Tuttə abbiamo visto l’accattivante propaganda del nuovo Piano Regolatore che la
giunta a guida PD sta elaborando in una disperata corsa contro il tempo per
arrivare alla sua approvazione prima di fine mandato.
Torino cambia, il piano va veloce! Ma come sta cambiando la nostra città? E
soprattutto, quella velocità, a chi fa comodo e chi lascia indietro?
L’assessore Mazzoleni (plurindagato tra le altre per corruzione, abuso edilizio
e lottizzazione abusiva) ha deciso di creare la cosìddetta città dei 15 minuti,
ma ad oggi quindici sono i minuti concessi alla cittadinanza per esprimere il
proprio parere, mentre il vero spazio in questo processo è stato dato, guarda
caso proprio agli immobiliaristi e ai costruttori, sotto la guida attenta della
fondazione Bloomberg.
A guardar bene questo nuovo piano non sembra poi così elaborato: per fare cassa,
Lo Russo e i suoi svendono ampie porzioni della nostra città. Parchi ed edifici
pubblici diventano una merce come un’altra, che fa molta gola ai soliti grandi
fondi privati di investimento. E dall’altra non ci si occupa davvero di chi vive
in città e quindi della casa, dei servizi, della sanità,dei parchi e giardini,
ma si cerca sempre più di favorire l’uso temporaneo della città, con qualche
concessione e grande evento, per provare a spremerla il più possibile.
E quindi il piano va veloce: gli affitti si alzano, i quartieri si svuotano
dagli abitanti e dai servizi che li rendono vivibili. Al loro posto studentə di
cui approfittarsi e turisti mordi-e-fuggi da spolpare per il weekend.
Velocità e deregolamentazione favoriscono piattaforme come Airbnb e Booking che
nella nostra città producono la desertificazione dei quartieri e l’aumento degli
affitti, mentre in Palestina si rendono complici dell’occupazione Israeliana,
permettendo ai coloni sionisti di mettere in affitto case nei territori
sottratti allə palestinesi¹.
Se da un lato tutto questo si sta già concretizzando, dall’ altro non è troppo
tardi per invertire la direzione!
Noi abbiamo un altro piano per Torino! Solo insieme possiamo costruire una città
a misura di abitante, solidale e salubre, che non lasci indietro nessunə.
Per questo rilanciamo a gran voce l’invito di Un Altro Piano per Torino a
partecipare all’assemblea cittadina di questo GIOVEDI 11 DICEMBRE al Gabrio in
Via Millio 42 dalle ore 18.00.
Source - C.S.O.A. GABRIO
chi sogna non sarà mai sol@ ★ chi lotta non muore mai
Questa sera, con la proiezione “colpevoli di Palestina”, avremmo voluto
parlare della situazione di Anan, Alì e Mansour.
Avremmo voluto parlare di come lo stato italiano si pieghi ancora una volta alle
richieste sioniste di vendetta verso chi ha deciso di lottare per la propria
libertà.
Ci troviamo, invece, costrettə ad un’altra urgenza, ad un altro attacco
repressivo verso chi si espone e lotta per la Palestina nella nostra città.
Il 25 novembre Mohamed Shahin, compagno da sempre impegnato nella lotta di
liberazione della Palestina, è stato arrestato e portato al CPR.
Il suo successivo trasferimento in tempi brevissimi nel CPR di Caltanissetta è
un attacco disciplinatorio che rieccheggia dinamiche che vanno avanti da 25 anni
e che purtroppo a Torino conosciamo bene.
L’uso della detenzione amministrativa si rivela ancora e sempre di più, uno
strumento politico di governo delle popolazioni razzializzate, una tecnologia di
controllo che interviene non quando c’è un reato, ma quando c’è un’identità,
un’appartenenza, una presenza percepita come scomoda. Non è una risposta
giuridica: è un dispositivo di disciplinamento in Italia come in Palestina.
Il suo messaggio è chiaro e violento: se appartieni a precise comunità, i tuoi
diritti non sono garantiti, ma sospendibili; non sono stabili,
ma arbitrariamente revocabili. Questo non è un incidente o una deviazione, ma la
funzione stessa della detenzione amministrativa nel contesto contemporaneo.
Quello che osserviamo è l’uso del diritto come strumento di controllo sociale.
La legge diventa selettiva, modulata a seconda del corpo che
incontra, producendo esclusione, isolamento, neutralizzazione. Il diritto, lungi
dall’essere un terreno neutro, si trasforma in un campo di forze attraverso cui
lo Stato regola, ordina e punisce chi alza la testa e prende parola come Shahin.
I CPR sono l’incarnazione materiale di questo processo. Non sono luoghi di
“gestione dei flussi”, ma spazi di contenimento e punizione preventiva rivolti a
soggetti già vulnerabilizzati. Operano dentro una logica di razzismo
istituzionale, un razzismo che non ha più bisogno di gridare slogan perché è
stabilizzato da norme, decreti e dispositivi burocratici che governano la
mobilità e la vita delle persone migranti.
È un razzismo che funziona per sottrazione: sottrazione di libertà, di tempo, di
dignità, di visibilità pubblica.
È un razzismo che produce corpi “detenibili”, corpi per cui la privazione della
libertà diventa sempre possibile, sempre giustificabile.
Denunciare i CPR significa allora denunciare la logica che li rende necessari:
la costruzione del capro espiatorio, la produzione politica della paura, la
trasformazione della sicurezza in un linguaggio che serve non a proteggere ma a
disciplinare. La sicurezza diventa l’alibi attraverso cui si giustifica la
compressione dei diritti fondamentali di intere comunità, trasformate in
bersaglio di sospetto generalizzato.
I CPR non sono un fallimento del sistema: sono il sistema. Sono il punto in cui
si manifesta senza maschere l’obiettivo della detenzione amministrativa:
governare attraverso l’esclusione, controllare attraverso la punizione,
costruire attraverso la razzializzazione una parte della popolazione come
minaccia o eccedenza.
Il caso di Mohamed Shahin si inscrive perfettamente in questa stessa logica.
La sua vicenda non è un’eccezione, né un episodio isolato: è un esempio
emblematico di come la detenzione amministrativa venga utilizzata come
strumento politico di punizione e disciplina.
Questo caso rivela con estrema chiarezza il funzionamento dei CPR come
istituzioni di governamento differenziale delle popolazioni. Qui il
diritto non viene applicato in modo uniforme, ma tradotto in un regime di
eccezione permanente che si attiva su base razziale, religiosa, culturale ed è
pronto ad essere attivato, come abbiamo visto in questi giorni, anche su base
politica.
Non è la persona ad essere giudicata, ma il suo profilo razzializzato. Non è il
fatto a essere valutato, ma la sua posizione dentro rapporti di potere che
vedono alcune comunità come radicalmente esposte alla sospensione dei diritti.
Questo episodio mostra anche un’altra dinamica cruciale: la punizione politica
del sostegno alla Palestina.
In questo contesto, la detenzione amministrativa diventa uno strumento
attraverso cui lo Stato non interviene sul piano del diritto, ma su quello
dell’allineamento ideologico. Non si tratta di un giudizio sui fatti, ma di una
risposta a una presa di posizione politica. E il CPR diventa così l’estremità
violenta di un processo di sorveglianza ideologica che usa l’apparato
amministrativo per colpire il dissenso.
Per questo e non solo, nella giornata di sciopero di domani porteremo la nostra
solidarietà ai detenuti del CPR di Torino, prima di raggiungere in bici il
corteo in Piazza XVIII Dicembre.
Ci vediamo alle 9.30 in Corso Brunelleschi e torneremo ancora questa domenica di
fronte al CPR in corso Brunelleschi alle 15.00.
FREE SHAHIN!
ABOLIAMO I CPR!
FREE PALESTINE!
Rispolveriamo un vecchio, ma sempre valido slogan per dare qualche aggiornamento
sulla questione amianto al Gabrio, anche perché spesso tanto viene detto e
riportato da giornali e/o pseudo politici senza alcuna cognizione di causa.
Nella scuola occupata di via Millio c’è da sempre l’amianto, come nella maggior
parte dell’edilizia degli anni ’70 di Torino e non solo.
Una volta emersa la questione nel 1997 e fino al suo funzionamento, il Comune si
è occupato di alcuni lavori di messa in sicurezza e di un piano di gestione e
controllo. Quando la scuola nel 2013 è stata occupata, con estrema attenzione è
stata ripresa la documentazione pubblica esistente, messa in sicurezza la
struttura e prodotto un documento pubblico di (auto)gestione dello stabile¹.
In fondo, il nostro collettivo ha sempre dovuto fare i conti con la presenza
dell’amianto²: anche nella precedente occupazione di via Revello ci siamo presi
cura e messo in sicurezza un edificio che lo conteneva e abbiamo dovuto
sopportare gli attacchi di una certa politica pronta a gridare allo scandalo
mentre copre chi ha lucrato per anni sull’amianto ben conoscendone i danni per
la salute.
A dicembre 2024 abbiamo deciso di fare un controllo approfondito sullo stato
dell’amianto nella struttura: non c’era un’urgenza particolare, ma
dall’occupazione abbiamo seguito il documento e le indicazioni di espert*, anche
perché l’ultima era stata effettuata nel 2012.
Con ingegneri specializzati abbiamo revisionato il piano di Manutenzione e
Controllo, effettuato sopralluoghi in tutte le aree in cui è presente l’amianto
e fatto diversi campionamenti professionali dell’aria per verificare se ci fosse
dispersione di fibre di amianto.
I risultati³ hanno evidenziato che:
* non c’è nessuna dispersione di fibre di amianto;
* i manufatti che contengono amianto sono in sicurezza;
* come evidenziato dai tecnici, la manutenzione e il controllo dell’amianto
portato avanti dal collettivo è stato efficace per garantire la salute di chi
frequenta e di chi abita le aree circostanti.
Insomma
L’AMIANTO AL GABRIO C’È, MA È SOTTO CONTROLLO E IN SICUREZZA.
Questo si aggiunge ai fatti che dimostrano come la capacità di autogestire un
luogo sottratto all’abbandono sia concreta.
Cercare di creare un luogo in primis sicuro per chi lo frequenta o ci vive
vicino è sempre una nostra priorità, per questo abbiamo autofinanziato delle
costosissime analisi specialistiche e abbiamo speso e spendiamo altrettante ore
nella manutenzione fisica del Gabrio.
In un contesto in cui in nome del profitto e della speculazione anche le città
sono sempre più riempite di vecchie e nuove nocività, tra PFAS trovati nelle
acque, polveri sottili e depositi di smarino che si decidono di costruire vicino
a grandi centri abitati come a Susa, per noi le priorità continuano ad essere
altre: la messa in sicurezza dei territori e il prendersi cura delle comunità
che li vive.
Continueremo a fare la nostra parte anche dal 42 di Via Millio.
CSOA GABRIO
Note
¹ Piano di Manutenzione e Controllo – CSOA Gabrio
² Campagna I Love Gabrio
³ RELAZIONE_MISURE_AMIANTO_GABRIO_2024_25
SABATO 18 OTTOBRE – H 22:30
🔥 Per il nostro 31° compleanno festeggiamo insieme una notte dove il suono è
protagonista.
Ritmi ancestrali, bassi che pulsano, tamburi che si intrecciano a scariche di
energia adrenalinica.
Sonorità che crescono, si espandono, si ramificano — fino a far vibrare corpi,
spazi, respiri.
Anche questa volta, la musica non accompagna: travolge.
È rito, è danza, è liberazione.
Dal battito della terra all’elettricità del dancefloor, i suoni si mescolano, si
inseguono, esplodono.
Una serata per chi cerca nella musica una via di fuga, per chi crede
nell’energia come forza comune.
Nessun palco, nessuna distanza: solo corpi che si muovono, bassi che uniscono,
desideri che si amplificano.
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INGRESSO 5€
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R.Y.F. è il progetto da solista di Francesca Morello, songwriter e chitarrista
di base a Ravenna. R.Y.F. cerca di dare una voce a ogni diversità, alla comunità
queer, alle persone non binarie e a tutte le creature favolose.
La producer e DJ ugandese Catu Diosis è un concentrato di amore ed energia. I
suoi set sono una miscela afrocentrica di musica globale, che ti porta da Luanda
a San Paolo, da Kampala a Bamako in un secondo, con fermate ovunque da Santa
Lucia ad Abidjan, Durban e Nairobi. Catu vive tra Kampala e Colonia, è membro
attivo del Nyege Nyege Collective e fondatrice di Dope Gal Africa (DGA),
un’organizzazione che supporta e coltiva talenti africani e femminili della
diaspora.
Membro della label Pho Bho Records, la ricerca musicale di Tundra si posa su
fondamenta new wave e abissi downtempo: allargare gli spazi fin da subito, così,
gli ha permesso di giungere a ritmiche serrate con un nuovo interesse per
melodie ibride a metà tra polyriddims, juke, folk e post cumbia.
Attualmente conduce “la messinscena”, un programma radiofonico mensile su Radio
Blackout.
Dopo una grande settimana di mobilitazioni in tutt’Italia, il governo, che sul
piano pubblico continua a mantenere una posizione ambigua (e implicitamente
complice) sul genocidio portato avanti da Israele, è invece risoluto ed
efficiente nel portare avanti il suo progetto di repressione del dissenso
interno.
La storia di Anan, Alì e Mansour dimostra chiaramente sia la fame di repressione
che l’asservimento allo Stato genocida. A Milano, dove 200000 persone hanno
cercato di occupare la stazione centrale in segno di solidarietà col popolo
palestinese, la repressione ha colpito con una brutalità tanto eccessiva quanto
gratuita. Due compagnx minorenni organizzatx nell’ambito del CSA Lambretta sono
statx arrestatx con motivazioni pretestuose e, dopo aver passato 3 notti in
attesa di udienza al carcere Beccaria (tristemente noto per gli abusi della
gestione), si sono trovatx ad affrontare aggravanti pesanti, domiciliari e, cosa
di una gravità inaudita, persino il divieto di frequentare la scuola. A questo
si aggiungono altri arresti e altre misure repressive come l’obbligo di firma
per altrx compagnx maggiorenni.L’apparato repressivo mostra come la vera
violenza non siano due vetrine rotte, le cui spese verrano prontamente coperte
dalle assicurazioni dei marchi miliardari che hanno negli anni colonizzato la
stazione centrale, ma la furia con cui lo Stato si scaglia contro qualunque
espressione di dissenso che esca dai confini del “decoro”. Viene criminalizzato
qualunque momento di piazza nel quale la rabbia, l’angoscia e il legittimo
desiderio di lottare per un mondo migliore non si lascino imbrigliare
all’interno di una cornice pacificata, innocua per chi sta al potere e
accettabile per il pubblico moderato che guarda da casa, i cui sogni tranquilli
non vanno perturbati.Queste misure repressive cercano di farci sentire solx e
impotentx, sotto la perenne minaccia di uno Stato in grado di rovinare le nostre
vite e la nostra salute fisica e mentale se non ci lasciamo disciplinare.
Come CSOA Gabrio esprimiamo la nostra piena solidarietà e complicità a
Lambretta, a tutti i collettivi di Milano che sono scesi in piazza il 22
settembre e a tuttx lx compagnx arrestatx. Lx ringraziamo per aver avuto il
coraggio di sfidare il dispositivo di polizia che voleva impedire loro di
esercitare il diritto di scioperare e di portare la legittima e doverosa
solidarietà al popolo palestinese.In quelle stazioni c’eravamo tuttx e non
avremo paura di tornarci nelle prossime settimane.
Libertà per tuttx!
Ieri 22 settembre si è svolta la seconda udienza del processo per la morte di
Moussa Balde.
Per la prima volta la famiglia ha avuto modo di vedere in faccia i responsabili
della morte di Moussa e raccontare la sua storia in aula.
Dai numerosi testimoni tra il personale, le forze dell’ordine e
l’amministrazione del cpr, invece, è emersa chiaramente l’assenza totale di
una reale regolamentazione.
Il personale ha riportato che in Cpr tutto è lasciato all’informalità e
discrezionalità di chi c’è al momento.
Le risorse del capitolato non sono sufficienti né per garantire tutele né per
svolgere servizi essenziali. Di fronte a tali condizioni degradanti, anche il
giudice ha avuto difficoltà a definire “ospiti” i detenuti del CPR.
In questo momento il dibattito si sta concentrando sullo stabilire i
responsabili dell’isolamento di Moussa nell’ospedaletto.
Gli avvocati dell’ ex direttrice del CPR e dell’ex medico, gli unici
imputati, tentano di attribuire la colpa alla prefettura e perfino agli altri
detenuti che avrebbero rifiutato di riaccogliere Moussa in sezione per un
sospetto di scabbia (rivelatosi infondato).
Un vergognoso rimbalzo della colpa che mira solo a mettere confusione
e a cercare di uscirne puliti, senza dare la responsabilità a nessun di quanto
successo.
Ma sappiamo, e non ci stancheremo mai di dirlo, che la colpa della morte di
Moussa e di tutte le altre morti è sistemica. Il Cpr è un sistema che uccide,
tortura e maltratta.
Alla prossima udienza, il 20 ottobre, saranno sentiti gli ex dirigenti
dell’Ufficio Immigrazione e della Prefettura.
Continueremo a portare solidarietà alla famiglia di Moussa e tutti i detenuti e
le detenute del CPR davanti al tribunale.
MAI PIÙ CPR MAI PIÙ LAGER!
Torniamo a raccogliere beni di prima necessità per le persone recluse nel CPR.
Mercoledì 10 settembre dalle 16.30 e durante il Festival @solchi Sabato 13 e
domenica 14 settembre
I detenuti sono trattenuti in condizioni invivibili, sia in termini materiali
sia rispetto alla violenza quotidiana a cui sono costretti.
Da dentro chiedono di poter accedere a beni di prima necessità.
Il cibo, “offerto” dal nuovo gestore Sanitalia è, oltre che immangiabile e a
volte scaduto, pieno di psicofarmaci per sedare i reclusi, esattamente come in
passato.
Dentro il cpr c’è uno spaccio alimentare dove i prezzi sono proibitivi (un pacco
di biscotti costa 7€) perché l’unico interesse di Sanitalia è di lucrare sulla
pelle delle persone.
La nostra solidarietà è un’arma, usiamola!
N.B. dopo le prime raccolte infastiditi da questa iniziativa hanno smesso di
ritirarci i vestiti usati, per cui raccogliamo SOLO VESTITI NUOVI
Il 6 settembre saremo a Milano in appoggio e sostegno complice e solidale alle
realtà sociali milanesi che si sono date appuntamento alle 12 nel piazzale della
stazione Centrale.
Lo sfratto del Leoncavallo, di per sé una bega come se ne vedono tante tra
affittuari e padroni di casa, ha avuto l’innegabile pregio di mostrare
l’ennesimo atto di forza tra istituzioni centrali che scavalcano quelle
territoriali, ma soprattutto di riaprire il dibattito a livello nazionale sugli
spazi sociali e fare emergere un’opposizione sociale cittadina al modello di
città imposto dalle élite.
Sono ormai passati 10 anni dall’ultima volta che una enorme voce critica si è
sollevata a Milano contro questo modello: era infatti il 1 maggio 2015 quando un
grande corteo attraversò la città attaccando frontalmente l’evento
dell’esposizione mondiale che rappresentava la cesura tra l’amministrazione di
centro destra della Moratti e il primo sindaco di centro sinistra Pisapia. La
grande kermesse voluta dal centro destra e portata a conclusione dal centro
sinistra dimostrò in modo inequivocabile che non c’erano differenze sostanziali
sulla visione del futuro della città tra i due presunti schieramenti politici
avversari. Nessun@, a parte il movimento milanese, osò bloccare o mettere in
discusione l’edificazione dell’enorme area di Milano fiera, oggi in gran parte
capannoni abbandonati, che lanciò anche la città nell’Empireo dei fondi
immobiliari mondiali. Probabilmente chi contestò allora l’expo mondiale
difficilmente immaginava che 10 anni dopo avrebbe ritrovato la sua città
completamente abbandonata e regalata ai peggiori speculatori immobiliari del
pianeta Terra: secondo il Global Property Handbook 2025 il capoluogo lombardo si
conferma il più attrattivo in Italia per il mercato internazionale, con prezzi
che superano i 20.000 €/mq nelle zone più esclusive e al quinto posto nella
classifica internazionale delle città più attrattive per gli acquirenti di
fascia alta, dopo Madrid, Dubai, Miami e Monaco. Inoltre secondo il rapporto
redatto da Scenari Immobiliari, in collaborazione con l’agenzia Abitare Co.
Milano è diventata la città con gli affitti più costosi d’Europa con una media
che si aggira sui 2.090 euro al mese, una cifra molto alta considerando il
livello medio degli stipendi italiani, che rimane tra i più bassi d’Europa.
Una città che è diventata invivibile anche per la classe media, dove prosegue
l’espulsione delle persone indesiderate (anche con la violenza più estrema, come
il caso di Rahmi ci ha mostrato), la dismissione di servizi (non esiste più una
piscina pubblica) e la corsa alla cementificazione. Una città che in questi anni
ha vissuto di finanziamenti pubblici, prima grazie all’expo ora grazie alle
olimpiadi, fondi sottrati al resto del paese per alimentare il mito della
capitale globale, sempre in movimento e in trasformazione.
Oggi questo modello è finito sotto inchiesta da parte della magistratura per
svariati reati provocando uno scandalo che in parte ha già travolto
l’amministrazione del sindaco Sala sempre più traballante.
Sul Leoncavallo e i suoi intrallazzi con la corrotta amministrazione Sala
possiamo solo affermare che il loro modello di “spazio sociale” non ci ha mai
convinto, non solo perché mira a spegnere una conflittualità sociale quanto mai
necessaria, creando buon* e cattiv* spazi, ma anche per come ha funzionato,
ricreando lo sfruttamento capitalistico ai danni di chi ci lavorava o favorendo
con “iniziative culturali” lo sdoganamento dei fascisti meloniani.
Certo, la solidarietà ad una realtà che ha dato tanta linfa al movimento
milanese e nazionale è doverosa (nonostante abbiano già uno spazio assegnato),
ma ci uniamo alle critiche espresse da altri spazi su come questa operazione
(oltre a ribadire l’infamia di governanti e FFOO) non possa che essere un’altra
arma nelle mani di chi vuole cancellare le realtà che ancora resistono in spazi
occupati e autogestiti.
In tutta Italia questi spazi sono sotto attacco, tra sgomberi, beni comuni e
mille sfumature di speculazioni urbane, ma rimangono un punto di partenza, un
presidio, una comunità ribelle a cui non siamo dispostɜ a rinunciare e a cui non
rinunceremo.
Da più di un anno Maja è rinchius* nelle carceri ungheresi, estradat* e poi
torturat* nel paese liberticida di cui Orban è dittatore, per il solo “crimine”
di essere antifascista — crimine del quale siamo tutte, tutt* e tutti colpevol*!
Negli ultimi mesi, Maja, ha subito abusi non troppo dissimili da quelli inflitti
a Ilaria Salis: catene ai piedi e alle mani, collare e guinzaglio, un processo
giuridico opaco e infiltrato da un chiaro messaggio politico fascista e
autoritario contro chi lotta per la libertà.
Come ultimo atto di autodeterminazione, Maja ha iniziato uno sciopero della
fame, dapprima in cella d’isolamento e ora nell’ospedale carcerario ungherese al
confine con la Romania.
Un mese di lotta, attraverso il proprio corpo, che ha portato le sue attuali
condizioni di salute ad essere a dir poco allarmanti: drastica perdita di peso,
deterioramento degli organi vitali, danni al cuore.
Riconosciamo e rimarchiamo la necessità del sostegno internazionale a tutt* l*
compas e, in questo momento tragico, a Maja.
Nel nostro piccolo, vogliamo mandare un messaggio di solidarietà e rilanciamo le
richieste avanzate dal padre di Maja, Wolfram Jarosch, come possibile via
d’uscita dal supplizio che l* compas sta subendo:
1. «In nessun caso si deve impiantare un pacemaker contro la volontà di Maja.
Non sarebbe utile dal punto di vista medico, poiché la bassa frequenza
cardiaca è una conseguenza diretta dello sciopero della fame.»
2. «Maja non deve essere legat* al letto. Una misura del genere sarebbe crudele
e priva di giustificazione medica.»
3. «Il Ministero degli Esteri tedesco deve urgentemente porre fine
all’isolamento carcerario e ottenere il rientro di Maja in Germania.»
4. «Non devono avvenire altre estradizioni verso l’Ungheria!»
[Estratto da: Comunicato stampa congiunto di Wolfram Jarosch e del Comitato di
solidarietà per lo sciopero della fame di Maja]
Pretendiamo la liberazione immediata di Maja!
Urge un fronte comune di lotta contro questa ondata fascista che, come un olezzo
di roba rancida e putrefatta, si è riversata sul nostro mondo e nelle nostre
città.
Non possiamo aspettarci niente da uno stato fascista – ungherese o italiano che
sia – e sicuramente non ci aspettiamo una narrazione istituzionale che definisca
i nazisti come un problema di libertà.
Cosa possiamo aspettarci, allora, da un tribunale in cui l’unico giudice fa
anche parte dell’accusa, se non un teatrino della peggior specie?
Possiamo però essere e restare solidal*, possiamo fare tutto ciò che pensiamo
sia giusto per aumentare la solidarietà in maniera esponenziale, immaginando
anche nuove forme di lotta.
A Torino gridiamo da oltre trent’anni che “si parte e si torna insieme”: non è
solo un coro, è una sfida vitale!
Maja non è sol*
#FreeAllAntifas
#FreeMaja
L’attacco a Manituana è un ulteriore atto nella guerra a bassa intensità che
l’amministrazione comunale ha dichiarato contro gli spazi liberati e
l’auto-organizzazione dal basso.
La Torino che sognano di costruire è una città “smart” e ricca, dove chi ha
potere economico può avere tutto, mentre chi è pover* semplicemente scompare.
Una città di rentiers che spremono valore dalla speculazione edilizia, dagli
affitti sempre più inaccessibili e dai grandi eventi.
Naturalmente in tutto questo non c’è spazio per le persone in carne ed ossa che
questa città la abitano davvero: persone con necessità e bisogni (casa, reddito,
salute), con desideri e sogni (di relazioni sociali soddisfacenti, di una vita
degna e interessante), con rabbia e aspirazioni ad un mondo altro.
È in questo humus fertile, fatto di relazioni e politica, di auto-organizzazione
e lotta, che gli spazi sociali come Manituana nascono e proliferano: perchè,
come ci ricordano lu compas, una collettività politica non si può sradicare.
Ed è difficile convincere chi ha sperimentato la possibilità di decidere sulla
propria vita e sulle scelte della propria comunità a rientrare nei ranghi
dell’obbedienza al comando della ragion (economica) di Stato.
Manituana non ha genere, non ha specie e non ha padroni. È l’insradicabile
necessità di costruire, immaginare futuri diversi, coltivare speranze e lotte in
un presente in cui il cemento prova a soffocare ogni seme di resistenza.
Di fronte al furto di spazio che GTT e Amiat-Iren progettano, Manituana promette
di resistere. Non solo noi lo crediamo, ma assicuriamo fin d’ora che siamo e
saremo al loro fianco.
Da marzo ad oggi si sono susseguite a più riprese proteste e scioperi della fame
da parte dei reclusi al CPR di corso Brunelleschi.
Molti dei detenuti che hanno lottato sono stati quasi tutti trasferiti in altri
lager, con l’unico obiettivo di spezzare i legami che si stavano creando con chi
dall’esterno solidarizza.
Il nuovo ente gestore, Sanitalia, lavora in continuità con le multinazionali che
l’hanno preceduto: ennesima prova che non esistono lager umani o umanizzabili.
Nonostante il capitalato d’appalto prevedesse l’aumento dei posti nel 2026,
negli ultimi giorni sono state aperte nuove aree, prontamente riempite anche da
altri CPR.
Sentiamo il bisogno di tornare sotto quelle mura per portare la nostra voce e la
nostra solidarietà a chi lotta e a chi è recluso da uno stato razzista.
Sabato 28 giugno dalle 16 saremo in Corso Brunelleschi
Sosteniamo la loro lotta contro detenzione e deportazione!
Sarà importante essere in tantə per far sentire la nostra vicinanza a chi è
costretto dietro quelle mura infami.
CHIUDERE I CPR, LIBERARE TUTTI!
mai più CPR, mai più Lager
Dalla riapertura del lager di Corso Brunelleschi abbiamo sempre cercato di
portare la nostra solidarietà alle persone recluse -che sbirri e operatori del
centro con nervosismo continuano a chiamare “”ospiti””.
Le condizioni all’interno del lager continuano a essere, e saranno sempre,
degradanti. Le rivolte scoppiate nelle scorse settimane lo dimostrano
chiaramente: non può esistere una vita dignitosa tra quelle mura.
Negli ultimi giorni stanno venendo aperte nuove aree e le persone recluse sono
sempre di più, quasi settanta ormai.
Come ci raccontano i reclusi all’interno del lager, le condizioni di vita sono
degradanti e i detenuti vengono umiliati quotidianamente.
Crediamo che la solidarietà passi anche attraverso la consegna dei pacchi
contenenti vestiti e generi alimentari. Questi ultimi molto importanti, non solo
perché allo “shop” del CPR un pacco di biscotti arriva a costare 7 euro, ma
anche perché il cibo somministrato è pieno di psicofarmaci utilizzati per sedare
le persone recluse.
Ma soprattutto gli consente di avere la libertà di scegliere se accettare o
rifiutare il pasto.
Consegnare i pacchi per noi è un modo per fare sentire alle persone recluse che
non sono sole, che esiste una solidarietà, anche molto concreta, fuori da quelle
mure.
Sbirri, militari e operatori hanno sempre mostrato grande nervosismo quando
siamo andat3 a consegnare tutti quei pacchi.
Dopo le prime rivolte hanno man mano aggiunto regole e procedure per danneggiare
anche questa forma di solidarietà, cercando sempre pretesti per non fare
arrivare i pacchi ai detenuti. Qualche pacco (fortunatamente pochi) non è
arrivato, il cibo prossimo alla scadenza le ultime volte è stato rifiutato,
alcune cose accettate una volta, non lo sono state la volta successiva. E dulcis
in fundo, durante l’ultime consegne ci è stato detto che si possono consegnare
vestiti esclusivamente nuovi o con lo scontrino della lavanderia. Tutto ciò,
dicono, per il “benessere” dei detenuti che altrimenti rischierebbero la scabbia
(come se non fossimo in grado di lavare i vestiti).
Ancor peggio è che, se per i primi pacchi era possibile incontrare i reclusi,
salutarsi brevemente vis a vis, anche se circondatɜ da una dozzina di sbirri di
ogni tipo, dopo le prime rivolte hanno deciso che questo non era più ammesso dal
regolamento, che “non c’era bisogno”. Nel continuo processo di disumanizzazione
e isolamento totale adesso sono gli sbirri a consegnare i pacchi.
Insomma, la vendetta istituzionale per essersi rivoltati tenta di recidere i
pochi legami di solidarietà, ma non arrendiamoci.
Grazie alla raccolta, siamo riuscitɜ a fare delle grandi consegne di pacchi, ma
le richieste da dentro continuano ad arrivare, per questo la raccolta va avanti.
Ricordiamo che a causa delle nuove restrizioni i vestiti che raccogliamo devono
essere NUOVI.
Per chi volesse contribuire alla raccolta può passare il martedì e il mercoledì
dalle 17.00 alle 20.30 al Gabrio in via Millio 42 o contribuire economicamente
via satispay.
Per chi volesse organizzarsi ci vediamo in assemblea tutti i martedì alle 19.30
al Gabrio
Freedom, Hurrya, Libertà!