Gianni è stato tante cose diverse. Era del 1938. Sua madre partorì in casa a
Mombercelli. Lui era prematuro e gracile: la durezza degli anni della guerra
facevano presagire che non avrebbe passato l’infanzia. Invece “Spinacino” ce ha
fatta. In barba al freddo, alle bombe, alla fame e ai tanti malanni di quei
primi anni, arriverà al 5 febbraio 2025, quando se ne è andato nel sonno.
Lasciato il paese, da cui riporterà il ricordo indelebile degli alberi, delle
foglie, dell’aria di collina, con i genitori e il fratellino si trasferisce a
Torino. Il panorama della città nel primo dopoguerra è segnato dalle macerie
delle case bombardate e dagli alberi dei viali tagliati per fare legna. I soldi
sono pochi e la vita, in due stanze con il ballatoio ed il cesso fuori, è grama.
La scuola sarà per lui un mondo speciale, che amerà sin dai primi anni.
Al punto che sceglierà di fare il maestro. La laurea, che, all’epoca non serviva
per insegnare alle “elementari” come si chiamavano allora, la prenderà anni
dopo, con una tesi di pedagogia libertaria.
A cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta il giovane maestro viene
allontanato dall’insegnamento per cinque lunghi anni, in cui verrà confinato in
un ufficio. Le sue idee erano troppo sovversive.
A quell’epoca la scuola elementare era simile ad una piccola caserma. I bambini
separati dalle bambine, le divise, lo stare sull’attenti, il recitare la
preghiera, l’alzarsi in piedi quando entrava l’autorità, lo stare per ore
immobili, “composti” nei banchi.
Gianni si nutre delle idee e delle esperienze di Celestin Freinet, del nativo
canadese Wilfred Peltier, della scuola pedagogica statunitense.
Gianni, quando arriva in classe si fa dare del tu ai bambini, non li rinchiude
nell’aula, li porta fuori a toccare con mano le cose: il fiume, gli alberi, ma
anche la realtà sociale, quella dei profughi istriani delle Vallette, quella dei
napoletani emigrati in gran numero a Cirié, all’imbocco delle valli di Lanzo,
dove insegnerà a lungo dopo la pausa forzata imposta dal Ministero.
A Cirié, complice una mamma che sapeva riparare le bici, i bambini partono ad
esplorare il territorio per capire la cosa più importante: le domande da fare,
la curiosità che nasce dall’esperienza, il proprio percorso nella vita. Con le
bici Gianni e i suoi bambini arrivano ad invadere la pista dell’aeroporto di
Caselle, per vedere come erano fatti gli aerei, con i quali i più fortunati
partivano per paesi favolosi, che ai ragazzini della Ciriè operaia erano
preclusi. Tante imprese, tanti viaggi, soprattutto viaggi nella realtà sociale,
dove si parla di lavoro e di licenziamenti punitivi. Una volta, con i bambini
occupa l’ufficio del sindaco perché a scuola fa freddo.
Storie di frontiera in una scuola che oggi non è più fatta di autorità e
disciplina anche grazie ai partigiani dei bambini come Gianni Milano.
Lui lo diceva a chiare lettere: “bisogna dar voce ai bambini: sono loro che
decidono come apprendere meglio, e cosa fare”.
Gli ultimi anni a scuola, dove lavorerà per 40 anni, li trascorre a Lanzo dove
insegna alle future maestre.
Quando i suoi capelli sono diventati tutti bianchi, ha continuato a portarli
lunghi e scarrufati, come ai tempi in cui si guadagnò il soprannome
dispregiativo, ma portato con orgoglio, di “maestro capellone”.
Lui non ne parlava più di tanto, ma se date un’occhiata ai libri, alle riviste,
alla storia di quegli anni speciali scoprirete che è stato tra i protagonisti
della cultura beat nel nostro paese.
Era un fricchettone colto, scriveva poesie sulla sua lettera 32. Poesie che
trovate sparse qua e là, di recente molte sono state raccolte in un volume per
le edizioni Fenix.
D’estate, quando le scuole erano chiuse, autostop e via per il mondo. Ma poi
tornava sempre a Torino, che non era più la città bigia e dura dei suoi primi
anni, ma sempre la città in cui si sentiva a casa, all’ombra delle montagne.
Era amico di Fernanda Pivano e di Allen Ginsberg, è stato uno dei protagonisti
della beat generation: pubblica Off Limits (1966), Guru (1967), Prana (1968),
King Kong (1973), Uomo Nudo (Tampax, 1975). È tra i fondatori della
Pitecantropus Editrice, un tentativo di unire le anime della cultura Beat.
Spirito profondamente libertario, specie negli ultimi anni si lega al movimento
anarchico, attraversandone le lotte.
Abitava in fondo a corso Vercelli, a due passi dal Balon, dove lo incontravamo
spesso in occasione di presidi e banchetti. Arrivava e parlava con tutti,
indossando un fazzoletto rosso e nero, spacciando idee e libri. Vivace come un
folletto, mai stanco, nonostante gli anni che passavano ed i nuovi malanni.
Lo ricordiamo in tanti 25 aprile, tanti primi maggi, portare con orgoglio la
bandiera rossa e nera. Anche in valle ha intersecato varie volte le strade dei
cortei e delle lotte, perché in quella lotta popolare, specie in certi anni,
seppe riconoscere il tempo che muta, quando la gente comune, quella che non ci è
avvezza, alza la testa.
Lo conoscevano tutt. Con la sua parlantina sciolta e il suo stile da vecchio
maestro, lo trovavate nei posti dove la gente sceglie di essere protagonista, di
alzarsi in piedi, di costruire da se il proprio cammino.
Eravamo in tanti a salutarlo nel piazzale del Cimitero Maggiore di Torino,
nonostante il freddo e la pioggerellina insistita. Il Cor’Occhio circondato da
bandiere anarchiche, sullo sfondo uno striscione No Tav ha intonato i canti
anarchici e quelli di chi diserta la guerra. Gianni che l’aveva conosciuta fu un
antimilitarista convinto, senza sfumature.
Lo abbiamo ricordato con la musica, le parole, le sue poesie.
In questi tempi grami, con le scuole che rischiano di diventare nuovamente
caserme, il ricordo del maestro capellone, che sfrecciava alla testa della sua
ciurma di bambini liberati dai banchi per la campagna piemontese, resterà
un’ancora che renderà più forte la determinazione a continuare a pedalare per
cambiare il mondo intollerabile in cui siamo forzati a vivere.
Nel lungo percorso attraverso le grandi statue del monumentale siamo arrivati in
una zona povera. Gianni, nato sulla terra, ha scelto di tornarvi. Sulla bara una
bandiera nera e tanti garofani rossi.
Elfo di città, con un cuore contadino, continueremo a vederlo volteggiare a
Torino e in Valle, o al Balon, dove si mescolava con gli anarchici e i
senzapatria.
Ciao Gianni!
I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese
Tag - anarchia
2024. Un anno di lotta nelle piazze, nei quartieri, nei movimenti, negli spazi
sociali.
Per la libertà attraverso la libertà.
Azione diretta, autogestione!
Il video realizzato dal gruppo anarchico Germinal di Trieste.
Universale singolare. Transfemminismo e anarchia
I percorsi di libertà tracciati dalle soggettività tenute ai margini dalla
cultura patriarcale hanno scosso dalle fondamenta un ordine che pareva
immutabile arrivando a spezzarne la logica binaria ed essenzialista.
La logica binaria è quella che divide le persone in base al sesso attribuito
alla nascita cui si pretende corrispondano precise caratteristiche di genere.
Il binarismo implica uno iato tra il più ed il meno, il pieno e il vuoto, il
vaso e il seme, lo spazio dei sentimenti e quello della ragione. Questa logica,
che si pretende naturale, fonda l’ordine patriarcale.
L’universale umano nasce e resta a lungo saldamente maschile. Un maschile cui
vengono iscritte le qualità intrinseche che “giustificano” la gerarchia tra i
generi, all’interno della gabbia normativa familiare e nella lunga esclusione
delle donne dalla vita pubblica.
L’ordine patriarcale si fonda sulla pretesa che la gerarchia sia biologicamente
fondata e su questa costruisce una cultura in cui si danno identità costanti,
fisse, socialmente definite.
La servitù femminile non è stata caratteristica di tutte le culture umane, ma è
stata ed è prevalente a tutte le latitudini.
La dinamica patriarcale fa si che la gerarchia si riproduca in ogni relazione
umana. Spezzare l’ordine patriarcale è necessario ad una trasformazione sociale
di segno libertario.
Essenzialismo, decostruzione queer e approccio anarchico
Con essenzialismo intendiamo la scelta di considerare giuste ed immutabili
tipizzazioni di genere del tutto culturali.
La critica all’essenzialismo si nutre della decostruzione delle identità di
genere. Concepire l’identità, ogni identità, come costruzione sociale, confine
mobile tra inclusione ed esclusione, è un approdo teorico che si alimenta della
rottura operata dal femminismo e dai movimenti lgbtqia+.
La sfida è su più fronti. Sfida allo Stato (etico), al patriarcato reattivo e al
capitalismo. Una sfida che non è mera astrazione o suggestione filosofica, ma si
attua nel convergere delle lotte, delle prospettive e degli immaginari capaci di
dar vita ad una prospettiva inedita.
Il sommarsi di diverse cesure identitarie, che spesso coincidono con varie forme
di esclusione, permette una contestazione permanente del privilegio nei
confronti delle gerarchie di potere.
Le “identità sessuali”, anche nel loro farsi storico, non sono un conglomerato
concettuale da cui partire, ma semmai la questione stessa. Oltrepassarle per
cancellarle è un percorso complesso, perché investe una dimensione del sé che,
pur squisitamente culturale, è tanto forte ed introiettata sin dalla nascita da
parerci naturale. Al punto che gli stereotipi di genere finiscono con l’essere
fatti propri persino da chi rifiuta quello che gli/le è stato assegnato alla
nascita.
Il costruzionismo queer attua la strategia di decostruire le identità che
passano come naturali considerandole invece come complesse formazioni
socio-culturali in cui si intrecciano discorsi diversi.
Un approccio libertario deve e può andare oltre la decostruzione delle
narrazioni che costituiscono le identità di genere, perché vi innesta l’elemento
di rottura rappresentato dall’agire politico e sociale di soggetti, che si
costituiscono a partire dalle proprie molteplici alterità, rivendicate ed
esperite sul piano della lotta. Soggetti capaci di una autonoma produzione di
senso, di relazioni, di pratiche sovversive rispetto all’ordine patriarcale,
alla logica binaria, alla naturalizzazione delle relazioni sociali.
Un percorso importante ma delicato, perché, in modo del tutto paradossale,
talora la spinta ad aprire spazi che aspirano al riconoscimento delle cesure
discriminanti che segnano le vite di tante persone, finisce con il produrre un
cortocircuito identitario.
Proviamo a spiegarci meglio.
Nessuno meglio di chi vive una discriminazione può renderla intelleggibile a
tutt* e promuovere istanze che consentano un percorso di liberazione.
Il movimento femminista, quello LGBTQIA+, prendono le mosse dalla presa di
parola autonoma, dalla contestazione del linguaggio che marca la gerarchia,
dalla frantumazione della materialità dell’oppressione. Se l’universale è
maschile, europeo, ricco, eterosessuale, il resto è margine inessenziale, che va
sottomesso, negato, asservito e, spesso anche eliminato. Quindi la parola libera
di chi era (ed è) la striscia bianca ai lati del grande libro della storia umana
è intrisecamente sovversiva. Quando questa parola entra nel discorso pubblico lo
modifica in modo radicale: ha un ruolo cruciale nel frantumare ogni logica
escludente ed oppressiva.
I processi di soggettivazione degli esclusi dall’astratto universale illuminista
hanno innescato percorsi trasformativi, in cui le differenze e, quindi, il
frantumarsi del soggetto politico borghese, maschio, eterosessuale, ricco, di
cultura europea hanno aperto un orizzonte di lotta inedito. Si è trattato di un
percorso lungo, non terminato, che purtroppo oggi rischia di perdersi in mille
rivoli identitari chiusi in se stessi, incapaci di aspirare collettivamente ad
un universale includente.
In certi ambiti di movimento la presa di parola ed iniziativa degl* esclus* si
declina nella pretesa che la sola parola legittima sia quella di chi vive una
discriminazione. Agl* altr* è concesso solo “mettersi in ascolto”. Da qui al
negoziare il proprio diritto all’alterità con il riconoscimento acritico di
qualsiasi altro percorso identitario, il percorso è breve. Il rischio, evidente,
è l’affermarsi di una nuova, più subdola, forma di essenzialismo, che spesso si
interseca con una lettura distorta dei percorsi decoloniali, che finisce con il
legittimare nazionalismi, comunitarismi, identitarismi religiosi.
Su questo terreno è necessario un lungo lavoro di elaborazione teorica e,
insieme, una capacità di attraversare gli ambiti transfemministi e queer con
proposte e orizzonti di lotta di segno libertario.
Femminismi della differenza e transfemminismo
I femminismi della differenza sono lo specchio capovolto del dominio maschile.
Binarismo ed essenzialismo permangono in questi femminismi, che, pur negando il
disvalore delle donne, riproducono al femminile le gerarchie tipiche delle
culture fondate sul dominio maschile ed eterosessuale.
Il mero afflato paritario sul piano dei diritti si limita a riempire il vuoto,
inserire l’eguale, dare corpo al vaso, attenuare la dicotomia tra ragione e
sentimento, senza spezzare la logica binaria.
Sono femminismi incapaci di cogliere come il patriarcato sia uno dei tasselli
che disegnano il mosaico di società basate sulla competizione, lo sfruttamento,
la violenza sistemica nei confronti di chi è posto ai margini.
Questi femminismi sono facilmente riassorbibili nell’ordine statale e
capitalista.
Al contrario il transfemminismo all’alba del terzo decennio del secolo esperisce
la possibilità di passare dal genere all’individuo, dalla gerarchia
sessualizzata alla molteplicità.
È un femminismo che, in ogni angolo del pianeta, si deve confrontare con
l’estrema violenza della reazione patriarcale, che si traduce sia in gabbie
normative, sia in violenza sistemica nei confronti delle identità mobili,
irriducibili ad ogni logica binaria.
Chi vive al di là e contro i generi, i ruoli, le maschere ha una forza
dirompente, perché sbriciola il binarismo e l’essenzialismo.
All’interno delle nostre società questi percorsi fanno paura. Per le destre e
per le religioni la difesa di identità rigide ed escludenti diviene il centro
nevralgico dell’azione politica. Il piedistallo “identitario” è la base che
regge la pretesa di disciplinare identità e corpi non conformi.
Sanno bene che l’ordine del padre si incrina di fronte alle donne ribelli, alle
identità ibride, transeunti, fluide, in viaggio, mutanti, quando l’io diviene
approdo di percorsi irriducibilmente individuali ma esperiti nella forza di
lotte collettive.
La reazione patriarcale
Le destre identitarie e sovraniste, sostengono il capitalismo e la divisione in
classi, ma li vorrebbero mitigati da un forte stato etico, saldamente fondato
sulla famiglia, sulla nazione, sulla religione. Dio, patria, famiglia, un
assioma che non disturba gli affari ma rimette in ordine il mondo.
A tutte le latitudini del pianeta si attacca la materialità dei percorsi di
liberazione che hanno segnato il secolo scorso. La libertà di decidere sulla
maternità, l’uso normalizzante della psichiatria, sino alla negazione
dell’accesso all’istruzione, al lavoro, alla stessa possibilità di muoversi in
autonomia segnano le vite di tanta parte delle donne e delle persone non
conformi che vivono su questo pianeta. Vi è profonda assonanza tra le politiche
delle destre dell’Occidente “democratico” e quelle dei paesi dove si sono
imposte varie forme di fondamentalismo religioso.
La “famiglia” come nucleo etico rappresenta l’elemento normalizzatore di
“anomalie”, che le lotte delle donne, delle persone omosessuali, asessuali,
transgender, hanno reso visibili e pericolose per ogni pretesa di
socializzazione autoritaria dei bambini, delle bambine, dei bambinu.
Non solo. Oggi il disciplinamento delle donne, specie di quelle povere, è parte
del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Ne è uno
dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per
garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.
Un “sinistro” essenzialismo
Il lutto per le identità forti, smarrite e da ritrovare, attraversa anche certa
sinistra, orfana di una narrazione che dia senso al proprio mondo.
La deriva identitaria non è mero patrimonio delle destre sovraniste, localiste,
fasciste, misogine, omofobe, razziste, perché sfiora anche ambiti di movimento,
che si pretendono distanti dall’approccio essenzialista della destra.
La reazione alla violenza del capitalismo, all’anomia della merce, alla feroce
logica del profitto, alla paura dell’onnipotenza della tecnica rischiano di
produrre mostri peggiori di quelli da cui si fugge.
L’anarchismo si sta confrontando con un mondo dove ci sono stati cambiamenti
epocali. Nel giro di pochi decenni siamo passati dal pallottoliere al web, dalla
macchina fotografica alle immagini satellitari, dalle lettere alle chat, dai
sorveglianti umani agli occhi elettronici, dal posto fisso alla precarietà
strutturale, dal lavoro alla catena alle catene del telelavoro.
Un lungo processo di straniamento.
Il moloch tecnologico, assunto come nemico totale, ha aperto la strada ad un
anarchismo che fugge in un passato immaginario, dove germogli un futuro che nega
l’umano, così come si è costruito nel processo di civilizzazione, identificato
tout court con la nascita e il consolidarsi della gerarchia, del dominio, della
violenza dei pochi sui molti. Il futuro diviene “primitivo”, nel senso
etimologico del termine, un tempo-spazio dove si torna al primus, ad una
dimensione in cui l’umano si (ri)naturalizza, in una concezione essenzialista e
non culturale della “natura”.
Una fuga nichilista che riflette l’impotenza di fronte ad una complessità che
non si riesce a capire né a controllare: il moloch può essere distrutto solo a
prezzo di rinunciare alla libertà, per rifugiarci tra le braccia esigenti e
soffocanti della natura-madre.
Il processo di rinaturalizzazione dell’umano operato da queste correnti nega i
percorsi costruiti dalle identità fluide, disancorate, in viaggio che si
reinventano fuori e contro la logica binaria dei generi.
Fuggire al dominio della merce, al controllo dello stato, alla paura della
tecnica che si ritiene impossibile controllare, porta a negare la diversità e
pluralità dei percorsi individuali. Manca la gerarchia formale ma non c’è
traccia di libertà. L’unica libertà è quella di adeguarsi ad essere quello che
“spontaneamente” saremmo, se le incrostazioni della “civiltà” non si avessero
snaturat*.
Da qui a negare l’aborto, le tecniche contraccettive non “naturali”, l’utilizzo
di ormoni e tecniche chirurgiche per modificare il proprio corpo, il passo è
stato breve.
La negazione dei percorsi di decostruzione del genere conduce ad approdi non
troppo distanti da quelli delle religioni e delle destre fasciste.
Le questioni di genere vengono relegate ai margini di un discorso di
trasformazione sociale, che, nella migliore delle ipotesi, le considera
inessenziali.
Universale plurale
I corpi fuori norma, i corpi fuori luogo, che scientemente si sottraggono alla
logica identitaria, per fare i conti con le cesure che il genere, la classe, la
razza hanno imposto ai singoli, sono pericolosamente sovversivi.
Le dislocazioni, i transiti e le ricombinazioni che rompono con qualsiasi
pretesa di pietrificare le identità, frantumano l’essenzialismo ed aprono una
sfida radicale, insuscettibile di riassorbimento in logiche gerarchiche e
capitaliste.
Lo scarto degl* esclus* non è iscritto nella natura ma nemmeno nella cultura, è
solo una possibilità, la possibilità che ha sempre chi si libera: cogliere le
radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi
percorsi.
Nessuna posizione può pretendere di riassumere in se l’oppressione e i relativi
percorsi di liberazione, se non divenendo, a sua volta, escludente.
In questa prospettiva il relativismo dei posizionamenti, viene superato
dall’universalismo della spinta ad una radicale trasformazione della società.
L’universale occidentale, costitutivamente escludente e marginalizzante nei
confronti di tutt* coloro che non sono considerat* pienamente cittadini (poveri,
migranti, donne, soggettività non conformi alla norma etero-cispatriarcale,
ecc.), e il relativismo assoluto, sostanzialmente acritico nei confronti di
usanze e pratiche spesso pesantemente oppressive, sono due facce della stessa
medaglia. Si pongono in posizione equidistante rispetto alla concreta
prospettiva di un universale plurale in via di costruzione, che scaturisce dai
percorsi di lotta intrapresi dai movimenti. Movimenti in cui hanno un ruolo
importante coloro che si soggettivano a partire dalla consapevolezza della
propria condizione e sanno, insieme, sperimentare strade in cui ogni gabbia
identitaria viene spezzata.
Non è mera astrazione, ma la prospettiva concreta del pluriverso, un mondo nel
quale convivono più mondi, nel quale sia possibile valorizzare al massimo la
diversità nell’uguaglianza, la libertà di tutt* e di ciascun*.
Il femminismo libertario e anarchico pone al centro una critica radicale
dell’istituito, perché ciascun* attraversi la propria vita con la forza di chi
si scioglie da vincoli e lacci.
Lo sguardo transfemminista è imprescindibile per un processo rivoluzionario che
miri al sovvertimento in senso anarchico dell’ordine sociale e politico in cui
siamo forzat* tutt* a vivere.
Il percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione
conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La
solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni
libere, plurali, egualitarie.
Una scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.
(questo testo è frtto del confronto tra le compagne e i compagni della FAT)
DIGGERS DI ALICE GAILLARD
Barocchio Squat - Strada del Barocchio 27 - Grugliasco (TO)
(giovedì, 31 ottobre 18:30)
PRESENTAZIONE DI DIGGERS DI ALICE GAILLARD
NAUTILUS AUTOPRODUZIONI
Partecipa il curatore dell’edizione italiana
Nella baia di San Francisco nella seconda metà degli anni Sessanta esplode la
più grande rivolta che gli Stati Uniti d’America hanno vissuto nel XX secolo.
Una rivolta contro il militarismo, contro le discriminazioni razziali, contro
quelle sessuali, contro un modello di vita votato all’accumulazione di denaro e
informato su valori disumanizzanti. A portarla avanti è una generazione che non
ne vuole sapere di guerre, di competizione, di discriminazione razziali, che sta
provando nella pratica quotidiana a ribaltare questi valori sostituendoli con
altri. A contribuire a questo cambiamento partecipano artisti di ogni settore
compresi gli attori e in particolare quelli che praticano il teatro di strada.
E’ in quest’ambito che nascono i Diggers un gruppo di libertari ed anarchici che
teorizzano città libere, praticano la gratuità, il rifiuto della proprietà,
della competizione, dell’omologazione ai valori dello Stato. Nel breve volgere
di qualche mese riescono a trasformare la rappresentazione scenica in realtà,
operando il superamento dello spettacolo in vita vissuta. La città non è più
solo un palcoscenico su cui esibirirsi, ma si trasforma in esperimento concreto
del cambiamento sociale.
Venerdì 27 settembre
ore 21
in corso Palermo 46
Tramandare il fuoco. Per un approccio libertario alla questione palestinese. Una
critica a essenzialismo e nazionalismo.
Interverranno gli autori ed autrici dell’opuscolo
Di seguito alcuni stralci del testo:
“Quest’opuscolo è frutto di un confronto collettivo durato, a fasi alterne,
alcuni mesi. È diviso in tre piccoli saggi, che, sebbene redatti da singol*
compagn*, sono stati letti e rielaborati collettivamente.
Non siamo storici, sociologi, politologi o filosofi e non pretendiamo di
esserlo.
Siamo antimilitaristi ed anarchici ed è interrogando il nostro
posizionamento, verificandone costantemente la validità interpretativa,
che abbiamo lavorato singolarmente e collettivamente.
Quest’opuscolo nasce dalla necessità di immaginare e praticare una diversa
prospettiva politica alla lotta contro il genocidio a Gaza. E, più in generale,
a tutte le guerre e ad ogni dinamica escludente.
Abbiamo avuto ed abbiamo un’enorme difficoltà ad attraversare i movimenti che
sono nati per contrastare il terribile massacro attuato dal governo israeliano
nella Striscia di Gaza.
Uno scenario in bianco e nero, come certe pellicole dove i buoni sono
assolutamente buoni ed i cattivi assolutamente cattivi.
Non è così, non è mai così.
E, lo diciamo chiaro, non ci accontentiamo dei grigi: aspiriamo ad una
tavolozza ampia, plurale, aperta.
Con il passare dei mesi abbiamo temuto che arrivasse l’assuefazione all’orrore.
Già sta accadendo in Ucraina, già avviene nei tanti luoghi del pianeta, dove si
consumano tragedie immani nel silenzio dei più.
Di un fatto siamo certi, perché rappresenta un orizzonte etico ineludibile. Non
ci rassegneremo mai all’ineluttabilità dei massacri, degli stupri, delle
torture.
Il nostro impegno non è venuto mai meno, nonostante la nostra sostanziale
estraneità a manifestazioni aperte, se non promosse, da esponenti religiosi e da
nazionalisti.
Abbiamo costruito piazze, cortei e momenti di riflessione e lotta contro la
fabbricazione ed il commercio di armi, i poligoni e le basi militari, la
collusione tra scuola, università e guerra, contro la militarizzazione delle
periferie, delle frontiere, dei cpr…
Abbiamo sostenuto disertori ed oppositori in Russia e in Ucraina. Abbiamo
appoggiato gli anarchici sudanesi che si battono contro i macellai che si
contendono il territorio.
Siamo al fianco di chi lotta contro sfruttatori ed oppressori nel “proprio”
paese, noi lottiamo contro sfruttatori ed oppressori nel “nostro” paese.
Noi siamo dalla parte delle vittime. Dalle parte delle bambine e dei bambini,
degli uomini e delle donne uccise, massacrate, affamate, umiliate.
In ogni dove. Sempre.
“L’immane massacro della popolazione gazawi e i movimenti di appoggio alla
“resistenza” palestinese sviluppatisi nel nostro paese dopo il 7 ottobre 2023
hanno evidenziato crepe che hanno radici profonde, tutte da indagare e
comprendere.
Ci muove una necessità forte, perché al di là delle peculiarità della questione
palestinese, temi quali il nazionalismo, il declino dell’approccio di classe,
l’affermarsi di dinamiche identitarie essenzialiste e di una concezione distorta
dei processi decoloniali ci interrogano tutti sulle prospettive di un movimento
di emancipazione sociale, individuale, politica capace di trasformare
l’esistente all’insegna di un concreto affermarsi di libertà, uguaglianza,
solidarietà.”
Qui potete scaricare leggere e scaricare l’opuscolo qui:
https://www.anarresinfo.org/tramandare-il-fuoco-per-un-approccio-libertario-alla-questione-palestinese-una-critica-a-essenzialismo-e-nazionalismo/
Assemblea antimilitarista
Federazione Anarchica Torinese
corso Palermo 46
Riunioni: ogni martedì alle 20
www.anarresinfo.org
IL CARCERE DENTRO E FUORI
Balon - via Vittorio Andreis, 10152 Torino TO, Italia
(sabato, 27 luglio 11:00)
IL CARCERE DENTRO E FUORI
Sabato mattina 27 Luglio al Balon, via Andreis angolo via Borgo Dora
il Cor'okkio inscenera una rappresentazione musicale intramezzata da letture di
canti anarchici di lotte sociali
l tutto accompagnato da cibo e beveraggi benefit perseguitati dalla legge
PRIMO MAGGIO. CONTRO TUTTE LE PATRIE PER UN MONDO SENZA FRONTIERE!
Torino, piazza Vittorio - Piazza Vittorio Veneto, Torino (TO)
(mercoledì, 1 maggio 08:30)
Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere
Mercoledì 1 maggio
ore 8,30 piazza Vittorio
Spezzone rosso e nero
Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori!
Negli ultimi anni i ricchi sono diventati ancora più ricchi, mentre chi era
povero è diventato ancora più povero. E va sempre peggio.
Ovunque si allungano le file dei senza casa, senza reddito, senza prospettive.
Per mettere insieme il pranzo con la cena in tanti si adattano ad una miriade di
lavori precari, sottopagati, in nero, senza tutele.
Ovunque cresce la lista dei morti e dei mutilati sul lavoro: non sono incidenti
ma la feroce logica del profitto che si mangia la vita e la salute di tant*.
Il prezzo di gas e luce è raddoppiato, tanta gente è sotto sfratto o con la casa
messa all’asta. Se non ci sono i soldi per il fitto e le bollette, la tutela
della salute diventa una merce di lusso che possono permettersi in pochi.
La lunga strada della normalizzazione delle lotte sociali, partita da Torino nel
1980, con la sconfitta della resistenza operaia in Fiat, sta arrivando al
proprio epilogo.
La distruzione delle pur esili tutele conquistate negli anni Sessanta e Settanta
va di pari passo con una sempre maggiore repressione delle lotte.
Oggi le questioni sociali sono diventate un affare di ordine pubblico per
schiacciare con la violenza poliziesca ogni accenno di insorgenza sociale.
L’insieme di leggi repressive, che, questo governo, in perfetta continuità con i
precedenti, sta emanando, rischiano di seppellire in galera compagni e compagne
per banali episodi di lotta. Ormai una banale scritta sul muro, un blocco
stradale, un picchetto, un’occupazione, magari coniugati ad uno dei tanti reati
associativi, sono trattati con estrema durezza.
I tanti provvedimenti repressivi messi in campo nell’ultimo decennio per dare
scacco agli indesiderabili, ai corpi in eccesso, ai sovversivi non sono
sufficienti per un governo che ha deciso di mettere sotto controllo l’intera
popolazione.
In periferia l’occupazione militare è diventata normale. Anzi! Ogni giorno è
peggio.
Intere aree dei quartieri poveri vengono messe sotto assedio, con continue
retate di persone senza documenti o che vivono grazie ad un’economia informale.
Torino da città dell’auto si sta trasformando in città dei bombardieri e vetrina
per turisti. Una vetrina che i poveri che passano ore ai giardinetti non devono
sporcare. L’aspirazione ad avere una socialità non mercificata va repressa.
Il governo a tutti i livelli punta il dito sulle persone più povere,
razzializzate, con il continuo ricatto dei documenti, per nascondere la guerra
sociale che ha scatenato contro tutti i poveri, italiani e nati altrove,
schierandosi a fianco dei padroni grandi e piccoli.
Il controllo etnicamente mirato del territorio mira a reprimere sul nascere ogni
possibile insorgenza sociale. Il CPR, la galera amministrativa per senza
documenti, è al pari del carcere, una discarica sociale.
Il governo sperimenta tecniche di controllo sociale prima impensabili, pur di
non spendere un soldo per la casa, la sanità, i trasporti, le scuole.
La spesa militare è in costante aumento, le missioni all’estero delle forze
armate italiane si sono moltiplicate.
I militari fanno sei mesi in missioni militari all’estero, sei mesi per le
strade delle nostre città.
Tante missioni sono in Africa, dove le bandiere tricolori sventolano accanto a
quelle gialle con il cane a sei zampe dell’ENI, la punta di diamante del
colonialismo italiano.
La guerra per il controllo delle risorse energetiche va di pari passo con
l’offensiva contro le persone in viaggio, per ricacciarle nelle galere libiche,
dove torture, stupri e omicidi sono fatti normali.
Il crescente impegno bellico dell’Italia ha fatto lievitare la spesa militare
sino a toccare i 104 milioni di euro al giorno. Con un solo giorno di spese
militari si potrebbe attrezzare di tutto punto un presidio sanitario
territoriale.
Provate ad immaginare quanto migliori sarebbero le nostre vite se i miliardi
impiegati per ricacciare uomini, donne e bambini nei lager libici, per garantire
gli interessi dell’ENI in Africa, per investire in armamenti, per pagare i
militari nelle strade delle nostre periferie fossero usati per scuola, sanità,
trasporti.
Ma immaginare non basta. Occorre mutare paradigma.
Servono cambiamenti radicali. Inutile crogiolarsi nella riproposizione di una
prospettiva welfarista oggi inattingibile. L’illusione welfarista consegna una
delega in bianco allo Stato, che oggi, quando è sotto forte pressione, si limita
a elemosine.
Costruiamo assemblee territoriali, spazi, scuole, trasporti, ambulatori
autogestiti. Ci raccontano la favola che una società complessa è ingovernabile
dal basso mentre ci annegano nel caos della gestione centralizzata e burocratica
delle scuole, degli ospedali, dei trasporti. La logica è quella del controllo e
degli affari. Occorre spezzarla.
È urgente farlo subito. Con l’azione diretta, costruendo spazi politici non
statali, moltiplicando le esperienze di autogestione, costruendo reti sociali
che sappiano inceppare la macchina e rendano efficaci gli scioperi e le lotte
territoriali.
Un mondo senza sfruttati né sfruttatori, senza servi né padroni, un mondo di
liberi ed eguali è possibile.
Tocca a noi costruirlo.
Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista
riunioni – aperte agli interessat* – ogni martedì dalle ore 20 in corso Palermo
46
Giovedì 25 aprile ore 15 alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni, in
corso Giulio Cesare angolo corso Novara dove Ilio cadde combattendo il 26 aprile
1945. Ricordo, bicchierata, fiori, musica. E, dal vivo, Alba&Carenza503 e il
Cor’occhio nel canzoniere anarchico e antifascista (in caso di pioggia, dopo il
ricordo ci si sposterà in corso […]
Emma Goldman: anarchica e femminista Dalle lotte sociali a quelle per la libertà
delle donne, dall’attività editoriale all’opposizione alla guerra tra
emigrazione, lavoro in fabbrica, comizi, carcere ed esilio. Il video
dell’incontro tenutosi venerdì 12 aprile alla FAT di corso Palermo 46 a Torino:
https://www.youtube.com/watch?v=yKlDPRHw3G0 Sono intervenute Selva Varengo e
Luisa Dell’Acqua curatrice e traduttrice […]
L'ANERCHIA IN 100 CANTI. LIBRO E CONCERTO DI ALESSIO LEGA
Federazione Anarchica Torinese - corso Palermo 46
(sabato, 20 aprile 17:00)
L’ANARCHIA IN 100 CANTI
SABATO 20 APRILE
ORE 17
IN CORSO PALERMO 46
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “L’ANARCHIA IN 100 CANTI” E CONCERTO DI ALESSIO LEGA
A SEGUIRE... PASTASCIUTTA, SPRITZ E BIRRETTE
I CANTI ANARCHICI SI INSERISCONO NELLA TRADIZIONE DEL CANTO POPOLARE, CHE È,
ANCHE D’AUTORE, MA PIÙ SPESSO EMERGE DALLE LOTTE, RIPRENDE ARIE GIÀ NOTE, SI
MODIFICA NEL TEMPO, ADATTANDOSI A NUOVI LUOGHI, NUOVI SOGGETTI, NUOVE SFIDE.
É UN FILO ROSSO E NERO CHE NON SI INTERROMPE, OLTREPASSA LE GENERAZIONI E È LA
MEMORIA DI UN MOVIMENTO ORGOGLIOSO DEI SUOI 150 ANNI DI STORIA.
MAI DIVIENE MERO RETAGGIO DEL PASSATO, PERCHÉ È PRATICA VIVA CHE ARRIVA AI
GIORNI NOSTRI CON NUOVI TESTI, NUOVE MUSICHE, NUOVA LINFA.
LE CANZONI ANARCHICHE SI CANTANO PIÙ SPESSO NELLE STRADE CHE NEI TEATRI.
ALESSIO LEGA, CANTAUTORE E CANTORE DELL’ANARCHIA, HA CONTRIBUITO NEGLI ANNI SIA
A MANTENERE VIVA LA MEMORIA SIA AD ARRICCHIRE IL CANZONIERE ROSSO E NERO.
ALESSIO LEGA, GIÀ TARGA TENCO, HA UN’INTESA ATTIVITÀ SIA COME AUTORE E MUSICISTA
SIA COME CURATORE DI ANTOLOGIE DEDICATE ALLA MUSICA POPOLARE, DI LOTTA,
D’AUTORE.
LO INCONTRATE NEI MIGLIORI TEATRI, MA, PIÙ SPESSO, NELLE MANIFESTAZIONI, NELLE
PIAZZE, NEI POSTI DOVE SI INCONTRANO I SUOI COMPAGNI E COMPAGNE.
WWW.ANARRESINFO.ORG