[23-09-15] SETTIMANA DI MOBILITAZIONE CONTRO IL RAZZISMO ISTITUZIONALE @ Stay tunedSETTIMANA DI MOBILITAZIONE CONTRO IL RAZZISMO ISTITUZIONALE
Stay tuned - Torino (venerdì, 15 settembre 18:00)
SETTIMANA DI MOBILITAZIONE CONTRO IL RAZZISMO ISTITUZIONALE
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DAL 15 AL 21 SETTEMBRE
CONTINUIAMO LA MOBILITAZIONE CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI TORINO.
DOMENICA 17 SETTEMBRE
ORE 17
PRESIDIO AL CARCERE DELLE VALLETTE
APPUNTAMENTO AL CAPOLINEA DEL 3
GIOVEDI' 21 SETTEMBRE
ORE 17:30
PRESIDIO ALLA PREFETTURA IN PIAZZA CASTELLO
ORE 20
PROIEZIONE IN PIAZZETTA 4 MARZO
Il CPR di corso Brunelleschi a Torino è stato chiuso ai primi di Marzo 2023
grazie alle rivolte dei reclusi che con coraggio hanno lottato per settimane,
scandendo il ritmo di una quotidianità che ha potuto sovvertire l’asfissiante
brutalità della violenza di Stato, trasformando quei giorni in un’esplosione di
proteste. Proteste e rivolte che han permesso al fuoco di far ciò che era giusto
fare: distruggere quel luogo di detenzione e tortura; un luogo che rappresenta
la punta dell’iceberg del razzismo istituzionalizzato e sistemico.
Da qualche mese la prefettura, coprendosi dello stesso silenzio con cui ha
nascosto le quotidiane torture, taciuto le proteste e invisibilizzato le lotte
dei reclusi, sta cercando di rimettere delle toppe strutturali all'edificio arso
dalle fiamme, seguendo le evidenti direttive nazionali. Ricostruire, nonché
aumentare la sorveglianza e il controllo, affinché al più presto questa ennesima
prigione per persone senza documenti europei riapra. Gli scagnozzi di governo,
sottobraccio con le piccole e grandi aziende che lucrano sul mantenimento delle
strutture dedite alla detenzione amministrativa, vorrebbero cancellare con un
colpo di spugna ciò che quella coraggiosa rivolta ha portato, e così riaprire un
CPR in Piemonte; procedendo a passo spedito e senza intralci, nascondendosi
dietro allo stato d'emergenza, al fitto velo degli appalti secretati e delle
assegnazioni dirette alle ditte.
Sono diverse le imprese che decidono di entrare nel business della detenzione
rendendosi responsabili del mantenimento e dell’esistenza di quei luoghi di
tortura e privazione della libertà: alcune per costruire o effettuare
manutenzioni ordinarie e straordinarie - come ad esempio L'Operosa spa; altre
per gestirle - come ORS, Gepsa, Ekene, Badia Grande. Alcune tra queste si
occupano anche di strutture cosiddette di accoglienza, diversificando ed
estendendo in questo modo la speculazione sulle persone prive di documenti
europei. Tali aziende ricavano profitti dalla detenzione: dal tempo di
reclusione e dalla quantità di persone trattenute. A riprova di ciò, basta
osservare i numeri dei rimpatri, quantificati dagli accordi stretti fra i
governi: essi sono tendenzialmente esigui rispetto ai numeri dei detenuti,
proprio perché le espulsioni assumono di fatto una mera funzione validante dei
finanziamenti, si potrebbe dire quasi simbolica. Ma la quantità di persone
trattenute nei CPR è decisamente più alta ed è proprio su questa massa di
persone detenute, per tempi più o meno lunghi, che gli enti privati guadagnano;
allo stesso modo maggiori saranno le strutture da gestire, più bandi e fondi da
accaparrarsi ci saranno a disposizione.
DAL NEOCOLONIALISMO ALLA GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI: LA PARTITA DEL VECCHIO
CONTINENTE.
Ma se il CPR è una delle manifestazioni ultime della violenza dello Stato, della
mercificazione e dell’oppressione di persone e terre, il sistema e i precari
equilibri che attorno ad esso si palesano sono complessi ed ampi.
Le dinamiche neocoloniali sono alla base della possibilità di mantenimento
dell’economia capitalista che ormai ha difronte a se la possibilità di cadere
dall’orlo del precipizio. Il controllo militare dei territori si intreccia con
l’estrattivismo, la guerra e lo sfruttamento delle terre, in una dinamica rapace
funzionale al cosiddetto “sviluppo” e alla transizione digitale della società,
che vede implicati e contrapposti - citiamo i più intrisi - l’Europa, gli Stati
Uniti, la Russia, la Cina, gli Emirati Arabi e i Sauditi, in concerto con alcuni
dei governi africani.
Questa partita giocata dalle potenze mondiali, vede il territorio africano
profondamente coinvolto; per secoli l’Occidente ha saccheggiato e depredato le
risorse dell’Africa ma negli ultimi decenni gli attori in campo si sono
moltiplicati così come gli interessi in gioco, rendendo la competizione per il
controllo delle risorse più sfaccettata e conflittuale. Uranio, petrolio,
metalli rari fondamentali per la costruzione delle componenti elettroniche,
terre per la produzione energetica agro-intensiva e di bio-carburanti per
l’esportazione, sono la posta in palio.
L’indirizzo è chiaro. Usare l’Africa, fra le altre, come campo da gioco per
costruire, mantenere e testare una logica di potenza, in cui agiscono tutti gli
attori dello scacchiere mondiale, in una corsa al primato per la superiorità del
proprio modello socio-economico. In questa cornice, rendere ogni cosa
finanziarizzabile diventa uno degli obiettivi determinanti: attraverso
l'espropriazione di terre e risorse, garantita da un capillare controllo
militare, ma anche con la messa a valore delle persone, sfruttando la mano
d’opera a basso costo, sia dentro che fuori il continente africano, nonché
traendo profitto dalla migrazione.
La guerra ai flussi migratori liberi rappresenta l’incarnazione di questo
modello. Guerra che si esplica, da un lato con una sempre maggiore
militarizzazione delle frontiere, dall'altro attraverso gli accordi bilaterali
fra stati per il controllo dei flussi in uscita e in entrata.
Per assolvere a questo scopo, chiave è il memorandum d’intesa fra UE e Tunisia
di questo 16 Luglio. Esso prevede un consistente finanziamento per la Tunisia,
pari a più di 250 milioni di euro, parte dei quali saranno utilizzati per
l’economia interna del paese, in un’ottica per cui la stabilizzazione economica
tunisina funge da metro di bilancio per l’affidabilità del governo di Saïed in
materia migratoria. L’obiettivo è da una parte individuare dei cani da guardia
alla frontiera mediterranea in modo da attivare i circuiti di sfruttamento
legalizzato della mano d’opera migrante (Talent partenerships); dall’altra,
poter deportare chiunque arriva clandestinamente alla Fortezza (punto che il
governo tunisino rifiuta non tanto per magnanimità quanto più per nazionalismo).
Anche il nuovo patto europeo sull'immigrazione, testato in primis da Regno Unito
e Ruanda, si inserisce in questo quadro: individuare paesi terzi sicuri dove, in
cambio di grosse somme di denaro, gli stati europei possano deportare le persone
migranti, a prescindere dalla loro effettiva provenienza geografica.
Insomma, l'ambizione ultima è quella di sistematizzare ancor di più la pratica
dell’apertura e della chiusura dei rubinetti dei flussi migratori, in base alla
necessità produttiva del vecchio continente, con un controllo frontaliero
extra-europeo sempre più stringente per limitare al minimo i flussi
deregolamentati.
IL LEGAME TRA CPR E CARCERE: UNO SGUARDO AI MECCANISMI DI CLANDESTINIZZAZIONE E
CRIMINALIZZAZIONE.
In questo contesto, a dir poco sadico, la variante umana deve essere minacciata,
schedata, canalizzata e classificata all'interno delle linee produttive sia nei
termini di forza lavoro a basso costo, sia in quelli di merce di scambio. I CPR
sono quindi non solo un tassello cardine della legittimazione stessa del
razzismo di Stato ma anche, in dialettica con il ricatto del documenti, del
perpetuarsi della speculazione economica sulle classi oppresse. Se da un lato è
infatti evidente come lo sfruttamento lavorativo, sotto indecenti condizioni e
con salari da fame, è reso possibile dalla clandestinità a cui moltissime
persone sono costrette per via delle politiche governative, dall'altro il
ricatto del documento non sarebbe così efficace senza la presenza dei luoghi di
detenzione amministrativa dove la privazione della libertà trova il suo connubio
con la tortura sistemica e sistematica. Essi assolvono al ruolo di monito e
minaccia verso chi è ancora in libertà: la paura funge da deterrente mantenendo
nell’invisibilità chi, senza documenti europei, è costretto e mantenuto a forza
nella categoria di forza lavoro a bassissimo prezzo, invisibile e ricattabile.
Coloro che vengono catturati e immagliati nella macchina detentiva ed espulsiva
smettono di assolvere al ruolo economico di forza lavoro a basso prezzo e
diventano pura merce di scambio e guadagno per Stati e privati che lucrano su
detenzione amministrativa e rimpatri coatti. È qui che il legame economico tra
ricatto dei documenti e CPR si materializza ulteriormente poiché la
clandestinizzazione forzata di migliaia di esseri umani garantisce il
mantenimento di un bacino di merci umane, di sfruttabili a cui la macchina delle
espulsioni può attingere.
Se questa filiera di guadagno necessita del mantenimento di un grosso bacino di
sfruttabili, la cornice ideologico politica che garantisce tutto ciò pone le sue
radici non solo sul razzismo nel suo senso più esplicito, ma anche in un
paradigma governativo che fa del giustizialismo una parte fondante delle proprie
strategie e narrative. E' ormai dai tempi del Decreto Salvini che legami sempre
più solidi sono stati posti tra la detenzione amministrativa e quella penale,
come se fossero sfumature burocratiche differenti di uno stesso destino: la
prigionia come sistema di gestione della classi oppresse.
Il legame tra le due forme detentive non è basato su una mera assonanza
concettuale, ma è piuttosto funzionale a produrre dei chiari effetti materiali.
Da un lato il canale diretto tra CPR e carcere si spalanca come monito a
chiunque osi ribellarsi al destino impostogli. Se, come abbiamo detto, infatti
il CPR funge da deterrente rafforzativo dell'angoscia del vivere in assenza di
documenti europei, il carcere rinforza il meccanismo terrificante aprendo altre
voragini detentive oltre quelle amministrative. E' già nel Decreto Lamorgese del
2020 la possibilità di identificare e processare in direttissima - attraverso la
flagranza in differita - coloro che arrecano danni alle strutture dei CPR o che
si ribellano all'interno di esse. La legge si adopera a costringere nella paura
ogni afflato di ribellione di quelle classi di oppressi che tali si vorrebbero
mantenere. Vale la pena ricordare dunque il coraggio, la generosità e la forza
che animano le rivolte dentro i CPR di chi, stretto nella morsa di un impianto
classista e razzista, rivoltandosi inceppa la macchina detentiva ed espulsiva.
Inoltre il legame tra le due forme detentive si basa e a sua volta dà vita ai
due meccanismi fondanti di un tale ordine economico-politico:
clandestinizzazione e criminalizzazione delle persone in viaggio, costrette
dentro la gabbia dell'oppressione di classe e lungo la linea del colore.
Se abbiamo già discusso come la clandestinizzazione di un ampio bacino di
persone sia necessaria al mantenere viva la possibilità di sfruttarli sia come
forza lavoro a bassissimo prezzo che come merce di scambio, questa - la
clandestinizzazione - non potrebbe da sola garantire il perpetuarsi della
filiera del guadagno. Infatti l'altro necessario pilastro di un tale impianto è
la criminalizzazione degli oppressi e la gestione dell'impianto detentivo come
monito terrificante.
Non sarà dunque un caso che Decreto Cutro, Stato di emergenza e pacchetto
sicurezza spingano in modo corale verso delle chiare direzioni: aumentare il
numero di persone senza documento europeo in Italia, acuire le pene, riempire le
carceri già strabordanti, costruire nuovi CPR, rinforzare la macchina delle
espulsioni e, come ciliegina sulla torta, il ministro Nordio, promette di
stipare i detenuti "a basso indice di pericolosità" dentro le caserme: così da
differenziare ancor di più il dispositivo carcerario, avere sempre più spazio
per rinchiudere, privare della libertà, rimpatriare coattamente e torturare.
Vale forse la pena sottolineare come il gran parlare corale di funzione
rieducativa della pena e di diritti democratici all'interno dell'impianto
detentivo non sia, di sovente, altro che un modo per mascherare il volto
giustizialista delle pratiche governative sotto un vocabolario e un linguaggio
preso in prestito dal garantismo.
E se nella gestione dei corpi e delle vite umane lungo le filiere del guadagno,
paura, precarietà, violenza, tortura e angoscia sono parti fondanti dei
meccanismo di dominio, che garantiscono il perpetuarsi delle oppressioni, non
possiamo tralasciare il ruolo fondante della morte per mano dello Stato e in
mano allo Stato. A chi ha ritenuto accidentali le morti nelle carceri o
un'inevitabile conseguenza della storia il cimitero sui fondali del Mediterraneo
e i cadaveri su in montagna, è forse il caso di ribadire che in un mondo
governato dalla necropolitica la morte ha un valore e un ruolo fondamentali nel
garantire il dominio sulle classi oppresse. Il punto qui non è solo ribadire
l'ovvio, che ogni morto in galera è un assassinio di Stato, che ogni morto nel
tentativo di attraversare una frontiera è ucciso dallo Stato. Ma piuttosto
sottolineare come queste morti siano funzionali al perpetuarsi dell'oppressione,
manifestazione materiale del potere governativo e strumento per tentare di
sottomettere attraverso ricatto paura e terrore. Non è un caso che il decreto
che porta il nome di una strage in mare non fa altro che rinforzare
ulteriormente i meccanismi di oppressione, cladestinizzazione e
criminalizzazione delle persone in viaggio. Non è un caso che all'indomani della
morte di due detenute nel carcere delle Vallette a Torino le fanfare governative
siano andate lì a proclamare, per voce del ministro della giustizia, l'apertura
di nuovi luoghi idonei alla detenzione. A garanzia dunque che la disperazione
della prigionia scandirà ancora e ancora i giorni e le notti. Aprire i portoni
delle caserme dismesse per stiparci detenuti, garantire che lo Stato continuerà
ad esercitare il suo potere di vita e di morte, che continuerà a imprigionare,
torturare e condurre alla morte. Se il tentativo è quello di aggiungere terrore
al dolore, l'obbiettivo è chiaramente quello di mantenere le classi di
oppressione e scoraggiare ogni istanza di ribellione.
E se la mano pesante dello Stato cerca di sopire la rabbia degli oppressi, nel
mondo dei liberi e dei privilegi di classe, ciò che rende possibile
l'anestitizzazione dinanzi alla violenza dello Stato è forse il processo, che
ogni giorno viene compiuto e reificato, di deumanizzazione e criminalizzazione
delle classi sfruttabili e sfruttate, di depoliticizzazione delle lotte portate
avanti. Nonché l'agghiacciante evidente desiderio di aggrapparsi con le unghie e
con i denti a quel falso benessere occidentale in un modo in cui guerra, crollo
del capitalismo e apocalisse ecologica non appartengono più ai romanzi distopici
ma, in modo sempre più impellente, bussano alle porte del nostro futuro
imminente.
Per questi motivi è quanto mai urgente opporci alla ricostruzione del CPR di
corso Brunelleschi, perché non passino nel silenzio i piani mortiferi che
abbiamo davanti, perché nessuno e nessuna venga imprigionato/a, sfruttato/a e
ricattato/a. Perché è fondamentale immaginare e fare tutto il possibile per
uscire dalle maglie del sistema al quale ci vogliono costringere. Perché le
lotte non vengano silenziate e continuino ad esistere.
DAL 15 AL 21 SETTEMBRE:
MOBILITAZIONE IN SOLIDARIETÀ' A CHI E' RECLUSO, CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI
CORSO BRUNELLESCHI E DI OGNI GALERA, CONTRO LE POLITICHE STATALI.
PER UN MONDO SENZA FRONTIERE E SENZA GALERE
PER LA LIBERTÀ'