Esattamente una settimana fa arrivava l’annuncio dello sgombero del palazzo
occupato in via Monginevro 46 nel 2013.
Un’occupazione nata a seguito della crisi economica che in città aveva
portato numerosi sfratti e sgomberi, a cui si è risposto con varie occupazioni
abitative (7 solo in San Paolo).
Occupazioni che hanno dato l’opportunità a decine di persone di avere un tetto
che gli permettesse di non finire ancora più ai margini di una società sempre
più individualista ed escludente.
Occupazioni, ma soprattutto case.
Case che hanno permesso di ripartire e progettare il proprio futuro senza
sottostare a ricatti e umiliazioni.
Purtroppo però, come per le altre esperienze in quartiere, sembra arrivata la
fine anche di questa occupazione.
Uno sgombero quasi annunciato insomma: nemmeno un anno fa era stato sgomberato
il palazzo di via Muriaglio e pochi anni prima via Frejus e via Revello.
Quest’ultima palazzina con le stesse modalità di via Monginevro.
Nonostante i proclami sui giornali della settimana scorsa, lo sgombero non è
avvenuto realmente. Come in altri casi, è stata messa in atto una pratica tanto
violenta quanto subdola: il distacco della luce e/o dell’acqua. Un assedio
silenzioso per forzare le persone ad andarsene ed evitare alle istituzioni di
dover avanzare proposte concrete per risolvere la costante crisi abitativa.
Mentre le famiglie con minori vengono trasferite in strutture, costrette a
vivere spesso in un monolocale (questa volta fortunatamente non hanno separato i
genitori), per le persone singole non c’è nessuna prospettiva.
E oggi? E domani? saranno giornate di “sgomberi dolci” a Torino– così gli piace
chiamarli- evitando di prendersi la responsabilità politica e morale
dell’assenza di soluzioni alternative.
Ciò che accade in queste situazioni non è una novità: il razzismo istituzionale,
la gentrificazione crescente del quartiere San Paolo e la mancanza di politiche
abitative efficaci hanno reso impossibile l’accesso a soluzioni dignitose per
chi vive in occupazione.
Ancora una volta, si prospettano solo dormitori aperti per sole 12 ore,
un’ulteriore umiliazione per chi lavora su tre turni, e una condizione
inaccettabile per persone che rivendicano il diritto di avere un tetto sopra la
testa.
Le persone che vivono in occupazione non stanno chiedendo la carità, ma solo una
casa vera, dignitosa, dove poter vivere senza il rischio di essere sfrattati
ogni volta che la situazione economica o sociale non rispecchi le prospettive di
palazzinari e speculatori.
Molti sarebbero disposti ad affittare un alloggio se non fosse che il razzismo
diffuso e la continua gentrificazione del quartiere e della città non lo
permettono, rendendo ancora più insostenibile la loro condizione. Il diritto
alla casa dovrebbe essere garantito a tutt3 e non solo a chi può permettersi di
pagare affitti in un mercato immobiliare speculativo.
Esprimiamo quindi la nostra ferma richiesta ai servizi sociali, al Comune di
Torino e alle istituzioni competenti: le persone che occupano la palazzina di
via Monginevro e gli altri che vivono nelle stesse condizioni non vogliono un
dormitorio temporaneo, ma un alloggio stabile e degno. E’ ora di risolvere
l’emergenza abitativa in modo serio e duraturo. Non si può continuare a fare
finta che il problema non esista. La città di Torino e le sue istituzioni devono
trovare soluzioni abitative vere, per tutte le persone, senza discriminazioni.
La crisi abitativa non è un’emergenza, è una costante. Non può essere affrontata
con risposte temporanee o marginalizzando ulteriormente chi già vive una
condizione di vulnerabilità.
Esigiamo che venga trovata una soluzione immediata e concreta per tutte le
persone che rischiano di essere sgomberate, senza che la loro dignità venga
ulteriormente calpestata.
Non basta un dormitorio, vogliamo una casa!
La casa è un diritto, non una concessione.
C.S.O.A. Gabrio
Tag - Migrante
Un luogo contornato da alte mura, materiali e simboliche, ben noto per essere
stato teatro di soprusi di ogni tipo, a partire dalle condizioni degradanti di
detenzione fino all’uso smodato di psicofarmaci per silenziare e annullare ogni
forma di resistenza e dissenso.
Un dispositivo repressivo ed esplicitamente razzista, dove abusi e violenze
risultano essere all’ordine del giorno: pestaggi, intimidazioni e torture sono
stati ripetutamente denunciati, senza conseguenza alcuna per i responsabili.
Non possiamo dimenticare i morti che hanno segnato la storia del CPR di Torino.
Tra i casi più eclatanti, ricordiamo la morte di Moussa Balde nel 2021,
suicidatosi dopo essere stato vittima di un pestaggio razzista a Ventimiglia.
Moussa, invece di ricevere protezione e cura, è stato rinchiuso nel CPR, dove l’
isolamento detentivo (ricordiamo a tal proposito l’uso dell'”ospedaletto” come
mezzo punitivo) lo ha spinto a togliersi la vita.
Altre morti, forse meno note, pesano in uguale maniera sulla coscienza
collettiva.
La nuova gestione del CPR è stata affidata alla cooperativa Sanitalia Service,
già attiva nel settore sanitario piemontese; con un appalto da 8,4 milioni di
euro, Sanitalia entra in un mercato che lucra sulla detenzione amministrativa,
dimostrando come dietro le politiche migratorie si celino enormi interessi
economici. Infatti, la gestione privata di strutture come il CPR non fa che
incentivare l’abbattimento dei costi che rende la detenzione un business ei
corpi migranti delle merci.
Mobilitiamoci insieme, affinché non ci sia nessun CPR, né qui né altrove.
Nella giornata di ieri, si è compiuto il passo decisivo che segna
l’imminente riapertura del CPR di Corso Brunelleschi a Torino.
La Cooperativa Sanitalia Service è stata dichiarata vincitrice dell’appalto da
8,4mln di euro per la gestione biennale del campo detentivo, battendo la
concorrente Ekene (unica rimasta in gara).
Si prevede, dunque, che in un mese circa il CPR verrà riaperto e la macchina
razzista potrà tornare a regime.
Sanitalia Service è una azienda (mascherata da cooperativa sociale) molto
radicata nel territorio torinese, nota per la gestione di diversi servizi legati
all’assistenza socio-sanitaria e alla residenzialità psichiatrica.
Alla voce “Chi siamo” nel proprio sito, si presenta come realtà che opera
“un’attenzione costante alla persona, al suo benessere e al contesto nella quale
è inserita o da cui proviene”, omettendo la conscia scelta di investire nella
detenzione amministrativa come settore di lucro.
L’ingresso nel “settore dell’accoglienza” però è stato il cambio di passo per la
cooperativa che ha visto crescere i propri profitti.
La gestione dei CAS nell’astigiano, come spesso accade quando questa è sinonimo
di disservizi e speculazione, ha permesso di toccare con mano il corposo
business sulla pelle delle persone migranti.
Non ci stupisce, quindi, che sia agevolmente entrata nel settore della
detenzione amministrativa, prima come fornitrice di servizi interni in
collaborazione con Gepsa (ente gestore di Torino fino al 2021) e successivamente
presentandosi da sola ai vari bandi per la gestione dei CPR (Albania, Milano e
Torino).
D’altronde cosa aspettarsi dall’ennesima cooperativa inglobata in un sistema di
scatole cinesi, sistema fondato su grossi investimenti in società che lucrano
sulla privatizzazione dei servizi sottratti al welfare pubblico.
Come sempre solo speculazione e brutalità mascherate da cortesia.
La gestione di questi luoghi, anche se decorata con belle parole, non può che
produrre morte e tortura. Chi gestisce i centri detentivi è complice di chi li
crea e li finanzia e la lotta contro queste istituzioni totalizzanti non può
esimersi dall’opporsi a chi ne consente la riproduzione materiale.
Continueremo a tornare in Corso Brunelleschi per sostenere oltre le mura di
quell’infame luogo le persone detenute.
Per la libertà di movimento di tutte e tutti
NO CPR, NÉ QUI NÉ ALTROVE!
𝗟𝗮 𝗱𝘂𝗲 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗺𝗼𝗯𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗶𝗻 𝗔𝗹𝗯𝗮𝗻𝗶𝗮
𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗶𝗹 𝗽𝗿𝗼𝘁𝗼𝗰𝗼𝗹𝗹𝗼 𝗥𝗮𝗺𝗮-𝗠𝗲𝗹𝗼𝗻𝗶 𝘁𝗲𝗿𝗺𝗶𝗻𝗮𝘁𝗮,
𝗺𝗮 𝗹𝗮 𝗹𝗼𝘁𝘁𝗮 𝗮𝗽𝗽𝗲𝗻𝗮 𝗶𝗻𝗶𝘇𝗶𝗮𝘁𝗮!
Come realtà dal basso, movimenti sociali, associazioni, abbiamo dato vita al
Network Against Migrant Detention, una rete transnazionale che si oppone al
sistema della detenzione amministrativa e all’esternalizzazione delle frontiere.
𝑸𝒖𝒆𝒔𝒕𝒐 𝒄𝒐𝒎𝒖𝒏𝒊𝒄𝒂𝒕𝒐 𝒄𝒐𝒏𝒈𝒊𝒖𝒏𝒕𝒐 𝒓𝒂𝒄𝒄𝒉𝒊𝒖𝒅𝒆
𝒓𝒊𝒗𝒆𝒏𝒅𝒊𝒄𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒊 𝒑𝒐𝒍𝒊𝒕𝒊𝒄𝒉𝒆 𝒆 𝒐𝒃𝒊𝒆𝒕𝒕𝒊𝒗𝒊 𝒄𝒉𝒆
𝒗𝒐𝒈𝒍𝒊𝒂𝒎𝒐 𝒑𝒆𝒓𝒔𝒆𝒈𝒖𝒊𝒓𝒆.
Contro i CPR, contro le politiche migratorie razziste e neocoloniali del governo
Meloni, contro il nuovo Patto europeo sulla Migrazione e Asilo.
🔥𝙋𝙚𝙧 𝙡𝙖 𝙡𝙞𝙗𝙚𝙧𝙩à 𝙙𝙞 𝙢𝙤𝙫𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙙𝙞 𝙩𝙪𝙩𝙩𝙚 𝙚
𝙩𝙪𝙩𝙩𝙞!🔥
ENGLISH
The Italy-Albania Protocol is a failure from every perspective!
Despite the decision of the Italian government to suspend the deportation of
migrant people to Albania, we as Network Against Migrant Detention have decided
to stick to our mobilization on December 1 and 2 in Tirana, as well as at the
centers in Gjadër and Shëngjin, to express our dissent against the deportation
system established by the Protocol. While this failure represents a temporary
stalemate, we are well aware that the logic driving these policies is far from
defeated.
Just weeks after the Protocol’s implementation, the use of the hotspot and
detention facilities in Albania has been suspended, at least until the European
Court of Justice issues its rulings. The mechanism has stumbled over the
definition of a “Safe Country of Origin” temporarily challenged by the October
4, 2024 ruling by the European Court of Justice. The ruling states that a
country cannot be deemed safe unless it is so across its entire territory and
for everyone. In practice, every case must be evaluated individually, and judges
must consider whether the country in question is actually safe for the specific
individual at the time of the decision. Thanks to this ruling, Italian judges
have repeatedly disregarded the executive orders imposed by the Meloni
government through emergency legislative decrees.
While this partial victory reflects a European legal framework that still
withstands the harsh blows inflicted by illiberal right-wing forces and
governments of all political stripes, it has been achieved through struggles,
above all those of migrant people themselves, affirming the right to asylum and
freedom of movement. Therefore, we believe that relying solely on the judicial
system is insufficient to halt these policies. The horizon towards which the
Protocol is heading is the implementation of the New Pact on Migration and
Asylum planned for June 2026. This will introduce new criteria for defining safe
countries of origin, broadening the scope for accelerated border procedures. At
that point, the design of externalization embodied by the Italy-Albania Protocol
might face no further obstacles and could serve as a model to be replicated in
other EU Member States.
For this reason, over 200 activists from Italy, Albania, and Greece have
gathered this weekend in Tirana, staging protests in front of the hotspot at
port of Shëngjin, the detention center in Gjadër, the Albanian government
headquarters, the Italian Embassy, and the European House.
Our goal is to lay the groundwork for a broad pan-european and transnational
mobilization capable of opposing these policies in the long term.
As members of the Network Against Migrant Detention, we demand:
The dismantling of Italian detention centers on Albanian territory, rejecting
any repurposing for other forms of detention
The abolition of any form of administrative detention for migrant people and
asylum seekers.
The abolition of the concept of a “Safe Country of Origin,” which serves only to
restrict international protection.
The withdrawal of Italian military forces from Albanian territory and their
immediate return to Italy.
The opening of safe, legal and accessible pathways, the right to mobility and
self-determination for all migrant people, and the granting of the right to
circulate freely, regardless of motivations and status recognition
The Network Against Migrant Detention sets the following objectives:
To oppose the Meloni-Rama Protocol and the model it represents through various
political tools, including information campaigns, public mobilizations,
strategic litigation, and pressure involving opposition politicians from Italy
and Europe, creating a broad, cross-sectoral, and interdisciplinary movement.
To obstruct the construction of new detention and deportation centers and the
strengthening of existing ones in Italy and Europe, promoting a
counter-narrative to the populist rhetoric that exploits fear to justify
militarized forms of security. This includes exposing the administrative
detention industry, highlighting violations of fundamental rights within
detention centers, and proposing a reception model centered on dignity,
autonomy, and the development of migrant people’s life projects.
To build a transnational and trans-European movement that establishes the
struggle for universal freedom of movement as a fundamental condition for the
radical democratization of this political space. This movement stands against
both the rise of nationalist, illiberal conservatism in Europe and the
neoliberal institution of the EU. Both in continuity with each other, reinforce
violent systems of rejection and selection of migrant people.
To forge connections beyond European territories with those opposing the EU’s
border externalization policies, rejecting the neocolonial coercion imposed by
agreements with third countries in exchange for European integration and
economic support.
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ITALIAN
Il Protocollo Italia-Albania è un fallimento sotto tutti i punti di vista!
Nonostante la decisione del governo italiano di sospendere le deportazioni di
persone migranti in Albania, come Network Against Migrant Detention abbiamo
deciso di mantenere la mobilitazione l’1 e il 2 dicembre a Tirana e presso i
centri di Gjadër e Shëngjin per esprimere il nostro dissenso verso il sistema di
deportazione messo in piedi dal Protocollo. Benché il fallimento rappresenti un
momentaneo stallo, sappiamo che la logica che anima queste politiche è
tutt’altro che sconfitta.
A poche settimane dall’entrata in funzione del Protocollo, è stato sospeso
l’utilizzo delle strutture di hotspot e di detenzione in Albania, almeno fino
alle pronunce della Corte di Giustizia Europea. Il meccanismo si è inceppato
sulla definizione di Paese d’Origine Sicuro, su cui la sentenza del 4 ottobre
2024 della Corte di Giustizia Europea ha posto un momentaneo argine. Essa
infatti indica che un paese non può considerarsi sicuro qualora non lo sia nella
totalità del suo territorio e per tuttə. Nella pratica, ogni caso deve essere
valutato singolarmente, e il giudice deve considerare se, al momento della
decisione, il Paese in questione è effettivamente sicuro per quella specifica
persona. Grazie a questa decisione i giudici italiani hanno potuto ripetutamente
disapplicare l’ordine esecutivo che il governo Meloni ha impartito attraverso
decreti-legge approvati d’urgenza.
Se questo parziale risultato è anche frutto di un sistema di diritto europeo che
ancora regge i duri colpi inferti tanto dalle destre illiberali quanto dai
governi di ogni altro colore politico, conquistato attraverso le lotte
soprattutto delle persone migranti per affermare il diritto di asilo e la
libertà di movimento, crediamo che il solo piano giudiziario non sia sufficiente
per porre un freno a queste politiche. Infatti, l’orizzonte verso cui il
Protocollo si proietta è l’applicazione del Nuovo Patto sull’Immigrazione e
l’Asilo prevista per giugno 2026, che introdurrà nuovi criteri per la
definizione di paese d’origine sicura, estendendo i casi di applicazione delle
procedure accelerate per la richiesta di asilo in frontiera. A quel punto, il
disegno di esternalizzazione che il Protocollo Italia-Albania incarna potrebbe
non trovare più ostacoli e rappresentare un modello da riprodurre da parte degli
Stati Membri dell’UE.
Per questo motivo, questo weekend ci siamo ritrovati a Tirana in più di 200
attivistə da Italia, Albania e Grecia, manifestando insieme davanti all’hotspot
al porto di Shëngjin, al centro di detenzione di Gjadër e davanti alla sede del
Governo albanese, all’Ambasciata italiana e alla Casa dell’Europa.
Il nostro obiettivo è quello di porre le basi per una mobilitazione pan-europea
e transnazionale di largo respiro, che sia in grado di opporsi anche sul lungo
termine a queste politiche.
Come Network Against Migrant Detention rivendichiamo:
Lo smantellamento dei centri italiani in territorio albanese, non contemplando
quindi un altro utilizzo detentivo alternativo.
L’abolizione di qualsiasi ipotesi di detenzione amministrativa delle persone
migranti e richiedenti asilo.
L’abolizione della nozione di Paese d’Origine Sicuro, in quanto solamente
strumentale alla restrizione della protezione internazionale.
La smobilitazione dei militari italiani in territorio albanese ed un loro
immediato rientro in Italia.
L’apertura di canali di ingresso legali e accessibili per tuttə, il diritto alla
mobilità e all’autodeterminazione delle persone migranti e la possibilità di
circolare liberamente, indipendentemente dalle motivazioni e dal riconoscimento
di uno status”.
Il Network Against Migrant Detention pone gli obiettivi di:
Opporsi al Protocollo Meloni-Rama e al modello che esso rappresenta, utilizzando
i diversi strumenti politici: dall’informazione, alle mobilitazioni di piazza,
dal contenzioso strategico, alla pressione attraverso la presenza di esponenti
politici di opposizione sia italiani che europei, creando una mobilitazione
ampia, trasversale e interdisciplinare.
Ostacolare la costruzione di nuovi centri di detenzione ed espulsione e il
rafforzamento di quelli esistenti in Italia e in Europa, diffondendo una
differente narrazione di segno opposto ai discorsi populisti che fanno leva
sulla paura della gente per incrementare forme militarizzate di sicurezza. È
quindi necessario denunciare il business della detenzione amministrativa, la
violazione delle libertà fondamentali dellə detenutə e proporre un modello di
accoglienza che ponga al centro la dignità, l’autonomia e lo sviluppo dei
progetti di vita delle persone migranti.
Costruire un movimento transeuropeo e transnazionale che ponga la lotta per la
libertà universale di movimento come una delle condizioni fondamentali per la
radicale democratizzazione di questo spazio politico, in opposizione, da un
lato, all’emergente Europa dei nazionalismi conservatori e illiberali e,
dall’altro, all’istituzione neoliberale della UE. Entrambi infatti, in
continuità gli uni con l’altra, rinforzano sistemi violenti di respingimento e
selezione delle persone in movimento.
Costruire relazioni oltre i territori europei con coloro che si oppongono
all’esternalizzazione dei confini UE, rifiutando il ricatto neocoloniale che i
patti con paesi terzi pongono in cambio di integrazione europea e supporto
economico.
https://gabrio.noblogs.org/files/2024/12/VID_20241202_065643_084.mp4
🔴 The 𝐟𝐢𝐫𝐬𝐭 𝐝𝐚𝐲 𝐨𝐟 𝐭𝐡𝐞 𝐍𝐞𝐭𝐰𝐨𝐫𝐤 𝐀𝐠𝐚𝐢𝐧𝐬𝐭
𝐌𝐢𝐠𝐫𝐚𝐧𝐭 𝐃𝐞𝐭𝐞𝐧𝐭𝐢𝐨𝐧 𝐢𝐧 𝐀𝐥𝐛𝐚𝐧𝐢𝐚 has just ended. We visited
the Shëngjin hotspot and the Gjadër detention center 𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐧𝐨𝐮𝐧𝐜𝐞
𝐭𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐨𝐜𝐨𝐥𝐨𝐧𝐢𝐚𝐥 𝐑𝐚𝐦𝐚-𝐌𝐞𝐥𝐨𝐧𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐭𝐨𝐜𝐨𝐥, the
presence of Italian detention centers on Albanian soil through another
externalization of borders, and the ensuing repression and invisibilization
faced by migrants.
✊🏽 𝑴𝒂𝒓𝒓𝒆̈𝒗𝒆𝒔𝒉𝒋𝒂 𝒊𝒍𝒆𝒈𝒂𝒍𝒆, 𝒓𝒆𝒛𝒊𝒔𝒕𝒆𝒏𝒄𝒂 𝒈𝒍𝒐𝒃𝒂𝒍𝒆!
The agreement is illegal, the resistance is global!
Versione italiana al fondo
If Europe is building new detention camps, anyone who wishes to live in a free
Europe has the responsibility to dismantle them.
Administrative detention of migrants is once again becoming the preferred
strategy to handle illegalized mobility in Italy. In addition to its commitment
to build a Center for Repatriation (CPR) in every single region in Italy, on
November 6 last year the Meloni government signed an agreement with the Albanian
government to build an Italian hotspot and detention facility for migrants on
Albanian soil. This measure attempts to externalize the sovereignty of a
European member state over a third country’s territory concerning immigration
and border control. Although Rama and Meloni paint a positive picture of this
cooperation, peppered with a language of brotherhood, the Italy-Albania
agreement constitutes a clear violation of the principle of Albanian sovereignty
and is yet another expression of neocolonial logic, evident in the way Italy
dictates control over Albania’s territories.Although such a model has been
tested elsewhere, such as Australia’s Pacific Solution, it represents an
unprecedented deal in border infrastructure in Europe.
This agreement has been welcomed by various EU representatives as well as other
member states, well representing a trend across Europe, and beyond, with regards
to the control of irregular mobility: dismantling the right to asylum,
externalizing, and militarizing borders. From Italy to Albania, from Hungary to
the Netherlands, from Germany to Poland, an extreme right-wing wind is blowing,
whose primary objective is the criminalisation of racialized people on the move.
On the ground of this agreement, however, a rift has opened up between the
executive and judicial powers both at Italian and European levels concerning the
definition of “safe countries”, on which the legitimisation of the system of
accelerated border and deportation practices is based. The Italian government
thus defines countries such as Tunisia, Egypt, or Bangladesh as “safe”, to name
just a few, ignoring the evident conditions of oppression that various segments
of the population endure in these places. The current clash between institutions
shows the political space that has opened up, which we must be able to occupy in
order to propose, defend, and shape more democratic mechanisms for managing
migration within and towards Europe.
If the Rama-Meloni pact represents a dangerous experiment that goes beyond the
political interests of Italy and Albania, then now more than ever, we need a
trans-European mobilization—stretching even beyond the EU’s geopolitical
borders—to reconnect and strengthen the many solidarity networks built over the
years in support of freedom of movement. For this reason, we call on groups from
across Europe and neighboring countries—no-border activists, people on the move,
BIPOC, grass-roots collectives, associations, NGOs—who have been active for
years along the borders and in opposition to forced confinement. Together, let
us build a shared space of dissent, starting with the mobilizations against the
centers in Albania, where we will take a leading role in the coming weeks.
With the Network Against Migrant Detention (NAMD), which brings together many
groups and organizations from both Italy and Albania, we will gather on December
1 and 2 in Tirana and at the camps in Shëngjin and Gjadër to oppose the
neo-colonial model of outsourcing border control through the Meloni-Rama pact.
We invite everyone to join us and mobilize together for the abolition of migrant
detention and borders, the establishment of safe and accessible entry routes and
the issuance of a European document, and freedom of movement for all.
See you in Tirana!
—————————————
INVITO ALLA MOBILITAZIONE EUROPEA CONTRO I CENTRI DI ESPULSIONE PER MIGRANTI IN
ALBANIA
Se l’Europa costruisce nuovi lager, chiunque desideri di vivere in un’Europa
libera ha la responsabilità di abbatterli.
In Italia la detenzione amministrativa per persone migranti sta tornando ad
essere la strategia privilegiata per gestire la mobilità illegalizzata. Oltre ad
impegnarsi a costruire un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) in ogni
regione, il 6 novembre 2023 il governo Meloni ha siglato l’accordo con il
governo albanese per la costruzione di un hotspot e una struttura detentiva per
migranti italiana su suolo albanese. Di fatto questa misura è il tentativo per
esternalizzare la sovranità di uno stato membro europeo sul suolo di uno stato
terzo in materia di immigrazione e controllo delle frontiere. Sebbene Rama e
Meloni dipingono un quadro positivo di cooperazione, abbellito da un linguaggio
di fratellanza, l’accordo Italia-Albania costituisce una chiara violazione del
principio di sovranità albanese ed è l’ennesima espressione di una logica
neocoloniale, evidente nel modo in cui l’Italia impone il controllo sui
territori dell’Albania. Se questo modello è già stato sperimentato in altri
luoghi, come per la Pacific Solution in Australia, esso rappresenta un’inedita
novità nella infrastruttura di confine in Europa.
Questo patto è stato accolto positivamente da diversi esponenti dell’Unione
Europea come di altri paesi membri, ben rappresentando la tendenza che
attraversa l’Europa, e non solo, per quanto riguarda il controllo della mobilità
umana: smantellare il diritto d’asilo, esternalizzando e militarizzando il
confine. Dall’Italia all’Austria, dall’Ungheria all’Olanda, dalla Germania alla
Polonia, spira un vento di estrema destra che ha come primo obiettivo la
criminalizzazione delle persone razzializzate e in movimento.
Sul terreno di questo accordo, tuttavia, si è aperta una frattura tra potere
esecutivo e giudiziario a livello italiano ed europeo per quanto riguarda la
definizione di “paesi sicuri”, su cui si basa la legittimazione del sistema
delle pratiche di frontiera accelerate e di deportazione. Il governo Italiano
definisce quindi “sicuri” paesi come la Tunisia, l’Egitto o il Bangladesh, per
citarne solo alcuni, ignorando le evidenti condizioni di oppressione che diverse
porzioni di popolazioni vivono in questi luoghi. Lo scontro tra istituzioni che
si sta consumando oggi denota lo spazio politico che si è aperto e che dobbiamo
essere in grado di occupare per proporre, difendere e determinare meccanismi più
democratici della gestione delle migrazioni in e verso l’Europa.
Se il patto Rama-Meloni rappresenta una pericolosa sperimentazione che eccede
l’interesse politico di Italia e Albania, allora mai come oggi abbiamo bisogno
di una mobilitazione transeuropea, ben oltre i confini geopolitici UE, che
riallacci e rafforzi le numerose reti di solidarietà sviluppatesi negli anni in
supporto alla libertà di movimento. Per questo invitiamo le realtà europee e dei
paesi vicini, da anni mobilitate sui confini e contro il confinamento coatto,
ONG, attivist@ no border, persone in movimento e di origine non europea, a
costruire insieme uno spazio di dissenso partendo dalle mobilitazioni contro i
centri in Albania che ci vedranno protagonist@ nelle prossime settimane.
Con la rete Network Against Migrant Detention (NAMD), che raccoglie tanti
soggetti e realtà sia italiane che albanesi, ci troveremo l’1 e il 2 dicembre a
Tirana e presso i campi di Shëngjin e Gjadër per opporci al modello neocoloniale
di delocalizzazione del controllo delle frontiere attraverso il patto
Meloni-Rama.
L’invito è ad esserci e a mobilitarsi insieme per l’abolizione della detenzione
di migranti e dei confini; per l’apertura di canali d’ingresso sicuri e
accessibili il rilascio di un documento europeo; per la libertà di movimento per
tutt@
Ci vediamo a Tirana!
🔴 𝐃𝐮𝐞 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐢 𝐝𝐢 𝐦𝐨𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐚 𝐓𝐢𝐫𝐚𝐧𝐚 𝐞 𝐚𝐢
𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐢 𝐝𝐢 𝐒𝐡𝐞𝐧𝐣𝐢𝐧 𝐞 𝐆𝐣𝐚𝐝𝐞̈𝐫 𝐢𝐧 𝐀𝐥𝐛𝐚𝐧𝐢𝐚! 🔴
English below
Con la conferenza stampa del 6 novembre come 𝑁𝑒𝑡𝑤𝑜𝑟𝑘 𝐴𝑔𝑎𝑖𝑛𝑠𝑡
𝑀𝑖𝑔𝑟𝑎𝑛𝑡 𝐷𝑒𝑡𝑒𝑛𝑡𝑖𝑜𝑛, una nuova rete transnazionale di attivistə
italiani e albanesi, abbiamo lanciato una 𝒅𝒖𝒆 𝒈𝒊𝒐𝒓𝒏𝒊 𝒅𝒊
𝒎𝒐𝒃𝒊𝒍𝒊𝒕𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒑𝒆𝒓 𝒐𝒑𝒑𝒐𝒓𝒄𝒊 𝒂𝒍 𝒑𝒂𝒕𝒕𝒐
𝑹𝒂𝒎𝒂-𝑴𝒆𝒍𝒐𝒏𝒊 e per la 𝒄𝒉𝒊𝒖𝒔𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒆𝒊 𝒄𝒆𝒏𝒕𝒓𝒊 𝒅𝒊
𝑺𝒉𝒆𝒏𝒋𝒊𝒏 𝒆 𝑮𝒋𝒂𝒅𝒆̈𝒓 𝒊𝒏 𝑨𝒍𝒃𝒂𝒏𝒊𝒂.
Il patto rappresenta 𝒍’𝒆𝒏𝒏𝒆𝒔𝒊𝒎𝒐 𝒎𝒆𝒄𝒄𝒂𝒏𝒊𝒔𝒎𝒐 𝒅𝒊
𝒆𝒔𝒕𝒆𝒓𝒏𝒂𝒍𝒊𝒛𝒛𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒇𝒓𝒐𝒏𝒕𝒊𝒆𝒓𝒆 e sperimenta la
creazione di vere e proprie strutture di detenzione amministrativa per le
persone migranti, trasformandosi quindi in un pericoloso precedente all’interno
dell’infrastruttura europea di contrasto alla libertà di movimento e al diritto
di asilo, un 𝒎𝒆𝒄𝒄𝒂𝒏𝒊𝒔𝒎𝒐 𝒔𝒆𝒄𝒖𝒓𝒊𝒕𝒂𝒓𝒊𝒐 𝒅𝒊
𝒓𝒆𝒑𝒓𝒆𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒆 𝒄𝒐𝒏𝒇𝒊𝒏𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒐 𝒂 𝒄𝒖𝒊 𝒗𝒐𝒈𝒍𝒊𝒂𝒎𝒐
𝒐𝒑𝒑𝒐𝒓𝒄𝒊.
🔥È quindi per noi fondamentale come 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐞𝐭𝐚̀ 𝐜𝐢𝐯𝐢𝐥𝐞
𝐨𝐫𝐠𝐚𝐧𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐚𝐥 𝐛𝐚𝐬𝐬𝐨 𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚𝐫𝐜𝐢 𝐢𝐧 𝐀𝐥𝐛𝐚𝐧𝐢𝐚
𝐩𝐞𝐫 𝐦𝐨𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚𝐫𝐜𝐢, sia con un presidio all’hotspot di Shenjin e al
Cpr di Gjadër domenica 1 dicembre, che con una manifestazione a Tirana lunedì 2
dicembre davanti alle istituzioni responsabili dell’accordo.
Vogliamo opporci a questo modello neocoloniale creando un 𝐦𝐨𝐯𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨
𝐚𝐦𝐩𝐢𝐨 𝐞 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚𝐥𝐞, 𝐩𝐞𝐫 𝐥’𝐚𝐛𝐨𝐥𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥
𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐦𝐚 𝐂𝐏𝐑 𝐪𝐮𝐢 𝐞 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐨𝐯𝐞, 𝐩𝐞𝐫 𝐮𝐧’𝐄𝐮𝐫𝐨𝐩𝐚 𝐝𝐢
𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐢 𝐞 𝐝𝐢 𝐠𝐢𝐮𝐬𝐭𝐢𝐳𝐢𝐚 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚
𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐦𝐨𝐯𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐭𝐮𝐭𝐭ə.
✈️𝑃𝑒𝑟 𝑢𝑙𝑡𝑒𝑟𝑖𝑜𝑟𝑖 𝑖𝑛𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑙𝑜𝑔𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑢
𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑝𝑟𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑒 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑢𝑒 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑖 𝑖𝑛
𝐴𝑙𝑏𝑎𝑛𝑖𝑎 𝑠𝑐𝑟𝑖𝑣𝑒𝑡𝑒𝑐𝑖!
🅢🅣🅞🅟 🅛🅐🅖🅔🅡
ENG:
🔴 𝐓𝐰𝐨 𝐃𝐚𝐲𝐬 𝐨𝐟 𝐌𝐨𝐛𝐢𝐥𝐢𝐳𝐚𝐭𝐢𝐨𝐧 𝐢𝐧 𝐓𝐢𝐫𝐚𝐧𝐚 𝐚𝐧𝐝 𝐚𝐭
𝐭𝐡𝐞 𝐒𝐡𝐞𝐧𝐣𝐢𝐧 𝐚𝐧𝐝 𝐆𝐣𝐚𝐝𝐞̈𝐫 𝐂𝐞𝐧𝐭𝐞𝐫𝐬 𝐢𝐧 𝐀𝐥𝐛𝐚𝐧𝐢𝐚!
🔴
With the press conference on November 6th, as the 𝑁𝑒𝑡𝑤𝑜𝑟𝑘 𝐴𝑔𝑎𝑖𝑛𝑠𝑡
𝑀𝑖𝑔𝑟𝑎𝑛𝑡 𝐷𝑒𝑡𝑒𝑛𝑡𝑖𝑜𝑛, a new transnational network of Italian and
Albanian activists, we launched a 𝒕𝒘𝒐-𝒅𝒂𝒚 𝒎𝒐𝒃𝒊𝒍𝒊𝒛𝒂𝒕𝒊𝒐𝒏 𝒕𝒐
𝒐𝒑𝒑𝒐𝒔𝒆 𝒕𝒉𝒆 𝑹𝒂𝒎𝒂-𝑴𝒆𝒍𝒐𝒏𝒊 𝒑𝒂𝒄𝒕 and demand 𝒕𝒉𝒆
𝒄𝒍𝒐𝒔𝒖𝒓𝒆 𝒐𝒇 𝒕𝒉𝒆 𝒄𝒆𝒏𝒕𝒆𝒓𝒔 𝒊𝒏 𝑺𝒉𝒆𝒏𝒋𝒊𝒏 𝒂𝒏𝒅
𝑮𝒋𝒂𝒅𝒆̈𝒓, 𝑨𝒍𝒃𝒂𝒏𝒊𝒂.
The pact represents yet 𝒂𝒏𝒐𝒕𝒉𝒆𝒓 𝒎𝒆𝒄𝒉𝒂𝒏𝒊𝒔𝒎 𝒐𝒇 𝒃𝒐𝒓𝒅𝒆𝒓
𝒆𝒙𝒕𝒆𝒓𝒏𝒂𝒍𝒊𝒛𝒂𝒕𝒊𝒐𝒏 and experiments with the creation of actual
administrative detention facilities for migrants, thus setting a dangerous
precedent within the European infrastructure aimed at restricting freedom of
movement and the right to asylum — 𝒂 𝒔𝒆𝒄𝒖𝒓𝒊𝒕𝒚-𝒃𝒂𝒔𝒆𝒅
𝒎𝒆𝒄𝒉𝒂𝒏𝒊𝒔𝒎 𝒐𝒇 𝒓𝒆𝒑𝒓𝒆𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏 𝒂𝒏𝒅 𝒄𝒐𝒏𝒇𝒊𝒏𝒆𝒎𝒆𝒏𝒕
𝒕𝒉𝒂𝒕 𝒘𝒆 𝒘𝒂𝒏𝒕 𝒕𝒐 𝒐𝒑𝒑𝒐𝒔𝒆.
𝐀𝐬 𝐚𝐧 𝐨𝐫𝐠𝐚𝐧𝐢𝐳𝐞𝐝 𝐜𝐢𝐯𝐢𝐥 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐞𝐭𝐲 𝐦𝐨𝐯𝐞𝐦𝐞𝐧𝐭, 𝐢𝐭
𝐢𝐬 𝐜𝐫𝐮𝐜𝐢𝐚𝐥 𝐟𝐨𝐫 𝐮𝐬 𝐭𝐨 𝐠𝐚𝐭𝐡𝐞𝐫 𝐢𝐧 𝐀𝐥𝐛𝐚𝐧𝐢𝐚 𝐭𝐨
𝐦𝐨𝐛𝐢𝐥𝐢𝐳𝐞, both with a protest at the Shenjin hotspot and the Gjadër CPR
on Sunday, December 1st, and with a demonstration in Tirana on Monday, December
2nd, in front of the institutions responsible for the agreement.
We want to resist this neo-colonial model by 𝐜𝐫𝐞𝐚𝐭𝐢𝐧𝐠 𝐚 𝐛𝐫𝐨𝐚𝐝,
𝐜𝐫𝐨𝐬𝐬-𝐜𝐮𝐭𝐭𝐢𝐧𝐠 𝐦𝐨𝐯𝐞𝐦𝐞𝐧𝐭 𝐭𝐨 𝐚𝐛𝐨𝐥𝐢𝐬𝐡 𝐭𝐡𝐞 𝐂𝐏𝐑
𝐬𝐲𝐬𝐭𝐞𝐦 𝐡𝐞𝐫𝐞 𝐚𝐧𝐝 𝐞𝐥𝐬𝐞𝐰𝐡𝐞𝐫𝐞, 𝐭𝐨 𝐛𝐮𝐢𝐥𝐝 𝐚 𝐄𝐮𝐫𝐨𝐩𝐞
𝐨𝐟 𝐫𝐢𝐠𝐡𝐭𝐬 𝐚𝐧𝐝 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥 𝐣𝐮𝐬𝐭𝐢𝐜𝐞, 𝐚𝐧𝐝 𝐭𝐨 𝐟𝐢𝐠𝐡𝐭
𝐟𝐨𝐫 𝐟𝐫𝐞𝐞𝐝𝐨𝐦 𝐨𝐟 𝐦𝐨𝐯𝐞𝐦𝐞𝐧𝐭 𝐟𝐨𝐫 𝐚𝐥𝐥.
𝐹𝑜𝑟 𝑓𝑢𝑟𝑡ℎ𝑒𝑟 𝑙𝑜𝑔𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎𝑙 𝑖𝑛𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑜𝑛 ℎ𝑜𝑤 𝑡𝑜
𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑐𝑖𝑝𝑎𝑡𝑒 𝑖𝑛 𝑡ℎ𝑒 𝑡𝑤𝑜 𝑑𝑎𝑦𝑠 𝑖𝑛 𝐴𝑙𝑏𝑎𝑛𝑖𝑎, 𝑔𝑒𝑡
𝑖𝑛 𝑡𝑜𝑢𝑐ℎ 𝑤𝑖𝑡ℎ 𝑢𝑠!
🅢🅣🅞🅟 🅛🅐🅖🅔🅡
Nella giornata di ieri, la nave Libra è approdata in Albania con otto persone
migranti a bordo (di cui una riportata in Italia per motivi di salute
“incompatibili” con la reclusione: come se esistesse qualcun realmente
compatibile a lager disumani come questi).La macchina delle espulsioni non si
ferma neppure quando entra in contraddizione con lo stesso diritto che la tiene
in piedi. Risulta evidente come il governo italiano sia in affanno e pur di non
cedere effettua violente deportazioni tanto inutili quanto costose (134 milioni
di euro all’anno).
Ancora una volta assistiamo a questa farsa mentre arriva la notizia che un uomo
di 33 anni del CARA di Bari è deceduto dopo aver ingoiate delle pile come gesto
di denuncia. Le persone risiedenti nel centro si sono rivoltate scatenando la
loro rabbia dopo che da giorni richiedevano condizioni migliori.
In quello stesso CARA sono “ospiti” anche 12 dei 16 migranti che erano stati
deportati nell’hotspot albanese di Gjader e che poi han fatto ritorno in Italia.
Intanto, a Torino si prepara il terreno per la riapertura del CPR di corso
Brunelleschi, tra i plausi della destra e la stucchevole indignazione di chi
amministra questa città.
Sembra doveroso ricordare che il PD, che oggi organizza flashmob per opporsi
alla riapertura, ieri ha fatto da apripista e alimentato queste stesse
politiche. Non dimentichiamo che circa venticinque anni fa è stato proprio il PD
(allora DS) il promotore e creatore, con la Turco-Napolitano, dei primissimi CPT
(Centri di permanenza temporanea), poi CIE e oggi CPR.
Ma pur volendo sorvolare sugli errori del passato, l’alternativa proposta dal PD
pochi giorni fa in circoscrizione 3 si presenta tanto confusa quanto
securitaria. Infatti, si limita a chiedere, per le persone migranti uscite dal
carcere, l’obbligo di firma e dimora con eventuali attività di supporto
nell’attesa del rimpatrio. Ovviamente per chi se lo merita e non ha un profilo
troppo “criminale”; per quest’ultimi invece si è parlato di procedure di
rimpatrio direttamente dal carcere, evitando (o proprio confermando?) dubbi tra
metafore e sovrapposizioni tra carcere e CPR.
E i/le migranti che non arrivano dal carcere? Non è dato sapere.
Ci opponiamo a qualsiasi forma ibrida di controllo e repressione sui corpi delle
persone migranti, per quanto infiocchettate di “rieducazioni” e “reinserimenti”
vari.
L’unica alternativa è l’eliminazione del privilegio dei documenti e delle
barriere istituzionali ad una vita degna per tutt*.
I CPR LI VOGLIAMO CHIUSI.
MAI PIÙ CPR,
NÈ QUI NÈ ALTROVE
Sono iniziate le deportazioni in Albania. Mentre a livello geopolitico si
muovono le richieste del primo ministro albanese di entrare nell’Europa che
conta , sul pattugliatore Libra della Marina Militare Italiana sono state
caricate , previa selezione arbitraria, sedici persone, di cui dieci di origine
egiziana e sei bengalese.Approdate al porto di Shengjin, Albania, le persone
deportate sono state sottoposte a un secondo sommario controllo per confermare
il loro stato di detenzione; le sedici persone sono state discrezionalmente
individuate mentre affrontavano la traversata in mare insieme ad altre,
utilizzando come pretesto l’applicazione di parametri in nessun modo e contesto
valutabili, come la loro presunta “non vulnerabilità” o la provenienza da un
cosiddetto Paese Sicuro (concetto contestato anche dalla Corte di Giustizia
Europea).
Discrezionalità che si è resa evidente una volta giunti al porto, 4 delle sedici
persone sono state poi dichiarate “non idonei” e dovranno essere ritrasferite in
Italia (utilizziamo il futuro perché da ieri sopraggiungono svariate notizie
della brutalità con cui è stata gestita la situazione).
Questa “procedura di frontiera accelerata” (cfr. DL 20/2023) , già attuata a
Pozzallo e a Porto Empedocle, non è mai stata confermata dai tribunali italiani
in quanto presenta numerosi profili di illegittimità e comprime le garanzie e le
libertà previste per coloro che presentano domanda di asilo. I tribunali stessi
hanno considerato il trattenimento dei e delle richiedenti asilo illegittimo,
contestando il concetto stesso di paese sicuro e affermando che le richieste
d’asilo vanno affrontate su base personale.
Di fronte a tutto ciò, risulta oltremodo anacronistico rinchiudersi nella
propria indignazione, senza tentare di inceppare la macchina razzista e
mortifera delle espulsioni e della detenzione amministrativa.
Per questo, e non solo, il 01 Novembre scenderemo nelle strade, perché non
saremo spettatori e spettatrici silenti davanti ad un sistema di deportazioni,
perché Frontex e le frontiere vanno cancellate e non esternalizzate, perché il
CPR di Torino o in Albania non può e non deve riaprire!
Ci vediamo venerdì 01 novembre ore 16 in piazza Robilant.
Contro CPR e Frontiere!
Tutt* liber*!
https://gabrio.noblogs.org/files/2024/10/VID-20241018-WA0000.mp4
TORINO / 1,2 e 3 Novembre 2024
Se primavera ed estate 2024 sono state scandite dal calore di proteste,
scioperi, rivolte ed evasioni – sopratutto dentro le galere di in ogni parte del
paese – non si può dire che la controparte non stia, di pari passo, affilando la
sua lama, puntandola spietatamente contro poverx, migranti e ribelli nonché
chiunque porta solidarietà e prova a opporsi e resistere. Gli strumenti
legislativi a disposizione delle procure si stanno, infatti, rimpolpando di
disegni e decreti legge criminogeni che mirano ad ampliare il ventaglio dei
reati, intensificarne le pene e abbassare la soglia di punibilità.
Il ddl 1660, in corso di approvazione, rispecchia molto bene la realtà in cui ci
vogliono costringere a vivere. Difatti, in maniera molto dettagliata e puntuale,
va a colpire tutti gli ambiti dove negli ultimi anni sono state portate avanti
le proteste e le lotte più incisive che hanno attraversato il paese, dai luoghi
di detenzione (carcere e CPR) alle mobilitazioni contro il disastro climatico.
D’altronde non servirebbe uno degli ultimi omicidi – in ordine temporale, e tra
i più noti, che da decenni accadono nelle campagne italiane – di Satnam Singh a
ricordarci che la linea del colore e l’oppressione di classe segnano
indelebilmente il destino all’interno delle dinamiche di sfruttamento della
forza lavoro. O l’assassinio di Oussama Darkaoui nel CPR di Palazzo San Gervasio
a ribadire, ancora una volta, come le galere amministrative assolvano
quotidianamente a uno dei loro compiti principali: terrorizzare i/le liberx
senza documenti europei – resx clandestinx dalle leggi – affinché non osino
lottare, autodeterminarsi ed esistere fuori dagli schemi della paura e del
dominio.
Eppure, questa calda estate ci ha dimostrato che davanti alla brutale
ingiustizia e violenza agita dallo Stato, non è solo la paura a dominare gli
animi. Da Nord a Sud le proteste hanno scaldato i centri di detenzione – sia
penale che amministrativi, ad ogni latitudine e per mano di ogni età. Fuori da
quelle mura, solidali e complici han cercato le proprie strade per mostrare
supporto, tessere legami, far circolare le notizie, rendersi tasselli di
comunicazione, affiancando chi ha deciso di parlare per sé attraverso rivolte e
proteste.
Sappiamo che il capitalismo differenziale – tanto più se in crisi economica e in
un panorama bellico – ha sempre più bisogno di allargare le maglie quantitative
del contenimento, irregimentare i metodi di tortura con il fine – neanche tanto
sottinteso – di terrorizzare su larga scala e contenere coloro che si ribellano.
Guerra, violenza, repressione, sorveglianza e incarcerazione, costituiscono gli
strumenti necropolitici per antonomasia che si ripercuotono materialmente sui
corpi provocando morte e sofferenza. Spezzano i legami ma, allo stesso tempo,
producono nuove relazioni sociali, nuove grammatiche del potere, iscrivendole
all’interno di un’economia politica imperniata sulla gerarchizzazione
dell’umano.
La necropolitica, provando a interpretare i presenti sconvolgimenti globali, non
è tuttavia semplicemente un processo bensì un vero e proprio paradigma. Il
conflitto bellico tra l’Ucraina e la Federazione Russa e il genocidio in atto da
parte dello stato sionista nei confronti della popolazione palestinese, sono –
all’interno di questo quadro – potenti esempi di come agisce tale macchina.
Alle nostre latitudini i venti di guerra soffiano in molteplici direzioni; ne
sono un esempio, da un lato, gli investimenti massicci nel settore bellico da
parte del governo Meloni, dall’altro la stesura di decreti sicurezza, creati ad
hoc, in cui vengono categorizzati sempre più nuovi nemici interni, evocando
incessantemente una supposta minaccia incombente sulla stabilità del sistema
economico e sociale.
Non limitandoci a osservare il fenomeno della guerra, come mera espressione
dei/delle governanti di turno o di contingenti necessità geopolitiche, ci preme
piuttosto leggere il presente bellico come parte integrante del capitalismo, e
nella fattispecie di quello neoliberale, grimaldello della paura e della
retorica massmediatica: base discorsiva per l’assestarsi o l’accelerare di
alcune modificazioni del presente. Fondamentale, in merito ai discorsi oggetto
di questa chiamata, l’intensificarsi di una retorica potente sul nemico interno
delineato, non solo in chi lotta o dissente, ma soprattutto in colui che si
trova ai margini del privilegio di classe e razza. A tal proposito, il razzismo
sistemico e sistematico, l’islamofobia, la clandestinizzazione forzata delle
persone in viaggio senza documenti europei, la brutalità delle frontiere e le
morti in galere e CPR, sono parte del complesso set di strumenti torturatori che
il potere si dà per tenere sotto scacco una vasta quantità di popolazione. Ne
consegue un’architettura lineare che oggi sfrutta sul lavoro, domani capitalizza
nei centri di detenzione e – magari – in un futuro guerreggiato neanche troppo
lontano, ricatta per comporre le fila di una possibile legione straniera.
Delineare la geografia del razzismo sistemico e sistematico diventa lo strumento
analitico fondamentale per trovarsi, tra complici e solidali, riconoscersi e
identificare i punti di attacco. A seguito dell’importante chiamata promossa
dalla Rete Campagne in Lotta
(https://campagneinlotta.org/violenze-e-morte-alle-frontiere-razzismo-quotidiano-segregazione-rispondiamo-a-tutto-questo/)
ad Aprile a Roma, proponiamo un seguito di quel momento di confronto a Torino,
per l’1/2/3 Novembre 2024.
Occasione preziosa per lanciare anche un’iniziativa pubblica contro la
riapertura del CPR di Torino, chiuso per la prima volta nel Marzo 2023 grazie a
tre settimane di coraggiose rivolte, che han permesso al fuoco di distruggere,
totalmente, una galera per persone senza documenti europei attiva da 25 anni.
Un anno e mezzo fa, all’incirca, il CPR di Corso Brunelleschi veniva distrutto
dalla rabbia dei reclusi, rendendo materialmente più fragile un tassello della
macchina delle espulsioni nostrane. Da quelle calde giornate invernali di fuoco,
numerose sono state le rivolte, le evasioni e gli scontri contro la polizia, che
hanno caratterizzato la quotidianità all’interno dei lager di Stato italiani. La
violenza agita dalla detenzione amministrativa va inserita in un quadro ampio e
complesso che conduce a uno sguardo sulla macchina delle espulsioni e ai CPR,
come la punta visibile di un iceberg, in cui si annodano più strati e substrati
di violenza e razzismo sistemico.
Se, infatti, il razzismo è un concetto solido – tangibile nella sua produzione
di conseguenze materiali – urge produrre un discorso intellegibile che, con
puntualità, renda esplicita la geografia dell’oppressione, lungo la linea del
colore e della classe.
Estrapolare la lotta contro i CPR, da un discorso unicamente antidetentivo, ci
consente di rendere esplicito il ruolo che queste prigioni hanno nel fungere
anche, e non solo, da monito ai liberi e rafforzare così il ricatto del permesso
di soggiorno. Lottare contro le galere amministrative, assume così, un
significato nel porsi a fianco dei migranti, lavoratori e non, che chiedono
documenti, casa e tutele per tuttx. In questo panorama, attaccare la forma
tangibile di una frontiera vuol dire porsi al fianco di chi è rimbalzato,
tramite dispositivi e leggi europee, tra l’essere l’oggetto di scambio tra
Stati, merce di profitto per privati, strumento di pressione mediatica per fini
nazionalistici e/o manodopera a basso costo.
Sentiamo sempre più urgente, prioritario e impellente incontrarci e organizzarci
per analizzare il reale mortifero in cui viviamo, trovarci tra complici e
tessere le reti di alleanze possibili con il fine di trovare i punti di attacco
all’impianto razzista che scandisce la quotidianità nel capitalismo di oggi.
Il coraggio dirompente del reclusi del CPR di Torino nel Febbraio 2023 non può
rimanere silente, dimenticato e rifagocitato dalla macchina razzista.
A tal proposito invitiamo compagnx, complici, solidali a venire a Torino nei
primi giorni di Novembre per tre giorni di discussione e mobilitazione
nazionale.
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PROGRAMMA GIORNATE
VENERDI 1 NOVEMBRE
ORE 16 CORTEO NEL QUARTIERE DI SAN PAOLO CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI CORSO
BRUNELLESCHI
SABATO 2 NOVEMBRE
DALLE ORE 1O ASSEMBLEA PRESSO IL CSOA GABRIO, via Millio Torino
DOMENICA 3 NOVEMBRE
DALLE ORE 10 ASSEMBLEA (solo la mattina)
Per info e ospitalità scrivere a: antirazzistxpiemonte[at]autistici.org