Domenica 2 Novembre all’ora di colazione, nel carcere di Bronzefield nella città
di Ashford a sud del Regno Unito, i primi due prigionieri in sciopero della fame
di Prisoners for Palestine, Qesser Zuhrah e Amu Gib, hanno rifiutato il cibo.
Questo gesto ha segnato l’inizio del primo sciopero della fame a ciclo continuo,
che coinvolge un gruppo di prigionieri e prigioniere accusate di azioni dirette
contro l’industria bellica inglese.
Il 20 Ottobre era già stato inoltrato al Ministro dell’Interno, tramite il
gruppo Prisoners for Palestine, un documento contenente le rivendicazioni delle
persone in stato di arresto e l’annuncio dell’imminente sciopero.
Nessuna risposta, ad oggi, è ancora pervenuta dalle autorità.
Sono sei le persone attualmente in sciopero nel Regno Unito (Qesser Zuhrah, Amu
Gib, Heba Muraisi, Jon Cink, THoxha e Kamran Ahmed, ad esse si è aggiunto un
compagno anarchico – Luca Dolce detto Stecco – prigioniero nel carcere di
Sanremo.
I prigionieri sono membri rispettivamente dei gruppi denominati Filton 24 e
Brize Norton 5 e sono detenuti in carcere, senza condanna, accusati di aver
preso parte a due azioni distinte, rivendicate dal gruppo Palestine Action.
Filton 24 è l’appellativo utilizzato per il gruppo di attivisti incarcerati per
un raid di Palestine Action (riportato nel video precedente) nel centro di
ricerca, sviluppo e produzione del più grande produttore di armi
israeliano, Elbit System, situato a Filton, Bristol, nell’Agosto 2024. In 6
furono arrestati sul posto, ma in seguito, mentre erano sotto custodia della
polizia, sono stati nuovamente arrestati ai sensi della legislazione
antiterrorismo, che ha consentito alle autorità di prolungare il periodo di
detenzione. Nei mesi successivi, in una serie di raid all’alba, altri 18
attivisti ricondotti allo stesso gruppo furono arrestati, alcuni anche insieme a
familiari, che furono poi rilasciati.
Brize Norton, invece, è il nome del gruppo accusato di aver spruzzato vernice
rosso sangue su due aerei Voyager noleggiati dalla RAF. La base di Brize Norton
è quella che ha svolto funzione di hub di trasporto e rifornimento per i voli
diretti alla RAF di Akrotiri a Cipro, da dove vengono inviati voli giornalieri
per lo spionaggio a Gaza.
Qui, tradotta in italiano, un audio intervista ad un’attivista di Prisoners for
Palestine che racconta come si sta e si è organizzata la solidarietà per i
prigionieri e le prigioniere e attraverso quali iniziative e con quali obiettivi
continuerà la campagna antirepressiva nel Regno Unito.
LA DICHIARAZIONE DI AMU GIB: “Sono in sciopero della fame perché il mio corpo è
stato messo sotto custodia dello Stato, ma ho ancora il dovere di lottare per la
libertà dall’oppressione…
Come possiamo stare in prigione, aspettando che il cappio si stringa intorno al
nostro collo per opporci al genocidio?
Come potrei non agire, mentre i bambini vengono assassinati nella più completa
impunità da uno Stato sionista genocida?
Distogliere lo sguardo dagli orrori non impedirà che accadano e dobbiamo
affrontare la realtà. Dovremmo forse sorridere e chiedere gentilmente la nostra
clemenza a un “sistema giudiziario” fondamentalmente corrotto dal sionismo?”
Attualmente ci sono 33 prigionieri detenuti in custodia cautelare nelle carceri
britanniche per azioni legate alla Palestina. Da quando Palestine Action è stata
dichiarata fuorilegge dal governo britannico come organizzazione “terroristica”,
oltre 2000 persone sono state arrestate in Inghilterra e Galles, principalmente
per aver esposto cartelli con la scritta “MI OPPONGO AL GENOCIDIO. SOSTENGO
PALESTINE ACTION”. La maggior parte è stata arrestata durante le proteste di
massa organizzate da Defend Our Juries.
“L’incarcerazione di attivisti in base a poteri antiterrorismo non è un abuso
della legge, ma piuttosto è lo scopo per cui queste leggi sono state create.
L’antiterrorismo è sempre stato uno strumento per mettere a tacere il dissenso e
criminalizzare coloro che sfidano la violenza dello Stato. Questo sciopero della
fame mette a nudo la continuità tra il passato coloniale della Gran Bretagna e
la sua attuale repressione” ha dichiarato Anas Mustapha, responsabile della
difesa pubblica presso CAGE International, organizzazione che sta supportando
legalmente e pubblicamente lo sciopero.
Dal 2012, Elbit si è aggiudicata 25 appalti pubblici nel Regno Unito per un
totale di oltre 355 milioni di sterline. Ora, il Ministero della Difesa si sta
preparando a firmare un contratto da 2,7 miliardi di sterline con Elbit, che la
designerebbe come “partner strategico” e che le consentirebbe di addestrare
60.000 soldati britannici ogni anno. Alla luce del ruolo svolto nel paese
dall’azienda leader nella produzione bellica, tra le rivendicazioni dei
prigionieri e delle prigioniere in sciopero della fame spicca la chiusura degli
stabilimenti Elbit e l’oscuramento dei suoi siti.
Rimandando al sito del gruppo Prisoners for Palestine e dell’organizzazione CAGE
International per aggiornamenti sullo sciopero della fame e le iniziative a
sostegno dei e delle prigioniere, condividiamo alcune informazioni ad
integrazione e approfondimento dell’intervista.
Tag - azione diretta
Crisi climatica e azione diretta
Strumenti di ricerca, misurazione, analisi e lotta
Venerdì 31 gennaio
ore 21 alla FAT
corso Palermo 46 Torino
Interverrà il fisico Andrea Merlone, Dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale
di Ricerca Metrologica (INRiM) e ricercatore associato all’Istituto di Scienze
Polari del CNR.
Che sia in atto un cambiamento climatico con un’accelerazione senza precedenti,
da quando il pianeta è abitato da forme di vita strutturate in comunità è un
dato ormai privo di dimostrazioni opposte. Le estese analisi e i risultati cui è
pervenuto il lungo lavoro della comunità climatologica portano a una conclusione
unica: il clima sta cambiando a una velocità tale per cui le forme di vita
vegetali e animali (inclusa quella umana) vengono poste in seria difficoltà di
adattamento. Adattamento fisico, chimico, biologico, sociale e migratorio sono a
rischio, sottoposti a forzanti indotte dalla produzione industriale, alimentare
e trasportistica sempre più energivora.
Variazioni di concentrazioni di elementi (CO2 in primis in atmosfera e nei mari)
e pochi gradi in più di aumento delle temperature atmosferiche, marine e del
suolo portano a collassi repentini e imprevedibili in un sistema regolato da
equilibri stabili ma altrettanto caotici. Ricerche e studi sul clima, mai
abbastanza supportati e sovvenzionati rispetto ad altre discipline tecnologiche
e belliche, basano le loro analisi su una comunità di ricerca competente,
distribuita e in continuo contatto e confronto. La stessa comunità che produce
le decine di migliaia di analisi e pubblicazioni costantemente analizzate, in
modo critico e rigoroso da iniziative mondiali in seno alle Commissioni
internazionali di climatologia della World Meteorological Organization (WMO),
dal Global Climate Observing System (GCOS) e dall’International Panel on Climate
Change (IPCC).
Lontano dall’essere in mano a lobby di interesse, come talvolta anche sostenuto
all’interno di alcuni movimenti e pensieri che sfociano in un pericoloso
negazionismo a priori, scienziati e autori IPCC vengono sovente screditati. Il
caso forse più eclatante sono le COP: alla 28 edizione (Dubai 2023) il
presidente ha sostenuto che non vi è alcuna evidenza circa la necessità di
ridurre al massimo aumento di 1,5 °C l’innalzamento della temperatura media,
rispetto ai valori pre-industriali, riducendo sino all’eliminazione l’utilizzo
dei combustibili fossili. Del resto, se a presiedere una COP viene nominato il
Sultano Al Jaber, CEO della compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi, è
il minimo che ci si possa attendere. Replica puntuale un anno dopo, alla COP29,
dove l’Arabia Saudita senza portare controprove solide, ha categoricamente
negato la validità dei lavori dell’IPCC. Esternazioni ormai sdoganate senza
vergogna, di stampo negazionista e reazionario, simili al rifiorire di
esternazioni di stampo fascista e nazista cui si assiste quotidianamente su
tante altre questioni a livello nazionale e internazionale. È un ulteriore
allarme che segnala l’urgenza diiniziative improcrastinabili di risposta
culturale e di azione collettiva e individuale.
Un problema di origine capitalista non può avere una soluzione capitalista.
Il riscaldamento globale e la sua accelerazione sono causati principalmente
dalle emissioni collegate alle attività umane: industriali, di trasporto e
alimentari. Tre fattori strettamente legati all’impulso-compulsivo verso
l’impraticabile crescita infinita. Che in politica ed economia siano ancora
presenti indici matematici e numerici che vedono la crescita della produzione,
del consumo e del capitale come un fattore indispensabile al benessere
collettivo è indice di come il capitalismo, al pari delle religioni, sia
riuscito a introdurre dogmi utili a indirizzare le classi dirigenti e guidare
comportamenti decisionali e scelte collettive. La necessità di azioni di
mitigazione, osteggiata nei primi momenti sia dalla finanza sia dalla
cittadinanza, è ormai un fatto che il capitalismo ha imparato a cavalcare con
agilità e destrezza. Al pari delle religioni, si “evangelizza” la persona e il
“decision making” verso comportamenti virtuosi che incrementano astutamente e
con tempismo il giro di affari del “green”. Con due risultati di rilievo:
aumentare la produzione e convincere il “consumatore” di avere fatto una cosa
giusta e di tenerci all’ambiente. Si vedano le sempre maggiori operazioni di
“green washing” sbandierate da quasi tutte le multinazionali.
Il capitalismo quindi si sostituisce al non-decisionismo politico, dal quale
però trae legittimità normativa, offrendo soluzioni e strategie di mitigazione:
i continui cambi di categoria nei mezzi di trasporto che, con l’aiuto di
limitazioni nella circolazione di categorie precedenti, portano a sbarazzarsi di
veicoli perfettamente funzionanti verso l’acquisto imposto di nuovi modelli; la
pur benvenuta elettrificazione sposta solo il problema, con costi accresciuti e
a carico dell’utenza, data la cronica assenza di sistemi di produzione elettrica
non clima-alteranti; le tassazioni crescenti e capillari che coinvolgono
chiunque possieda un sistema di riscaldamento o di piccola produzione
artigianale; fittizi miglioramenti delle classi energetiche degli edifici che
portano a declassare immobili più vecchi, portando fuori parametro e
conseguentemente fuori mercato piccole case e borghi facilmente recuperabili (se
non dove il restauro è per pochi e porta a trasformare antiche dimore in beni di
lusso); e molto altro.
Azioni “green” che se da un lato portano un contributo minimo a ridurre gli
impatti diretti clima-alteranti, dall’altro causano effetti “indiretti” ben più
gravi: la sostituzione di un veicolo funzionante ma meno “prestante” in termini
di inquinamento con uno elettrico è accompagnata da impatti ambientali (consumo
di risorse, trasporti, generazione di gas clima alteranti) certamente superiore
a quanto emesso portando a reale fine vita il veicolo esistente. Considerazione
applicabile alla quasi totalità delle iniziative, ma ovviamente ben celata.
Lontana dal porre in atto serie azioni di mitigazione, l’azione capitalistica è
così improntata per natura ad accrescere e aggravare il problema, rifiutando
sistematicamente qualsiasi inversione nei livelli di produzione e consumo. Il
rallentamento della crescita sino a una sua sostenibile inversione è così
l’unica soluzione seriamente adottabile, pur insieme a transizioni energetiche
condivise, per avviare concrete ed efficaci contromisure immediate. Una
consapevolezza che deve permeare l’azione diretta individuale e di gruppo e non
essere relegata a pochi movimenti e alcuni “portavoce” politici o ad alta
notorietà.
Il cambiamento climatico richiede azioni chiare e urgenti piani di mitigazione.
Ed è altrettanto urgente aumentare il dissenso verso i governi che voltano le
spalle a un problema ora quotidianamente avvertito sia a livello globale che
locale, rilanciando l’azione autogestita e diretta.
Misurare il clima che cambia
Comprendere il clima e i suoi mutamenti, locali e globali, richiede metodi di
calcolo e grandi quantità di dati. Sono proprio i dati l’ingrediente principale
di ogni studio climatologico: sia che si tratti di serie storiche, attraverso le
quali ricostruire un’evoluzione rispetto al passato, sia che si osservino
fenomeni recenti e in tempo reale, soprattutto nel caso di eventi estremi. La
capacità di valutare e quantificare il mutamento del clima dipende così dalla
qualità dei dati che provengono da moltitudini di misure di parametri diversi.
Alle tradizionali misure meteorologiche ora si sono aggiunte diverse
osservazioni marine, glaciali, nel terreno e in alta atmosfera. Uno sforzo
scientifico senza distinzione di nazione o area geografica, che vede centinaia
di ricercatori collaborare da discipline diverse: fisica dell’atmosfera,
chimica, geologia, agronomia, biologia e metrologia. Con un percorso che parte
dai laboratori di Torino, andremo a presentare strumenti e stazioni di misura,
da quelle urbane all’alta montagna, dalla base artica all’Everest. Senza entrare
in dettagli ingegneristici, accenneremo ai diversi strumenti che quotidianamente
forniscono dati, sempre più affidabili, che riportano in modo chiaro come
l’accelerazione del mutamento del clima sia un fenomeno perfino sottostimato.
Un accenno a cosa può fare ognuno di noi per misurare e osservare fenomeni
climaticamente rilevanti sarà anche parte della discussione.
Andrea Merlone, fisico, è Dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Ricerca
Metrologica (INRiM) e ricercatore associato all’Istituto di Scienze Polari del
CNR. Si occupa di misure accurate di temperatura, avendo contribuito alla
definizione del Kelvin e alla realizzazione di metodi sperimentali e strumenti
scientifici. Da oltre un decennio si promuove studi e progetti sulle misure
termiche per la climatologia e il miglioramento dei dati utili a comprendere il
riscaldamento globale. Ha partecipato a diverse missioni, dalla piramide al
campo base Everest, alle stazioni in Artico, dagli studi in alta montagna alle
grotte. E’ autore di oltre 120 articoli su riviste scientifiche e presiede il
comitato di esperti sulle misure di temperatura per l’ambiente della World
Meteorological Organization (Agenzia delle Nazioni Unite per il clima e
l’ambiente), di cui è delegato alla Commissione Climatologica.
www.anarresinfo.org
A Trieste, nel popolare quartiere San Giacomo, c’è un’ex osteria, uno degli
edifici più vecchi del rione, risale al 1870 ed è anche segnalato nel catalogo
dei beni di pregio della città. Nella parte interna c’è un grande giardino con
un campo da basket coperto. Il giardino è stato ristrutturato con soldi pubblici
nel 2014. […]