percorsi di liberazione, se non divenendo, a sua volta, escludente. In questa prospettiva il relativismo dei posizionamenti, viene superato dall’universalismo della spinta ad una radicale trasformazione della società. L’universale occidentale, costitutivamente escludente e marginalizzante nei confronti di tutt* coloro che non sono considerat* pienamente cittadini (poveri, migranti, donne, soggettività non conformi alla norma etero-cispatriarcale, ecc.), e il relativismo assoluto, sostanzialmente acritico nei confronti di usanze e pratiche spesso pesantemente oppressive, sono due facce della stessa medaglia. Si pongono in posizione equidistante rispetto alla concreta prospettiva di un universale plurale in via di costruzione, che scaturisce dai percorsi di lotta intrapresi dai movimenti. Movimenti in cui hanno un ruolo importante coloro che si soggettivano a partire dalla consapevolezza della propria condizione e sanno, insieme, sperimentare strade in cui ogni gabbia identitaria viene spezzata. Non è mera astrazione, ma la prospettiva concreta del pluriverso, un mondo nel quale convivono più mondi, nel quale sia possibile valorizzare al massimo la diversità nell’uguaglianza, la libertà di tutt* e di ciascun*. Il femminismo libertario e anarchico pone al centro una critica radicale dell’istituito, perché ciascun* attraversi la propria vita con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci. Lo sguardo transfemminista è imprescindibile per un processo rivoluzionario che miri al sovvertimento in senso anarchico dell’ordine sociale e politico in cui siamo forzat* tutt* a vivere. Il percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie. Una scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico. (questo testo è frtto del confronto tra le compagne e i compagni della FAT)
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[2024-10-31] DIGGERS di Alice Gaillard @ Barocchio Squat
DIGGERS DI ALICE GAILLARD Barocchio Squat - Strada del Barocchio 27 - Grugliasco (TO) (giovedì, 31 ottobre 18:30) PRESENTAZIONE DI DIGGERS DI ALICE GAILLARD NAUTILUS AUTOPRODUZIONI Partecipa il curatore dell’edizione italiana Nella baia di San Francisco nella seconda metà degli anni Sessanta esplode la più grande rivolta che gli Stati Uniti d’America hanno vissuto nel XX secolo. Una rivolta contro il militarismo, contro le discriminazioni razziali, contro quelle sessuali, contro un modello di vita votato all’accumulazione di denaro e informato su valori disumanizzanti. A portarla avanti è una generazione che non ne vuole sapere di guerre, di competizione, di discriminazione razziali, che sta provando nella pratica quotidiana a ribaltare questi valori sostituendoli con altri. A contribuire a questo cambiamento partecipano artisti di ogni settore compresi gli attori e in particolare quelli che praticano il teatro di strada. E’ in quest’ambito che nascono i Diggers un gruppo di libertari ed anarchici che teorizzano città libere, praticano la gratuità, il rifiuto della proprietà, della competizione, dell’omologazione ai valori dello Stato. Nel breve volgere di qualche mese riescono a trasformare la rappresentazione scenica in realtà, operando il superamento dello spettacolo in vita vissuta. La città non è più solo un palcoscenico su cui esibirirsi, ma si trasforma in esperimento concreto del cambiamento sociale. 
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TeatroDiStrada
27/09 Tramandare il fuoco. Presentazione e dibattito
Venerdì 27 settembre ore 21 in corso Palermo 46 Tramandare il fuoco. Per un approccio libertario alla questione palestinese. Una critica a essenzialismo e nazionalismo. Interverranno gli autori ed autrici dell’opuscolo Di seguito alcuni stralci del testo: “Quest’opuscolo è frutto di un confronto collettivo durato, a fasi alterne, alcuni mesi. È diviso in tre piccoli saggi, che, sebbene redatti da singol* com­pagn*, sono stati let­ti e rielaborati collet­ti­vamente. Non siamo storici, sociologi, politologi o filosofi e non pre­ten­diamo di esserlo. Siamo antimilitaristi ed anarchici ed è interrogando il no­stro posizio­na­men­to, verificandone costan­te­men­te la va­li­dità interpretativa, che ab­bia­mo lavorato singolar­mente e collettivamente. Quest’opuscolo nasce dalla necessità di immaginare e pra­ti­care una diversa prospettiva politica alla lotta con­tro il genocidio a Gaza. E, più in generale, a tutte le guer­re e ad ogni dinamica escludente. Abbiamo avuto ed abbiamo un’enorme difficoltà ad attraversare i movimenti che sono nati per contrastare il terribile massacro attuato dal governo israeliano nella Striscia di Gaza. Uno scenario in bianco e nero, come certe pellicole dove i buoni sono assolutamente buoni ed i cattivi asso­lu­ta­men­te cattivi. Non è così, non è mai così. E, lo diciamo chiaro, non ci accontentiamo dei grigi: aspi­ria­mo ad una tavolozza ampia, plurale, aperta. Con il passare dei mesi abbiamo temuto che arrivasse l’as­suefazione all’orrore. Già sta accadendo in Ucraina, già avviene nei tanti luoghi del pianeta, dove si consumano tragedie immani nel silenzio dei più. Di un fatto siamo certi, perché rappresenta un orizzonte etico ineludibile. Non ci rassegneremo mai all’inelut­ta­bi­li­tà dei massacri, degli stupri, delle torture. Il nostro impegno non è venuto mai meno, nonostante la no­stra sostanziale estraneità a manifestazioni aperte, se non promosse, da esponenti religiosi e da nazionalisti. Ab­biamo costruito piazze, cortei e momenti di riflessione e lotta contro la fabbricazione ed il commercio di armi, i poligoni e le basi militari, la collusione tra scuola, uni­ver­si­tà e guerra, contro la militarizzazione delle periferie, del­le frontiere, dei cpr… Abbiamo sostenuto disertori ed oppositori in Russia e in Ucrai­na. Abbiamo appoggiato gli anarchici sudanesi che si battono contro i macellai che si contendono il ter­ri­to­rio. Siamo al fianco di chi lotta contro sfruttatori ed op­pres­so­ri nel “proprio” paese, noi lottiamo contro sfruttatori ed oppressori nel “nostro” paese. Noi siamo dalla parte delle vittime. Dalle parte delle bam­bine e dei bambini, degli uomini e delle donne uccise, massacrate, affamate, umiliate. In ogni dove. Sempre. “L’immane massacro della popolazione gazawi e i movimenti di appoggio alla “resistenza” palestinese sviluppatisi nel nostro paese dopo il 7 ottobre 2023 hanno evidenziato crepe che hanno radici profonde, tutte da indagare e comprendere. Ci muove una necessità forte, perché al di là delle peculiarità della questione palestinese, temi quali il nazionalismo, il declino dell’approccio di classe, l’affermarsi di dinamiche identitarie essenzialiste e di una concezione distorta dei processi decoloniali ci interrogano tutti sulle prospettive di un movimento di emancipazione sociale, individuale, politica capace di trasformare l’esistente all’insegna di un concreto affermarsi di libertà, uguaglianza, solidarietà.” Qui potete scaricare leggere e scaricare l’opuscolo qui: https://www.anarresinfo.org/tramandare-il-fuoco-per-un-approccio-libertario-alla-questione-palestinese-una-critica-a-essenzialismo-e-nazionalismo/ Assemblea antimilitarista Federazione Anarchica Torinese corso Palermo 46 Riunioni: ogni martedì alle 20 www.anarresinfo.org
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