Carcere ai ribell3: il carcere come strumento di repressione del dissenso
Il libro “Carcere ai ribell3: il carcere come strumento di repressione del dissenso” è appena uscito per l’Associazione Editoriale Multimage ed è stato curato Nicoletta Salvi Ouazzene, attivista del comitato Mamme in piazza per la libertà del dissenso di Torino. Il libro racconta diverse storie che hanno visto come protagoniste in particolare donne, militanti e […]
February 20, 2025 / Radio Blackout 105.25FM
Violenze nel carcere di Reggio Emilia: derubricato il reato di tortura
E’ arrivata la sentenza che riguarda il processo, avvenuto con rito abbreviato, nei confronti di dieci agenti della polizia penitenziaria che agirono violenza nei confronti di un detenuto nel carcere di Reggio Emilia nell’aprile 2023. La notizia, uscita ieri, parla di condanne dai 4 ai 2 anni di carcere ma, l’aspetto più significativo, riguarda la […]
February 20, 2025 / Radio Blackout 105.25FM
[2025-02-28] Aperitivo + dibattito sulla profilazione razziale e gli abusi della polizia @ Spazio Popolare Neruda
APERITIVO + DIBATTITO SULLA PROFILAZIONE RAZZIALE E GLI ABUSI DELLA POLIZIA Spazio Popolare Neruda - Corso Ciriè 7, 10124, Torino (venerdì, 28 febbraio 18:30) A fine ottobre, Moussa Diarra, un ragazzo originario del Mali, è stato ucciso a Verona da un agente polfer. Dopo di lui, Ramy El-Gaml un ragazzo di origini egiziane, è stato ucciso a Milano dalla polizia durante un tentativo di fermo. Questi non sono casi isolati, è già accaduto in Italia che persone razzializzate vengano uccise per mano di poliziotti o addirittura da assessori comunali. In queste storie non arriva mai giustizia, anzi le vittime muoiono due volte: chi compie questi omicidi non ammette di aver tolto la vita ad una persona ma dichiara sempre di aver reagito per legittima difesa. Il 28 febbraio al Neruda ci incontreremo per discutere sul tema della profilazione razziale. Un dibattito a cui parteciperà un team di avvocat3 che ci riporterà la situazione attuale in Italia, un contesto in cui i razzisti sono al governo e i discorsi di odio e la violenza crescono e avvengono sotto gli occhi di tutti. L3 avvocat3 risponderanno alle nostre domande sui nostri diritti e su cosa fare se subiamo e/o assistiamo ad un fermo razzista da parte della polizia. Questa occasione servirà per trovare insieme strategie di difesa collettiva contro gli abusi delle forze dell’ordine. Chiedere giustizia, sostenere le famiglie e  far emergere gli insabbiamenti che avvengono nel corso dei processi, solleva un'importante questione:  come si collega la profilazione razziale al sistema razzista più ampio? Considerando quanto il carcere e altre forme di penalità/disciplinamento colpiscano le persone e comunità razzializzate, come mettere insieme la necessità di avere giustizia nell'ambito dei processi per omicidio razzista e una prospettiva abolizionista? Per rispondere a queste domande, nel corso dell’incontro interverrà Mackda Ghebremariam Tesfaú, sociologa e attivista antirazzista. A seguire aperitivo!
February 19, 2025 / Gancio
CELLEBRITE: TELEFONI DI COMPAGNE/I SBLOCCATI E PERQUISITI – SPYRTACUS: SIO E IL MERCATO SPYWARE IN ITALIA@0
Estratti dalla puntata del 17 febbraio 2025 di Bello Come Una Prigione Che Brucia   CELLEBRITE: TELEFONI DI COMPAGNE/I SBLOCCATI E PERQUISITI CON UFED A distanza di circa un anno dagli eventi, un comunicato rende pubblico l’utilizzo delle tecnologie di Cellebrite per estrarre dati dai telefoni di alcune/i compagne/i. Il tentativo di impedire una deportazione […]
February 18, 2025 / Bello come una prigione che brucia
Carcere di Reggio Emilia: «Percosse» sul detenuto incappucciato. Condanne a 10 poliziotti
Il Gup riqualifica i reati e ammorbidisce le pene per i dieci agenti che avevano picchiato un detenuto tunisino nel carcere di Reggio Emilia. Condanne dai 4 mesi ai 2 anni di carcere. «Attonito» il legale di parte civile. Condannati per falso altri tre poliziotti penitenziari di Eleonora Martini da il manifesto La testa chiusa in una federa stretta al collo, trasportato di peso nudo dalla cintola in giù, i colpi inferti «dall’alto verso il basso», dove il detenuto già versava dopo lo sgambetto che lo avrebbe fatto crollare. Calpestato, secondo le immagini registrate dalle telecamere interne di videosorveglianza. Tutto questonon fu tortura, ma «abuso di autorità in concorso». Non furono lesioni ma percosse aggravate. Il processo in primo grado, con rito abbreviato, ai dieci poliziotti penitenziari del carcere di Reggio Emilia che erano stati accusati a vario titolo di tortura, lesioni e falso in relazione al pestaggio di un detenuto tunisino avvenuto il 3 aprile 2023, si è chiuso così, ieri, con pene molto più basse di quelle richieste dalla procura e con la riqualificazione dei reati a loro ascritti. Dopo quasi quattro ore di camera di consiglio, la Giudice per le udienze preliminare reggiana, Silvia Guareschi, ha riconosciuto gli imputati rei di aver usato violenza nei confronti del detenuto ma ha negato che fosse tortura e ha comminato loro condanne che vanno dai due anni ai quattro mesi di reclusione, respingendo così le accuse del Pubblico ministero Maria Rita Pantani che aveva richiesto pene fino a cinque anni e otto mesi di carcere per un imputato in particolare, e cinque anni per altri sette agenti. Confermato, invece, il reato di falso per i tre imputati a cui era contestato. La vittima, un quarantenne di origine tunisina, è ancora rinchiuso nel carcere di Reggio Emilia per scontare gli ultimi mesi di pena dei tre anni di reclusione ai quali è stato condannato per reati legati allo spaccio. Quel giorno di quasi due anni fa, sul detenuto che, secondo gli agenti, stava facendo resistenza al trasferimento in isolamento si sono scagliati in tanti: secondo la ricostruzione della procura che ha mostrati i filmati della videosorveglianza annessi agli atti del processo, l’uomo fu incappucciato e brutalmente malmenato, anche quando era riverso a terra. Durante il rito abbreviato voluto dagli imputati, tutti gli agenti hanno chiesto scusa al detenuto che si è costituito parte civile. Otto di loro hanno anche versato mille euro ciascuno come gesto riparatorio. Ma prima del processo i poliziotti penitenziari che intervennero il 3 aprile 2023 (tra loro un vice ispettore, tutti ancora sospesi dal servizio) riferirono che il detenuto avesse sputato loro addosso e fosse armato di lamette da barba. Secondo la vittima, invece, le violenze continuarono anche quando venne trasferito in isolamento e lui dovette ferirsi con dei frammenti di un lavandino per richiamare l’attenzione del medico. Il quale gli venne in soccorso, trovandolo in una pozza di sangue. La sentenza, pronunciata in un’aula riempita dai parenti, dai colleghi e dagli amici degli imputati, è stata accolta dall’avvocato Luca Sebastiani, legale di parte civile per il detenuto, con stupore: «Sono perplesso e attonito – ha detto – leggeremo le motivazioni che hanno portato alla riqualificazione del reato di tortura che è ciò che più ci interessava. Al di là della pena, che non ci interessa in alcun modo, e del risarcimento che ci interessa in maniera incidentale – ha sottolineato l’avvocato – L’incappucciamento e il denudamento in quelle modalità, il pestaggio che c’è stato, come si vede dalle immagini di videosorveglianza, erano chiare e non a caso il Gip e il Riesame avevano confermato quella qualifica, la tortura. Ad oggi il quadro è cambiato, valuteremo le opportune mosse una volta lette le motivazioni». Se non altro, il dispositivo emesso ieri, in primo grado, spazzerà via una certa vulgata cara alle destre secondo la quale la legge sulla tortura interferisce con il lavoro (sano) delle forze dell’ordine. L’associazione Yairaiha Onlus che da sempre si batte per il diritto dei detenuti vede il bicchiere mezzo pieno. Ritiene che la decisione rappresenta un passo importante nella lotta contro gli abusi e la violenza all’interno delle strutture detentive, riaffermando il principio che nessuno, neanche in stato di detenzione, può essere privato della propria dignità e sottoposto a trattamenti disumani e degradanti. Il video agli atti dell’inchiesta ha mostrato immagini inaccettabili: un uomo incappucciato con una federa stretta al collo, denudato, sgambettato e ripetutamente colpito con calci e pugni, anche quando era già a terra, per poi essere nuovamente picchiato e lasciato nudo dalla cintola in giù per oltre un’ora. Un comportamento che non solo viola i diritti fondamentali della persona, ma getta un’ombra sulle istituzioni che dovrebbero garantire la legalità e la sicurezza per tutti, detenuti e operatori. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
February 18, 2025 / Osservatorio Repressione
Pescara, suicidio in cella detenuti in rivolta
Protestano, i detenuti del carcere di Pescara, dopo il suicidio in cella di un giovane. Una tragedia annunciata che ha fatto scattare l’ira degli altri reclusi. Qualcuno ha appiccato il fuoco a un materasso e un detenuto è salito sul tetto. La protesta è rientrata nel pomeriggio. Si tratta del 13esimo detenuto suicida dall’inizio dell’anno. Un ragazzo di ventiquattro anni si è tolto la vita nella casa circondariale San Donato di Pescara. È il tredicesimo suicidio avvenuto nelle carceri italiane dall’inizio del 2025: il doppio dei casi rispetto allo stesso periodo nel 2024. Nel carcere di Pescara il sovraffollamento è del 162 per cento Aveva 24 anni. Nella notte tra il 16 e 17 febbraio un giovane di origine egiziana si è suicidato nel carcere di Pescara. A seguito della sua morte è scoppiata la rabbia delle persone detenute: una persona è salita sul tetto e alcuni materassi – che dovrebbero essere ignifughi – sono stati messi a fuoco in segno di protesta. Ambulanze e vigili del fuoco sono arrivati sul posto. “È una situazione invivibile. Il carcere esplode, le persone che arrivano vengono messe a dormire su materassi per terra per mancanza di spazio. Le celle da sei persone sono diventate da otto, quelle da quattro anche da sette”, dichiara ad Abruzzosera Francesco Lo Piccolo, direttore della rivista Voci Di Dentro, che si occupa di carcere e giustizia. “Il cibo è immangiabile, i prezzi sono alti, i muri pieni di muffa. Nei giorni scorsi, a seguito delle forti piogge, i piani bassi della casa circondariale si sono allagati, comprese le celle al piano terra”, spiega. Il tasso di sovraffollamento delle carceri, come denunciato dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, è in continuo aumento. Il report più recente – pubblicato il 10 gennaio 2025 – dimostra che nella casa circondariale di Pescara, a fronte di 272 posti disponibili, il numero delle persone detenute è di 443: il 162,87 per cento in più della capienza. In una scheda dell’associazione Antigone, in visita nel carcere di San Donato nell’aprile scorso, viene segnalata una forte carenza del personale penitenziario, difficoltà al comparto salute e la scarsa copertura di attività lavorative e formative dedicate alle persone detenute. “Le attività sono ridotte a zero, le richieste vengono sempre sospese per difficoltà. Mancano gli agenti: ce ne sono circa 100 per una popolazione di 440 persone”, aggiunge Lo Piccolo. Pochi giorni fa, Irma Conti del collegio nazionale del Garante ha affermato che, in Italia, “19mila detenuti che hanno pene residue fino a tre anni, sulla base nella normativa potrebbero uscire dal carcere optando per misure alternative. Ma la burocrazia e la carenza di risorse creano ostacoli”. Il 2024 è stato l’anno record per i suicidi: nelle carceri italiane 90 persone si sono tolte la vita, mai così tante da quando si raccolgono dati. Si tratta quasi sempre di persone con una condanna non definitiva, ed è scesa l’età media di chi si toglie la vita in carcere. Il 46% delle persone era in custodia cautelare, quindi ancora in attesa di una sentenza. La fascia d’età più colpita è tra i 26 e i 39 anni e una parte consistente – secondo Antigone, circa 40 persone – era di origine straniera. In crescita anche gli atti di autolesionismo (+483 nel 2024). Appena trascorso un fine settimana horribilis – con due detenuti che si sono tolti la vita in Toscana: un giovane marocchino di 32 anni il 14 febbraio a Prato e il giorno dopo a Sollicciano, Firenze, un uomo romeno di 39 anni – ieri mattina è successo nella casa circondariale pescarese di San Donato dove a un ragazzo tossicodipendente di 24 anni si è impiccato. Il comunicato del Campetto occupato sul carcere di Teramo e sulla Garante dei detenuti: Nei giorni scorsi il presidente della commissione sanità e politiche sociali della Regione Abruzzo, Paolo Gatti, e la garante dei detenuti, Monia Scalera, sono stati in “visita” al carcere di Teramo, dove si contano 430 detenuti su 275 posti disponibili. Visita è un termine orribile, ed è quello che viene comunemente usato, ma in questa situazione forse è confacente, viste le dichiarazioni che costoro hanno rilasciato: “Nel carcere teramano va tutto bene! Vi solo alcune criticità che riguardano esclusivamente il corpo di polizia penitenziaria, ma nessun problema con i detenuti. Non vi è sovraffollamento e non vi sono particolari problemi e non bisogna creare allarmismo “. Hanno detto. Queste dichiarazioni, oltre a fare ribrezzo, fanno il paio con altre esternazioni di esponenti di governo, tipo Delmastro sui detenuti. Ma vanno anche “inquadrate” politicamente. Infatti la “visita” dei due esponenti regionali segue quella di altri politici che hanno sollevato non poche problematiche sul carcere teramano. In poche parole è una diatriba politica a cui i due hanno risposto, ma che si gioca sulla pelle di persone recluse. E recluse in un inferno! Perché forse i due non sanno che le carceri sono una polveriera in cui viene ammassata umanità. In cui anche la quotidianità peggiora sempre più e ce lo dicono le lettere di persone recluse. In cui il numero di suicidi è in continuo drammatico aumento (lo scorso anno è stato il peggiore e quest’anno sta confermando la scia di morte). In cui la deriva autoritaria e repressiva del nostro paese non fa altro che riempire ancor di più le carceri e soffocare ogni forma di mobilitazione per migliorare le condizioni (il decreto sicurezza in approvazione, non a caso va colpire pesantemente anche proteste in carcere). Nel caso specifico di Teramo, i drammi sono purtroppo tutti confermati: sovraffollamento, tensioni interne, suicidi e morti, come la morte di Patrick lo scorso anno, che ancora attendono verità. Il carcere non è una struttura a sé stante. Ma corpo del meccanismo di oppressione e riflesso della società. Non è un caso che smarrito il collante sociale e solidaristico all’interno delle società, ciò si ripercuote anche dentro le galere. Al carcere di Teramo, inoltre, hanno cercato da sempre di evitare contatti solidali. Infatti per i diversi presidi effettuati che parlassero ai detenuti (e non di fronte al piazzale dove nessun detenuto può vederti), sono piovute denunce e fogli di via. Perché i “tutori dell’ordine” non vogliono il contatto solidaristico tra “dentro” e “fuori”. Cionostante la solidarietà, sebbene troppo poca rispetto a quella che meriterebbe la situazione, si è sempre cercato di portarla avanti. Per concludere, tornando ai due squallidi personaggi con cui eravamo partiti… Fa veramente impressione che un soggetto come Paolo Gatti, che ha arricchito la sue tasche grazie ad incarichi pubblici (anche inutili, ricordiamolo presidente della Giulianova Patrimonio, in crisi finanziaria, messo lì per marchetta politica), parli in quel modo di persone rinchiuse. Se avesse provato solo un centesimo di quei drammi, rispetto alla sua comoda vita, saprebbe di cosa si sta parlando. Ed arriviamo alla garante dei detenuti, tale Monia Scalera. L’Abruzzo ha sempre avuto problemi con tale incarico, infatti era tra le pochissime regioni che non aveva un garante. La nomina di tale soggetto risale a qualche mese fa ed è una nomina prettamente politica, visto che costei è in quota Fratelli D’Italia. Quindi le sue dichiarazioni parrebbero in linea con le nefandezze del suo partito. Però e c’è un però molto grande, costei in questa sede ricopre il ruolo di Garante dei detenuti e quindi non può fare quelle dichiarazioni! Perché non sono confacenti con il ruolo di cui è incaricata, ovvero garantire la dignità delle persone recluse. Costei con tali dichiarazioni, non solo ha fatto un torto ai detenuti, ma anche al ruolo che dovrebbe ricoprire. Quindi, ben cosci che non sia un ruolo a cambiare lo stato delle cose, ma sapendo anche che le lotte hanno dei passaggi, chiediamo a gran voce che Monia Scalera non sia più garante dei detenuti in Abruzzo. Che venga sostituita da qualcun che abbia più a cuore le sorti delle persone recluse. Perché l’attuale garante non fa gli interessi dei detenuti, ma quelli del suo partito. A questo appello auspichiamo si uniscano più persone possibili, collettivi e gente di buon cuore. Perché quelle dichiarazioni sono intollerabili e spetta a noi tutte/i fare in modo che le cose cambino.   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
February 18, 2025 / Osservatorio Repressione
EL SALVADOR – DENTRO IL MODELLO BUKELE: PROSPETTIVE FEMMINISTE CONTRO IL TERRORISMO DI STATO
In questa intervista dialoghiamo con Blanca Mirna Mendoza, rappresentante dell’organizzazione femminista IMU di San Salvador. L’obiettivo è indagare l’impatto diretto dello stato d’eccezione, della militarizzazione e dell’incarceramento di massa sulla vita delle donne e delle comunità marginalizzate, elementi centrali nella politica del presidente Nayib Bukele. Dal 2019, e soprattutto dopo la rielezione dello scorso anno, […]
February 17, 2025 / Radio Blackout 105.25FM