Ragazzi dentroIn 22 mesi di governo della destra i minori in carcere sono aumentati del 48%,
pur in assenza di una crescita della devianza giovanile. E aumentano i suicidi,
l’uso di psicofarmaci, i trattamenti sanitari obbligatori, la promiscuità.
Eppure tutti gli esperti segnalano che questa situazione si riflette anche sulla
recidiva mentre sarebbe assai più utile introdurre forme di detenzione
socializzanti e a sicurezza attenuata.
di Alberto Gaino da Volere la Luna
L’ultimo rapporto di Antigone è univoco: «In 22 mesi di governo di destra i
minori in carcere sono aumentati del 48%. Eppure non c’è un allarme sociale
rispetto alla devianza giovanile: nel 2023 i ragazzi denunciati e/o arrestati
sono stati persino di meno (4,15%) rispetto all’anno precedente. La metà dei
reati a carico di minorenni in istituti penali minorili (IPM) è contro il
patrimonio. Però, nel frattempo, è entrato in vigore il decreto Caivano e i
numeri di ragazzi in detenzione cautelare è esploso: sono il 67,7% per cento del
totale dei detenuti minorenni».
La stessa incompatibilità dei giovani con il carcere degli adulti – sancita per
legge nel 1988 – che consente ai minori diventati maggiorenni di restare in un
IPM sino al compimento dei 25 anni, è stata negata, grazie al “decreto Caivano”,
dal Ministero della Giustizia: nel 2023 ha disposto il trasferimento in carceri
per adulti di 59 ragazzi fra i 18 e i 24 anni. Nel corso del 2024 l’ha rifatto:
sono 123 gli ex minori trasferiti in mezzo agli adulti. L’ha rifatto
specialmente dopo le rivolte a Casal di Marmo di Roma, al Beccaria di Milano e
soprattutto al Ferrante Aporti di Torino. La motivazione poteva essere il
sovraffollamento. Ma non è stato per questo. Dopo la contestazione nell’IPM
torinese l’Osapp, sindacato di destra della polizia penitenziaria, ha indicato
la “pericolosità” dei giovani adulti nel carcere minorile. Il ministero è andato
nella stessa direzione, ma fornendo una ricostruzione tortuosa dei motivi della
rivolta, dalla trama persino gialla.
Il guardasigilli Nordio intende procedere in spregio del processo minorile, il
cui codice è stato approvato nel 1988 e che ha stabilito, appunto,
l’incompatibilità dei giovani adulti detenuti con il carcere tout court. Vi ha
provveduto con la solita legislazione di emergenza. Con il cosiddetto “decreto
Caivano”, diventato legge il 15 settembre di un anno fa, aveva provocato, nel
solo periodo settembre/ottobre 2023, + 123 arresti di minorenni, che continuano
a salire. A metà settembre scorso erano 569 i giovanissimi in carcere, per due
terzi in regime di custodia cautelare. Da questa contabilità mancano gli arresti
dei giovani fra i 18-24 anni, da sempre inviati direttamente nelle carceri
ordinarie.
Per comprendere l’impatto del “decreto Caivano”, a fine 2022 erano 352 i ragazzi
detenuti negli istituti di pena minorili, saliti a 30 di più nove mesi dopo e
prima del “raid” del governo che ha criminalizzato anche i quattordicenni e le
loro famiglie con un provvedimento intestato al disagio giovanile. Nello stesso
stile del “decreto Cutro”, dedicato a una tragedia del mare e ai mancati
soccorsi, ma che in realtà ha azzerato la protezione umanitaria. Il “decreto
Caivano” ha previsto il “daspo urbano”, la cui inadempienza comporta un reato
punibile sino a tre anni di carcere, anche per i quattordicenni che devono
allontanarsi da dove vivono e dalle zone che frequentano, inclusi locali
pubblici. Inasprisce le pene per il piccolo spaccio e anche per il possesso di
armi “improprie”, soprattutto prevede la custodia cautelare in carcere per
previsioni di condanne al massimo di sei anni, mentre prima la soglia era di
nove anni. Quatto quatto, il Guardasigilli del governo di destra sta ribaltando
una legge di civiltà.
Dice Perla Allegri, ricercatrice universitaria e attivista di Antigone: «Dei 569
detenuti a settembre scorso 262 erano gli stranieri, tanti gli adolescenti soli.
Come Antigone abbiamo avuto colloqui in carcere con alcuni di loro e appreso che
avevano attraversato a piedi per mesi e mesi i monti della rotta balcanica. In
Italia sono nuovamente finiti in strada e arrestati per piccoli reati, adesso
sono trattati come pacchi spediti negli istituti minorili del Sud meno
affollati, con la giustificazione che al Nord non hanno nessuno».
Esemplare la situazione torinese, evidenziata dall’inchiesta della clinica
legale universitaria, commissionata dal garante delle persone private della
libertà, Monica Gallo, relativa ai detenuti nati fra il 1997 e il 2004, in
regime di custodia cautelare nella casa circondariale per adulti “Lorusso e
Cutugno” fra gennaio e aprile 2022. La fascia d’età 18-24 anni sul totale della
popolazione carceraria, in Italia del 5,8%, in Piemonte era del 6,55% e a Torino
del 10% (135 su 1372 detenuti). Da 149 interviste è emersa una radiografia
significativa: il 74,50% dei detenuti era di origine straniera, per lo più
provenienti da Marocco, Tunisia, Senegal e Nigeria. Non aveva permesso di
soggiorno l’88,30%. Ancora: il 30,20% viveva in famiglia prima dell’arresto, il
20,81% in un’abitazione privata (evidentemente condivisa con altri), mentre i
migranti ex minorenni giunti soli in Italia erano più della metà: il 54,05%. Il
51,68% era in possesso di licenza media o di un titolo di studio analogo
conseguito nei paesi di origine, il 14,44% si era diplomato al termine di corsi
triennali. Il 34,09% era stato preso in carico dai servizi sociali torinesi.
Quasi la metà, il 47,73%, era seguito prima dell’arresto dai SerD (i servizi
contro le dipendenze) e il 6,82% dai centri di salute mentale. Per tanti ragazzi
l’accesso ai servizi sanitari è stato reso possibile con l’ingresso in carcere.
Ma l’abbandono e l’isolamento è proseguito dietro le sbarre: il 53,69% non ha
avuto un solo colloquio in carcere con persone esterne, familiari e no. E il
44,97% non ha incontrato nemmeno “figure di supporto” (nel carcere torinese vi è
1 educatore per 110 detenuti). I compagni di cella erano, nel 42,24% dei casi,
di nazionalità diversa e, nel 40% di età fra i 30 e i 50 anni. Perla Allegri fa
notare che, rispetto al 2022, con l’aumento del sovraffollamento in carcere,
l’attenzione delle direzioni delle carceri a tenere separati il più possibile i
giovani adulti dai più vecchi (quelli che “comandano” nei bracci) è venuta meno
e la promiscuità dei detenuti è decisamente salita. Con la conseguenza, tra
l’altro, dell’aumento delle violenze sessuali, come in ogni altra istituzione
totale. I Tso in carcere si aggirano sui 200 l’anno e – come ha rivelato Monica
Gallo in un recente incontro sull’incompatibilità dei giovani con il carcere
degli adulti – il 30% è ormai effettuato su minori. Con un aumento esponenziale
del 1425% negli ultimi anni.
Nel medesimo incontro Sergio Durando, referente della Pastorale migranti
dell’Arcidiocesi torinese, ha tratteggiato il cerchio chiuso che identifica la
vita di tanti adolescenti stranieri non accompagnati (MSNA): «Abbiamo esteso il
nostro ufficio alle strade. Incontriamo, incontro quotidianamente ragazzi senza
documenti e accoglienza, che hanno nella strada l’unica risorsa. Dormono anche
in strada. E assumono farmaci antiepilettici, come Rivotril e Lyrica, ci bevono
su alcolici, si sballano per contrastare il malessere, quando non entrano nel
giro della droga come spacciatori e spesso ne diventano essi stessi dipendenti.
Senza risorse per una accoglienza dignitosa dei minori soli e più fragili,
l’approdo al carcere di tanti sembra inevitabile, ed è gravissimo. Costa pure
molto di più alla collettività». Gli ha fatto da contraltare Franco Prina,
professore universitario e fra gli esperti sul tema più stimati: «Questi ragazzi
arrivano da noi pieni di rabbia. Perché in tutto il percorso migratorio, durato
anche anni e anni, hanno incontrato solo rappresentanti di istituzioni che li
hanno massacrati. Non c’è più fiducia da parte loro, non c’è nemmeno
comunicazione. Un primo obiettivo, dentro il carcere, è di riservare un
trattamento diverso ai giovani adulti fra i 18 e i 24 anni dedicando loro una
struttura detentiva che li separi pure dai minori ma soprattutto dagli over 25».
Prina ha citato l’ex sindaco torinese Diego Novelli al tempo dell’avvio del
progetto pilota del Ferrante Aporti: «Se il carcere minorile è chiuso dentro la
città, dovremo portare la città dentro il carcere». Ciò, oggi, vale anche per i
giovani adulti detenuti. Perché non coinvolgerli, per il tempo minimo, per
tanti, di una detenzione residuale in un progetto di “casa circondariale a
sicurezza attenuata”?
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