Tag - Sguardi Critici

Transfemminismo. Percorsi e prospettive
Universale singolare. Transfemminismo e anarchia I percorsi di libertà tracciati dalle soggettività tenute ai margini dalla cultura patriarcale hanno scosso dalle fondamenta un ordine che pareva immutabile arrivando a spezzarne la logica binaria ed essenzialista. La logica binaria è quella che divide le persone in base al sesso attribuito alla nascita cui si pretende corrispondano precise caratteristiche di genere. Il binarismo implica uno iato tra il più ed il meno, il pieno e il vuoto, il vaso e il seme, lo spazio dei sentimenti e quello della ragione. Questa logica, che si pretende naturale, fonda l’ordine patriarcale. L’universale umano nasce e resta a lungo saldamente maschile. Un maschile cui vengono iscritte le qualità intrinseche che “giustificano” la gerarchia tra i generi, all’interno della gabbia normativa familiare e nella lunga esclusione delle donne dalla vita pubblica. L’ordine patriarcale si fonda sulla pretesa che la gerarchia sia biologicamente fondata e su questa costruisce una cultura in cui si danno identità costanti, fisse, socialmente definite. La servitù femminile non è stata caratteristica di tutte le culture umane, ma è stata ed è prevalente a tutte le latitudini. La dinamica patriarcale fa si che la gerarchia si riproduca in ogni relazione umana. Spezzare l’ordine patriarcale è necessario ad una trasformazione sociale di segno libertario. Essenzialismo, decostruzione queer e approccio anarchico Con essenzialismo intendiamo la scelta di considerare giuste ed immutabili tipizzazioni di genere del tutto culturali. La critica all’essenzialismo si nutre della decostruzione delle identità di genere. Concepire l’identità, ogni identità, come costruzione sociale, confine mobile tra inclusione ed esclusione, è un approdo teorico che si alimenta della rottura operata dal femminismo e dai movimenti lgbtqia+. La sfida è su più fronti. Sfida allo Stato (etico), al patriarcato reattivo e al capitalismo. Una sfida che non è mera astrazione o suggestione filosofica, ma si attua nel convergere delle lotte, delle prospettive e degli immaginari capaci di dar vita ad una prospettiva inedita. Il sommarsi di diverse cesure identitarie, che spesso coincidono con varie forme di esclusione, permette una contestazione permanente del privilegio nei confronti delle gerarchie di potere. Le “identità sessuali”, anche nel loro farsi storico, non sono un conglomerato concettuale da cui partire, ma semmai la questione stessa. Oltrepassarle per cancellarle è un percorso complesso, perché investe una dimensione del sé che, pur squisitamente culturale, è tanto forte ed introiettata sin dalla nascita da parerci naturale. Al punto che gli stereotipi di genere finiscono con l’essere fatti propri persino da chi rifiuta quello che gli/le è stato assegnato alla nascita. Il costruzionismo queer attua la strategia di decostruire le identità che passano come naturali considerandole invece come complesse formazioni socio-culturali in cui si intrecciano discorsi diversi. Un approccio libertario deve e può andare oltre la decostruzione delle narrazioni che costituiscono le identità di genere, perché vi innesta l’elemento di rottura rappresentato dall’agire politico e sociale di soggetti, che si costituiscono a partire dalle proprie molteplici alterità, rivendicate ed esperite sul piano della lotta. Soggetti capaci di una autonoma produzione di senso, di relazioni, di pratiche sovversive rispetto all’ordine patriarcale, alla logica binaria, alla naturalizzazione delle relazioni sociali. Un percorso importante ma delicato, perché, in modo del tutto paradossale, talora la spinta ad aprire spazi che aspirano al riconoscimento delle cesure discriminanti che segnano le vite di tante persone, finisce con il produrre un cortocircuito identitario. Proviamo a spiegarci meglio. Nessuno meglio di chi vive una discriminazione può renderla intelleggibile a tutt* e promuovere istanze che consentano un percorso di liberazione. Il movimento femminista, quello LGBTQIA+, prendono le mosse dalla presa di parola autonoma, dalla contestazione del linguaggio che marca la gerarchia, dalla frantumazione della materialità dell’oppressione. Se l’universale è maschile, europeo, ricco, eterosessuale, il resto è margine inessenziale, che va sottomesso, negato, asservito e, spesso anche eliminato. Quindi la parola libera di chi era (ed è) la striscia bianca ai lati del grande libro della storia umana è intrisecamente sovversiva. Quando questa parola entra nel discorso pubblico lo modifica in modo radicale: ha un ruolo cruciale nel frantumare ogni logica escludente ed oppressiva. I processi di soggettivazione degli esclusi dall’astratto universale illuminista hanno innescato percorsi trasformativi, in cui le differenze e, quindi, il frantumarsi del soggetto politico borghese, maschio, eterosessuale, ricco, di cultura europea hanno aperto un orizzonte di lotta inedito. Si è trattato di un percorso lungo, non terminato, che purtroppo oggi rischia di perdersi in mille rivoli identitari chiusi in se stessi, incapaci di aspirare collettivamente ad un universale includente. In certi ambiti di movimento la presa di parola ed iniziativa degl* esclus* si declina nella pretesa che la sola parola legittima sia quella di chi vive una discriminazione. Agl* altr* è concesso solo “mettersi in ascolto”. Da qui al negoziare il proprio diritto all’alterità con il riconoscimento acritico di qualsiasi altro percorso identitario, il percorso è breve. Il rischio, evidente, è l’affermarsi di una nuova, più subdola, forma di essenzialismo, che spesso si interseca con una lettura distorta dei percorsi decoloniali, che finisce con il legittimare nazionalismi, comunitarismi, identitarismi religiosi. Su questo terreno è necessario un lungo lavoro di elaborazione teorica e, insieme, una capacità di attraversare gli ambiti transfemministi e queer con proposte e orizzonti di lotta di segno libertario. Femminismi della differenza e transfemminismo I femminismi della differenza sono lo specchio capovolto del dominio maschile. Binarismo ed essenzialismo permangono in questi femminismi, che, pur negando il disvalore delle donne, riproducono al femminile le gerarchie tipiche delle culture fondate sul dominio maschile ed eterosessuale. Il mero afflato paritario sul piano dei diritti si limita a riempire il vuoto, inserire l’eguale, dare corpo al vaso, attenuare la dicotomia tra ragione e sentimento, senza spezzare la logica binaria. Sono femminismi incapaci di cogliere come il patriarcato sia uno dei tasselli che disegnano il mosaico di società basate sulla competizione, lo sfruttamento, la violenza sistemica nei confronti di chi è posto ai margini. Questi femminismi sono facilmente riassorbibili nell’ordine statale e capitalista. Al contrario il transfemminismo all’alba del terzo decennio del secolo esperisce la possibilità di passare dal genere all’individuo, dalla gerarchia sessualizzata alla molteplicità. È un femminismo che, in ogni angolo del pianeta, si deve confrontare con l’estrema violenza della reazione patriarcale, che si traduce sia in gabbie normative, sia in violenza sistemica nei confronti delle identità mobili, irriducibili ad ogni logica binaria. Chi vive al di là e contro i generi, i ruoli, le maschere ha una forza dirompente, perché sbriciola il binarismo e l’essenzialismo. All’interno delle nostre società questi percorsi fanno paura. Per le destre e per le religioni la difesa di identità rigide ed escludenti diviene il centro nevralgico dell’azione politica. Il piedistallo “identitario” è la base che regge la pretesa di disciplinare identità e corpi non conformi. Sanno bene che l’ordine del padre si incrina di fronte alle donne ribelli, alle identità ibride, transeunti, fluide, in viaggio, mutanti, quando l’io diviene approdo di percorsi irriducibilmente individuali ma esperiti nella forza di lotte collettive. La reazione patriarcale Le destre identitarie e sovraniste, sostengono il capitalismo e la divisione in classi, ma li vorrebbero mitigati da un forte stato etico, saldamente fondato sulla famiglia, sulla nazione, sulla religione. Dio, patria, famiglia, un assioma che non disturba gli affari ma rimette in ordine il mondo. A tutte le latitudini del pianeta si attacca la materialità dei percorsi di liberazione che hanno segnato il secolo scorso. La libertà di decidere sulla maternità, l’uso normalizzante della psichiatria, sino alla negazione dell’accesso all’istruzione, al lavoro, alla stessa possibilità di muoversi in autonomia segnano le vite di tanta parte delle donne e delle persone non conformi che vivono su questo pianeta. Vi è profonda assonanza tra le politiche delle destre dell’Occidente “democratico” e quelle dei paesi dove si sono imposte varie forme di fondamentalismo religioso. La “famiglia” come nucleo etico rappresenta l’elemento normalizzatore di “anomalie”, che le lotte delle donne, delle persone omosessuali, asessuali, transgender, hanno reso visibili e pericolose per ogni pretesa di socializzazione autoritaria dei bambini, delle bambine, dei bambinu. Non solo. Oggi il disciplinamento delle donne, specie di quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale. Un “sinistro” essenzialismo Il lutto per le identità forti, smarrite e da ritrovare, attraversa anche certa sinistra, orfana di una narrazione che dia senso al proprio mondo. La deriva identitaria non è mero patrimonio delle destre sovraniste, localiste, fasciste, misogine, omofobe, razziste, perché sfiora anche ambiti di movimento, che si pretendono distanti dall’approccio essenzialista della destra. La reazione alla violenza del capitalismo, all’anomia della merce, alla feroce logica del profitto, alla paura dell’onnipotenza della tecnica rischiano di produrre mostri peggiori di quelli da cui si fugge. L’anarchismo si sta confrontando con un mondo dove ci sono stati cambiamenti epocali. Nel giro di pochi decenni siamo passati dal pallottoliere al web, dalla macchina fotografica alle immagini satellitari, dalle lettere alle chat, dai sorveglianti umani agli occhi elettronici, dal posto fisso alla precarietà strutturale, dal lavoro alla catena alle catene del telelavoro. Un lungo processo di straniamento. Il moloch tecnologico, assunto come nemico totale, ha aperto la strada ad un anarchismo che fugge in un passato immaginario, dove germogli un futuro che nega l’umano, così come si è costruito nel processo di civilizzazione, identificato tout court con la nascita e il consolidarsi della gerarchia, del dominio, della violenza dei pochi sui molti. Il futuro diviene “primitivo”, nel senso etimologico del termine, un tempo-spazio dove si torna al primus, ad una dimensione in cui l’umano si (ri)naturalizza, in una concezione essenzialista e non culturale della “natura”. Una fuga nichilista che riflette l’impotenza di fronte ad una complessità che non si riesce a capire né a controllare: il moloch può essere distrutto solo a prezzo di rinunciare alla libertà, per rifugiarci tra le braccia esigenti e soffocanti della natura-madre. Il processo di rinaturalizzazione dell’umano operato da queste correnti nega i percorsi costruiti dalle identità fluide, disancorate, in viaggio che si reinventano fuori e contro la logica binaria dei generi. Fuggire al dominio della merce, al controllo dello stato, alla paura della tecnica che si ritiene impossibile controllare, porta a negare la diversità e pluralità dei percorsi individuali. Manca la gerarchia formale ma non c’è traccia di libertà. L’unica libertà è quella di adeguarsi ad essere quello che “spontaneamente” saremmo, se le incrostazioni della “civiltà” non si avessero snaturat*. Da qui a negare l’aborto, le tecniche contraccettive non “naturali”, l’utilizzo di ormoni e tecniche chirurgiche per modificare il proprio corpo, il passo è stato breve. La negazione dei percorsi di decostruzione del genere conduce ad approdi non troppo distanti da quelli delle religioni e delle destre fasciste. Le questioni di genere vengono relegate ai margini di un discorso di trasformazione sociale, che, nella migliore delle ipotesi, le considera inessenziali. Universale plurale I corpi fuori norma, i corpi fuori luogo, che scientemente si sottraggono alla logica identitaria, per fare i conti con le cesure che il genere, la classe, la razza hanno imposto ai singoli, sono pericolosamente sovversivi. Le dislocazioni, i transiti e le ricombinazioni che rompono con qualsiasi pretesa di pietrificare le identità, frantumano l’essenzialismo ed aprono una sfida radicale, insuscettibile di riassorbimento in logiche gerarchiche e capitaliste. Lo scarto degl* esclus* non è iscritto nella natura ma nemmeno nella cultura, è solo una possibilità, la possibilità che ha sempre chi si libera: cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi. Nessuna posizione può pretendere di riassumere in se l’oppressione e i relativi percorsi di liberazione, se non divenendo, a sua volta, escludente. In questa prospettiva il relativismo dei posizionamenti, viene superato dall’universalismo della spinta ad una radicale trasformazione della società. L’universale occidentale, costitutivamente escludente e marginalizzante nei confronti di tutt* coloro che non sono considerat* pienamente cittadini (poveri, migranti, donne, soggettività non conformi alla norma etero-cispatriarcale, ecc.), e il relativismo assoluto, sostanzialmente acritico nei confronti di usanze e pratiche spesso pesantemente oppressive, sono due facce della stessa medaglia. Si pongono in posizione equidistante rispetto alla concreta prospettiva di un universale plurale in via di costruzione, che scaturisce dai percorsi di lotta intrapresi dai movimenti. Movimenti in cui hanno un ruolo importante coloro che si soggettivano a partire dalla consapevolezza della propria condizione e sanno, insieme, sperimentare strade in cui ogni gabbia identitaria viene spezzata. Non è mera astrazione, ma la prospettiva concreta del pluriverso, un mondo nel quale convivono più mondi, nel quale sia possibile valorizzare al massimo la diversità nell’uguaglianza, la libertà di tutt* e di ciascun*. Il femminismo libertario e anarchico pone al centro una critica radicale dell’istituito, perché ciascun* attraversi la propria vita con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci. Lo sguardo transfemminista è imprescindibile per un processo rivoluzionario che miri al sovvertimento in senso anarchico dell’ordine sociale e politico in cui siamo forzat* tutt* a vivere. Il percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie. Una scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico. (questo testo è frtto del confronto tra le compagne e i compagni della FAT)
December 27, 2024 / Anarres
Always on the move. Torino: vetrina per turisti e città delle armi
Always on the move Torino. Vetrina per turisti e città delle armi Introduzione Era la capitale dell’auto. L’industria automobilistica era indicata tra le eccellenze cittadine nei cartelli di ingresso alla città. Torino è stata attraversata da due processi trasformativi paralleli: la città vetrina e la città delle armi. Il primo è il fulcro della narrazione pubblica, il secondo viene occultato tra satelliti ed esplorazioni spaziali. La lenta ma inesorabile fuga della Fiat, ormai solo più un marchio per le auto, ha decretato la decadenza e l’impoverimento della città. Sulle macerie di quella storia le amministrazioni comunali degli ultimi vent’anni, hanno provato a costruire, con alterna fortuna, “la città vetrina per i grandi eventi”, una scelta dalle conseguenze politiche e sociali devastanti, perché si è basata su violente dinamiche di controllo sociale ed interventi di riqualificazione escludente, una sempre più netta dinamica di gentrification. Riqualificazione escludente La gentrification è una trasformazione fisica, sociale, economica che per la prima volta è stata osservata a Londra negli anni ’60. All’epoca era un fenomeno sporadico e spontaneo, oggi, a varie latitudini, è una scelta strategica degli attori politici ed economici che governano le città. La gentrification avviene nelle aree urbane, in quartieri centrali o limitrofi al centro città generalmente occupati da fasce popolari. La riqualificazione dell’ambiente urbano e degli edifici rende queste zone appetibili per i ricchi, innescando un aumento dei prezzi degli immobili, degli affitti, dei bar e dei negozi, che provoca l’allontanamento dei poveri che ci abitavano in precedenza. In alcuni casi “l’avanguardia” del cambiamento è costituita da una popolazione di giovani creativi attratti dalla vivacità di certe periferie, la cui stessa presenza accelera la trasformazione dei pezzi di città in cui abitano. Spesso finiscono con il divenire catalizzatori delle scelte di gentrification per poi venire a loro volta espulsi, se non si adattano al ruolo di alternativi da vetrina, utili a mantenere un’aura “esotica”, vagamente bohémienne alle aree investite. Tra loro vengono reclutati i “giovani imprenditori” che si aggiudicano i lavori di restyling e adattamento culturale necessari sia a rendere più “morbida” la transizione, sia a proporre una narrazione più accattivante. Negli anni abbiamo assistito ad un progressivo accrescimento del ruolo dell’attore pubblico e ad un’espansione tanto orizzontale (ovvero la diffusione del fenomeno a livello globale) quanto verticale (la gentrification infatti non investe solo più la dimensione metropolitana ma anche le aree urbane di minore dimensione). Dagli anni ’90 in poi, con la globalizzazione e la fine del sistema fordista, il governo delle città riduce drasticamente il proprio ruolo nella promozione e gestione di servizi pubblici e basa il proprio intervento su logiche orientate principalmente al profitto. Questo scopo viene perseguito sia attraverso gli strumenti urbanistici e la pianificazione, sia attraverso strategie di produzione di beni simbolici quali cultura, intrattenimento e svago. Nei crateri delle grandi fabbriche A Torino il processo di trasformazione, inizialmente molto lento, ha avuto un impatto sociale che è stato possibile percepire solo a posteriori in aree come il quadrilatero romano e, in certa misura, anche San Salvario. Nell’ultimo decennio c’è stata una brusca accelerazione. Le riqualificazioni escludenti che hanno investito alcune zone della città, socialmente periferiche, ma geograficamente vicine al centro, derivano sia dal “vuoto” urbano, dagli immensi crateri lasciati dall’abbandono delle grandi fabbriche, sia dalla spinta alla turistificazione e studentizzazione di intere aree cittadine. Al posto delle fabbriche sono sorti centri commerciali, spazi culturali, centri per esposizioni e congressi, strutture dedicate allo sport. L’emblema del cambiamento è stata la Spina 3, realizzata tra il 1995 e il 2013. Il nuovo “quartiere” è sorto sui terreni occupati fino a due decenni prima dalle Ferriere Fiat, dagli stabilimenti Michelin, Savigliano, Paracchi. L’area ha una superficie di 1.002.956 metri quadrati e rappresenta il principale ambito di trasformazione del Piano regolatore del 1995. Dopo la chiusura delle industrie, che occupavano circa 20.000 operai, il Comune di Torino ha attivato un programma di investimenti per 800 milioni di euro con l’utilizzo di ingenti fondi nazionali ed europei. Il progetto di trasformazione di Spina 3, iniziato con la realizzazione dell’Environment Park su una parte dei terreni delle ex Ferriere Fiat (1997-2005), ha portato alla nascita di un vasto mix funzionale – comprendente residenze, spazi commerciali, uffici, laboratori, centri di ricerca e produzione e spazi per attività ricreative – insieme al recupero e alla rifunzionalizzazione delle Officine Savigliano e degli stabilimenti della Società Paracchi. Numerosi gli interventi e le architetture realizzate nell’area, come il Parco commerciale Dora (Studio Granma, PromoGeCo, 1999-2003) o la chiesa del Santo Volto di Mario Botta (2003-2006). Il cuore dell’operazione su Spina 3 è il Parco della Dora, esito di un concorso internazionale sulla base dei masterplan di Jean-Pierre Buffi e Andreas Kipar. Di quest’operazione hanno goduto soprattutto i privati proprietari delle ex fabbriche. Per l’edilizia abitativa, sacrificata dal consumo di suolo dedicato alle attività commerciali, hanno puntato sulla verticalità, costruendo torri verticali con 4.000 alloggi per circa 12.000 abitanti. Nessun intervento utile alla popolazione residente è stato realizzato. L’unico previsto, un asilo, è stato aperto solo per la pressione attiva della popolazione. Mancano scuole, ambulatori, uffici postali. La trasformazione urbana non risparmia le aree verdi, investite da colate di cemento. Si va dalla Pellerina, dove verrà edificato il nuovo ospedale per l’area nord-ovest della città, agli spazi verdi destinati all’ennesimo supermercato all’ex caserma La Marmora, sino alla costruzione del “Parco dello Sport” al Meisino. Studenti e turisti Un’altra pietra miliare della trasformazione cittadina è il Campus Einaudi inaugurato il 22 settembre del 2012. La nuova struttura universitaria sorta lungo le sponde della Dora ha determinato cambiamenti molto rapidi: i costi di locazione delle case, affittate a student* a prezzi altissimi, la nascita di locali dedicati alla movida giovane, hanno scatenato una reazione a catena che ha investito inizialmente i quartieri Vanchiglia e Aurora, per estendersi a macchia d’olio anche a Barriera di Milano. L’apertura nel 2013 dell’università privata IAAD – Istituto dell’arte applicata e del Design – e, nella medesima area, della Nuvola Lavazza inaugurata nel giugno del 2018, ha impresso una nuova accelerazione alle dinamiche di gentrification di Aurora, secondo una tendenza che vede le amministrazioni comunali arare il terreno che viene poi messo a valore dall’imprenditoria privata. Questo fenomeno non è specifico di Torino. David Harvey, studioso di geografia urbana, ha descritto il passaggio da una città manageriale, che gestisce un budget e lo amministra, a una città imprenditoriale che prepara il tessuto urbano per i vari Combo, Student Hotel, Mercato centrale… Non è più un governo della città che semplicemente gestisce, ma che facilita e apre la strada ad altri attori. L’attuazione di questo tipo di strategie crea polarizzazioni sociali e veri e propri processi di esclusione sociale. La trasformazione urbana sta investendo sia aree ex industriali, sia quartieri abitati in modo significativo da una popolazione razzializzata e povera. Il governo della città ha scelto di non approntare strumenti di attenuazione dell’impatto sociale delle scelte operate, demandandone la gestione alla polizia e ai militari. La violenza istituzionale, la militarizzazione dei quartieri “difficili” diviene sistematica e costantemente narrata secondo gli stilemi “dell’emergenza”, della “sicurezza”, della “paura”. Pulizia urbana Alcune operazioni di “pulizia urbana” sono emblematiche delle scelte operate dalla governance subalpina. Si comincia nel 2005 con lo sgombero di Fenix, Alcova e Rrosalia, piccole palazzine ai giardini Reali, occupate da tempo e luogo di incontro, socialità ed organizzazione politica di diverse aree anarchiche. Le Olimpiadi invernali erano alle porte ed il comune di Torino non poteva permettere che quei posti sporcassero la vetrina che, ogni sera, nel febbraio del 2006, ha scintillato in mondovisione dalla limitrofa piazza Castello. Le operazioni di pulizia politica e sociale non si sono mai interrotte. In quegli stessi anni parte il progetto di “riqualificazione” del Balon, il mercato degli stracci della città, che all’epoca non aveva nessun tipo di regolamentazione. I venditori, alcuni occasionali, ma tanti fissi da decenni, arrivavano nel cuore della notte a piazzare le plance e pezzi di stoffa che delimitavano il “loro” spazio. Qualche volta c’erano contrasti anche duri, ma nessuno coinvolgeva mai la polizia. La “riqualificazione” è stata attuata secondo la regola del divide et impera, cacciando i meno presentabili, quelli che esponevano le loro merci lungo le sponde fangose e sporche della Dora, spostando i fricchettoni nell’allora poco appetibile canale Molassi, ed imponendo a tutt* regole, affitti e controlli sugli spazi. Non fu un’operazione indolore. Molti venditori si organizzarono dando vita a proteste in Comune, intralciando attivamente le operazioni di normalizzazione violenta di uno spazio libero, luogo di aggregazione e socialità informale anche per la sinistra radicale e gli anarchici della città. I venditori più poveri, quelli che vendono merci recuperate nei cassonetti, vennero successivamente relegati all’ex Cimitero degli impiccati, in via San Pietro in Vincoli, un’area isolata ma limitrofa al Balon “storico”. Anche da qui, nel 2019, dopo nove mesi di resistenza allo sgombero, gli straccivendoli vengono cacciati e spostati in un piazzale recintato in via Carcano, un nulla urbano nei pressi del cimitero. Presto anche quest’area potrebbe essere chiusa, segnando l’ultimo capitolo di una guerra ai poveri fatta all’insegna di una riqualificazione urbana, che considera indecorosa la loro presenza. I tanti spazi abitativi e politici occupati nella zona nord della città vengono sgomberati uno dopo l’altro tra il 2019 e il 2023. Stessa sorte capita a tutti gli spazi autogestiti occupati successivamente, cancellati dalla polizia in breve tempo. Lo sgombero delle baraccopoli Tra il 2016 e il 2021 il comune ha sgomberato e distrutto le baraccopoli dove vivevano migliaia di rom, in buona parte immigrati dalla Romania. La violenza istituzionale, di cui sono stati protagonisti, oltre alla polizia, i vigili urbani del nucleo “nomadi” della Città di Torino, è stata “temperata” da associazioni del terzo settore che, lautamente pagate, hanno tentato ed in parte realizzato lo sgombero “dolce” dei baraccati, promettendo case e soldi a chi avesse accettato di andarsene, distruggendo le casette autocostruite in cui vivevano. Il nome evocativo del progetto dedicato alla baraccopoli di Lungo Stura Lazio era “la Città Possibile”. Questo progetto, costato 5 milioni di euro, ha arricchito la cordata guidata da Valdocco, era una truffa. I pochi che riuscirono ad avere una casa a basso prezzo, dopo pochi mesi la dovettero abbandonare perché non potevano pagare i fitti aumentati, altri finirono in luoghi malsani di proprietà del raiss delle soffitte Molino, affittati per i rom dall’associazione AIZO, altri ancora, illusi dalla promessa di denaro, tornarono temporaneamente in Romania. Nel caso di lungo Stura Lazio l’operazione venne rallentata ed in parte inceppata da diverse centinaia di baraccati che scesero in piazza, e infine occuparono una ex caserma in via Asti in parte gestita da Terra del Fuoco, una delle associazioni che aveva gestito e lucrato sullo sgombero della baraccopoli dove vivevano. Nel giro di pochi anni sono stati cacciati e sospinti ancora di più ai margini persone che, in parte vivevano raccogliendo roba vecchia rovistando tra l’immondizia, tra gli scarti ancora utili del capitalismo usa e getta, per venderla al Balon. Privati di un tetto e della possibilità di ricavare un reddito sono stati sospinti più lontano. Invisibili nel grande teatro della città vetrina. I militari per le strade Barriera di Milano, ormai da anni, è divenuta un laboratorio dove sperimentare tecniche di controllo sociale prima impensabili, pur di non spendere un soldo per la casa, la sanità, i trasporti, le scuole. Da gennaio 2024, su richiesta della circoscrizione di destra, parte dei 6.500 militari dell’operazione “Strade Sicure”, è stata destinata in Barriera di Milano, dove attuano un controllo etnicamente mirato del territorio a fianco di polizia e carabinieri. Da aprile, dopo le pressanti richieste delle circoscrizioni di sinistra, i militari dell’operazione “strade sicure” sono anche ad Aurora e San Salvario. Ad Aurora stazionano sul ponte Mosca, a due passi dal Balon, di fronte al cantiere dello Student Hotel, albergo/studentato di lusso, vicino alla scuola Holden, scrittura creativa a svariate migliaia di euro al mese di retta. Ed il cerchio si chiude. Operazioni cosmetiche La violenza poliziesca che investe gli indesiderabili politici e sociali non è accompagnata da investimenti che attenuino le difficoltà di chi vive nei quartieri in corso di trasformazione e non riesce a pagare fitti, mutui, bollette, e non può neppure permettersi di tutelare la propria salute, messa a repentaglio dai processi di privatizzazione, che hanno trasformato la salute in merce a caro prezzo. Semmai si foraggiano associazioni e cooperative “amiche” perché trasformino la povertà in esotismo per turisti, intercettando e trovando complicità tra la nascente borghesia immigrata e nel fitto sottobosco clientelare delle associazioni e delle cooperative del sociale. Non solo. Vengono promossi progetti che, sotto il cappello della riqualificazione, hanno come obiettivo il controllo del territorio. É stato il caso di ToNite. Un’iniziativa del comune di Torino nell’ambito del programma “European Urban Initiative”, che, utilizzando il Fondo Europeo di sviluppo regionale, ha messo insieme progetti diversi diretti alla vita notturna lungo la Dora tutti accomunati dall’intento esplicito di “aumentare la sicurezza percepita” da parte dei nuovi abitanti della zona, che – per ora – devono convivere con i vecchi residenti. Bene comune Torino, da decenni, a parte la parentesi pentastellata, è governata dalla sinistra, che sul piano nazionale si trova all’opposizione con scarse chance di uscirne presto. Da qui operazioni di restyling di immagine come quella recentemente promossa dalla Fondazione di Comunità di Porta Palazzo. La Fondazione, uno dei soggetti più attivi tra Barriera ed Aurora, ha di recente promosso un Community Land Trust in una palazzina di corso Giulio Cesare, al numero 34. I promotori del progetto scrivono, “Il Community Land Trust (CLT) è un modello di gestione della proprietà immobiliare che sottrae le unità abitative dal mercato speculativo per creare un mercato immobiliare sociale e fare del suolo un bene comune. L’obiettivo è facilitare l’accesso all’abitazione per persone o famiglie con bambinə a basso reddito o con difficoltà nell’ottenere prestiti bancari, contrastando la gentrificazione del quartiere.” Apparentemente un progetto dal sapore accattivante. Peccato che i soggetti coinvolti siano sottoposti ad una serie di obblighi e ricatti, in nome del “bene comune”. Chi vivrà in quella palazzina avrà la proprietà della casa ma non dei terreni: sarà ostaggio del trust, cui è obbligato a vendere se non riesce a pagare il mutuo. Un esempio della pericolosa contaminazione tra la dolce narrativa della sinistra istituzionale ed operazioni dall’agro sapore del business e del controllo sociale. Innegabilmente, a differenza di altre, questa è un’operazione abile. Un’operazione che dichiara esplicitamente di voler contrastare la gentrification, realizzando una riqualificazione includente. Peccato che per poter essere inclusi nel recinto dorato del Bene Comune occorra essere disponibili ed esservi reclusi. Una vetrina incrinata Torino, al contrario di Milano, che ha oltrepassato brillantemente i processi di deindustrializzazione della fine del secolo scorso, non riesce ad uscire dal pantano del dopo Fiat. I grandi eventi come il salone del libro, l’Eurocontest di tre anni fa, le ATP Finals, etc, attraggono migliaia di visitatori, riempiono alberghi e ristoranti ma sinora non sono stati la chiave destinata ad aprire una porta sul futuro immaginato dai padroni della città. “Always on the move” “sempre in movimento”, lo slogan coniato dall’amministrazione Chiamparino per le olimpiadi invernali del 2006, finite con impianti abbandonati e debiti, è l’emblema di una città dove, always on the move ci sono le migliaia di lavoratori precari sempre in moto per mettere insieme il pranzo con la cena. Industria bellica Torino è uno dei centri dell’industria bellica aerospaziale. Sono 350 le aziende grandi e piccole con un fatturato di circa 8 miliardi di euro. Il settore delle armi è un importante cavallo di battaglia sul quale scommettono le amministrazioni locali e l’imprenditoria subalpina. Il progetto di Città dell’Aerospazio e l’approdo in città di un acceleratore di innovazione della NATO ne sono l’indicatore più chiaro. Il definitivo declino del settore dell’automotive ha innescato un processo di riconversione che si è indirizzato verso l’industria bellica. Il passaggio da 20 a 35mila addetti non ha aumentato l’occupazione, ma è frutto del travaso dall’industria dell’auto a quella delle armi. Travaso destinato ad aumentare dopo il taglio dei finanziamenti all’automotive deciso dal governo nel 2024. La nascita, nel 2019, del Distretto Aerospaziale Piemontese ha segnato un’accelerazione per l’industria bellica aerospaziale nella nostra regione. Il Distretto Aerospaziale Piemontese svolge un compito di promozione, coordinamento ed affiancamento delle attività delle industrie del settore. Sino alla sua promozione a ministro della Difesa il DAP era guidato da Guido Crosetto: oggi a suo posto c’è Fulvia Quagliotti che ne sta ricalcando le orme. Per cogliere l’importanza di questo organismo di governance è sufficiente dare un’occhiata alla lista dei soci del DAP, in cui spiccano attori politici, industriali e poli della ricerca e della formazione. Nel consiglio direttivo del DAP, oltre alla presidente Quagliotti, designata dalla Regione Piemonte, e ai due vicepresidenti Giacomo Martinotti (in quota Regione), e Marco Silvano (per le aziende associate) ciascuno degli altri membri è stato indicato da industrie del settore o associazioni industriali. Mercato delle armi A Torino, ogni due anni si tiene l’Aerospace and defence meetings, che nel 2023 è arrivato alla nona edizione, con un incremento di scambi e partecipazioni rispetto all’edizione record del 2021. La convention si è tenuta dal 28 al 30 novembre 2023, come di consueto negli spazi dell’Oval Ligotto. centro congressi facente parte delle strutture nate sulle ceneri del complesso industriale dell’ex Fiat. La mostra-mercato è un evento chiuso riservato agli addetti ai lavori: fabbriche del settore, esponenti delle forze armate, organizzazioni internazionali, rappresentanti dei governi e compagnie di contractor. All’edizione del 2023 hanno partecipato 400 aziende, 1400 tra acquirenti, venditori e rappresentanti di governi. Il vero fulcro della convention sono stati gli incontri bilaterali per stringere accordi di cooperazione e vendita: nel 2021 ce ne furono oltre 7.500, lo scorso anno sono saliti a 9.000. All’Oval sono stati allestiti alveari di uffici, dove sono stati sottoscritti accordi commerciali per le armi che distruggono intere città, massacrano civili, avvelenano terre e fiumi. L’industria aerospaziale produce cacciabombardieri, missili balistici, sistemi di controllo satellitare, elicotteri da combattimento, droni armati per azioni a distanza. All’Aerospace and defence meetings si giocano partite mortali per milioni di persone in ogni dove. Tra gli sponsor ospiti del meeting spiccano la Regione Piemonte e la Camera di Commercio subalpina. Settima nel mondo e quarta in Europa, con un giro d’affari di oltre 16.4 miliardi di euro, 47.274 addetti l’industria aerospaziale è un enorme business di morte. Buona parte delle aziende italiane dell’aerospazio si trova in Piemonte. I settori produttivi sono strettamente connessi con le università, in primis il Politecnico, e altri settori della formazione. In Piemonte, ci sono ben cinque attori internazionali di primo piano: Leonardo, Avio Aero, Collins Aerospace, Thales Alenia Space, ALTEC. Gran parte delle industrie mondiali di prima grandezza hanno partecipato alla biennale dell’aerospazio: Airbus, Avic, Aernnova Aerospace, Boeing, Comac, Dell, Embraer, IHI Corporation, Lockheed Martin, Mahindra Aerostuctures, MBDA, Mitsubishi, Nanoracks Europe, Nikon, Northrop Grumman, SAAB, Poeton Polska, SKF Industrie, Superjet International, Tei-Tusas Engine Industries. Erano presenti tutti i 7 cluster aerospaziali italiani: la Lombardia, la Campania, il Lazio, l’Umbria, la Puglia e il Veneto e il Piemonte, la cui delegazione era la più ampia con 75 imprese e 11 startup. Nel testo di presentazione la Camera di Commercio scriveva che l’industria bellica aerospaziale “è un comparto strategico, grazie a un ecosistema caratterizzato da una forte collaborazione tra enti, mondo imprenditoriale e ricerca scientifica e a una filiera completa composta da grandi player e oltre 450 PMI che registra un fatturato complessivo che supera 8 miliardi di euro e impiega oltre 35.000 addetti”. Nonostante questo le “supply chain” sono ancora un anello debole di Leonardo, I ricavi globali della vendita di armi sono in costante aumento. La produzione di armi non riesce a stare dietro all’aumento della domanda. Nel 2022, con l’attacco russo all’Ucraina, la domanda globale di armi e dispositivi d’arma ha registrato un forte aumento e le aziende europee e statunitensi non sono riuscite a stare al passo. La guerra stessa ha determinato la crescita dei costi di produzione e numerose interruzioni della catena di approvvigionamento. É stata, purtroppo, una crisi di crescita, che Leonardo, per quanto riguarda il settore dei velivoli da guerra, affronta puntando sull’innovazione tecnologica, sulla ricerca e sul rinnovamento dei siti produttivi. Città dell’aerospazio La Città dell’aerospazio, un centro di eccellenza per l’industria bellica aerospaziale promosso dal colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino, sorgerà tra corso Francia e corso Marche. Nell’ottobre del 2022 Leonardo ha ceduto in comodato d’uso al Politecnico gli spazi della palazzina 37 dell’ex Alenia. Una foglia di fico per salvare la faccia al Politecnico che, nei fatti, accelera il processo di integrazione nel complesso militare industriale accingendosi a trasferire parte della ricerca in una struttura di proprietà di Leonardo. Nei fatti quest’impresa è rimasta ferma ai blocchi di partenza dal novembre 2021, quando ne venne annunciata la costruzione all’ottavo Aerospace and Defence Meetings. La campagna di informazione e lotta fatta negli ultimi anni dall’Assemblea Antimilitarista è riuscita a far emergere dall’opacità un progetto che mira a trasformare la nostra città in polo ad alta tecnologia per lo sviluppo dell’industria bellica. Il focus della ricerca è il miglioramento dell’efficienza dei micidiali strumenti già oggi capaci di distruggere il pianeta. Gli attori istituzionali, in primis la Regione Piemonte, ed i rappresentanti delle principali industrie hanno provato a minimizzare la vocazione squisitamente bellica della Città dell’Aerospazio. Ma non saranno certo le nebbie del “dual use” (militare e civile) o l’immaginario dei viaggi spaziali a nascondere la realtà. Lo dimostrano le dichiarazioni di Marco Zoff, capo divisione velivoli di Leonardo: «Siamo qui per condividere una ambizione, vogliamo portare in questi spazi la ricerca e lo sviluppo di alcuni dei programmi industriali nei quali Leonardo è impegnato, l’Eurodrone, le tecnologie dei sistemi senza pilota e il caccia del futuro. Per farlo abbiamo bisogno di uno spazio dove fare ricerca e sviluppo e questo della Città dell’aerospazio è un tassello fondamentale sulla strada che ci porterà a sviluppare nuovi progetti su questo territorio». Non è detto che questa ambizione sarà facilmente soddisfatta. Il 28 novembre 2023, mentre gli antimilitaristi bloccavano l’ingresso dell’Oval ai partecipanti all’Aerospace and defence meetings, clandestinamente, nell’area dell’ex Alenia una ruspa abbatteva un pezzo di muro. Secondo i media questo sarebbe stato il segnale di avvio della costruzione della Città dell’Aerospazio. Nessuna traccia del ministro Crosetto che un mese prima aveva annunciato la propria presenza. Un segno delle incertezze che ancora gravano sul progetto: Leonardo non trova privati disposti ad investire. Non per caso nelle ultime dichiarazioni fatte alla stampa emerge che il Politecnico sarà il “soggetto attuatore del progetto” che, assicura Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, il suo Gruppo “sosterrà”. Da protagonista a sostenitore? Cingolani appare decisamente prudente. Per ora di certo ci sono soltanto i 12mila mq di laboratori che saranno di pertinenza del Politecnico, un intervento da poco più di 40 milioni finanziato dalla Regione (15 milioni) e dai fondi del Pnrr (17 milioni), col sostegno del Politecnico di Torino per coprire gli extracosti. Siamo ben lontani dal budget necessario a coprire l’intera operazione. Un anno dopo, nell’autunno del 2024, è stato nuovamente annunciato l’avvio dei lavori in corso Marche, facendo comunque riferimento alla demolizione della palazzina la cui area è destinata al Politecnico. La NATO a Torino La Città dell’Aerospazio ospiterà anche un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della NATO. Questo progetto, partito nel giugno 2021 a Bruxelles, si inserisce nel programmi di innovazione tecnologica della NATO per il 2030. Compito del polo di Torino è quello di coordinare e gestire, attraverso bandi e fondi messi a disposizione dai Paesi alleati, una rete di aziende e start up italiane, per metterla al servizio delle necessità dell’Alleanza. In attesa della costruzione della Città dell’aerospazio l’acceleratore di innovazione ha sede alle OGR. In questo progetto la NATO investe un miliardo di dollari. Una montagna di soldi utilizzati per produrre tecnologie sempre più sofisticate, sempre più mortali. L’Alleanza Atlantica seleziona aziende e start up che hanno il compito di concretizzare i programmi di innovazione tecnologica della NATO per il 2030. Le OGR OGR Torino è stato aperto nel 2019: la ristrutturazione delle ex Officine Grandi Riparazioni è costata 100 milioni di euro. OGR è un grande spazio di 35 mila metri quadri a forma di “H” in corso Castelfidardo con con due missioni: da una parte ospitare mostre ed eventi di arte contemporanea, dall’altra diventare un luogo dell’innovazione. In questo la Torino vetrina e la Torino delle armi entrano in contatto, condividendo il medesimo cortile. Se una delle due “gambe” dell’H si chiama OGR Cult, l’altra è OGR Tech, un salone di 200 metri di lunghezza e 13 di altezza attraversato dal cosiddetto “boulevard”, che ai suoi lati ospita 14 programmi di accelerazione. Tra questi c’è uno dei Leonardo Labs, che effettuano ricerche in ambito bellico. Si tratta, scrive Leonardo, di “Hub tecnologici dedicati alla ricerca e allo sviluppo delle tecnologie di frontiera e breakthrough. Una rete di laboratori di ricerca e sviluppo interconnessa con università, politecnici, centri di ricerca e imprese partner, per un ecosistema dell’innovazione in costante evoluzione. I laboratori sono il motore propulsivo dell’innovazione, massimizzando la prossimità con i principali siti industriali di Leonardo e con i territori di riferimento.” Alle OGR si incontrano la città della tecnologia bellica e quella degli eventi artistici. Tempest, il nuovo cacciabombardiere Dulcis in fundo. il 14 dicembre 2023 i governi italiano, giapponese e britannico hanno sottoscritto l’accordo sul Global Combat Air Programme, che prevede la progettazione e realizzazione, da parte di Leonardo, Mitsubishi e BAE Systems, di un nuovo cacciabombardiere, destinato a sostituire l’Eurofighter e l’F35. In questo modo viene garantito un futuro anche allo stabilimento Alenia di Caselle Torinese, che terminate le commesse per gli Eurofighter, si rinnoverà per i nuovi, ancor più mortali, velivoli da guerra. La Città dell’Aerospazio e l’acceleratore di innovazione della NATO sono appoggiate attivamente dal governo della città, da quello della Regione e da Confindustria. I diversi attori imprenditoriali e politici sostengono il progetto giocando la carta del ricatto occupazionale, in una città sempre più povera, dove arrivare a fine mese è ancora più difficile, dove salute, istruzione, trasporti sono sempre più un privilegio per chi può pagare. É una logica perversa quella che vede nell’industria bellica il motore che renderà più prospera la nostra città. Un’economia di guerra produce solo altra guerra. Contrastare la nascita del nuovo polo bellico a Torino non è mera opposizione etica alle guerre capitaliste ed imperialiste, ma anche un passaggio necessario a ripensare lo spazio urbano e chi ci vive, come luogo di negazione delle dinamiche gerarchiche sottese all’opaca città dell’aerospazio ed alla scintillante vetrina dei grandi eventi. Federazione Anarchica Tprinese Assemblea Antimilitarista – Torino I quaderni di Anarres Novembre 2024 Scarica qui il pdf: opuscolo always on the move
November 29, 2024 / Anarres
Contro la svolta autoritaria, per la rivoluzione sociale
La stretta securitaria imposta dal DDL 1660 è un ulteriore tassello nel mosaico repressivo del governo. Colpi sempre più duri a chi lotta nei CPR e nelle carceri, a chi si batte contro gli sfratti, a chi occupa, a chi fa scritte su caserme e commissariati, a chi fa un blocco stradale, a chi fa azioni di picchetto e blocco sui luoghi di lavoro, a chi sostiene e diffonde idee sovversive. La logica di classe e di repressione verso chi lotta è connaturata con l’ordinamento giudiziario democratico: i provvedimenti adottati da questo governo la rendono sempre più spudorata e violenta. Questo ddl si inserisce nel solco già aperto da altri provvedimenti (i decreti rave, Cutro, immigrazione, Caivano) che mirano a colpire i poveri, gli stili di vita non conformi, gli stranieri senza documenti. Le misure contro la socialità non mercificata, quelle contro i profughi e i migranti, l’affondo verso i giovani, la repressione dei movimenti di lotta sono le architravi del progetto repressivo del governo. Quest’insieme di nuove leggi rende sempre più forti i poteri di polizia, riducendo le pur esili tutele alla libertà di espressione, movimento, opposizione sociale. Il grosso aumento delle pene, la meticolosa scelta dei soggetti da colpire e di quelli da tutelare ne sono il segno distintivo. Più galera per molti, ma non per tutti, perché la trama dei vari provvedimenti di Meloni è esplicitamente politica e di classe. Non solo. Molte misure sono ritagliate su misura su soggetti specifici, individuati come nemici da colpire. Si passa dallo stereotipo razzista della borseggiatrice rom sempre incinta alla legge che impedisce di usufruire della sospensione della pena fino al compimento del primo anno di età del bambino o della bambina. Si parte dalla criminalizzazione dei movimenti climatici, sociali e sindacali e si stabilisce la galera per chi fa un blocco stradale non violento, per chi traccia scritte su edifici istituzionali, per chi resiste ad uno sfratto. Le lotte nelle carceri e nei CPR vengono perseguite in modo più duro perché chi le attua è dipinto come costitutivamente criminale, illegale, fuori norma. A questo governo non basta massacrare di botte, privare di ogni dignità, seppellire in carcere chi da vita a rivolte nei luoghi di reclusione. Questo governo vuole mettere a tacere qualunque protesta, introducendo nell’ordinamento un reato collettivo, equiparato a quelli di mafia e terrorismo, che persegue anche le azioni non violente come lo sciopero della fame. Si alimenta l’allarme sociale contro chi occupa o resiste ad uno sfratto e poi si disegna una legge per reprimere chi cerca di prendersi un posto dove vivere. Dalla criminalizzazione pubblica dell’opposizione politica e sociale scaturisce il reato di “terrorismo della parola”. L’opposizione parlamentare, che vede scendere in piazza anche settori spesso conniventi con pratiche repressive, alla Camera si è limitata a proporre di assumere più poliziotti e secondini. Evidentemente, più della sostanza del provvedimento, alla “sinistra” parlamentare interessa intercettare il consenso delle forze dell’ordine, che grazie al DDL 1660 stanno per acquisire nuovi privilegi e tutele. Questi dispositivi si configurano come diritto penale del nemico, pur mantenendosi in una cornice universalista. Il diritto penale del nemico è informato ad una logica di guerra. In guerra i nemici vanno annientati, ridotti a nulla, privati di vita, libertà e dignità. Per il nemico non valgono le tutele formali riservate ai cittadini. Quando la logica bellica si applica al diritto, alcuni gruppi umani vengono repressi per quello che sono più che per quello che fanno. L’intera azione dell’esecutivo è informata a questo principio. Un principio sulle cui fondamenta sono stati costruiti i lager nazisti e i gulag staliniani. La definizione del “nemico” interno è squisitamente politica ed è appannaggio di chi detiene il potere di decidere chi mantiene le prerogative del “cittadino” e chi ne è privato perché considerato individualmente e collettivamente incompatibile con il nuovo ordine che il governo sta costruendo. Un ordine che non ha neppure bisogno delle famigerate “leggi eccezionali” del 1926 per colpire la libertà di scioperare, di scrivere e dire la propria, di lottare per casa, salute, libertà, dignità. Le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all’interno di una società. Oggi i fascisti al governo si sentono forti e giocano tutte le carte a loro disposizione per assicurarsi il totale controllo politico e il disciplinamento sociale. Il governo effettua una manovra a tenaglia, muovendosi contemporaneamente su più fronti. Oltre al piano squisitamente repressivo, Meloni punta ad una riforma istituzionale che renda ancora più forte l’esecutivo, e persegue un’egemonia culturale, che vede la scuola, i media e il territorio come spazi di conquista. Il fascismo sta tornando. Usano la cornice democratica per dare una secca svolta autoritaria al paese: segno che la democrazia è solo illusione di libertà e giustizia sociale. Fermarli è possibile. Occorre rinforzare le reti ed i movimenti che si battono contro la svolta autoritaria e, insieme, mantenere fermo l’impegno contro la guerra, il militarismo, il patriarcato, le frontiere, lo sfruttamento, la devastazione ambientale, il nazionalismo. Il tempo è ora. La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana
October 6, 2024 / Anarres
Tramandare il fuoco. Per un approccio libertario alla questione palestinese. Una critica a essenzialismo e nazionalismo
Tramandare il fuoco Per un approccio libertario alla questione palestinese. Una critica a essenzialismo e nazionalismo Introduzione Quest’opuscolo è frutto di un confronto collettivo durato, a fasi alterne, alcuni mesi. È diviso in tre piccoli saggi, che, sebbene redatti da singol* com­pagn*, sono stati let­ti e rielaborati collet­ti­vamente. Abbiamo scelto di mantenere lo stile peculiare […]
July 24, 2024 / Anarres
Video. Dall’ordine americano al grande caos: scenari di guerra globale
Dall’Ucraina a Gaza, dal Sudan all’Armenia, dal mar Rosso a Taiwan Il video dell’incontro con Stefano Capello del 24 maggio 2024 alla Federazione Anarchica Torinese in corso Palermo 46. Guerre di portata planetaria ci stanno portando sull’orlo della terza guerra mondiale. La spirale pare inarrestabile: il conflitto Russia Ucraina rischia di deflagrare in tutta Europa. […]
June 13, 2024 / Anarres
2 giugno. Disertori di tutte le guerre
Ogni 2 giugno la Repubblica celebra sé stessa con esibizioni militari, parate e commemorazioni. Una “festa” nazionalista e militarista. Il governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, i “sacri” confini, l’esaltazione della guerra. Come ogni anno le cerimonie militari del due giugno servono a giustificare enormi spese militari, l’invio delle armi e l’impegno diretto […]
May 26, 2024 / Anarres
La tragica commedia dei G7 a Venaria
Il vertice dei G7 su ambiente ed energia è andato in scena nella cornice della reggia sabauda di Venaria. Venaria è un paese dell’hinterland torinese: intorno ad un centro storico che nacque come collare della reggia, c’è il classico sobborgo di periferia che preme sulla tangenziale, per un lungo tratto attraversato pericolosamente da tralicci dell’alta […]
May 5, 2024 / Anarres
Video. Anarchia e decolonialità
L’incontro di venerdì 22 marzo 2024 Verso un’idea non nazionalista della decolonizzazione. Un universale plurale emerge nella concretezza dei percorsi di lotta. É intervenuto Federico Ferretti, geografo, docente all’università di Bologna. Il concetto di decolonialità è molto citato negli ultimi anni ma non sempre compreso. Manca soprattutto un’elaborazione di questa idea che la separi da […]
March 30, 2024 / Anarres