Continua in Cisgiordania la pulizia etnica da parte dei coloni e l’esercito
contro i residenti palestinesi con un crescendo che fa supporre una prossima
annessione.
Ad ottobre si sono registrati 264 attacchi di coloni israeliani contro
palestinesi: il numero più alto da quando l’Onu ha iniziato il monitoraggio.
Alberi bruciati, strade chiuse, case colpite da incursioni notturne, auto date
alle fiamme. La stagione della raccolta delle olive, momento comunitario in cui
si consolida il legame dei palestinesi con la terra , è stata quella più
colpita. Circa 150 attacchi, 140 feriti, oltre 4.200 alberi distrutti. Per molti
villaggi, quegli alberi sono il principale sostegno economico. Perderli
significa perdere mesi di lavoro e parte del reddito annuale. Nelle zone rurali,
come a Masafer Yatta, i contadini sono cacciati dai loro campi, pastori
inseguiti da gruppi di coloni armati, tende bruciate, greggi disperse. Nei campi
profughi,a Tulkarem o Jenin le incursioni militari sono quotidiane. Secondo
l’Ufficio Onu per i diritti umani dal 7 ottobre 2023 mille palestinesi sono
stati uccisi in Cisgiordania , uno su cinque era un bambino.
Continuano le demolizioni di abitazioni palestinesi, migliaia di famiglie sono
costrette ad andare via senza poter prendere niente vittime dell’operazione
“muro di ferro” lanciata dagli israeliani il 21 gennaio scorso .
Pochi giorni fa Human Rights Watch ha pubblicato il suo ultimo rapporto sulla
Cisgiordania. Un documento che ricostruisce le operazioni militari dei mesi
scorsi nei campi profughi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams. Secondo
l’organizzazione, circa 32.000 persone sono state costrette a lasciare le loro
case tra gennaio e febbraio. Molti edifici sono stati demoliti, altri resi
inabitabili. Le testimonianze parlano di evacuazioni rapide, annunciate da droni
che sorvolavano i tetti ordinando di uscire. Le famiglie hanno raccontato di
aver preso ciò che potevano in pochi minuti, senza alcuna certezza di poter
tornare.
I gruppi di resistenza a Jenin e Tulkarem sono stati duramente colpiti con
uccisioni ed arresti anche ad opera dell’ANP che partecipa attivamente insieme
all’IDF alla repressione della resistenza .
Le restrizioni alla mobilità aumentano deviazioni obbligate e attese ai
checkpoint che si moltiplicano, i tempi di percorrenza raddoppiano, talvolta
triplicano. Per andare al lavoro, per raggiungere la scuola, per arrivare in
ospedale: ogni percorso è un calcolo di rischio, di orario, di strade possibili.
Molti lavoratori hanno perso i permessi per entrare in Israele da cui dipendeva
il reddito familiare; altri li rinnovano mese dopo mese senza alcuna garanzia.
Nelle aree agricole, i contadini si trovano spesso davanti a cancelli chiusi
senza preavviso. Intere porzioni di terra vengono dichiarate zone militari
temporanee, bloccando la raccolta dell’olio o impedendo l’accesso ai campi
durante i giorni del raccolto.
Ci aggiorna sulla situazione una compagna che si trova in Cisgiordania.
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Il cosiddetto “piano Trump”, oggi avallato anche dall’ONU, continua a essere
presentato come una soluzione politica per il “conflitto israelo-palestinese”,
ma nella realtà consolida la logica di colonizzazione e di dominio che soffoca
la popolazione palestinese. Nel frattempo, l’esercito israeliano intensifica gli
attacchi contro Gaza e il Libano, mentre la situazione umanitaria in Palestina
precipita verso condizioni insostenibili.
Il governo italiano, nel frattempo, rilancia il tentativo di frenare le grandi
mobilitazioni del 28 settembre e del 3-4 ottobre con il DDL Gasparri: un
provvedimento che punta a usare la definizione di “antisemitismo” come clava per
colpire chi critica il sionismo, le politiche genocidarie di Israele, le
complicità del governo italiano e il generale clima di guerra che si sta
costruendo in Europa. Criminalizzare le posizioni anti-sioniste significa
colpire direttamente i movimenti che, in queste mobilitazioni, hanno sostenuto
la resistenza del popolo palestinese.
In un simile scenario, il movimento internazionale di solidarietà con la
resistenza palestinese non può rallentare. Anche per questo, domenica 23
novembre, al Centro sociale G. Costa di Bologna, la rete “Liberi/e di lottare –
contro lo stato di guerra e di polizia”, insieme a realtà studentesche,
insegnanti e collettivi di movimento, convoca un’assemblea nazionale contro il
DDL Gasparri e contro la guerra in Palestina. Ne parliamo con Pietro Basso,
della rete “Liberi/e di lottare”.
Lunedì 17 novembre alle Nazioni Unite si è votato il famigerato Board of Peace
sulla striscia di Gaza: con 13 sì e l’astensione di Russia e Cina viene
approvato il piano di 20 punti Trump-Netanyahu.
Così il tycoon ottiene la delega formale esecutiva e politica per la gestione
della striscia e di fatto la restaurazione delle sfere d’influenza nella
regione. Non a caso l’interlocuzione tra Trump e Mohammad Bin Salman di martedì
18 ha visto segnare un ulteriore punto verso gli Accordi di Abramo e la
normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele.
L’istituzione di una governance estera sui territori della striscia, la
demilitarizzazione completa e … sono alcuni dei punti principali con cui si
sigla la piena negazione di autodeterminazione per il popolo palestinese e si
rende la logica di guerra un modello di amministrazione dall’alto. Assenti
invece in maniera quasi totale meccanismi che limitino l’agency di Tel Aviv: non
vi sono riferimenti alla fine dell’occupazione israeliana, né attribuzioni di
responsabilità per i 70 mila morti ufficiali (per quanto uno studio di The
Lancet denunci cifre che si aggirano attorno a 186.000) e tanto meno meccanismi
di monitoraggio della gestione.
Il tentativo di deportazione di 153 palestinesi in Sudafrica – bloccato dal
paese il cui ministro degli esteri ha dichiarato “Riteniamo che l’arrivo del
gruppo faccia parte di un piano più ampio per trasferire i palestinesi in varie
regioni del mondo” e che “Il Sudafrica è fermamente contrario a questo piano di
espulsioni e non è disposto ad accettare nuovi voli”-, ci dimostra come l’esito
di questa riorganizzazione territoriale non prevederà mai un ritorno a casa dei
palestinesi.
Continua l’inasprirsi dei bombardamenti in Libano, che hanno visto solo nella
giornata di ieri almeno 15 palestinesi (25 secondo fonti non ufficiali) uccisi
dall’aviazione aerea a Ein El Hilwe, alla periferia di Sidone. E anche in
Cisgiordania, i coloni sotto scorta dell’esercito israeliano procedono
all’attacco sistematico dei contadini e dei raccolti, non sono mai cessate le
uccisioni e procede il progetto di divisione in due della West Bank con
l’intento di impedire qualsiasi unità territoriale palestinese.
Ne parliamo con Eliana Riva, caporedattrice di Pagine Esteri:
Il Coordinamento Novara per la Palestina e altre realtà locali hanno organizzato
per sabato 15 novembre una manifestazione che partirà dal centro città di Cameri
per poi giungere sino alla base militare di Cameri in provincia di Novara
composta dall’aeroporto militare e da due stabilimenti Leonardo. E’ interessante
ritracciare la storia di questo territorio e degli sviluppi che hanno portato
alla costruzione di nuovi stabilimenti per ampliarne la produzione.
Riprendiamo dal comunicato del Coordinamento Biellesi per la Palestina Libera
alcuni dati importanti: lo stabilimento FACO di Cameri, tra i principali siti
italiani di produzione militare, Leonardo Spa assembla i velivoli F-35 destinati
all’Italia e all’Olanda. FACO si distingue anche in quanto centro europeo di
manutenzione della flotta di F-35 e fornitrice di cassoni alari per questi
stessi caccia usati in diversi teatri di guerra che insanguinano il pianeta.
La decisione del governo italiano di acquistare 25 nuovi F-35 (al momento sono
90) è una delle voci che incideranno sull’aumento della spesa militare (34
miliardi per il 2026) a discapito della sicurezza sanitaria e sociale proprio in
una fase storica di stridenti disuguaglianze.
Ne abbiamo parlato con un’attivista del coordinamento di Novara
Di seguito pubblichiamo il Comunicato del Coordinamento Novara per la Palestina
IL 15 NOVEMBRE 2025
A CAMERI MANIFESTAZIONE PER LA RICONVERSIONE
DELLE “FABBRICHE DI MORTE” IN FUCINE DI PACE
Sabato 15 novembre 2025, a Cameri (NO), cittadini e gruppi di attivisti
antimilitaristi e solidali con la Palestina, il Sudan e tutti i popoli oppressi,
scenderanno in piazza per denunciare il ruolo dello stabilimento FACO — gestito
da Leonardo Spa. — nella produzione e manutenzione dei cacciabombardieri F-35,
strumenti di guerra utilizzati in teatri di conflitto che insanguinano il
pianeta, tra cui Gaza.
L’iniziativa, promossa dal Coordinamento Novara per la Palestina, prevede un
presidio a Cameri in Piazza Alighieri alle ore 13.00, seguito da un corteo fino
ai cancelli dello stabilimento FACO, situato all’interno della base militare di
Cameri.
La popolazione e i lavoratori di Cameri sono invitati a scendere in piazza per
supportare la richiesta di riconversione dello stabilimento e per rigettare il
ricatto di chi impone alle persone oneste di produrre strumenti di morte di cui
non hanno nemmeno contezza, in violazione ai principi etici espressi nella
Costituzione italiana e dalla Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo.
Presso lo stabilimento FACO (Final Assembly and Check Out), tra i principali
poli europei di produzione bellica, si assemblano gli F-35 per l’Italia e
l’Olanda, si effettua manutenzione per tutta la flotta europea e si producono
cassoni alari utilizzati in missioni di guerra. Nonostante la narrazione
ufficiale parli di “sicurezza” e “innovazione”, indagini indipendenti hanno
documentato il coinvolgimento di Leonardo Spa — controllata per il 30% dallo
Stato italiano — in:
* forniture di componenti per bombardamenti su Gaza,
* esportazioni triangolate che aggirano la legge 185/1990 sul controllo delle
armi,
* vendita, nel 2012, a Israele di 30 aerei M-346 usati per addestrare piloti a
colpire obiettivi nei territori occupati.
Il governo italiano ha recentemente annunciato l’acquisto di ulteriori 25 F-35,
portando il totale a 90 unità, e un aumento della spesa militare a 34 miliardi
nel 2026, con l’obiettivo di raggiungere i 100 miliardi nei prossimi anni.
Queste risorse vengono sottratte a sanità, scuola, welfare e transizione
ecologica, in un paese già segnato da disuguaglianze stridenti.
Perciò il Coordinamento chiede:
* il boicottaggio delle aziende coinvolte in genocidi ed ecocidi,
* la riconversione civile delle fabbriche belliche,
* la costruzione di un modello di difesa non armata, basato su diritti,
solidarietà e giustizia globale.
A Cameri come a Gaza, si gioca la stessa battaglia: quella per la dignità
umana contro la macchina della guerra.
PROGRAMMA DELLA GIORNATA
* 13.00 – Ritrovo in Piazza Alighieri
* 13.40 – Momento musicale con il gruppo Farfahiina
* 14.00 – Intervento in differita di Antonio Mazzeo su Leonardo Spa
* 14.30 – Partenza del corteo verso i cancelli dello stabilimento
* 15.00 – Arrivo ai cancelli: momento di raccoglimento per le vittime di tutte
le guerre e flash mob
Chiediamo a tutti di portare cartelli, strumenti musicali, oggetti per fare
rumore.
Sono sconsigliati fumogeni, petardi e bandiere di partito. Lo stabilimento è
all’interno di una base militare: il corteo sarà pacifico e vigilato da
volontari per la sicurezza.
Coordinamento Novara per la Palestina
prochannel@protonmail.com
Domenica 2 Novembre all’ora di colazione, nel carcere di Bronzefield nella città
di Ashford a sud del Regno Unito, i primi due prigionieri in sciopero della fame
di Prisoners for Palestine, Qesser Zuhrah e Amu Gib, hanno rifiutato il cibo.
Questo gesto ha segnato l’inizio del primo sciopero della fame a ciclo continuo,
che coinvolge un gruppo di prigionieri e prigioniere accusate di azioni dirette
contro l’industria bellica inglese.
Il 20 Ottobre era già stato inoltrato al Ministro dell’Interno, tramite il
gruppo Prisoners for Palestine, un documento contenente le rivendicazioni delle
persone in stato di arresto e l’annuncio dell’imminente sciopero.
Nessuna risposta, ad oggi, è ancora pervenuta dalle autorità.
Sono sei le persone attualmente in sciopero nel Regno Unito (Qesser Zuhrah, Amu
Gib, Heba Muraisi, Jon Cink, THoxha e Kamran Ahmed, ad esse si è aggiunto un
compagno anarchico – Luca Dolce detto Stecco – prigioniero nel carcere di
Sanremo.
I prigionieri sono membri rispettivamente dei gruppi denominati Filton 24 e
Brize Norton 5 e sono detenuti in carcere, senza condanna, accusati di aver
preso parte a due azioni distinte, rivendicate dal gruppo Palestine Action.
Filton 24 è l’appellativo utilizzato per il gruppo di attivisti incarcerati per
un raid di Palestine Action (riportato nel video precedente) nel centro di
ricerca, sviluppo e produzione del più grande produttore di armi
israeliano, Elbit System, situato a Filton, Bristol, nell’Agosto 2024. In 6
furono arrestati sul posto, ma in seguito, mentre erano sotto custodia della
polizia, sono stati nuovamente arrestati ai sensi della legislazione
antiterrorismo, che ha consentito alle autorità di prolungare il periodo di
detenzione. Nei mesi successivi, in una serie di raid all’alba, altri 18
attivisti ricondotti allo stesso gruppo furono arrestati, alcuni anche insieme a
familiari, che furono poi rilasciati.
Brize Norton, invece, è il nome del gruppo accusato di aver spruzzato vernice
rosso sangue su due aerei Voyager noleggiati dalla RAF. La base di Brize Norton
è quella che ha svolto funzione di hub di trasporto e rifornimento per i voli
diretti alla RAF di Akrotiri a Cipro, da dove vengono inviati voli giornalieri
per lo spionaggio a Gaza.
Qui, tradotta in italiano, un audio intervista ad un’attivista di Prisoners for
Palestine che racconta come si sta e si è organizzata la solidarietà per i
prigionieri e le prigioniere e attraverso quali iniziative e con quali obiettivi
continuerà la campagna antirepressiva nel Regno Unito.
LA DICHIARAZIONE DI AMU GIB: “Sono in sciopero della fame perché il mio corpo è
stato messo sotto custodia dello Stato, ma ho ancora il dovere di lottare per la
libertà dall’oppressione…
Come possiamo stare in prigione, aspettando che il cappio si stringa intorno al
nostro collo per opporci al genocidio?
Come potrei non agire, mentre i bambini vengono assassinati nella più completa
impunità da uno Stato sionista genocida?
Distogliere lo sguardo dagli orrori non impedirà che accadano e dobbiamo
affrontare la realtà. Dovremmo forse sorridere e chiedere gentilmente la nostra
clemenza a un “sistema giudiziario” fondamentalmente corrotto dal sionismo?”
Attualmente ci sono 33 prigionieri detenuti in custodia cautelare nelle carceri
britanniche per azioni legate alla Palestina. Da quando Palestine Action è stata
dichiarata fuorilegge dal governo britannico come organizzazione “terroristica”,
oltre 2000 persone sono state arrestate in Inghilterra e Galles, principalmente
per aver esposto cartelli con la scritta “MI OPPONGO AL GENOCIDIO. SOSTENGO
PALESTINE ACTION”. La maggior parte è stata arrestata durante le proteste di
massa organizzate da Defend Our Juries.
“L’incarcerazione di attivisti in base a poteri antiterrorismo non è un abuso
della legge, ma piuttosto è lo scopo per cui queste leggi sono state create.
L’antiterrorismo è sempre stato uno strumento per mettere a tacere il dissenso e
criminalizzare coloro che sfidano la violenza dello Stato. Questo sciopero della
fame mette a nudo la continuità tra il passato coloniale della Gran Bretagna e
la sua attuale repressione” ha dichiarato Anas Mustapha, responsabile della
difesa pubblica presso CAGE International, organizzazione che sta supportando
legalmente e pubblicamente lo sciopero.
Dal 2012, Elbit si è aggiudicata 25 appalti pubblici nel Regno Unito per un
totale di oltre 355 milioni di sterline. Ora, il Ministero della Difesa si sta
preparando a firmare un contratto da 2,7 miliardi di sterline con Elbit, che la
designerebbe come “partner strategico” e che le consentirebbe di addestrare
60.000 soldati britannici ogni anno. Alla luce del ruolo svolto nel paese
dall’azienda leader nella produzione bellica, tra le rivendicazioni dei
prigionieri e delle prigioniere in sciopero della fame spicca la chiusura degli
stabilimenti Elbit e l’oscuramento dei suoi siti.
Rimandando al sito del gruppo Prisoners for Palestine e dell’organizzazione CAGE
International per aggiornamenti sullo sciopero della fame e le iniziative a
sostegno dei e delle prigioniere, condividiamo alcune informazioni ad
integrazione e approfondimento dell’intervista.
Il piano americano che viene raccontato come una tregua in atto quando
continuano a morire decine di palestinesi a Gaza e in Cisgiordania , è una sorta
d’ingegneria sociale in continuazione con il piano degli accordi di Abramo e di
ridefinizione del Levante con al centro la potenza militare israeliana e le
disponibilità finanziarie dei paesi del Golfo. In questo piano non si parla dei
palestinesi ma è solo una tappa nel progetto di espulsione dalla striscia di
Gaza.
Il bottino per la banda sionista è la Cisgiordania , l’approvazione dell’
estensione degli insediamenti E1, tagliando la Cisgiordania in due costituisce
proprio il tentativo di cancellare la possibilità di uno stato palestinese una
volta per tutte. Ormai non ha senso parlare dell’ipotesi dei due stati , solo
uno stato multietnico nel territorio della Palestina storica è una prospettiva
immaginabile una volta superato il suprematismo sionista .
L’obiettivo del piano americano non è la “ricostruzione”, ma piuttosto la
riprogettazione dello spazio, dell’autorità e della coscienza palestinese
all’interno di un nuovo quadro che faccia di Gaza un laboratorio per un progetto
di “pace economica” basato sul controllo senza sovranità.
Di questo e altro ne abbiamo parlato con Bassam Saleh giornalista free lance,
attivo in associazioni e comitati di solidarietà con il popolo palestinese .
La prevedibile caduta di Al Fasher, l’ultimo grande centro del Darfur non ancora
sotto il controllo delle Rapid Support Forces di Mohamed Dagalo, una dei due
capi delle forze armate che sino alla primavera del 2023 si erano spartiti il
governo del Sudan, è l’ultimo tra i tanti orrori della guerra civile.
Nel 2023 Abdel Fattah al-Burhan era il presidente del Consiglio sovrano e
Mohamed Hamdan Dagalo il suo vice: i due, dopo aver sino all’ultimo appoggiato
la dittatura di Omar Hassan al-Bashir, nel 2019 si erano alleati per spodestarlo
per evitare di essere travolti dalla rivolta popolare che stava per travolgere
il regime sudanese.
Era un’alleanza di interessi destinata a non durare.
Dallo scoppio della guerra civile, ampiamente sostenuta da varie potenze
straniere, ci sono stati 400.000 mila morti 12milioni 500 mila tra sfollati e
profughi, innescando la più grande crisi umanitaria del pianeta.
Nel silenzio tombale della maggior parte dei movimenti.
Enormi le responsabilità dirette dell’Italia, che ha finanziato, armato ed
addestrato le RSF in funzione antimigranti.
Per capirne di più ne abbiamo parlato con Massimo Alberizzi di Africa ExPress
Ascolta la diretta:
Le dichiarazioni di Trump delle ultime settimane sono molte e contraddittorie
rispetto alle azioni da intraprendere nei confronti del Sud America in
particolare al largo del Venezuela dove, nel Mar dei Caraibi, sono aumentate le
forze militari statunitensi tramite lo schieramento di navi da guerra.
Gli attacchi nei confronti di presunte navi, o piuttosto piccole imbarcazioni,
sospettate di narcotraffico sono stati molteplici, l’ultimo ieri con l’impiego
di aviazione. Sono morte già diverse decine di persone.
La giustificazione dietro la quale il presidente USA cela i suoi timori di
vedere realizzati gli interessi cinesi nell’area (per quanto riguarda terre rare
e soprattutto petrolio, oltre che di egemonia) e una Grand Strategy che riprende
la dottrina Monroe del controllo sul proprio “cortile di casa”, è la lotta
contro il narcotraffico.
Questa dottrina della “war on drugs” affonda radici ben lontane nella storia ed
è un dispositivo neocoloniale che non ha mai sortito l’effetto annunciato, ma ha
avuto il ruolo di mantenere i Paesi dell’area sotto la propria egida.
Ne parliamo con Sandro Moiso, docente di Storia e autore per Carmilla online
Tutto è iniziato quando il 1 novembre 2024 il crollo della pensilina della
stazione di Novi Sad ha provocato 15 vittime, salite a 16 nei mesi successivi.
La pensilina era stata sottoposta a lavori di ristrutturazione, assegnati ad
aziende di costruzione vicine al governo, nell’ambito di un progetto più ampio
di ammodernamento dell’infrastruttura ferroviaria promosso […]
Il 5 novembre, mercoledì, lə eurodeputatə della Commissione LIBE (Commissione
Libertà civili, giustizia e affari interni) voteranno una nuova proposta di
regolamento su Europol, che mira ad ampliare la sorveglianza di massa in nome
della lotta al “traffico di migranti”. Come avverte Leila Beladj Mohamed in un
articolo scritto su questo tema, “dietro la formula […]