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L’UE chiude le porte: la trappola dei “paesi sicuri”
Il Consiglio dell’Unione europea, nella sessione che riunisce i ministri dell’interno, ha approvato proposte di modifica  al regolamento sul trattamento delle persone che giungono in Europa. Si tratta di modifiche che potrebbero portare a rifiuti automatici delle domande di protezione internazionale.  Queste modifiche, che hanno visto l’opposizione di Francia, Spagna, Portogallo e Grecia, arrivano con il sostegno del Partito popolare e non ci si aspettano grandi cambiamenti nel prossimo passaggio per l’approvazione finale, ovvero il voto nel Parlamento Europeo, dove avranno sicuramente il sostegno dei partiti di estrema destra.  Il fulcro della nuova normativa è la nozione di “paese sicuro” da cui deriva un rifiuto quasi automatico per le domande di asilo provenienti dai paesi inseriti nella lista dell’UE. Sebbene ogni domanda debba comunque essere esaminata, l’inserimento in lista comporta l’applicazione della procedura accelerata di frontiera, che riduce notevolmente le garanzie di esame . Soprattutto si verifica un’inversione dell’onere della prova, perché tocca al richiedente dimostrare le ragioni per cui, nonostante il paese sia ritenuto sicuro in generale, non lo è nel suo caso specifico. La modifica più grave riguarda l’ampliamento della nozione di Paese Terzo Sicuro. Un concetto che fino ad oggi era applicabile “solo in via residuale, per pochissimi casi” solo se il richiedente asilo avesse “legami significativi” con tale paese (come proprietà o familiari), che rendessero ragionevole il suo ritorno. Invece ora con questa modifica un paese diventa “sicuro” anche se una persona richiedente asilo vi ha semplicemente transitato prima di arrivare nell’UE. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Eugenio Losco ascolta la diretta:
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La Regione Sardegna apre all’ampliamento della fabbrica di bombe RWM
La fabbrica RWM da anni attiva in Sardegna in una porzione di territorio, il Sulcis, di proprietà della tedesca Rheinmetall, vedrà molto probabilmente il via libera per il suo ampliamento. Una questione che riguarda molti aspetti: da quello ambientale, al ricatto sul lavoro e all’occupazione, alla volontà di contrapporsi alla complicità del nostro Paese con il genocidio in Palestina. La fabbrica produce bombe, sistemi di “difesa” sottomarina e controminamento, fra cui droni che vengono venduti a Israele. La presidente della Regione Todde, già al centro di diverse bufere e opposizione dal basso, ha annunciato la propensione al sì per il suo ampliamento durante – ironia della sorte – il convegno nazionale organizzato dall’Arci a Cagliari per promuovere collaborazione e pace nel Mediterraneo. Questa decisione implicherebbe una sanatoria de facto per gli ampliamenti già avvenuti negli anni precedenti, non autorizzati, e la Regione avrebbe così l’opportunità di esprimersi su una Valutazione di Impatto Ambientale postuma. Questa decisione è stata immediatamente contestata da parte dei comitati e delle realtà territoriali sarde che si battono contro una politica che rende la Sardegna zona di servitù militare ed energetica. Questa domenica ci sarà una mobilitazione davanti a RWM organizzata dai comitati locali contro la fabbrica, che da anni si mobilitano per la sua chiusura e i comitati per la Palestina, tutti insieme per protestare contro il suo ampliamento. Ne parliamo con Lisa Ferreli, caporedattrice di Sardegna che Cambia, autrice dell’articolo dal titolo Sardegna, via libera alle bombe. Rwm verso il sì della Regione e i movimenti insorgono Di seguito il comunicato del comitato sardo per la Palestina 𝑫𝑨 𝑪𝑯𝑬 𝑷𝑨𝑹𝑻𝑬 𝑺𝑻𝑨𝑰? 𝗖𝗢𝗥𝗧𝗘𝗢 𝗖𝗢𝗡𝗧𝗥𝗢 𝗟’𝗔𝗠𝗣𝗟𝗜𝗔𝗠𝗘𝗡𝗧𝗢 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗥𝗪𝗠 | 𝗥𝗘𝗚𝗜𝗢𝗡𝗘 𝑴𝑨𝑵𝑰𝑭𝑬𝑺𝑻𝑨𝑫𝑨 𝑪𝑶𝑵𝑻𝑹𝑨 𝑺’𝑨𝑴𝑴𝑨𝑵𝑵𝑰𝑨𝑫𝑨 𝑫𝑬 𝑺𝑨 𝑹𝑾𝑴 | 𝑹𝑬𝑮𝑰𝑶𝑵𝑬, 𝑫𝑨𝑬 𝑪𝑨𝑳𝑬 𝑷𝑨𝑹𝑻𝑬 𝑰𝑺𝑻𝑨𝑺? Domenica 14 dicembre ore 10.30 Ritrovo alla Stazione Villamassargia 𝗟’𝗥𝗪𝗠 𝗻𝗼𝗻 𝗲̀ 𝘀𝘃𝗶𝗹𝘂𝗽𝗽𝗼, 𝗻𝗼𝗻 𝗹𝗮𝘀𝗰𝗶𝗮 𝗿𝗶𝗰𝗰𝗵𝗲𝘇𝘇𝗮 𝗶𝗻 𝗦𝗮𝗿𝗱𝗲𝗴𝗻𝗮. Gli enormi guadagni volano fuori, in Germania, in Israele. I pochi posti di lavoro sono nulla rispetto alle risorse sottratte, al vero sviluppo che non viene promosso per costringerci ad un lavoro indegno. 𝗜𝗹 𝘃𝗲𝗿𝗴𝗼𝗴𝗻𝗼𝘀𝗼 𝘂𝗹𝘁𝗶𝗺𝗮𝘁𝘂𝗺 𝗶𝗺𝗽𝗼𝘀𝘁𝗼 𝗱𝗮𝗹 𝗧𝗔𝗥 alla Regione Sardegna riguardo all’ampliamento abusivo della RWM, sta volgendo al termine e nulla sembra trapelare dal palazzo del potere. Potrebbe sembrare un buon segnale, eppure la realtà è più cruda. Se la Regione non si pronuncia, lo Stato metterà una pezza con il commissariamento. E questo significa sacrificare ulteriormente la nostra terra sull’altare dello sfruttamento e della produzione bellica. 𝗗𝗼𝗯𝗯𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗽𝗿𝗲𝘁𝗲𝗻𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗮 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗶𝗱𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗧𝗼𝗱𝗱𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗮𝗰𝗿𝗶𝗳𝗶𝗰𝗵𝗶 𝗹𝗮 𝗦𝗮𝗿𝗱𝗲𝗴𝗻𝗮 𝗮𝗱 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗶. Per questo il 14 dicembre non è una semplice data: è il momento della verità. 𝗦𝗲 𝗿𝗲𝘀𝘁𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗳𝗲𝗿𝗺𝗶, 𝗱𝗲𝗰𝗶𝗱𝗲𝗿𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗻𝗼𝗶. Decideranno che la Sardegna può essere sacrificata, sfruttata, militarizzata. La Regione tentenna, Roma scalpita, la RWM si sfrega le mani. L’unico argine reale siamo noi: la nostra presenza, la nostra voce, la nostra determinazione. Ognuno conta. Ogni persona presente farà la differenza. Ogni assenza sarà vantaggio per l’altra parte. 𝗣𝗲𝗿 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗶𝗹 𝟭𝟰 𝗱𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝗱𝗼𝗯𝗯𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗺𝗮𝗿𝗲𝗮 𝗱𝗮𝘃𝗮𝗻𝘁𝗶 𝗮𝗶 𝗰𝗮𝗻𝗰𝗲𝗹𝗹𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗥𝗪𝗠. Per difendere la Sardegna. Per dire NO, forte e chiaro, prima che sia troppo tardi. 𝙄𝙡 14 𝙙𝙞𝙘𝙚𝙢𝙗𝙧𝙚 𝙤 𝙘𝙞 𝙨𝙞𝙖𝙢𝙤, 𝙤 𝙙𝙚𝙘𝙞𝙙𝙤𝙣𝙤 𝙘𝙤𝙣𝙩𝙧𝙤 𝙙𝙞 𝙣𝙤𝙞. 𝙀 𝙣𝙤𝙞 𝙘𝙞 𝙨𝙖𝙧𝙚𝙢𝙤. 𝙏𝙪𝙩𝙩𝙚 𝙚 𝙩𝙪𝙩𝙩𝙞. > Comitato Sardo di Solidarietà con la Palestina
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Cresce il business delle armi. Il rapporto Sipri
Il 2024 è stato un anno record per l’industria bellica con ricavi globali pari a 600 miliardi. L’industria delle armi non conosce crisi. Trainate dalle guerre in Ucraina e Gaza, nel 2024 le vendite dei 100 maggiori produttori al mondo sono aumentate del 5,9%, raggiungendo un fatturato di circa 589 miliardi di euro. A mettere nero su bianco la crescita il nuovo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). Gli aumenti più significativi sono stati negli Stati Uniti e in Europa. Per la prima volta dal 2018 le cinque aziende top a livello mondiale hanno aumentato tutte i propri ricavi. Gli Stati Uniti continuano a fare la parte del leone. Il fatturato totale delle 39 aziende statunitensi tra le prime 100 ha raggiunto 290 miliardi di euro, con un aumento del 3,8%. Sei delle dieci aziende più grandi sono statunitensi, tra cui le prime tre: Lockheed Martin, RTX e Northrop Grumman. Anche i produttori di armi europei registrano un aumento delle vendite: dei 36 censiti, 23 hanno visto il loro fatturato crescere, con un volume totale in aumento del 13% a 131 miliardi di euro, trainato dalla domanda dovuta alla guerra in Ucraina. Nonostante le sanzioni i ricavi russi del settore degli armamenti continuano a crescere. Le due aziende russe più importanti, entrambe nella Top 100, Rostec e United Shipbuilding Corporation, hanno realizzato un fatturato di 27 miliardi di euro, con un aumento del 23%. Un altro punto saliente documentato dal rapporto è, per la prima volta, un numero record di aziende mediorientali nella top 100: sono nove (erano sei l’anno scorso) con un fatturato complessivo di 27 miliardi di euro, in aumento del 14%. Tre aziende israeliane hanno rappresentato poco più della metà del fatturato totale, per un valore complessivo di 14miliardi di euro, in crescita del 14%. Ne abbiamo parlato con Renato Strumia della Sallca Cub Ascolta la diretta:
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Libano: oltre 10 mila violazioni dalla tregua da parte di Israele
In queste settimane si sono verificati nuovi bombardamenti in Libano, in particolare nel sud, mentre si registrano droni che sorvolano la zona e che hanno lanciato esplosivi in diverse città come nel caso di Aitaroun, con la scusa di voler colpire Hezbollah. Tutto questo si inserisce in un quadro generale di un cosiddetto percorso di normalizzazione dei rapporti tra Libano e Israele il quale include l’abbandono delle armi da parte di Hezbollah e pressioni internazionali da parte degli Usa. In questo stesso contesto si inserisce la visita del papa di questi giorni. Di queste dinamiche ma anche del sentire della popolazione e delle anime che si muovono nella società a fronte di questi passaggi abbiamo parlato con Agnese Stracquadanio, reporter indipendente ora in Libano.
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Corteo e blocco del mercato delle armi
Un grande corteo antimilitarista ha attraversato le strade di Torino sabato scorso, rompendo la cortina fumogena che avvolge l’industria bellica ed il mercato delle armi aerospaziali nella nostra città. Da oggi sino al 4 dicembre si terrà la decima edizione dell’aerospace and defence meetings, dove i maggiori player a livello mondiale sottoscriveranno accordi commerciali per le armi che distruggono intere città, massacrano civili, avvelenano terre e fiumi. Produttori, governi e organizzazioni internazionali, esponenti delle forze armate, compagnie di contractor si incontrano e fanno affari all’Oval. Quella del 29 novembre è stata un’importante giornata di lotta al militarismo e alla guerra. Alla manifestazione, indetta dall’Assemblea antimilitarista, hanno partecipato il “Coordinamento torinese contro la guerra e chi la arma” e delegazioni dalle tante lotte contro basi militari, poligoni di tiro, caserme, fabbriche di morte. La Torino antimilitarista ha dato un segnale forte e chiaro: opporsi ad un futuro per la città legato alla ricerca, produzione e commercio bellici è un modo concreto per opporsi alla guerra e a chi la a(r)ma. Al termine del corteo è stata lanciata una giornata di lotta per oggi all’Oval per inceppare il business di morte. Ne abbiamo parlato con Federico dell’Assemblea Antimilitarista Ascolta la diretta: Aggiornamento. Bloccati i mercanti d’armi all’Oval! Di seguito stralci del comunicato dell’Assemblea antimilitarista: “Nella giornata di apertura dell’Aerospace and defence meetings, il mercato dell’industria bellica aerospaziale che si svolge ogni due anni a Torino, c’erano anche gli antimilitaristi, decisi a mettersi di traverso contro la guerra e chi la arma. L’appuntamento era di fronte all’ingresso dell’Oval, dove, protetti da un ingente schieramento di polizia, dovevano entrare i partecipanti a questa convention, fiore all’occhiello della lobby armiera subalpina. Gli antimilitaristi armati di striscioni e cartelli sin dalle 11,30 hanno occupato la strada davanti al cancello del centro congressi. La polizia ha tentato senza successo di allontanare i manifestanti, che si sono messi di mezzo, intralciando l’inaugurazione dell’aerospace and defence meetings. Dopo pochi minuti le auto dirette all’Oval hanno fatto retro marcia. I partecipanti sono stati obbligati ad entrare all’Oval a piedi, alla spicciolata, da un passaggio interno al Lingotto. Per la seconda volta in 20 anni gli antimilitarist* hanno bloccato l’ingresso ai mercanti d’armi. Un fatto è certo. La narrazione istituzionale e mediatica dell’Aerospace and defence meetings e della Città dell’aerospazio continua nascondere dietro la retorica dei viaggi spaziali, delle navicelle, degli esploratori di Marte e della Luna, la realtà di un mercato e di un comparto produttivo il cui fulcro sono le armi: cacciabombardieri, elicotteri da combattimento, droni, sistemi di puntamento. Queste armi sono impiegate nelle guerre di ogni dove, ma sono prodotte a due passi dalle nostre case. La cortina fumogena che nasconde la scelta di trasformare Torino in capitale delle armi è stata in parte dissipata, coinvolgendo nelle contestazioni studenti, ecologisti, lavoratori della formazione, oltre ai gruppi che da anni lottano contro l’industria bellica. La campagna lanciata dall’Assemblea Antimilitarista è riuscita a costruire un importante corteo comunicativo il 29 novembre ed è culminata con il blocco dell’ingresso alla mostra delle armi. Una bella manciata di sabbia è stata gettata negli ingranaggi di una macchina mortale. Bisognerà moltiplicare l’impegno perché la macchina sia fermata per sempre. Questo lungo mese di lotta si conclude con la consapevolezza che i mercanti di morte, gli eserciti, i produttori di armi troveranno sempre più gente disponibile a mettersi di mezzo. Fermare la guerra e chi la a(r)ma è possibile. Dipende da ciascuno di noi.”
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Processo Anan,Alì e Mansour il pm richiede pesanti condanne
Dodici anni di reclusione per Anan Yaeesh, 9 per Alì Irar e 7 per Mansour Dogmosh. Queste le richieste del pubblico ministero al termine della requisitoria nell’ambito del processo che vede all’Aquila i tre palestinesi imputati con accuse di attività di terrorismo internazionale. La sproporzione delle richieste e ancora piu’ evidente se si confronta la condanna inflitta ad Anan da un tribunale militare israeliano: 3 anni di reclusione e 5 di libertà vigilata per fatti risalenti alla seconda intifada. Invece nel caso specifico , per fatti certamente meno gravi, il pubblico ministero dell’Aquila ha chiesto 12 anni di reclusione, eludendo tutto il contesto e la possibilità di riconoscere attenuanti generiche, l’attenuante della provocazione, il fatto di aver agito per elevati valori morali e sociali ,decontestualizzando la situazione da ciò che accade in Palestina e ignorando il diritto alla resistenza del popolo palestinese. E’ sempre piu’ evidente la subordinazione della magistratura italiana alla volontà punitiva di Israele nei confronti degli esuli palestinesi ,specchio della complicità dello stato italiano nel genocidio. Ne parliamo con un compagno che ha seguito le udienze del processo .
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Madonna dell’Acqua (Pi): vittoria per gli operai del sindacato sociale MULTI
Dopo otto giorni di sciopero e presidio permanente, gli operai della logistica organizzati con MULTI – sindacato sociale hanno firmato un accordo, sottoscritto dal sindaco di San Giuliano Terme, Matteo Cecchelli, con i rappresentanti aziendali di AFS. Inizia così il comunicato degli operai che hanno portato avanti la vertenza nei confronti della filiale 117 e Bartolini e che, dopo un picchetto durato diversi giorni, hanno raggiunto un accordo con l’azienda. I punti riguardano condizioni migliorative per il loro contratto nell’ottica di adeguamento tra lavoratori, diretti o in appalto, oltre al premio di produzione. Inoltre, le condizioni strutturali dello stabilimento hanno determinato l’inizio della mobilitazione. Insieme a Simone, coordinatore del ramo logistica del sindacato sociale, di base e di comunità MULTI abbiamo percorso la genesi di questa lotta e le modalità con cui gli operai si sono organizzati costruendo uno sciopero che si è trasformato in presidio permanente sostenuto da tutta la comunità territoriale.
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Sabato 29/11 corteo contro i mercanti di morte a Torino
Sabato 29 novembre a Torino corteo antimilitarista ore 14,30 corso Giulio Cesare angolo via Andreis Contro la guerra e chi la arma! Via i mercanti d’armi! Martedì 2 dicembre giornata di blocco all’Oval Lingotto in via Matté Trucco 70 No all’aerospace and defence meetings! “L’Aerospace and defense meetings, mercato internazionale dell’industria aerospaziale di guerra è arrivato alla decima edizione. Dal 2 al 4 dicembre sbarcheranno a Torino le principali industrie del settore a livello mondiale. Un evento a porte chiuse, riservato agli addetti ai lavori: governi, eserciti, agenzie di contractor. Decine di guerre insanguinano il pianeta: la maggior parte si consumano nel silenzio e nell’indifferenza dei più. Ovunque bambine e bambini, donne e uomini sono massacrat* da armi prodotte a due passi dalle nostre case. Le guerre hanno basi ed interessi concreti sui nostri territori, dove possiamo agire direttamente, per gettare sabbia negli ingranaggi del militarismo. Le guerre oggi come ieri, si combattono in nome di una nazione, di un popolo, di un dio. Noi, antimilitaristi e senza patria, sappiamo che non ci sono guerre giuste o sante. Solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di libere ed uguali che può porre fine alle guerre. Fermiamo la corsa al riarmo, lottando contro l’industria bellica e il militarismo.(…) Cacciamo i mercanti di morte da Torino!” Questo l’incipit del testo di lancio delle iniziative contro l’aerospace and defence meetings Ne abbiamo parlato con Gian Maria Valent dell’Assemblea Antimilitarista Ascolta la diretta:
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COLPIRNE UNO: MOHAMED SHAHIN, IL RISCHIO DEPORTAZIONE E LA REPRESSIONE DELLA SOLIDARIETA’ CON IL POPOLO PALESTINESE@0
Il decreto di espulsione che ha colpito nella giornata di Lunedì 24 Novembre Mohamed Shahin – imam della moschea nel cuore di San Salvario a Torino – ha rappresentato un attacco del governo alla solidarietà contro il genocidio palestinese. Un attacco che utilizza le procedure amministrative che regolano ingressi, deportazioni e centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) per colpire e intimorire chi non gode del privilegio dei cosiddetti “giusti documenti”. Un attacco che mette sotto accusa partecipazione e dissenso, richiesto e firmato non solo del ministro Piantedosi, ma anche della deputata di fratelli d’italia Augusta Montaruli. Un attacco contro cui, però, non si è fatta attendere una rapida risposta: quella legale, che attraverso l’istanza di richiesta di asilo presentata tempestivamente da avvocate e avvocati ha bloccato la deportazione di Mohamed; e quella politica, iniziata con la conferenza stampa sotto la prefettura di Torino e che adesso si allarga con una serie di iniziative previste nei prossimi giorni da Torino a Caltanissetta (qui, per seguire le iniziative su Instagram). Insieme a Brahim, attivista per la Palestina e membro della comunità islamica torinese, ricostruiamo inizialmente cosa è accaduto da Lunedì ad oggi: Affrontiamo poi, sempre con Brahim,  come islamofobia, degrado e retorica dei maranza rappresentino sfumature diverse nella costruzione del nemico interno e della necessità di coordinarsi per lottare contro razzismo e violenza di stato: Con il contributo di Hafsa, compagna di Torino per Gaza, registrato durante al presidio in conferenza stampa di martedì 25 Novembre continuiamo a parlare di solidarietà e mobilitazione: Attualmente Mohamed Shahin è rinchiuso a più di 1500 km da casa nel CPR di Pian del Lago a Caltanissetta, il rischio di persecuzioni a seguito della deportazione in Egitto è tanto concreto, quanto attuale e non si possono non notare le similitudini tra gli strumenti repressivi utilizzati in Palestina nel progetto coloniale sionista e quelli in via di sviluppo nel nostro paese. Per condividere un quadro del funzionamento e della vita all’interno di un CPR punitivo, come quello di Caltanissetta, gestito dalla cooperativa Albatros di San Cataldo (CL), condividiamo un intervento di alcun* compagn* sicilian* che si organizzano contro frontiere e detenzione amministrativa: Solo nel 2024, le deportazioni collettive verso l’Egitto effettuate con voli charter sono state 10. I voli sono stati operati dai velivoli dalle compagnie aree Aeroitalia, Albastar, Air Cairo, Egypt Air, Smartwings e ETF airways Mese dopo mese i bandi ministeriali consentono a due compagnie di broker che si spartiscono il mercato dei cosiddetti rimpatri – la PAS (Professional Aviation Solutions, tedesca) e la AIR PARTNER (britannica, acquisita nel 2022 dalla statunitense WHEELS UP) – di gestire le tratte deportative al miglior prezzo. Per saperne di più sulle espulsioni in Egitto, qui. Infine, condividiamo un contributo audio dal presidio in piazza Castello dell’avvocata che sta seguendo la tutela legale di Mohamed:
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