Il Primo Maggio, in tante e tanti hanno scelto di attraversare lo spezzone
rossonero promosso dall’Assemblea Antimilitarista e dalla Federazione Anarchica
Torinese.
Una calda e gradevole giornata di sole ha fatto da cornice a una manifestazione
combattiva che affonda le sue radici nelle imponenti rivendicazioni operaie di
fine ‘800 per le otto ore lavorative. Un centinaio di antimilitarist* e
anarchic* hanno sfilato in coda al corteo brandendo lo striscione “Pace tra gli
oppressi, guerra agli oppressori”, segnando una netta distanza con coloro che
formalmente si dichiarano contrari alla guerra, ma nei fatti, si schierano a
favore di vecchi e nuovi imperialismi sotto la bandiera della resistenza,
fornendo rinnovata linfa vitale a nazionalismi e guerre di religione che da
sempre sono nemici di tutte le lotte che aspirano ad una reale emancipazione
sociale.
Numerosi slogan e interventi hanno ricordato sia le pessime condizioni in cui
versa chi è disoccupato o chi è costretto a sopravvivere di lavori precari e
sottopagati, sia l’aumento delle morti sul lavoro, diretta conseguenza dalla
cinica logica del profitto a tutti i costi. Stessa determinazione ha
contraddistinto la necessità di denunciare fermamente la moltiplicazione degli
sfratti, una piaga per coloro che non ce la fanno più a pagare fitto e bollette.
Avere garantito un tetto sopra la testa si sta trasformando in un lusso per
pochi privilegiati.
Ogni contributo portato in piazza ci ha tenuto a ribadire l’urgenza di opporsi
all’escalation bellica che sempre più sta travolgendo le nostre esistenze,
partendo dai nostri territori, dove le armi vengono prodotte e testate per poi
essere utilizzate nei conflitti che insanguinano vaste aree del pianeta; dove la
militarizzazione investe con insistenza le periferie più povere e arriva ad
assediare scuole e insegnamento; dove Leonardo e Politecnico si stanno
impegnando nella costruzione della Città dell’Aerospazio, un polo di ricerca
finalizzato alla progettazione di congegni e tecniche militari sempre più
micidiali e all’avanguardia per uccidere e avvelenare interi territori.
Le spese militari crescono inesorabilmente, così come i tagli ai servizi sociali
fondamentali. L’industria bellica si arricchisce, mentre noi vediamo spalancarsi
le porte della miseria e rischiamo di morire per mancanza di cure mediche
adeguate.
Anche in questa occasione, non si è mancato di contestare le politiche del
governo fascista, che oltre ad intensificare la retorica patriottica per
arruolarci nell’impresa a difesa degli interessi nazionali e renderci complici
di massacri di popolazioni civili, si sta servendo di leggi speciali che
trattano le questioni sociali come affari di ordine pubblico, portando avanti
una spietata guerra ai poveri – autoctoni e migranti – e una durissima
repressione di qualsiasi forma di dissenso. Ci vogliono muti e rassegnati, se
non addirittura servili.
La lotta di classe non è affatto un discorso relegato al passato. Lo sanno bene
i burocrati del sindacalismo istituzionale e concertativo che fanno
quotidianamente il gioco di chi prosciuga il nostro tempo e le nostre energie
investite sul posto di lavoro, pur di continuare a estrarre ed accumulare
capitale.
Purtroppo, il sindacalismo di base, nonostante il generoso impegno, fa sempre
più fatica a intercettare il disagio sociale di coloro che vivono nella nostra
città. Ne consegue che serve organizzarsi collettivamente e superare il clima
prevalente di atomizzazione e diffidenza tra sfruttat*, se davvero vogliamo che
la paura cambi di campo.
Siamo consapevoli che l’unica speranza che abbiamo di invertire la rotta, non
può che essere quella di costruire e rinforzare reti di solidarietà e lotta in
opposizione all’oppressione, allo sfruttamento, alle guerre volute e foraggiate
da padroni e governanti.
Solo praticando l’azione diretta possiamo pensare di impensierire i potenti
della terra.
Solo riportando al centro del dibattito il valore del disfattismo rivoluzionario
e sostenendo attivamente i disertori di tutte le guerre degli stati, possiamo
scongiurare il pericolo di un olocausto nucleare.
Solo dando vita a spazi politici non statali possiamo porre le basi per un mondo
di libere ed eguali, senza stati, padroni, frontiere, eserciti e polizie.
Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista – Torino
corso Palermo 46 – riunioni ogni martedì alle 20,30 – www.anarresinfo.org
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Tag - Torino e dintorni
Come ogni anno ci siamo ritrovati alla lapide che ricorda Ilio Baroni,
partigiano anarchico.
Oggi più che mai ritrovarci in quell’angolo di periferia, dove cadde combattendo
Baroni, non è stato un mero esercizio di memoria, ma occasione per intrecciare i
fili delle lotte, perché il testimone lasciato da chi non c’è più è ora nelle
nostre mani.
In un clima di guerra e revisionismo quello di questo 25 aprile è stato un
momento di raccolta della comunità libertaria di Barriera di Milano. Una
Barriera che i fascisti al governo della Circoscrizione hanno posto sotto
assedio militare, per mettere la sordina alle questioni sociali, perché chi oggi
fatica a pagare fitto e bollette riversi il proprio rancore sugli ultimi
arrivati, quelli che vivono ancora peggio, quelli che nessuno gli affitta una
casa, quelli che si arrangiano come possono tra una miriade di lavori precari.
Ma la condizione di chi è nato altrove è la stessa di chi vive qui, perché
precarietà, sfratti e povertà sono il pane quotidiano di noi tutti.Parlare dei
partigiani di Barriera, di quelli che, come Baroni il fascismo lo hanno
combattuto negli anni Venti come durante la Resistenza, ci ricorda che, in barba
a tutti i revisionismi di Stato, il fascismo è stato ed ha continuato ad essere
il braccio armato dei padroni.
Oggi ci troviamo di fronte gli stessi, che legge repressiva dopo legge
repressiva, stanno scrivendo in modo normale le leggi speciali di questo secolo,
quelle che rischiano di seppellire in galera compagni e compagne per banali
episodi di lotta. Una scritta sul muro, un blocco stradale, un picchetto,
un’occupazione, magari messi insieme da uno dei tanti reati associativi, sono
trattati con estrema durezza.
Nelle molli maglie della democrazia, il fascismo, anche grazie all’acquiescenza
di certa sinistra, sta schiacciando in una morsa sempre più ferrea le poche
libertà e tutele, che chi c’era prima si è preso senza chiedere il permesso.
Solo con la lotta la sola avremo nelle nostre mani il sogno irrealizzato dai
partigiani di Barriera.
Eravamo in tanti e la giornata, complice un sole luminoso, è volata veloce, con
la deposizione di fiori alla lapide che ricorda Ilio Baroni e il ricco e
coinvolgente canzoniere anarchico e antifascista del Cor’okkio. Una bicchierata,
due taralli e l’impegno a ritrovarci in piazza il 1 maggio con uno spezzone
anarchico e antimilitarista.
Di seguito il volantino distribuito in piazza:
1945-2025. Oggi come ieri
Azione diretta contro Stato e fascisti!
La memoria è uno strumento per leggere il presente e trasformarlo radicalmente.
Il 25 aprile rappresenta un’occasione preziosa.
Rievocare l’epopea partigiana non è un esercizio retorico, ci ricorda
l’importanza di lottare apertamente contro il fascismo, da sempre braccio armato
dei padroni che ci costringono ad un’intollerabile condizione di miseria e di
sfruttamento.
Oggi viviamo in un clima di guerra e di revisionismo senza precedenti. La
Resistenza viene ridotta a mera lotta di liberazione nazionale, per cancellarne
la spinta sovversiva, internazionalista, contro stato e capitalismo. La
prospettiva rivoluzionaria si eclissa sotto il peso di una narrazione egemone
che vede la Repubblica come approdo definitivo, frutto degli sforzi di tanti e
tante che al contrario volevano farla finita con una società divisa in classi.
Nel frattempo le periferie della nostra città sono sotto costante assedio
militare. Si moltiplicano le retate contro coloro che non hanno in tasca il
giusto documento. Questioni sociali vengono trattate come problemi di ordine
pubblico.
I ricchi diventano sempre più ricchi, mentre i poveri sono sempre più poveri. Il
lavoro non c’è, e anche quando c’è è sottopagato, pericoloso, sfruttato, privo
di qualsivoglia tutela. Precarietà, sfratti, povertà sono all’ordine del giorno.
Fitto e bollette sono cresciuti a dismisura e sempre più persone faticano ad
arrivare alla fine del mese.
Il governo fascista soffia sul fuoco della guerra fra poveri, per nascondere la
guerra sociale che ha scatenato contro tutti i poveri, italiani e nati altrove.
Il tentativo è quello di imprimere una svolta sempre più autoritaria e
liberticida al paese, dotandosi di strumenti utili a reprimere sul nascere
qualsiasi insorgenza sociale. La ricetta scelta per ostacolare l’opposizione
politica e sociale è l’ultimo Decreto Legge “Sicurezza” (ex DDL 1236), approvato
dal Consiglio dei Ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12
aprile. Il provvedimento appena entrato in vigore bypassando completamente il
parlamento, si inserisce nel solco già aperto da altri provvedimenti (i decreti
rave, Cutro, immigrazione, Caivano), che colpiscono i poveri, gli stili di vita
non conformi, gli stranieri senza documenti. Blocchi stradali o ferroviari,
picchetti, occupazioni, scritte su caserme o commissariati, prevedono pene
durissime. Normali forme di lotta attuate dai movimenti climatici, sociali e
sindacali, anticarcerari e no border rischiano di costare la galera a tante
compagne e compagni.
Viene confermata l’introduzione del reato di “terrorismo della parola”. Viene
concesso ancora più potere, agibilità e impunità alle forze di polizia. Le lotte
portate avanti nelle carceri e nei CPR – anche sotto forma di resistenza passiva
– possono essere perseguite in modo più duro perché chi le attua è dipinto come
costitutivamente criminale, illegale, fuori norma. La logica sottesa al decreto
è quella del diritto penale del nemico. Una logica di guerra, nella quale coloro
che vengono identificati come nemici vanno annientati, ridotti a nulla, privati
di vita, libertà e dignità. Per il nemico non valgono le tutele formali
riservate ai cittadini. Quando la logica bellica si applica al diritto, alcuni
gruppi umani vengono repressi per quello che sono più che per quello che fanno.
L’intera azione dell’esecutivo è informata a questo principio.
Un principio sulle cui fondamenta sono stati costruiti i lager nazisti e i gulag
staliniani. Oggi la democrazia getta via la maschera e mostra il suo vero volto,
quello della più spudorata violenza a salvaguardia del privilegio di classe e
del potere nelle mani di pochi.
Non solo. La stretta repressiva in atto e la criminalizzazione dei movimenti
sociali vanno di pari passo con un intenso impegno bellico, sostenuto sia dalla
sinistra che dalla destra istituzionale. Il piano ReArm Europe prevede di
destinare ben 800 miliardi di euro al riarmo su ampia scala. La spesa militare
nel nostro paese ha da tempo toccato quota 108 milioni di euro al giorno. Le
missioni all’estero delle forze armate italiane a difesa dei propri interessi
neocoloniali si sono moltiplicate. In compenso, servizi pubblici essenziali
vanno incontro ad ingenti tagli. Casa, sanità, istruzione, trasporti pubblici di
prossimità efficienti sono un vero e proprio miraggio. Il warfare prende
definitivamente il posto delle sorpassate politiche di welfare. L’industria
militare fa affari d’oro, a pagarne le spese sono uomini, donne e bambini che
periscono sotto le bombe costruite a due passi dalle nostre case.
La nostra città – vera e propria eccellenza nel settore aerospaziale bellico –
si impegna a costruire la Città dell’Aerospazio, polo di ricerca promosso dal
colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino, il quale ospiterà persino
un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei
del D.I.A.N.A, struttura della NATO.
Vogliono arruolare i nostri corpi e le nostre coscienze bombardandoci di
retorica patriottica, a partire dalle scuole e dalle università. Vogliono
prepararci ad un allargamento del conflitto che può essere solo foriero di
morte.
Ma le leggi dettate dal clima repressivo e dall’economia di guerra non sono
altro che il precipitato normativo dei rapporti di forza all’interno della
società. Siamo ancora in tempo per far sì che la paura cambi di campo, per
fermare l’avanzata del fascismo, del nazionalismo, del militarismo.
Le tante libertà che padroni e governanti continuano a sottrarci con la forza
possiamo riprendercele soltanto praticando l’azione diretta, la solidarietà, il
mutuo appoggio tra sfruttat*. I partigiani che imbracciarono le armi e
combatterono strada per strada e sui sentieri di montagna fino alla seconda metà
degli anni ’40 del Novecento, lo sapevano bene.
Spetta a noi raccoglierne l’eredità e fare in modo che il loro sforzo non sia
stato vano.
Spetta a noi realizzare giorno dopo giorno il sogno di un mondo di libere ed
eguali, di una società realmente autogestita, libera da stato, padroni,
militari, polizia.
Giovedì 1 maggio
ore 9 piazza Vittorio
Spezzone antimilitarista e anarchico
Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere!
Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori!
Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista – Torino
riunioni, aperte agli interessat, ogni martedì alle 20,30 in corso Palermo 46
A tre anni dall’inizio della guerra in Ucraina il 22 febbraio è stata una lunga
giornata di informazione e lotta promossa dal Coordinamento contro la guerra e
chi la arma.
In mattinata c’è stato un presidio informativo al Balon, con interventi, musica
volantini, banchetti.
Nel pomeriggio ci si è mossi per dare un segnale concreto della volontà di
smilitarizzare la città.
Disertare la guerra
In solidarietà con i disertori e obiettori ucraini e russi gli antimilitaristi
si sono ritrovati di fronte al consolato ucraino di corso Massimo D’Azeglio 12.
Tanti fumogeni e uno striscione con la scritta “Con i disertori russi e ucraini,
contro tutti gli Stati!”
Di seguito alcuni stralci del comunicato diffuso:
“In Ucraina sono morte centinaia di migliaia di persone e sei milioni
quattrocentomila ucraini hanno dovuto abbandonare le loro case.
Sia in Russia che in Ucraina decine di migliaia di persone hanno disertato. In
Russia chi si è opposto alla guerra ha subito una dura repressione.
In Ucraina i reclutatori professionisti fanno irruzione sui mezzi pubblici, nei
mercati, nei centri commerciali a caccia di uomini dell’età giusta da catturare
e trascinare a forza al fronte. Ma non hanno vita facile: tanta gente si mette
di mezzo per impedire gli arruolamenti forzati.
Quelli che vengono presi alla prima occasione fuggono.
In Russia come in Ucraina oppositori, sabotatori, obiettori e disertori
subiscono pestaggi, processi e carcere.
Il prezzo della guerra lo pagano le popolazioni ucraine e russe.
Lo paghiamo noi tutti stretti nella spirale dell’inflazione, tra salari e
pensioni da fame e fitti, bollette in costante aumento mentre la tutela della
salute è un privilegio di cui gode chi può permettersi di pagare..
Il governo italiano si è schierato in questa guerra inviando armi, arrivando a
schierare 3.500 militari nelle missioni in ambito NATO nell’est europeo e nel
Mar Nero.
In Russia e in Ucraina c’è chi lotta perché le frontiere siano aperte per chi si
oppone alla guerra.
Noi facciamo nostra questa lotta contro le frontiere, per l’accoglienza di
obiettor, renitent, disertor* da entrambi i paesi.
Noi non ci arruoliamo né con la NATO, né con la Russia. Rigettiamo i vergognosi
giochini di Trump, Putin e dell’UE sulla pelle di popolazioni stremate dalla
guerra.”
No alla città dell’Aerospazio!
Gli antimilitaristi si sono poi spostati all’ingresso dell’ex stabilimento
Alenia Aermacchi di corso Marche, ormai abbandonato da decenni. Qui Leonardo, la
maggiore industria di guerra italiana, e il Politecnico di Torino intendono
costruire un nuovo polo ricerca e sperimentazione bellica.
Il cancello che immette nell’area della palazzina 27, destinata al Politecnico,
è stato chiuso con un grosso lucchetto.
Accanto, due striscioni, uno con la scritta: “No alla ricerca e alla produzione
bellica” e l’altro con “fancula la guerra, solidarietà con i popoli massacrati.
Tanti fumogeni hanno reso più visibile la protesta.
In contemporanea sul limitrofo ponte sulla ciclabile è comparso lo striscione
“Leonardo Thales-Alenia, eccellenze italiane di morte e distruzione”.
Di seguito alcuni passaggi del comunicato diffuso:
“Torino punta tutto sull’industria bellica per il rilancio dell’economia.
Un’economia di morte.
La nostra città è uno dei maggiori poli dell’industria bellica aerospaziale.
Ed è a Torino che sorgerà la Città dell’Aerospazio, un centro di eccellenza per
l’industria bellica aerospaziale promosso dal colosso armiero Leonardo e dal
Politecnico subalpino.
Hanno il sostegno di tutti: dal comune, alla regione al governo.
La Città dell’Aerospazio ospiterà un acceleratore d’innovazione nel campo della
Difesa, uno dei nove nodi europei del Defence Innovation Accelerator for the
North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della NATO. Progetti di morte che è
impegno di tutt* inceppare.
Occorre capovolgere la logica perversa che vede nell’industria bellica il motore
che renderà più prospera la nostra città. Un’economia di guerra produce solo
altra guerra.
Provate ad immaginare quante scuole, ospedali, trasporti pubblici di prossimità
si potrebbero finanziare se la ricerca e la produzione venissero usate per la
vita di noi tutti, per la cura invece che per i massacri.
Per fermare le guerre non basta la testimonianza. Occorre incepparne i
meccanismi, bloccarne le basi. Porti ed aeroporti militari, caserme, poligoni di
tiro ed industrie belliche sono a due passi dalle nostre case.“
L’Alenia produce morte
L’ultima tappa della giornata è stata a Caselle Torinese di fronte all’ingresso
dello stabilimento Alenia in strada Malanghero.
Uno striscione con la scritta “Spezziamo le ali al militarismo!” è stato aperto
lungo la strada. All’interno dell’area recintata e chiusa da filo spinato i
guardiani sono entrati in agitazione.
Qui, in quest’area militare dell’Aeroporto si sperimentano i nuovi aerei. Da qui
è partita la freccia tricolore che ha colpito un’auto in transito, uccidendo una
bambina di nove anni.
All’Alenia del gruppo Leonardo si producono droni da guerra e i
cacciabombardieri eurofighter.
Queste armi hanno ucciso milioni di persone, distrutto città e villaggi,
avvelenato irrimediabilmente interi territori.
Presto questo stabilimento verrà riammodernato per produrre i nuovi
cacciabombardieri del Global Combat Air Programme, progettati e realizzati da
Leonardo, Mitsubishi e BAE Systems, un nuovo più mortale strumento di guerra.
Chiudere e riconvertire l’industria bellica è un atto concreto per inceppare le
guerre!
Solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di
libere ed uguali che può porre fine alle guerre.
Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo.
Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo
la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro
pretese espansionistiche. In ogni dove. Non ci sono nazionalismi buoni.
Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra.
Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra.
Gettiamo sabbia nel motore del militarismo!
Per info antimilitarista.to@gmail.com
Gianni è stato tante cose diverse. Era del 1938. Sua madre partorì in casa a
Mombercelli. Lui era prematuro e gracile: la durezza degli anni della guerra
facevano presagire che non avrebbe passato l’infanzia. Invece “Spinacino” ce ha
fatta. In barba al freddo, alle bombe, alla fame e ai tanti malanni di quei
primi anni, arriverà al 5 febbraio 2025, quando se ne è andato nel sonno.
Lasciato il paese, da cui riporterà il ricordo indelebile degli alberi, delle
foglie, dell’aria di collina, con i genitori e il fratellino si trasferisce a
Torino. Il panorama della città nel primo dopoguerra è segnato dalle macerie
delle case bombardate e dagli alberi dei viali tagliati per fare legna. I soldi
sono pochi e la vita, in due stanze con il ballatoio ed il cesso fuori, è grama.
La scuola sarà per lui un mondo speciale, che amerà sin dai primi anni.
Al punto che sceglierà di fare il maestro. La laurea, che, all’epoca non serviva
per insegnare alle “elementari” come si chiamavano allora, la prenderà anni
dopo, con una tesi di pedagogia libertaria.
A cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta il giovane maestro viene
allontanato dall’insegnamento per cinque lunghi anni, in cui verrà confinato in
un ufficio. Le sue idee erano troppo sovversive.
A quell’epoca la scuola elementare era simile ad una piccola caserma. I bambini
separati dalle bambine, le divise, lo stare sull’attenti, il recitare la
preghiera, l’alzarsi in piedi quando entrava l’autorità, lo stare per ore
immobili, “composti” nei banchi.
Gianni si nutre delle idee e delle esperienze di Celestin Freinet, del nativo
canadese Wilfred Peltier, della scuola pedagogica statunitense.
Gianni, quando arriva in classe si fa dare del tu ai bambini, non li rinchiude
nell’aula, li porta fuori a toccare con mano le cose: il fiume, gli alberi, ma
anche la realtà sociale, quella dei profughi istriani delle Vallette, quella dei
napoletani emigrati in gran numero a Cirié, all’imbocco delle valli di Lanzo,
dove insegnerà a lungo dopo la pausa forzata imposta dal Ministero.
A Cirié, complice una mamma che sapeva riparare le bici, i bambini partono ad
esplorare il territorio per capire la cosa più importante: le domande da fare,
la curiosità che nasce dall’esperienza, il proprio percorso nella vita. Con le
bici Gianni e i suoi bambini arrivano ad invadere la pista dell’aeroporto di
Caselle, per vedere come erano fatti gli aerei, con i quali i più fortunati
partivano per paesi favolosi, che ai ragazzini della Ciriè operaia erano
preclusi. Tante imprese, tanti viaggi, soprattutto viaggi nella realtà sociale,
dove si parla di lavoro e di licenziamenti punitivi. Una volta, con i bambini
occupa l’ufficio del sindaco perché a scuola fa freddo.
Storie di frontiera in una scuola che oggi non è più fatta di autorità e
disciplina anche grazie ai partigiani dei bambini come Gianni Milano.
Lui lo diceva a chiare lettere: “bisogna dar voce ai bambini: sono loro che
decidono come apprendere meglio, e cosa fare”.
Gli ultimi anni a scuola, dove lavorerà per 40 anni, li trascorre a Lanzo dove
insegna alle future maestre.
Quando i suoi capelli sono diventati tutti bianchi, ha continuato a portarli
lunghi e scarrufati, come ai tempi in cui si guadagnò il soprannome
dispregiativo, ma portato con orgoglio, di “maestro capellone”.
Lui non ne parlava più di tanto, ma se date un’occhiata ai libri, alle riviste,
alla storia di quegli anni speciali scoprirete che è stato tra i protagonisti
della cultura beat nel nostro paese.
Era un fricchettone colto, scriveva poesie sulla sua lettera 32. Poesie che
trovate sparse qua e là, di recente molte sono state raccolte in un volume per
le edizioni Fenix.
D’estate, quando le scuole erano chiuse, autostop e via per il mondo. Ma poi
tornava sempre a Torino, che non era più la città bigia e dura dei suoi primi
anni, ma sempre la città in cui si sentiva a casa, all’ombra delle montagne.
Era amico di Fernanda Pivano e di Allen Ginsberg, è stato uno dei protagonisti
della beat generation: pubblica Off Limits (1966), Guru (1967), Prana (1968),
King Kong (1973), Uomo Nudo (Tampax, 1975). È tra i fondatori della
Pitecantropus Editrice, un tentativo di unire le anime della cultura Beat.
Spirito profondamente libertario, specie negli ultimi anni si lega al movimento
anarchico, attraversandone le lotte.
Abitava in fondo a corso Vercelli, a due passi dal Balon, dove lo incontravamo
spesso in occasione di presidi e banchetti. Arrivava e parlava con tutti,
indossando un fazzoletto rosso e nero, spacciando idee e libri. Vivace come un
folletto, mai stanco, nonostante gli anni che passavano ed i nuovi malanni.
Lo ricordiamo in tanti 25 aprile, tanti primi maggi, portare con orgoglio la
bandiera rossa e nera. Anche in valle ha intersecato varie volte le strade dei
cortei e delle lotte, perché in quella lotta popolare, specie in certi anni,
seppe riconoscere il tempo che muta, quando la gente comune, quella che non ci è
avvezza, alza la testa.
Lo conoscevano tutt. Con la sua parlantina sciolta e il suo stile da vecchio
maestro, lo trovavate nei posti dove la gente sceglie di essere protagonista, di
alzarsi in piedi, di costruire da se il proprio cammino.
Eravamo in tanti a salutarlo nel piazzale del Cimitero Maggiore di Torino,
nonostante il freddo e la pioggerellina insistita. Il Cor’Occhio circondato da
bandiere anarchiche, sullo sfondo uno striscione No Tav ha intonato i canti
anarchici e quelli di chi diserta la guerra. Gianni che l’aveva conosciuta fu un
antimilitarista convinto, senza sfumature.
Lo abbiamo ricordato con la musica, le parole, le sue poesie.
In questi tempi grami, con le scuole che rischiano di diventare nuovamente
caserme, il ricordo del maestro capellone, che sfrecciava alla testa della sua
ciurma di bambini liberati dai banchi per la campagna piemontese, resterà
un’ancora che renderà più forte la determinazione a continuare a pedalare per
cambiare il mondo intollerabile in cui siamo forzati a vivere.
Nel lungo percorso attraverso le grandi statue del monumentale siamo arrivati in
una zona povera. Gianni, nato sulla terra, ha scelto di tornarvi. Sulla bara una
bandiera nera e tanti garofani rossi.
Elfo di città, con un cuore contadino, continueremo a vederlo volteggiare a
Torino e in Valle, o al Balon, dove si mescolava con gli anarchici e i
senzapatria.
Ciao Gianni!
I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese
Torino, 12 febbraio 2025. Oggi comincia a Torino il processo per la morte di
Moussa Balde.
Moussa aveva 23 anni. Nella notte tra il 23 e il 24 maggio 2021, è morto nel CPR
di Torino.
Il 9 maggio era a Ventimiglia, fuori da un supermercato dove cercava di
racimolare qualche soldo. Tre uomini lo assalirono a calci, pugni e sprangate.
Qualcuno fa un video: Moussa è a terra, rannicchiato mentre i tre infieriscono
su di lui.
Una vicenda di violenza razzista come tante: solo la diffusione delle immagini
impedisce che il silenzio cali sulla sua storia, perché quelli come Moussa
raramente hanno la possibilità di raccontare ed essere creduti.
Quello stesso giorno Moussa viene portato in ospedale: viene dimesso il giorno
stesso, senza che gli vengano consegnati i fogli con la diagnosi. Trascorre la
notte in cella di sicurezza. Il mattino successivo viene portato a Torino, dove,
dopo l’udienza di convalida, viene rinchiuso al CPR di corso Brunelleschi.
Tra i tanti fogli che gli fanno firmare non c’è nulla sul pestaggio subito.
Finisce presto in isolamento, nel famigerato “ospedaletto”, un’area del CPR a
ridosso del muro dove c’erano celle singole simili a pollai. Niente a che fare
con un ospedale. Nonostante le vistose ferite al volto, Moussa non viene mai
visitato.
Lì, in quella gabbia isolata, Moussa è stato trovato impiccato.
La grande indignazione per la sua morte fece chiudere l’Ospedaletto.
Due anni fa, in febbraio, il fuoco delle rivolte distrusse il CPR, che da allora
è chiuso. Presto riaprirà senza che nulla sia cambiato per chi vi verrà recluso.
Alla sbarra, accusati di omicidio colposo, oggi vanno Annalisa Spataro,
direttrice del Cpr per conto della società Gepsa che all’epoca aveva l’appalto e
Fulvio Pitanti, il medico della struttura che visitò Balde e lo confinò in
isolamento. Sotto accusa c’era anche un poliziotto, Fabio Fierro, accusato di
aver modificato le relazioni di servizio, che però ha chiuso la sua posizione
patteggiando un anno.
Restano fuori dal processo i mandanti: la Prefettura e tutta la macchina che
imprigiona, tortura e uccide i senza documenti.
L’inchiesta, partita dopo la morte di Moussa, un vero suicidio di Stato, si
incardina intorno alla questione “ospedaletto”, una struttura di isolamento,
ulteriormente afflittiva rispetto alla detenzione amministrativa. In base alla
legge la detenzione amministrativa è ammessa, ma non forme di isolamento e
punizione. Se qualcuno, per i più diversi motivi, è incompatibile con la
prigione, può e dovrebbe essere liberato o ricoverato, non rinchiuso in una
cella di isolamento.
In discussione, oltre a quello di Moussa, i casi di altre persone fragili, messe
in isolamento, senza cure né assistenza.
Oggi in aula ci saranno anche il fratello e la mamma di Moussa Balde e la
sorella di Osmane Sylla, morto un anno fa nel CPR di Ponte Galeria a Roma.
Vogliono giustizia, una merce rara nei tribunali, vogliono soprattutto che non
capiti più. Mai più.
Mercoledì 12 febbraio ore 9 presidio al Tribunale di Torino – corso Vittorio 130
Per saperne di più ascolta la diretta fatta ieri dall’info di radio Black-out
con Gianluca Vitale, l’avvocato che aveva assistito Moussa e che oggi
rappresenta la sua famiglia:
> Moussa Balde. Processo al CPR
Il 4 novembre, nell’anniversario della “vittoria” nella prima guerra mondiale,
in Italia si festeggiano le forze armate, si festeggia un immane massacro per
spostare un confine. Nella sola Italia i morti furono 600.000.
Il 4 novembre è la festa degli assassini. La divisa e la ragion di stato
trasformano chi uccide, occupa, bombarda, in eroe.
In quella guerra a migliaia scelsero di gettare le armi e finirono davanti ai
plotoni di esecuzione.
A Torino come in tante altre città italiane gli antimilitaristi hanno costruito
piazze di senza patria, piazze contro tutte le guerre e tutti gli eserciti.
Il 2 novembre l’appuntamento era in via Roma, di fronte alla sede del DAP, il
Distretto Aerospaziale Piemontese. Il Distretto Aerospaziale Piemontese svolge
un compito di promozione, coordinamento ed affiancamento delle attività delle
industrie belliche del settore. Sino alla sua promozione a ministro della Difesa
il DAP era guidato da Guido Crosetto. Per cogliere l’importanza di questo
organismo di governance è sufficiente dare un’occhiata alla lista dei soci del
DAP, in cui spiccano attori politici, industriali e poli della ricerca e della
formazione.
Torino punta tutto sull’industria bellica. Dicono produca ricchezza invece
produce solo morte.
Leonardo e il Politecnico hanno promosso la Città dell’Aerospazio, un polo di
ricerca e progettazione delle armi del futuro. È un progetto che vede
protagonisti Leonardo, la maggiore industria bellica italiana, e il Politecnico
di Torino. Hanno il sostegno di tutti: dal comune, alla regione al governo.
Quest’autunno intendono cominciare i lavori in corso Marche.
Gli antimilitaristi, nei numerosi interventi che si sono susseguiti, hanno
ribadito l’intenzione di continuare ad lottare contro la trasformazione di
Torino in città delle armi, in polo bellico, dove si progettano e costruiscono
droni e cacciabombardieri.
Erano presenti oltre all’Assemblea Antimilitarista ed ai membri del
Coordinamento contro la guerra e chi la arma, gruppi politici e sindacali, No
Tav, l’assemblea del politecnico, i pacifisti, un Ponte Per, l’Osservatorio
contro la scuola in guerra, il gruppo contro la guerra nucleare.
Il canzoniere anarchico e antimilitarista delle sTREghe, gruppo artistico
anarcotrans, ha intervallato interventi e azioni teatrali di strada per l’intero
pomeriggio.
Il 4 novembre gli antimilitaristi si sono ritrovati a sorpresa di fronte alla
sede delle OGR Tech, dando vita ad una rumorosa contestazione. Le OGR Tech, sono
un hub di innovazione che ospita un acceleratore di innovazione della NATO e un
Leonardo Lab.
Leonardo è la principale industria bellica italiana e una delle maggiori al
mondo.
Nei Leonardo Labs si fa ricerca per rendere sempre più micidiali le armi
impiegate nelle guerre di ogni dove.
Le usano le truppe italiane nelle missioni di “pace” all’estero, le vendono le
industrie italiane ai paesi in guerra. Queste armi hanno ucciso milioni di
persone, distrutto città e villaggi, avvelenato irrimediabilmente interi
territori.
La seconda tappa della giornata lanciata per smilitarizzare la città, è stata di
fronte all’Ufficio Scolastico Regionale, la diramazione locale del ministero
dell’Istruzione e del Merito.
Antimilitarist* hanno contestato il crescente processo di militarizzazione delle
scuole e delle università.
Militari entrano ogni giorno nelle scuole come “esperti”, sostituendo gli
insegnanti per fare propaganda bellica.
In occasione della festa delle forze armate, il ministro della difesa Crosetto
ha ha trasformato il Circo Massimo in un gigantesco terreno di addestramento
militare destinato ai bambini e ai ragazzi. Tra gli istruttori esponenti dei
corpi di élite delle forze armate, tra cui i parà della Folgore, gli stessi
delle torture e stupri in Somalia, gli stessi che esaltano ogni anno la
battaglia fascista e colonialista di El Alamein, gli stessi impegnati in
missioni di guerra in giro per il mondo.
La guerra non è un gioco. Nelle guerre che insanguinano il mondo vengono
massacrati tantissime bambine e bambini.
Il governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, i “sacri”
confini, l’esaltazione della guerra. Le scuole e le università sono divenute
terreno di conquista per l’arruolamento dei corpi e delle coscienze.
Antimilitaristi hanno solidarizzato con i disertori e obiettori ucraini e russi
radunandosi di fronte al consolato ucraino di corso Massimo D’Azeglio 12.
Interventi, volantinaggio, uno striscione con la scritta “Con i disertori russi
e ucraini, contro tutti gli Stati!”
A due anni e mezzo dall’inizio della guerra in Ucraina sono morte centinaia di
migliaia di persone e sei milioni quattrocentomila ucraini hanno dovuto
abbandonare le loro case.
Sia in Russia che in Ucraina decine di migliaia di persone hanno disertato. In
Russia l’opposizione alla guerra è costata carcere e torture a tantissime
persone. Eppure non accenna a scemare.
In Ucraina i reclutatori professionisti fanno irruzione sui mezzi pubblici, nei
mercati, nei centri commerciali a caccia di uomini dell’età giusta da catturare
e trascinare a forza al fronte. Ma non hanno vita facile: tanta gente si mette
di mezzo per impedire gli arruolamenti forzati.
La guerra, scatenata dopo il feroce attacco di Hamas alla popolazione civile
israeliana, con uccisioni, stupri e rapimenti, ha ridotto gran parte delle case,
degli ospedali, delle infrastrutture di Gaza ad un cumulo di macerie. La
popolazione gazawi è chiusa in una trappola mortale senza possibilità di fuga. I
morti, oltre quarantamila, crescono di giorno in giorno tra una popolazione
sventrata dalle bombe, senza acqua, cibo, riparo.
Anche in Israele c’è chi rifiuta di arruolarsi, chi non accetta l’occupazione e
l’apartheid e li avversa, pagandone duramente il prezzo. Un documento di giovani
gazawi ci dice che, anche in quelle condizioni, c’è chi rifiuta il nazionalismo
e la guerra di religione voluta dai governi di entrambe le parti.
Durante la prima guerra mondiale, su tutti i fronti, disertarono a migliaia e
finirono la loro vita di fronte ad un plotone di esecuzione.
Le piazze torinesi del del 2 e del 4 novembre tengono viva memoria dei disertori
e dei senzapatria di allora, nella solidarietà concreta con chi oggi diserta le
guerre che insanguinano il pianeta. In ogni dove.
Non ci sono nazionalismi buoni!
Noi disertiamo!
Qui il testo di indizione delle giornate dei disertori:
https://www.anarresinfo.org/giornate-dei-disertori/
Qualche immagine delle giornate:
La destra di governo si prefigge l’obiettivo di esercitare un’egemonia culturale
diffusa. Non si limita a piazzare i propri uomini e donne a capo delle
principali istituzioni culturali ma tenta concretamente di indottrinare bambini
e bambine, ragazze e ragazzi delle scuole.
Ed è alle scuole che è diretto il “Festival Giovani Adulti” dedicato a “Il corpo
nel mondo”, promosso dall’associazione “Fiori di Ciliegio” di Davide D’Agostino,
consigliere di FdL a Ciriè, che ha ricevuto dalla Regione Piemonte 100.000 euro
per l’iniziativa. Sul sito dell’associazione campeggia un murale dedicato a
Yukio Mishima romanziere giapponese noto per un acceso nazionalismo e per il
culto dell’imperatore. Mishima è un mito per i fascisti più raffinati.
Lo scorso anno “Giovani Adulti” si tenne in Barriera di Milano, quest’anno, dal
25 al 27 settembre, sbarca a Mirafiori alla cascina Giaglione, già roccaforte
catto-dem, oggi terreno di conquista per gli amici di Maurizio Marrone,
l’assessore regionale sceso in campo a difendere dalle (tardive) critiche del PD
questa incursione militarista e nazionalista tra le ragazze e i ragazzi delle
scuole di periferia.
Sebbene non tutti i relatori siano riconducibili alla destra tuttavia il
militarismo ed il nazionalismo sono i piatti forti dell’iniziativa e chi non è
allineato è una comoda foglia di fico. Non per caso Marrone usa gente come Moni
Ovadia per minimizzare il reale focus del Festival.
Tra worshop e lezioni frontali viene messo in piedi un programma che evoca uno
dei più celebri slogan della dittatura “Libro e moschetto fascista perfetto”. Vi
segnaliamo le conferenze “La guerra spiegata ai ragazzi”, “Scuola di
cavalleria”, “Anima e corpo”, “Il corpo della Santa”, “Il corpo della nazione”,
“Maschi e femmine”.
Tra i partecipanti spiccano l’inetta ma fascistissima direttrice d’orchestra
Beatrice Venezi, il conduttore radiofonico Giuseppe Cruciani, il prete omofobo
di TikTok Ambrogio Mazzai.
Senza dimenticare Renato Daretti, presidente dell’Associazione nazionale
Incursori dell’Esercito.
La Cub Scuola Università e Ricerca di Torino ha invitato le insegnanti e gli
insegnanti a denunciare questa scelta, a rifiutarsi di portarvi le proprie
classi, a proporre una cultura radicalmente diversa.
Come sempre il 2 giugno la Repubblica ha celebrato sé stessa con esibizioni
militari, parate e commemorazioni. Una “festa” nazionalista e militarista. Una
“festa” che anche quest’anno è stata contestata attivamente in due giornate di
informazione e lotta. Sabato 1 giugno antimilitarist si sono dati appuntamento
in corso Palermo angolo via Sesia, dove da gennaio […]
Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori! Negli ultimi anni i ricchi sono
diventati ancora più ricchi, mentre chi era povero è diventato ancora più
povero. E va sempre peggio. Ovunque si allungano le file dei senza casa, senza
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si adattano […]
Una pioggia battente ha accolto i potenti arrivati a Venaria per il G7 ambiente
ed energia cominciato ieri nell’ex reggia sabauda, blindata e chiusa ai
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