[2023-11-11] CORTEO CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETA DI CUI HA BISOGNO @ Incrocio Via Val della Torre - Corso CincinnatoCORTEO CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETA DI CUI HA BISOGNO
Incrocio Via Val della Torre - Corso Cincinnato - Incrocio Via Val della Torre -
Corso Cincinnato (sabato, 11 novembre 15:00)
CORTEO CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETA DI CUI HA BISOGNO
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11 NOVEMBRE 2023
DALLE ORE H15
CORTEO CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETA DI CUI HA BISOGNO!
INCROCIO VIA VAL DELLA TORRE – CORSO CINCINNATO
GOVERNARE (DA)I MARGINI:
CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ' CHE NE HA BISOGNO
Mentre non si riesce più a contare il numero di gente massacrata e la cui vita è
in scacco per via di necessità e imperativi di guerra che bussano alle porte di
questa Europa apparentemente prossima al collasso sia economico che ecologico;
mentre i giornali imperversano in una retorica schiacciante in cui terrorista è
nominato colui che lotta, si organizza e risponde - colpo su colpo - alla
violenza degli Stati, alla violenza delle colonie e all’ingiustizia strutturale
dei sistemi differenziati del capitalismo neo-liberale (ossia la produzione, da
parte del capitalismo, di categorie di persone sfruttabili, ricattabili e
reprimibili a seconda delle sue necessità); mentre tutto questo succede, il
carcere - essenza materiale e simbolica, della dirompenza del sistema di
controllo, punizione e messa a valore delle classi oppresse - diventa un nodo
centrale contro cui lottare. Non solo per ribadire come il potere si
materializzi sulle vite di sfruttati e sfruttabili, ma anche per sottolineare
quali alleanze vogliamo ribadire, scoprire e valorizzare nel nostro bisogno di
organizzarci contro un'esistenza invivibile e inaccettabile.
Il momento storico in cui ci troviamo a vivere ci impone la necessità di
ampliare lo sguardo sul fenomeno carcerario, legandolo non solo a un dispositivo
fisico repressivo, ma capendo come la diluizione del sistema carcere al di
fuoridelle patrie galere coinvolga inevitabilmente i diversi strati sociali e
informi il tessuto sociale tutto. Il governo Meloni e le sue politiche,
marcatamente classiste, razziste e securitarie, mostra una continuità a ritmo
sostenuto, in rapporto con gli esecutivi precedenti nel creare supposti
"soggetti criminali" enemici da cui difenderci. La tendenza è quella
giustizialista che continua a materializzarsi nell'uso della decretazione
d'urgenza, sia riguardo al fenomeno della cosiddetta "devianza giovanile" sia a
quello della migrazione. Decreti che hanno il medesimo obiettivo politico:
privazione della libertà personale e di movimento. Un vero e proprio strapotere
penale, e carcerario, quello che si sta sviluppando oltre il perimetro
dell'istituzione totale per eccellenza, dove a farne le spese sarà la parte più
sfruttabile e ricattabile del tessuto sociale. Il mito collettivo, secondo cui
la prigione protegge (da cosa esattamente?) e quindi sia un male necessario, non
è altro che un mito utilizzato per giustificare, quando ancora ce ne sia
bisogno, l’istituzione carcere in sé, luogo ove confinare la miseria e soffocare
la protesta contro l'ordine stabilito e creare cittadini obbedienti. E questo
mito è di sovente ancorato all'idea, quasi religiosa, del "chi ha peccato deve
pagare". Ma invece è ovvio che le carceri, essendo per essenza strutture
coercitive, non possono che avere come unico scopo la disciplina e la sicurezza.
Questo controllo sociale totalizzante viene esercitato al di là delle mura del
carcere, attraverso la paura che esso incute, ma anche per mezzo delle
cosiddette pene alternative, ovvero ulteriori strumenti per aumentare la
carcerazione diffusa. La prigione è il luogo di punizione per eccellenza, in cui
la società capitalista neoliberale rinchiude coloro che dichiara dannosi, per
contenere qualsiasi slancio di rivolta sociale e mantenere così al suo interno
valori morali basati sulla disuguaglianza, sullo sfruttamento, sul rispetto
dell'autorità e sulla sottomissione alla violenza dello Stato.
Le rivolte, gli scioperi della fame, le lotte dei reclusi che caratterizzano la
quotidianità delle carceri, sono l'evidenza di una rabbia irriformabile. Una
rabbia relegata, dagli organi governamentali, a una totale silenziazione delle
sue rivendicazioni, in cui si vuole privare di significato qualsiasi atto di
protesta con la conseguente invisibillazione delle condizioni detentive.Le
parole del ministro della Giustizia Nordio, in visita al carcere Lorusso e
Cotugno, lo scorso mese in risposta alla morte di due detenute, non fanno altro
che speculare sull'accaduto e portare avanti i calcoli politici di governo, di
fronte all'evidenza strutturale che il carcere uccide. Lo scopo delle
istituzioni penitenziarie è dunque chiaro: controllare, monitorare, punire,
uccidere, poiché la necropolitica è parte integrante della logica carceraria.
Essa si basa sul fare della violenza-tortura-morte uno strumento di controllo e
deterrenza per gli internati, verso il mondo dei liberi e in particolare verso
quegli strati del tessuto sociale che, in diverse forme, escono dagli schemi
costruiti attorno ad essi. Grazie allo sciopero della fame di 181 giorni portato
avanti da Alfredo Cospito e alla mobilitazione contro il 41bis e l'ergastolo
ostativo al suo fianco, è oggi forse maggiormente noto come lo stato utilizzi la
tortura, annientando psico-fisicamente le persone detenute nelle carceri per
estorcere informazioni, richiedere il pentimento o la dissociazione. Questi sono
i meccanismi brutali di cui si avvalgono le istituzioni per il re-inquadramento
di massa della società tutta.
Quando il sistema carcerario esplica la sua funzione violenta e mortifera,
l'opinione pubblica tende a polarizzarsi in due correnti non dualistiche tra di
loro: da una parte si consolida l'approccio giustizialista, dove si criminalizza
e si condanna alla responsabilità individuale dell'espiazione della colpa,
discorso accettato da un ampia fetta della società. Dall'altra, invece, il
paradigma garantista, abbandonate le proprie velleità di assicurazione dello
stato di diritto - come il principio di proporzionalità e funzione rieducativa
della pena - si riduce alla mera richiesta di più controllo e sorveglianza negli
istituti penitenziari, tramite l'assunzione massiccia di guardie, militari e
personale sanitario. Nello specifico i sindacati di polizia avanzano
rivendicazioni bastate sulla richiesta di più organico con l'obbiettivo di
aumentare la loro capacità di coercizione e violenza nei confronti dex
detenutx,soprattutto dex rivoltosx.
Entrambi gli approcci danno voce quindi ad un unicum securitario. Un discorso
che nel suo complesso va smascherato. La violenza statale si perpetua
nell'ordine carcerario anche attraverso il sovraffollamento, la mancanza di cure
sanitarie e i pestaggi della polizia. Pensare di riformare le carceri non è
un'orizzonte politico desiderabile perché non può esserci una vera emancipazione
senza la distruzione totale dei luoghi di reclusione e della società che li
necessita.
CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ CHE NE HA BISOGNO: RENDIAMO TANGIBILE LA
SOLIDARIETÀ A CHI RESISTE E LOTTA CONTRO LA VIOLENZA QUOTIDIANA DELLA
DETENZIONE, ATTRAVERSANDO LE STRADE DI VALLETTE PER ARRIVARE FINO ALLE MURA DEL
CARCERE LORUSSO COTUGNO.
CORTEO
SABATO 11 NOVEMBRE
DALLE ORE 15
ANGOLO VIA VAL DELLA TORRE/CORSO CINCINNATO