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[2025-12-12] CORTEO ANTIRAZZISTA IN MEMORIA DI ISSA E MAMADOU @ Alba (CN) - zona h
CORTEO ANTIRAZZISTA IN MEMORIA DI ISSA E MAMADOU Alba (CN) - zona h - Piazzale Beausoleil (venerdì, 12 dicembre 18:00) Venerdì 12 dicembre ore 18 , Zona h , Alba A un anno esatto dalla scomparsa di Issa e Mamadou, giovani lavoratori morti di freddo, lo sfruttamento lavorativo e la problematica abitativa rimangono problemi irrisolti. Le istituzioni si muovono lentamente senza mai mettere in discussione il modello produttivo portatore di sfruttamento e diseguaglianza. Anzi al posto di investire in edilizia pubblica , investono in sicurezza acquistando stabili per futuri commissariati di polizia. I padroni impuniti continuano a approfittare della manodopera, non solo nelle vigne ma anche nelle fabbriche basti osservare il caso delle lavoratrici proteco e del processo contro il colosso Ferrero. La ricchezza di pochi cresce a discapito della dignità umana, ad Alba come nel resto d'Italia. Quest'andamento dev'essere interrotto e invertito, lo grideremo nelle strade della nostra città il 12 dicembre. Dal basso per il basso. LA STORIA DI ISSA E MAMADOU A dicembre 2024 ad Alba sono morte due persone. Issa e Mamadou avevano trovato rifugio in uno stabile in disuso in periferia. Nel tentativo di scaldarsi, sono soffocati a causa del monossido di carbonio. In passato avevano svolto il lavoro di braccianti. Arrivavano dall'Africa e cercavano fortuna. Avevano meno di trent'anni e non trovavano casa né impiego, nonostante i documenti in regola. Sono stati assassinati da un sistema ingiusto, dalla logica imprenditoriale che mira al profitto noncurandosi di chỉ produce di fatto la ricchezza. Sono morti a causa del razzismo di Stato promosso da governi xenofobi. COSA È SUCCESSO? La chiusura del centro di accoglienza della Caritas di via Pola dell'agosto 2023 ha messo in risalto un problema da troppo tempo ignorato: l'emergenza abitativa in cui vivono molte persone e lo sfruttamento lavorativo. Gli articoli usciti a livello internazionale nell'estate 2024 hanno reso palese al mondo intero che, anche nelle colline Unesco, il fenomeno del caporalato è non solo presente, ma coinvolge la maggior parte delle aziende del settore. CHI SONO I RESPONSABILI? Non solo i "caporali" sono responsabili dello sfruttamento. Il fenomeno è diffuso perché esiste un sistema economico che ha facilitato l'emergere di questa dinamica. Le responsabilità infatti sono molteplici: gli imprenditori scelgono di affidarsi al contoterzismo per un risparmio economico, per il disinteresse verso il lavoratore e per non dover pensare a garantire alloggio e trasporto. Le istituzioni ignorano l'emergenza abitativa e non cercano soluzioni. La Chiesa, nonostante abbia il monopolio del sistema di prima accoglienza e possegga numerosi stabili (e numeros volontar*), non destina le risorse di cui dispone all'accoglienza.
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Collettivo Mononoke
Tribunali e giudici di pace servi di Israele
Questa sera, con la proiezione “colpevoli di Palestina”, avremmo voluto parlare della situazione di Anan, Alì e Mansour. Avremmo voluto parlare di come lo stato italiano si pieghi ancora una volta alle richieste sioniste di vendetta verso chi ha deciso di lottare per la propria libertà. Ci troviamo, invece, costrettə ad un’altra urgenza, ad un altro attacco repressivo verso chi si espone e lotta per la Palestina nella nostra città.  Il 25 novembre Mohamed Shahin, compagno da sempre impegnato nella lotta di liberazione della Palestina, è stato arrestato e portato al CPR. Il suo successivo trasferimento in tempi brevissimi nel CPR di Caltanissetta è un attacco disciplinatorio che rieccheggia dinamiche che vanno avanti da 25 anni e che purtroppo a Torino conosciamo bene. L’uso della detenzione amministrativa si rivela ancora e sempre di più, uno strumento politico di governo delle popolazioni razzializzate, una tecnologia di controllo che interviene non quando c’è un reato, ma quando c’è un’identità, un’appartenenza, una presenza percepita come scomoda. Non è una risposta giuridica: è un dispositivo di disciplinamento in Italia come in Palestina. Il suo messaggio è chiaro e violento: se appartieni a precise comunità, i tuoi diritti non sono garantiti, ma sospendibili; non sono stabili, ma arbitrariamente revocabili. Questo non è un incidente o una deviazione, ma la funzione stessa della detenzione amministrativa nel contesto contemporaneo. Quello che osserviamo è l’uso del diritto come strumento di controllo sociale. La legge diventa selettiva, modulata a seconda del corpo che incontra, producendo esclusione, isolamento, neutralizzazione. Il diritto, lungi dall’essere un terreno neutro, si trasforma in un campo di forze attraverso cui lo Stato regola, ordina e punisce chi alza la testa e prende parola come Shahin. I CPR sono l’incarnazione materiale di questo processo. Non sono luoghi di “gestione dei flussi”, ma spazi di contenimento e punizione preventiva rivolti a soggetti già vulnerabilizzati. Operano dentro una logica di razzismo istituzionale, un razzismo che non ha più bisogno di gridare slogan perché è stabilizzato da norme, decreti e dispositivi burocratici che governano la mobilità e la vita delle persone migranti. È un razzismo che funziona per sottrazione: sottrazione di libertà, di tempo, di dignità, di visibilità pubblica. È un razzismo che produce corpi “detenibili”, corpi per cui la privazione della libertà diventa sempre possibile, sempre giustificabile. Denunciare i CPR significa allora denunciare la logica che li rende necessari: la costruzione del capro espiatorio, la produzione politica della paura, la trasformazione della sicurezza in un linguaggio che serve non a proteggere ma a disciplinare. La sicurezza diventa l’alibi attraverso cui si giustifica la compressione dei diritti fondamentali di intere comunità, trasformate in bersaglio di sospetto generalizzato. I CPR non sono un fallimento del sistema: sono il sistema. Sono il punto in cui si manifesta senza maschere l’obiettivo della detenzione amministrativa: governare attraverso l’esclusione, controllare attraverso la punizione, costruire attraverso la razzializzazione una parte della popolazione come minaccia o eccedenza. Il caso di Mohamed Shahin si inscrive perfettamente in questa stessa logica. La sua vicenda non è un’eccezione, né un episodio isolato: è un esempio emblematico di come la detenzione amministrativa venga utilizzata come strumento politico di punizione e disciplina. Questo caso rivela con estrema chiarezza il funzionamento dei CPR come istituzioni di governamento differenziale delle popolazioni. Qui il diritto non viene applicato in modo uniforme, ma tradotto in un regime di eccezione permanente che si attiva su base razziale, religiosa, culturale ed è pronto ad essere attivato, come abbiamo visto in questi giorni, anche su base politica. Non è la persona ad essere giudicata, ma il suo profilo razzializzato. Non è il fatto a essere valutato, ma la sua posizione dentro rapporti di potere che vedono alcune comunità come radicalmente esposte alla sospensione dei diritti. Questo episodio mostra anche un’altra dinamica cruciale: la punizione politica del sostegno alla Palestina. In questo contesto, la detenzione amministrativa diventa uno strumento attraverso cui lo Stato non interviene sul piano del diritto, ma su quello dell’allineamento ideologico. Non si tratta di un giudizio sui fatti, ma di una risposta a una presa di posizione politica. E il CPR diventa così l’estremità violenta di un processo di sorveglianza ideologica che usa l’apparato amministrativo per colpire il dissenso. Per questo e non solo, nella giornata di sciopero di domani porteremo la nostra solidarietà ai detenuti del CPR di Torino, prima di raggiungere in bici il corteo in Piazza XVIII Dicembre. Ci vediamo alle 9.30 in Corso Brunelleschi e torneremo ancora questa domenica di fronte al CPR in corso Brunelleschi alle 15.00. FREE SHAHIN! ABOLIAMO I CPR! FREE PALESTINE!
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Un racconto utopico/dispotico dove un gruppo di migranti decidono di distruggere e assaltare i luoghi della repressione e del dominio: la questura e il cpr. Luoghi dove tanti di loro sono stati umiliati nelle procedure burocratiche, o schiavizzati come lavoratori, o rinchiusi e torturati per il delitto di non aver i documenti in regola. Questo […]
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libro
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AGGIORNAMENTI SUL PROCESSO DI MOUSSA BALDE
Ieri 22 settembre si è svolta la seconda udienza del processo per la morte di Moussa Balde.  Per la prima volta la famiglia ha avuto modo di vedere in faccia i responsabili della morte di Moussa e raccontare la sua storia in aula. Dai numerosi testimoni tra il personale, le forze dell’ordine e l’amministrazione del cpr, invece, è emersa chiaramente l’assenza totale di una reale regolamentazione.  Il personale ha riportato che in Cpr tutto è lasciato all’informalità e discrezionalità di chi c’è al momento. Le risorse del capitolato non sono sufficienti né per garantire tutele né per svolgere servizi essenziali. Di fronte a tali condizioni degradanti, anche il giudice ha avuto difficoltà a definire “ospiti” i detenuti del CPR. In questo momento il dibattito si sta concentrando sullo stabilire i responsabili dell’isolamento di Moussa nell’ospedaletto.  Gli avvocati dell’ ex direttrice del CPR e dell’ex medico, gli unici imputati, tentano di attribuire la colpa alla prefettura e perfino agli altri detenuti che avrebbero rifiutato di riaccogliere Moussa in sezione per un sospetto di scabbia (rivelatosi infondato). Un vergognoso rimbalzo della colpa che mira solo a mettere confusione e a cercare di uscirne puliti, senza dare la responsabilità a nessun di quanto successo. Ma sappiamo, e non ci stancheremo mai di dirlo, che la colpa della morte di Moussa e di tutte le altre morti è sistemica. Il Cpr è un sistema che uccide, tortura e maltratta. Alla prossima udienza, il 20 ottobre, saranno sentiti gli ex dirigenti dell’Ufficio Immigrazione e della Prefettura. Continueremo a portare solidarietà alla famiglia di Moussa e tutti i detenuti e le detenute del CPR davanti al tribunale. MAI PIÙ CPR MAI PIÙ LAGER!
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PRESIDIO SOTTO LE MURA DEL CPR
Da marzo ad oggi si sono susseguite a più riprese proteste e scioperi della fame da parte dei reclusi al CPR di corso Brunelleschi. Molti dei detenuti che hanno lottato sono stati quasi tutti trasferiti in altri lager, con l’unico obiettivo di spezzare i legami che si stavano creando con chi dall’esterno solidarizza. Il nuovo ente gestore, Sanitalia, lavora in continuità con le multinazionali che l’hanno preceduto: ennesima prova che non esistono lager umani o umanizzabili. Nonostante il capitalato d’appalto prevedesse l’aumento dei posti nel 2026, negli ultimi giorni sono state aperte nuove aree, prontamente riempite anche da altri CPR. Sentiamo il bisogno di tornare sotto quelle mura per portare la nostra voce e la nostra solidarietà a chi lotta e a chi è recluso da uno stato razzista. Sabato 28 giugno dalle 16 saremo in Corso Brunelleschi Sosteniamo la loro lotta contro detenzione e deportazione! Sarà importante essere in tantə per far sentire la nostra vicinanza a chi è costretto dietro quelle mura infami. CHIUDERE I CPR, LIBERARE TUTTI! mai più CPR, mai più Lager
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CPR
Aggiornamenti dalla raccolta solidale
Dalla riapertura del lager di Corso Brunelleschi abbiamo sempre cercato di portare la nostra solidarietà alle persone recluse -che sbirri e operatori del centro con nervosismo continuano a chiamare “”ospiti””. Le condizioni all’interno del lager continuano a essere, e saranno sempre, degradanti. Le rivolte scoppiate nelle scorse settimane lo dimostrano chiaramente: non può esistere una vita dignitosa tra quelle mura. Negli ultimi giorni stanno venendo aperte nuove aree e le persone recluse sono sempre di più, quasi settanta ormai. Come ci raccontano i reclusi all’interno del lager, le condizioni di vita sono degradanti e i detenuti vengono umiliati quotidianamente. Crediamo che la solidarietà passi anche attraverso la consegna dei pacchi contenenti vestiti e generi alimentari. Questi ultimi molto importanti, non solo perché allo “shop” del CPR un pacco di biscotti arriva a costare 7 euro, ma anche perché il cibo somministrato è pieno di psicofarmaci utilizzati per sedare le persone recluse. Ma soprattutto gli consente di avere la libertà di scegliere se accettare o rifiutare il pasto. Consegnare i pacchi per noi è un modo per fare sentire alle persone recluse che non sono sole, che esiste una solidarietà, anche molto concreta, fuori da quelle mure. Sbirri, militari e operatori hanno sempre mostrato grande nervosismo quando siamo andat3 a consegnare tutti quei pacchi. Dopo le prime rivolte hanno man mano aggiunto regole e procedure per danneggiare anche questa forma di solidarietà, cercando sempre pretesti per non fare arrivare i pacchi ai detenuti. Qualche pacco (fortunatamente pochi) non è arrivato, il cibo prossimo alla scadenza le ultime volte è stato rifiutato, alcune cose accettate una volta, non lo sono state la volta successiva. E dulcis in fundo, durante l’ultime consegne ci è stato detto che si possono consegnare vestiti esclusivamente nuovi o con lo scontrino della lavanderia. Tutto ciò, dicono, per il “benessere” dei detenuti che altrimenti rischierebbero la scabbia (come se non fossimo in grado di lavare i vestiti). Ancor peggio è che, se per i primi pacchi era possibile incontrare i reclusi, salutarsi brevemente vis a vis, anche se circondatɜ da una dozzina di sbirri di ogni tipo, dopo le prime rivolte hanno deciso che questo non era più ammesso dal regolamento, che “non c’era bisogno”. Nel continuo processo di disumanizzazione e isolamento totale adesso sono gli sbirri a consegnare i pacchi. Insomma, la vendetta istituzionale per essersi rivoltati tenta di recidere i pochi legami di solidarietà, ma non arrendiamoci. Grazie alla raccolta, siamo riuscitɜ a fare delle grandi consegne di pacchi, ma le richieste da dentro continuano ad arrivare, per questo la raccolta va avanti. Ricordiamo che a causa delle nuove restrizioni i vestiti che raccogliamo devono essere NUOVI. Per chi volesse contribuire alla raccolta può passare il martedì e il mercoledì dalle 17.00 alle 20.30 al Gabrio in via Millio 42 o contribuire economicamente via satispay. Per chi volesse organizzarsi ci vediamo in assemblea tutti i martedì alle 19.30 al Gabrio Freedom, Hurrya, Libertà!
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AGGIORNAMENTI QUESTURA
L’orologio segna le 6.53. La coda che conduce all’ingresso di via Doré è tanto lunga da girare l’angolo e arrivare all’altro ingresso di via Grattoni. Qui, vengono distribuiti, ogni mattina, circa 8 tagliandini che consentono l’accesso alla struttura per formalizzare la domanda di asilo, un passo fondamentale senza cui i propri diritti al lavoro, alla casa, alla salute sono spesso negati. Fortunatamente, oggi non piove: il gazebo blu montato qualche mese fa non è infatti sufficiente a coprire nemmeno un quarto delle persone che già da ore attendono in coda.  A. è arrivato alle 4 e mezza del mattino per essere tra i primi della coda, trovando però già diverse persone davanti a lui. G. ha sedici anni, è in fila già da un paio d’ore. Dice che sta avendo problemi a scuola perché da ormai due settimane è costretto ad entrare alla seconda ora per tentare di presentare domanda di asilo.  Dopo un po’ il portone della questura si socchiude: la fila si ricompone e si forma anche un certo silenzio. Dal portone esce un uomo di mezza età, vestito con un pantalone mimetico, anfibi, un pullover nero e un cappellino verde militare che gli copre lo sguardo. Si accosta al portone e si accende una sigaretta. E’ solo osservando il modo in cui si rivolge ad alcune persone in divisa, uscite dopo di lui, che realizzo che non si tratta di qualcuno che hanno rilasciato dalla questura ma di un ispettore di polizia.  Per quanto alienante risulti per me, un poliziotto travestito da militare rispecchia la fusione tra apparato poliziesco e militare che a Torino caratterizza ormai la gestione dell'”ordine pubblico”. Una realtà familiare per molte delle persone in fila, esposte alla militarizzazione di interi quartieri e pratiche di profilazione razziale. Ad un certo punto, chiedono alla fila di spingersi contro il muro. Iniziano a camminare lungo la fila, ma l’ispettore non sembra degnare di uno sguardo nessuno. Cammina in mezzo ai poliziotti, aspirando di tanto in tanto dalla sua sigaretta. Fanno avanti e indietro un paio di volte, e disinteressandosi all’ordine della fila selezionano alcune persone. Dopo un po’, vado loro incontro, per segnalargli che vicino a me c’è una signora con un minore. “Loro sono sudamericani? Ho già preso una famiglia stamattina… devo dividere un po’ le etnie. Facciamo lunedì. Tanto io me li ricordo”. Alla mia richiesta di come avviene la selezione la risposta è che “cerchiamo di valutare un po’ tutto… le esigenze più grosse… la presenza più costante”.  Gli agenti invitano la fila a disperdersi: per oggi basta, bisogna tornare la prossima settimana. Qualcuno si allontana scuotendo la testa, esausto: “Lunedì, sempre lunedì… e poi la stessa storia“ Ovviamente nessun vero screening di vulnerabilità è stato fatto, nessun nome è stato annotato, nessuna lista è stata creata. L’accesso al diritto di asilo a Torino è lasciato al caso, alle procedure di profilazione razziale del funzionario di turno, alla speranza che la prossima volta non ci sia un ispettore diverso, che si ricordi di te o che non sia già stata fatta entrare una persona che condivide le tue stesse vulnerabilità o la tua stenza apparenza “etnica”.  Dietro all’informalità e regole contraddittorie, continuano a nascondersi discrezionalità e violenza. Di fronte a una persona che tenta da settimane di entrare, i funzionari non hanno problemi a riconoscere di vederlo lì tutte le mattine, ma di non averlo mai fatto entrare perché è “giovane e forte”.  Inoltre, se ad eventuali accompagnatori, spesso avvocati bianchi, è riservato un trattamento a tratti cordiale, chi attende in fila è frequentemente aggredito. A una persona che insisteva a chiedere informazioni sulla distribuzione dei numeri per entrare il questurino dice “abbassa la voce che sono le 7, non ti ho mai visto, la prossima volta impara a svegliarti prima e arrivare per tempo”. 
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[2025-05-21] Assemblea cittadinanza - Referendum & Corteo del 2 giugno @ bocciofila rami secchi
ASSEMBLEA CITTADINANZA - REFERENDUM & CORTEO DEL 2 GIUGNO bocciofila rami secchi - lungo dora colletta 39 (mercoledì, 21 maggio 18:30) nvitiamo tutte le realtà cittadine attive contro il razzismo ad aderire alla campagna per votare 5 si ai quesiti referendari e ad attivarsi per una mobilitazione che porti all’ordine del giorno il razzismo istituzionale. Vogliamo discutere insieme nell’assemblea del 21 di maggio l’organizzazione della manifestazione del 2 di Giugno, approfondendo le tematiche del referendum. Immaginiamo questa manifestazione come l’occasione migliore per condividere nella loro articolazione le forme attraverso cui il razzismo si radica nella nostra società e lo sfruttamento colpisce le nostre vite. Questo corteo sarà un momento della campagna per andare a votare l’8 e il 9 giugno insieme a dibattiti e banchetti informativi che stiamo portando avanti e a cui vogliamo allargare la partecipazione. L’8 e il 9 giugno si voterà per cambiare una parte della legge 91/1992 che da trent’anni disciplina le possibilità di diventare “cittadinə italianə”. Il referendum prevede il dimezzamento del requisito di residenza legale richiesto per le persone maggiorenni interessate ad acquisire la cittadinanza, che passerebbe da 10 a 5 anni. Senza dubbio questo referendum è uno strumento per ottenere un miglioramento delle condizioni di vita delle persone che nelle nostre città vogliono costruire i propri percorsi di esistenza. Dimezzare il tempo per richiedere la cittadinanza consentirà a moltissime persone e alle figlə, di rendere più stabili le proprie vite. Questo è un punto di partenza piuttosto che di un punto di arrivo: rendiamolo uno spunto per aprire una discussione collettiva sul razzismo sistemico, dalla legge sulla cittadinanza, alla violenza degli uffici per i rinnovi fino al razzismo nel mercato immobiliare.
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RACCOLTA SOLIDALE PER I DETENUTI DEL CPR DI TORINO
Dopo due anni, torniamo a raccogliere beni di prima necessità per le persone recluse nel CPR. Il lager torinese ha riaperto ormai più di un mese fa; è cambiato l’ ente gestore, ma nella realtà nulla all’interno è cambiato. I detenuti sono trattenuti in condizioni invivibili, sia in termini materiali sia rispetto alla violenza quotidiana a cui sono costretti. Da dentro chiedono di poter accedere a beni di prima necessità, come vestiti puliti e biscotti. Il cibo, “offerto” dal nuovo gestore Sanitalia, è immangiabile, esattamente come in passato. Dentro il CPR c’è uno spaccio alimentare dove i prezzi sono proibitivi (un pacco di biscotti costa 7€). La dignità di queste persone è oggi come allora calpestata ogni giorno nei modi più disparati possibili. La nostra solidarietà è un’arma, usiamola! Leggi tutto: RACCOLTA SOLIDALE PER I DETENUTI DEL CPR DI TORINO Ci sono due modi per farlo: -facendo una donazione tramite satyspay -portando i generi di prima necessità martedì e mercoledì dalle 18.00 alle 20.30 al CSOA GABRIO in Via Millio 42 CHE COSA SERVE? (LEGGI CON ATTENZIONE) Beni alimentari: Caffè in cartone (in alluminio non entra) Thè Merendine Zucchero in bustine (pacchi grandi non entrano) Biscotti Pan bauletto Beni igienici: Shampoo Balsamo Bagnoschiuma Crema corpo (No plastica dura) Vestiti (appena lavati!): Tutto da uomo Mutande (nuove) Calzini (nuovi) Pantaloncini T-shirt Polo Magliette maniche lunghe Felpe (togliere lacci) Ciabatte di plastica dal 41 in sù (no parti di metallo)
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[2025-05-09] Doveri senza diritti - Oltre il referendum e contro il razzismo sistemico @ Cecchi point
DOVERI SENZA DIRITTI - OLTRE IL REFERENDUM E CONTRO IL RAZZISMO SISTEMICO Cecchi point - Via antonio cecchi 17 (venerdì, 9 maggio 18:00) Sapevi che la cittadinanza italiana si ottiene principalmente per discendenza? Se hai genitori o antenati italiani, sei italiano per nascita.Se invece vivi, studi e lavori qui, sei esclusə dalla cittadinanza a meno che dopo 10 anni di vita in Italia, non possa dimostrare di aver risieduto legalmente e tanti altri requisiti molto difficili da ottenere. Senza la cittadinanza non è possibile: partecipare ai concorsi pubblici, votare e candidarsi, usufruire della libertà di movimento senza vincoli, iscriversi ad alcuni albi professionali; ma soprattutto si vive in funzione del rinnovo del permesso di soggiorno e al malfunzionamento delle questure. L'8 e il 9 giugno si voterà per cambiare una parte della legge 91/1992 che da trent’anni disciplina le possibilità di diventare "cittadinə italianə". Il referendum prevede il dimezzamento del requisito di residenza legale richiesto per le persone maggiorenni interessate ad acquisire la cittadinanza,che passerebbe da 10 a 5 anni. La cittadinanza è anche una questione di riconoscimento: tante delle persone che oggi non sono riconosciute come cittadin*, sono nate e lavorono qui portando sulle proprie spalle e il proprio sfruttamento la ricchezza di questo paese. Senza dubbio questo referendum è uno strumento per ottenere un miglioramento delle condizioni di vita delle persone che nelle nostre città vogliono costruire i propri percorsi di esistenza. Dimezzare il tempo per richiedere la cittadinza consentirà a moltissime persone e alle figlə, di rendere più stabili le proprie vite.Tuttavia questa misura rappresenta un punto di partenza piuttosto che di un punto di arrivo, rendiamolo uno spunto per aprire una discussione  collettiva sul razzismo sistemico: dalla legge sulla cittadinanza, alla violenza degli uffici per i rinnovi fino al razzismo nel mercato immobiliare. Ci vediamo alle h18 al Cecchi Point per un assemblea pubblica per arrivare inisieme all'8 e 9 giugno. Intervengono: ASGI, Rete Rama, Centro Frantz Fanon, CUB e Comitato Voci Migranti.
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