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Tribunali e giudici di pace servi di Israele
Questa sera, con la proiezione “colpevoli di Palestina”, avremmo voluto parlare della situazione di Anan, Alì e Mansour. Avremmo voluto parlare di come lo stato italiano si pieghi ancora una volta alle richieste sioniste di vendetta verso chi ha deciso di lottare per la propria libertà. Ci troviamo, invece, costrettə ad un’altra urgenza, ad un altro attacco repressivo verso chi si espone e lotta per la Palestina nella nostra città.  Il 25 novembre Mohamed Shahin, compagno da sempre impegnato nella lotta di liberazione della Palestina, è stato arrestato e portato al CPR. Il suo successivo trasferimento in tempi brevissimi nel CPR di Caltanissetta è un attacco disciplinatorio che rieccheggia dinamiche che vanno avanti da 25 anni e che purtroppo a Torino conosciamo bene. L’uso della detenzione amministrativa si rivela ancora e sempre di più, uno strumento politico di governo delle popolazioni razzializzate, una tecnologia di controllo che interviene non quando c’è un reato, ma quando c’è un’identità, un’appartenenza, una presenza percepita come scomoda. Non è una risposta giuridica: è un dispositivo di disciplinamento in Italia come in Palestina. Il suo messaggio è chiaro e violento: se appartieni a precise comunità, i tuoi diritti non sono garantiti, ma sospendibili; non sono stabili, ma arbitrariamente revocabili. Questo non è un incidente o una deviazione, ma la funzione stessa della detenzione amministrativa nel contesto contemporaneo. Quello che osserviamo è l’uso del diritto come strumento di controllo sociale. La legge diventa selettiva, modulata a seconda del corpo che incontra, producendo esclusione, isolamento, neutralizzazione. Il diritto, lungi dall’essere un terreno neutro, si trasforma in un campo di forze attraverso cui lo Stato regola, ordina e punisce chi alza la testa e prende parola come Shahin. I CPR sono l’incarnazione materiale di questo processo. Non sono luoghi di “gestione dei flussi”, ma spazi di contenimento e punizione preventiva rivolti a soggetti già vulnerabilizzati. Operano dentro una logica di razzismo istituzionale, un razzismo che non ha più bisogno di gridare slogan perché è stabilizzato da norme, decreti e dispositivi burocratici che governano la mobilità e la vita delle persone migranti. È un razzismo che funziona per sottrazione: sottrazione di libertà, di tempo, di dignità, di visibilità pubblica. È un razzismo che produce corpi “detenibili”, corpi per cui la privazione della libertà diventa sempre possibile, sempre giustificabile. Denunciare i CPR significa allora denunciare la logica che li rende necessari: la costruzione del capro espiatorio, la produzione politica della paura, la trasformazione della sicurezza in un linguaggio che serve non a proteggere ma a disciplinare. La sicurezza diventa l’alibi attraverso cui si giustifica la compressione dei diritti fondamentali di intere comunità, trasformate in bersaglio di sospetto generalizzato. I CPR non sono un fallimento del sistema: sono il sistema. Sono il punto in cui si manifesta senza maschere l’obiettivo della detenzione amministrativa: governare attraverso l’esclusione, controllare attraverso la punizione, costruire attraverso la razzializzazione una parte della popolazione come minaccia o eccedenza. Il caso di Mohamed Shahin si inscrive perfettamente in questa stessa logica. La sua vicenda non è un’eccezione, né un episodio isolato: è un esempio emblematico di come la detenzione amministrativa venga utilizzata come strumento politico di punizione e disciplina. Questo caso rivela con estrema chiarezza il funzionamento dei CPR come istituzioni di governamento differenziale delle popolazioni. Qui il diritto non viene applicato in modo uniforme, ma tradotto in un regime di eccezione permanente che si attiva su base razziale, religiosa, culturale ed è pronto ad essere attivato, come abbiamo visto in questi giorni, anche su base politica. Non è la persona ad essere giudicata, ma il suo profilo razzializzato. Non è il fatto a essere valutato, ma la sua posizione dentro rapporti di potere che vedono alcune comunità come radicalmente esposte alla sospensione dei diritti. Questo episodio mostra anche un’altra dinamica cruciale: la punizione politica del sostegno alla Palestina. In questo contesto, la detenzione amministrativa diventa uno strumento attraverso cui lo Stato non interviene sul piano del diritto, ma su quello dell’allineamento ideologico. Non si tratta di un giudizio sui fatti, ma di una risposta a una presa di posizione politica. E il CPR diventa così l’estremità violenta di un processo di sorveglianza ideologica che usa l’apparato amministrativo per colpire il dissenso. Per questo e non solo, nella giornata di sciopero di domani porteremo la nostra solidarietà ai detenuti del CPR di Torino, prima di raggiungere in bici il corteo in Piazza XVIII Dicembre. Ci vediamo alle 9.30 in Corso Brunelleschi e torneremo ancora questa domenica di fronte al CPR in corso Brunelleschi alle 15.00. FREE SHAHIN! ABOLIAMO I CPR! FREE PALESTINE!
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AGGIORNAMENTI SUL PROCESSO DI MOUSSA BALDE
Ieri 22 settembre si è svolta la seconda udienza del processo per la morte di Moussa Balde.  Per la prima volta la famiglia ha avuto modo di vedere in faccia i responsabili della morte di Moussa e raccontare la sua storia in aula. Dai numerosi testimoni tra il personale, le forze dell’ordine e l’amministrazione del cpr, invece, è emersa chiaramente l’assenza totale di una reale regolamentazione.  Il personale ha riportato che in Cpr tutto è lasciato all’informalità e discrezionalità di chi c’è al momento. Le risorse del capitolato non sono sufficienti né per garantire tutele né per svolgere servizi essenziali. Di fronte a tali condizioni degradanti, anche il giudice ha avuto difficoltà a definire “ospiti” i detenuti del CPR. In questo momento il dibattito si sta concentrando sullo stabilire i responsabili dell’isolamento di Moussa nell’ospedaletto.  Gli avvocati dell’ ex direttrice del CPR e dell’ex medico, gli unici imputati, tentano di attribuire la colpa alla prefettura e perfino agli altri detenuti che avrebbero rifiutato di riaccogliere Moussa in sezione per un sospetto di scabbia (rivelatosi infondato). Un vergognoso rimbalzo della colpa che mira solo a mettere confusione e a cercare di uscirne puliti, senza dare la responsabilità a nessun di quanto successo. Ma sappiamo, e non ci stancheremo mai di dirlo, che la colpa della morte di Moussa e di tutte le altre morti è sistemica. Il Cpr è un sistema che uccide, tortura e maltratta. Alla prossima udienza, il 20 ottobre, saranno sentiti gli ex dirigenti dell’Ufficio Immigrazione e della Prefettura. Continueremo a portare solidarietà alla famiglia di Moussa e tutti i detenuti e le detenute del CPR davanti al tribunale. MAI PIÙ CPR MAI PIÙ LAGER!
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CPR
RIPRENDE LA RACCOLTA SOLIDALE PER I DETENUTI DEL CPR DI TORINO
Torniamo a raccogliere beni di prima necessità per le persone recluse nel CPR. Mercoledì 10 settembre dalle 16.30 e durante il Festival @solchi Sabato 13 e domenica 14 settembre I detenuti sono trattenuti in condizioni invivibili, sia in termini materiali sia rispetto alla violenza quotidiana a cui sono costretti. Da dentro chiedono di poter accedere a beni di prima necessità. Il cibo, “offerto” dal nuovo gestore Sanitalia è, oltre che immangiabile e a volte scaduto, pieno di psicofarmaci per sedare i reclusi, esattamente come in passato. Dentro il cpr c’è uno spaccio alimentare dove i prezzi sono proibitivi (un pacco di biscotti costa 7€) perché l’unico interesse di Sanitalia è di lucrare sulla pelle delle persone. La nostra solidarietà è un’arma, usiamola! N.B. dopo le prime raccolte infastiditi da questa iniziativa hanno smesso di ritirarci i vestiti usati, per cui raccogliamo SOLO VESTITI NUOVI
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CPR
PRESIDIO SOTTO LE MURA DEL CPR
Da marzo ad oggi si sono susseguite a più riprese proteste e scioperi della fame da parte dei reclusi al CPR di corso Brunelleschi. Molti dei detenuti che hanno lottato sono stati quasi tutti trasferiti in altri lager, con l’unico obiettivo di spezzare i legami che si stavano creando con chi dall’esterno solidarizza. Il nuovo ente gestore, Sanitalia, lavora in continuità con le multinazionali che l’hanno preceduto: ennesima prova che non esistono lager umani o umanizzabili. Nonostante il capitalato d’appalto prevedesse l’aumento dei posti nel 2026, negli ultimi giorni sono state aperte nuove aree, prontamente riempite anche da altri CPR. Sentiamo il bisogno di tornare sotto quelle mura per portare la nostra voce e la nostra solidarietà a chi lotta e a chi è recluso da uno stato razzista. Sabato 28 giugno dalle 16 saremo in Corso Brunelleschi Sosteniamo la loro lotta contro detenzione e deportazione! Sarà importante essere in tantə per far sentire la nostra vicinanza a chi è costretto dietro quelle mura infami. CHIUDERE I CPR, LIBERARE TUTTI! mai più CPR, mai più Lager
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CPR
Aggiornamenti dalla raccolta solidale
Dalla riapertura del lager di Corso Brunelleschi abbiamo sempre cercato di portare la nostra solidarietà alle persone recluse -che sbirri e operatori del centro con nervosismo continuano a chiamare “”ospiti””. Le condizioni all’interno del lager continuano a essere, e saranno sempre, degradanti. Le rivolte scoppiate nelle scorse settimane lo dimostrano chiaramente: non può esistere una vita dignitosa tra quelle mura. Negli ultimi giorni stanno venendo aperte nuove aree e le persone recluse sono sempre di più, quasi settanta ormai. Come ci raccontano i reclusi all’interno del lager, le condizioni di vita sono degradanti e i detenuti vengono umiliati quotidianamente. Crediamo che la solidarietà passi anche attraverso la consegna dei pacchi contenenti vestiti e generi alimentari. Questi ultimi molto importanti, non solo perché allo “shop” del CPR un pacco di biscotti arriva a costare 7 euro, ma anche perché il cibo somministrato è pieno di psicofarmaci utilizzati per sedare le persone recluse. Ma soprattutto gli consente di avere la libertà di scegliere se accettare o rifiutare il pasto. Consegnare i pacchi per noi è un modo per fare sentire alle persone recluse che non sono sole, che esiste una solidarietà, anche molto concreta, fuori da quelle mure. Sbirri, militari e operatori hanno sempre mostrato grande nervosismo quando siamo andat3 a consegnare tutti quei pacchi. Dopo le prime rivolte hanno man mano aggiunto regole e procedure per danneggiare anche questa forma di solidarietà, cercando sempre pretesti per non fare arrivare i pacchi ai detenuti. Qualche pacco (fortunatamente pochi) non è arrivato, il cibo prossimo alla scadenza le ultime volte è stato rifiutato, alcune cose accettate una volta, non lo sono state la volta successiva. E dulcis in fundo, durante l’ultime consegne ci è stato detto che si possono consegnare vestiti esclusivamente nuovi o con lo scontrino della lavanderia. Tutto ciò, dicono, per il “benessere” dei detenuti che altrimenti rischierebbero la scabbia (come se non fossimo in grado di lavare i vestiti). Ancor peggio è che, se per i primi pacchi era possibile incontrare i reclusi, salutarsi brevemente vis a vis, anche se circondatɜ da una dozzina di sbirri di ogni tipo, dopo le prime rivolte hanno deciso che questo non era più ammesso dal regolamento, che “non c’era bisogno”. Nel continuo processo di disumanizzazione e isolamento totale adesso sono gli sbirri a consegnare i pacchi. Insomma, la vendetta istituzionale per essersi rivoltati tenta di recidere i pochi legami di solidarietà, ma non arrendiamoci. Grazie alla raccolta, siamo riuscitɜ a fare delle grandi consegne di pacchi, ma le richieste da dentro continuano ad arrivare, per questo la raccolta va avanti. Ricordiamo che a causa delle nuove restrizioni i vestiti che raccogliamo devono essere NUOVI. Per chi volesse contribuire alla raccolta può passare il martedì e il mercoledì dalle 17.00 alle 20.30 al Gabrio in via Millio 42 o contribuire economicamente via satispay. Per chi volesse organizzarsi ci vediamo in assemblea tutti i martedì alle 19.30 al Gabrio Freedom, Hurrya, Libertà!
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AGGIORNAMENTI QUESTURA
L’orologio segna le 6.53. La coda che conduce all’ingresso di via Doré è tanto lunga da girare l’angolo e arrivare all’altro ingresso di via Grattoni. Qui, vengono distribuiti, ogni mattina, circa 8 tagliandini che consentono l’accesso alla struttura per formalizzare la domanda di asilo, un passo fondamentale senza cui i propri diritti al lavoro, alla casa, alla salute sono spesso negati. Fortunatamente, oggi non piove: il gazebo blu montato qualche mese fa non è infatti sufficiente a coprire nemmeno un quarto delle persone che già da ore attendono in coda.  A. è arrivato alle 4 e mezza del mattino per essere tra i primi della coda, trovando però già diverse persone davanti a lui. G. ha sedici anni, è in fila già da un paio d’ore. Dice che sta avendo problemi a scuola perché da ormai due settimane è costretto ad entrare alla seconda ora per tentare di presentare domanda di asilo.  Dopo un po’ il portone della questura si socchiude: la fila si ricompone e si forma anche un certo silenzio. Dal portone esce un uomo di mezza età, vestito con un pantalone mimetico, anfibi, un pullover nero e un cappellino verde militare che gli copre lo sguardo. Si accosta al portone e si accende una sigaretta. E’ solo osservando il modo in cui si rivolge ad alcune persone in divisa, uscite dopo di lui, che realizzo che non si tratta di qualcuno che hanno rilasciato dalla questura ma di un ispettore di polizia.  Per quanto alienante risulti per me, un poliziotto travestito da militare rispecchia la fusione tra apparato poliziesco e militare che a Torino caratterizza ormai la gestione dell'”ordine pubblico”. Una realtà familiare per molte delle persone in fila, esposte alla militarizzazione di interi quartieri e pratiche di profilazione razziale. Ad un certo punto, chiedono alla fila di spingersi contro il muro. Iniziano a camminare lungo la fila, ma l’ispettore non sembra degnare di uno sguardo nessuno. Cammina in mezzo ai poliziotti, aspirando di tanto in tanto dalla sua sigaretta. Fanno avanti e indietro un paio di volte, e disinteressandosi all’ordine della fila selezionano alcune persone. Dopo un po’, vado loro incontro, per segnalargli che vicino a me c’è una signora con un minore. “Loro sono sudamericani? Ho già preso una famiglia stamattina… devo dividere un po’ le etnie. Facciamo lunedì. Tanto io me li ricordo”. Alla mia richiesta di come avviene la selezione la risposta è che “cerchiamo di valutare un po’ tutto… le esigenze più grosse… la presenza più costante”.  Gli agenti invitano la fila a disperdersi: per oggi basta, bisogna tornare la prossima settimana. Qualcuno si allontana scuotendo la testa, esausto: “Lunedì, sempre lunedì… e poi la stessa storia“ Ovviamente nessun vero screening di vulnerabilità è stato fatto, nessun nome è stato annotato, nessuna lista è stata creata. L’accesso al diritto di asilo a Torino è lasciato al caso, alle procedure di profilazione razziale del funzionario di turno, alla speranza che la prossima volta non ci sia un ispettore diverso, che si ricordi di te o che non sia già stata fatta entrare una persona che condivide le tue stesse vulnerabilità o la tua stenza apparenza “etnica”.  Dietro all’informalità e regole contraddittorie, continuano a nascondersi discrezionalità e violenza. Di fronte a una persona che tenta da settimane di entrare, i funzionari non hanno problemi a riconoscere di vederlo lì tutte le mattine, ma di non averlo mai fatto entrare perché è “giovane e forte”.  Inoltre, se ad eventuali accompagnatori, spesso avvocati bianchi, è riservato un trattamento a tratti cordiale, chi attende in fila è frequentemente aggredito. A una persona che insisteva a chiedere informazioni sulla distribuzione dei numeri per entrare il questurino dice “abbassa la voce che sono le 7, non ti ho mai visto, la prossima volta impara a svegliarti prima e arrivare per tempo”. 
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La riapertura del CPR di Torino è imminente.
Un luogo contornato da alte mura, materiali e simboliche, ben noto per essere stato teatro di soprusi di ogni tipo, a partire dalle condizioni degradanti di detenzione fino all’uso smodato di psicofarmaci per silenziare e annullare ogni forma di resistenza e dissenso. Un dispositivo repressivo ed esplicitamente razzista, dove abusi e violenze risultano essere all’ordine del giorno: pestaggi, intimidazioni e torture sono stati ripetutamente denunciati, senza conseguenza alcuna per i responsabili. Non possiamo dimenticare i morti che hanno segnato la storia del CPR di Torino. Tra i casi più eclatanti, ricordiamo la morte di Moussa Balde nel 2021, suicidatosi dopo essere stato vittima di un pestaggio razzista a Ventimiglia. Moussa, invece di ricevere protezione e cura, è stato rinchiuso nel CPR, dove l’ isolamento detentivo (ricordiamo a tal proposito l’uso dell'”ospedaletto” come mezzo punitivo) lo ha spinto a togliersi la vita. Altre morti, forse meno note, pesano in uguale maniera sulla coscienza collettiva. La nuova gestione del CPR è stata affidata alla cooperativa Sanitalia Service, già attiva nel settore sanitario piemontese; con un appalto da 8,4 milioni di euro, Sanitalia entra in un mercato che lucra sulla detenzione amministrativa, dimostrando come dietro le politiche migratorie si celino enormi interessi economici. Infatti, la gestione privata di strutture come il CPR non fa che incentivare l’abbattimento dei costi che rende la detenzione un business ei corpi migranti delle merci. Mobilitiamoci insieme, affinché non ci sia nessun CPR, né qui né altrove.
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[2024-12-17] Il freddo non è un'emergenza @ Torino
IL FREDDO NON È UN'EMERGENZA Torino - (martedì, 17 dicembre 15:30) Mail bombing al Comune di Torino 16-17-18 dicembre Siamo stanch* che la precarietà abitativa venga trattata come un’emergenza. Guardiamola per quello che è: il frutto di politiche sociali inesistenti, tagli ai servizi, razzismo, complicità delle istituzioni con palazzinari e speculatori. La casa è un diritto che va garantito sempre, non una concessione fatta per evitare che le persone muoiano congelate sotto i portici del centro e le luci d’artista. Facciamo sapere al Comune di Torino che sappiamo bene di chi sono le colpe, inondiamolo di e-mail! Qui info, testo e indirizzi by Sportello Il-legale
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The 𝐟𝐢𝐫𝐬𝐭 𝐝𝐚𝐲 𝐨𝐟 𝐭𝐡𝐞 𝐍𝐞𝐭𝐰𝐨𝐫𝐤 𝐀𝐠𝐚𝐢𝐧𝐬𝐭 𝐌𝐢𝐠𝐫𝐚𝐧𝐭 𝐃𝐞𝐭𝐞𝐧𝐭𝐢𝐨𝐧 𝐢𝐧 𝐀𝐥𝐛𝐚𝐧𝐢𝐚
  https://gabrio.noblogs.org/files/2024/12/VID_20241202_065643_084.mp4 🔴 The 𝐟𝐢𝐫𝐬𝐭 𝐝𝐚𝐲 𝐨𝐟 𝐭𝐡𝐞 𝐍𝐞𝐭𝐰𝐨𝐫𝐤 𝐀𝐠𝐚𝐢𝐧𝐬𝐭 𝐌𝐢𝐠𝐫𝐚𝐧𝐭 𝐃𝐞𝐭𝐞𝐧𝐭𝐢𝐨𝐧 𝐢𝐧 𝐀𝐥𝐛𝐚𝐧𝐢𝐚 has just ended. We visited the Shëngjin hotspot and the Gjadër detention center 𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐧𝐨𝐮𝐧𝐜𝐞 𝐭𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐨𝐜𝐨𝐥𝐨𝐧𝐢𝐚𝐥 𝐑𝐚𝐦𝐚-𝐌𝐞𝐥𝐨𝐧𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐭𝐨𝐜𝐨𝐥, the presence of Italian detention centers on Albanian soil through another externalization of borders, and the ensuing repression and invisibilization faced by migrants.   ✊🏽 𝑴𝒂𝒓𝒓𝒆̈𝒗𝒆𝒔𝒉𝒋𝒂 𝒊𝒍𝒆𝒈𝒂𝒍𝒆, 𝒓𝒆𝒛𝒊𝒔𝒕𝒆𝒏𝒄𝒂 𝒈𝒍𝒐𝒃𝒂𝒍𝒆! The agreement is illegal, the resistance is global!
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[2024-11-21] APERITIVO INFORMATIVO: Nuovo Patto Europeo su Immigrazione e Asilo @ Csoa Gabrio
APERITIVO INFORMATIVO: NUOVO PATTO EUROPEO SU IMMIGRAZIONE E ASILO Csoa Gabrio - Via Millio 42, Torino (giovedì, 21 novembre 18:00) Con l'aiuto di avvocatə ASGI e realtà dalla frontiera italo-francese, proviamo a  capire come l'Europa (non) riforma la sua politica dell'immigrazione. - - - Giovedì 21 novembre - ore 18.00 CSOA Gabrio, Via Millio 42, Torino. - ORE 18 - DISCUSSIONE A giugno 2024 è stato adottato il Nuovo Patto Europeo per una gestione della migrazione “più efficiente”. Presentato come nuovo inizio, il patto si concretizza in una stretta sulle frontiere, con più detenzione, maggiori respingimenti e comprimendo in generale i diritti fondamentali delle persone in movimento. Avvocatə Asgi e persone attive al confine con la francia ci parleranno di come il Nuovo Patto inciderà sullo screening alla frontiera, sulle procedure accelerate, sul sistema di "solidarietà" stabilito dal Regolamento Dublino III e sui dispositivi di accoglienza, reclusione e rimpatri. - ORE 19:30/20 - APERITIVO Menù veg celiaco - 5 € trattabili (polenta-verdure-hummus) Il benefit sosterrà le spese delle attività dello Sportello Il-legale. Sei interessat@ a partecipare all'assemblea di Sportello? Ci trovi alla serata per parlarci e conscersi.
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