Estratto dalla puntata di lunedĂŹ 17 novembre 2025 di Bello Come Una Prigione Che
Brucia
/ / immagine da 404media.co
BOLLA AI E LOTTA CONTRO I DATACENTERS
Mentre giganti della finanza come Warren Buffet e Micheal Burry, scommettono
sullâapprossimarsi di una nuova crisi scatenata dalla bolla dellâintelligenza
artificiale, cerchiamo di tornare a osservare alcune declinazioni materiali e
territoriali della cornice tecnologica in cui si sviluppano questi eventi.
Da un lato il controllo di Taiwan potrebbe non essere sufficiente per concludere
la corsa al primato sullâAI intrapresa dai grandi poli geotecnologici (Cina e
USA), dallâaltro le lotte contro il moltiplicarsi dei datacenters iniziano ad
assumere una scala rilevante.
Andiamo a raccontare il caso di Ypsilanti (Michigan), dove la comunitĂ locale ha
resistito al progetto di un centro di super-calcolo ed elaborazione dati che
avrebbe visto fondersi â in modo esplicito â militare e civile, nucleare e AI,
Los Alamos National Laboratories e UniversitĂ del Michigan.
A margine unâosservazione comparativa delle risorse investite nel vecchio
Progetto Manhattan (corsa alla bomba atomica) e nel Nuovo Progetto Manhattan
(corsa al primato cognitivo e militare dellâAI).
per maggiori info su Ypsilanti
Dopo il Consiglio Ambiente di novembre, il governo Meloni ha rivendicato due
successi politici su questi temi, ma le modalitĂ con cui crediti internazionali
e carburanti a basse emissioni verranno usati nella transizione verde sono
ancora tutte da definire
L'articolo Crediti di carbonio e biocarburanti: come si muove lâItalia in Europa
proviene da IrpiMedia.
MartedÏ 18 è stata ufficialmente esposta da parte di ECCHR ( European Centre for
Costitutional and Human Rights) denuncia ai danni di TotalEnergies presso
lâantiterrorismo francese, per accuse di complicitĂ in crimini di guerra,
torture e sparizioni forzate legate alle azioni di soldati governativi in
Mozambico nel 2021 nellâambito del cosidetto âMassacro dei containerâ. (metti
link)
Il colosso petrolifero è accusato di aver finanziato direttamente e supportato
materialmente lâunitĂ speciale di forze armate, nellâambito di un accordo di
sicurezza con lo stato, perchè questâultime protegessero le installazioni di
estrazione di GNL installate da Total a Capo Delgado.
La situazione a Capo Delgado è epicentro di un conflitto fra esercito e milizie
di ispirazione jihadista affiliate allo Stato Islamico. Le mani di Total sono
sporche del trasferimento forzato di migliaia di famiglie, oltre che della
degradazione ambientale legata ai progetti estrattivi, che ha acuito le tensioni
sociali, mentre la povertà è aumentata di piĂš dellâ80%.
La denuncia riprende la dettagliata inchiesta della testata Politico â All must
be beheaded, revelations of atrocities at French energy giantâs African
strongholdâ pubblicata nel 2024.
Lâaccusa arriva a poche settimane di distanza dalla dichiarazione di Total di
voler far ripartire il progetto, considerato il piĂš grande investimento privato
mai realizzato in Africa, con un costo totale di 50 miliardi di dollari. La
ripresa del progetto non avverrĂ prima del concordato con il governo di Maputo e
sarĂ sostenuta dal prestito di 4,7 miliardi di dollari dallâExport-Impost Bank
statunitense ed è prevista entro il 2029.
La banca statunitense non è lâunico finanziatore pubblico al progetto, infatti
altri due importanti partner commerciali sono le italiane SACE e Cassa Depositi
e Prestiti. Nelle parole di Simone Ogno âla SACE italiana è stata la prima
agenzia di credito allâesportazione a confermare il proprio sostegno finanziario
a Mozambique LNG, e lo ha fatto senza una nuova valutazione degli impatti
sociali e ambientali associati al progetto. Oggi lâUS EXIM sta facendo lo
stesso. In queste scelte possiamo vedere il rapporto stretto tra il governo
della premier Giorgia Meloni e quello del presidente Donald Trump, in totale
disprezzo per le violazioni dei diritti umani direttamente e indirettamente
associate a Mozambique LNGâ.
Ne parliamo con Simone Ogno, campaigner di Recommon:
Qui trovate il link al report di Recommon âDieci anni perdutiâ.
Mentre a livello globale e nazionale lâaggressione estrattivista dei territori
si fa sempre maggiore, in Italia continua il percorso di Confluenza, affiancata
dalla coalizione TESS. A partire da un lavoro di mappatura dei comitati
ambientalisti presenti sul territorio italiano, è stata intessuta una rete tra
le varie realtĂ contro la transizione energetica della speculazione e del
nucleare e per un discorso e un agire sui territori che riporti la gestione
territoriale nelle mani delle comunitĂ che lĂŹ abitano.
Il focus sarĂ sulla dorsale appenninica e lo stato dellâarte della speculazione
energetica che interessano la Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Alto
Abruzzo, Lazio. Il programma, infatti, si strutturerĂ su due giorni dal 22 al 23
nel Mugello, il cui crinale è messo a rischio di un grande progetto di impianto
eolico industriale e simili progetti interessseranno anche lâAppennino
umbro-marchigiano.
Ne parliamo con Elena di No Pizzone 2:
Negli ultimi 10-15 anni abbiamo assistito a un allarmante aumento del numero,
della frequenza e della natura irregolare delle inondazioni in Pakistan. Quando
queste inondazioni colpiscono, causano unâimmensa mortalitĂ , morbilitĂ e
sfollamenti su larga scala. Solo pochi anni fa, nel Sindh, migliaia di anni di
civiltĂ sono stati letteralmente spazzati via: moschee, templi, scuole,
ospedali, vecchi edifici e monumenti. Anche questâanno, le inondazioni in
Pakistan hanno segnato un nuovo record. Da fine giugno 2025 a fine settembre, il
Pakistan è stato sommerso da inondazioni che hanno devastato le province di
Khyber Pakhtunkhwa, Punjab, Sindh e Gilgit-Baltistan, con oltre 1.000 morti, 3
milioni gli sfollati, e quasi 7 milioni di persone colpite.
Ad aprile 2025, inoltre, lâIndia ha sospeso unilateralmente la sua
partecipazione al Trattato sulle Acque dellâIndo del 1960, aggiungendo
incertezza a una situazione giĂ critica. La decisione indiana di sospendere il
Trattato delle acque dellâIndo rappresenta un precedente storico: nonostante
decenni di tensioni e crisi diplomatiche, il trattato era sempre stato
rispettato da entrambe le parti.
Lâagricoltura, settore vitale per lâeconomia pakistana, è in ginocchio. Migliaia
di ettari di terreni coltivati e 6.500 capi di bestiame sono andati perduti. I
danni economici totali sono stimati in decine di miliardi di dollari.
Come ricorda la giornalista Sara Tanveer in un suo recente articolo, il
paradosso piÚ crudele è che il Pakistan, con una produzione di appena 2,45
tonnellate di CO2 per persona allâanno, contribuisce meno dellâ1% alle emissioni
globali ma subisce le conseguenze piĂš devastanti del cambiamento climatico. Due
paesi, Cina e USA, producono il 45% delle emissioni globali, e i primi 10 sono
responsabili di oltre il 70%. Eppure lâ85% dei finanziamenti verdi va a questi
stessi 10 paesi.
Abbiamo chiesto a Sara Tanveer, scrittrice e giornalista free lance italo
pakistana, di parlarci della situazione attuale del Pakistan per quanto riguarda
le conseguenze della crisi climatica, e dei rapporti del Paese con India e
Afghanistan. Ascolta o scarica lâapprofondimento.
Per comprendere la natura del conflitto ucraino dobbiamo farci la classica
domanda âcui prodestâ ed uno degli effetti strutturali piĂš rilevanti della
guerra in Ucraina è che a livello energetico gli Stati Uniti stanno diventando
per lâUe quello che fino al 2022 era stata la Russia per lâapprovvigionamento di
energia visto che gli USA giĂ oggi pesano per oltre il 50% delle importazioni di
gas liquefatto (e il 15% di quelle petrolifere).
A ottobre, per la prima volta, un singolo Paese gli USA ha esportato oltre 10
milioni di tonnellate metriche (mmt) di gas liquefatto, il 70% delle quali verso
lâEuropa. e lâexport di Gnl Usa, si stima, raddoppierĂ da qui al 2028 ,inoltre
nellâaccordo sui dazi con la Casa Bianca, la Commissione sâè impegnata a un
ammontare folle di acquisti nel settore energetico Usa: 750 miliardi di dollari
in tre anni. Gli Stati Uniti hanno raggiunto con la guerra in Ucraina lo scopo
indicato da Brezinski ( La grande scacchiera,) il quale sosteneva che
lâobiettivo strategico degli Stati Uniti fosse quello di separare la Russia
dallâEuropa per impedire la formazione di un blocco continentale che potesse
sfidare la potenza americana.
Non solo gas ma anche la nuova corsa agli armamenti , si parla del missile
ipersonico Dark Eagle che schierato in Germania potrebbe colpire obiettivi nella
Russia centrale nellâarco di sei-sette minuti. In risposta a queste minacce, la
Russia ha sospeso la moratoria sul dispiegamento di missili a medio e corto
raggio, dopo aver testato con successo il missile Burevestnik e il drone
sottomarino Poseidon.
Lâambasciatrice ucraina negli Stati Uniti ha dichiarato che il suo Paese ÂŤsta
conducendo negoziati positiviÂť con gli Stati Uniti incentrati sulla consegna a
Kiev di missili Tomahawk e altre armi a lungo raggio. Sta cominciando una nuova
corsa al riarmo tra Russia e Stati Uniti come quella che impose con conseguenze
catastrofiche per lâUrss Reagan negli anni 80 ,mentre gli Stati Uniti progettano
il sistema di difesa integrale âgolden domâ.
Ne parliamo con Francesco DallâAglio esperto dellâEuropa orientale e di
strategia.
I conflitti attorno allâacqua sono piĂš che mai evidenti, ma da sempre i regimi e
i governi cercano di controllare lâaspetto del territorio attraverso lavori
idraulici come dighe o bonifiche per controllare la popolazione, sia locale, sia
nazionale attraverso la propaganda. Modificare il territorio significa
espropriare intere comunitĂ delle loro ricchezze naturali e dellâeconomia
consuetudinaria su cui si reggono e portano sempre a una militarizzazione e ad
un accentramento del potere che difficilmente potrebbe imporsi in territori
impervi come le montagne o le paludi. Prendiamo ad esempio lâabbassamento del
lago di Sevan riportato da Giulio Burroni nellâarticolo âacqua sovrane, di
guerra e di propagandaâ uscito su Il Tascabile
(https://www.iltascabile.com/scienze/acque-sovrane-guerra-propaganda/)
Il libro âgli uomini pesceâ ed. Einaudi vede protagonisti Antonia e Sonic alla
scoperta dei segreti lasciati da Ilario Nevi, partigiano regista e attivista
ambientale, nonchè nonno di Antonia. Nellâestate della piĂš grande siccitĂ degli
ultimi anni, il Po si è ritirato fino a diventare un rigagnolo, mentre la
stagione estiva impazzava nel vicino litorale ferrarese, lâambiente paludoso del
Delta ha mostrato tutta la sua fondamentale importanza. Un territorio difficile,
costretto a ritardatarie bonifiche e che ha visto uno dei pochissimi casi di
guerra partigiana combattuta su barche. La storia di Ilario racconta tutto
questo: la resistenza, ambientale e antifascista, di un territorio unico. Gli
uomini pesce, disegnati come mostri, sono in realtĂ i difensori popolari dei
territori, mostri che preservavano le acque e che hanno limitato lâespansione
antropologica in territori difficilmente accessibili.
Ne parliamo con lâautore Wu ming1 (e ci scusiamo per la qualitĂ della diretta)
Qualche lettura tratta da âaddio alle valliâ di Francesco Seratini, poeta
romagnolo che racconta la vita delle genti e dellâambiente del Delta del po.
(disegno di dalila amendola)
Che cosa significa, oggi, richiedere il diritto alla vita in Tunisia? A Gabès,
cittĂ del sudest trasformata in una zona di sacrificio, la risposta risuona
nelle piazze.
Riecheggia, in questi giorni, la sensazione che vivere a Gabès, la piÚ grande
cittĂ del sudest tunisino, sia come vivere in una zona di guerra. Un tempo nota
per ospitare un sistema unico al mondo di oasi litorali, la città è ora
paradigma di un sistema di sfruttamento del territorio senza limiti nĂŠ confini.
Le ragioni sono da ricercare nelle relazioni coloniali tra Sud e Nord globale e,
nello specifico, nella trasformazione del territorio tunisino in una fabbrica a
cielo aperto per la produzione â per lo piĂš â di fertilizzanti da esportare in
Europa. La goccia che ha fatto traboccare il vaso: i casi di soffocamento. Ă
però nei paradossi del capitale che si sviluppano comunità resistenti in grado
di inceppare lâavanzare delle faglie dellâaccumulazione. Ă quanto sta accadendo
questo mese nel territorio di Gabès, dove, a partire dallâinizio di ottobre, si
sono susseguite una serie di mobilitazioni finalizzate allo smantellamento delle
unitĂ produttive inquinanti del Groupe Chimique Tunisien (GCT). Le proteste, che
hanno raggiunto il loro apice nel grande sciopero regionale del 21 ottobre,
affondano le radici nei numerosi casi di soffocamento verificatisi a settembre.
Le aree circostanti il complesso chimico e industriale sono state â e continuano
a essere â colpite da fughe di gas tossici che causano asfissia, difficoltĂ
respiratorie e motorie nelle persone esposte. Tra queste, numerosi bambini e
bambine che il 10 ottobre sono stati trasferiti in ospedale perchĂŠ, mentre erano
in classe, stavano improvvisamente soffocando. Le immagini virali di quel giorno
hanno segnato un punto di rottura definitivo per un territorio che da decenni si
mobilita per rivendicare il diritto alla vita. La risposta della comunità è
stata immediata e, nei giorni a seguire, si sono susseguite numerose proteste
davanti ai cancelli della GCT, durante le quali non sono mancati momenti di
tensione con le forze dellâordine.
In questo clima, il 14 ottobre si sono verificati nuovi casi di soffocamento,
scatenando una nuova ondata di rabbia raccolta nella marcia popolare del giorno
seguente. I video di quei momenti mostrano scene di forte tensione e una rabbia
sociale diretta contro gli impianti inquinanti dellâindustria dei fosfati. Le
oasi e le spiagge, un tempo descritte come un paradiso terrestre e oggi
devastate dalla contaminazione, sono diventate teatro di scontri tra polizia e
manifestanti, con lâuso di gas lacrimogeni. Ă di quei giorni anche la notizia,
diffusa dallâospedale, della fine delle bombole dâossigeno necessarie per
trattare i casi di asfissia.
Segue il tentativo di organizzare la rabbia: a guidare il processo câè il
movimento ecologista Stop Pollution, nato a Gabès dopo la rivoluzione e oggi
capofila nella resistenza al disastro ecologico. Cosa succede quando un corpo
ârifiutabileâ diventa corpo politico? Quando la lotta per sopravvivere si
trasforma in sabotaggio delle relazioni di scarto? Sale la marea. Dalla
convergenza tra Stop Pollution e lo storico sindacato UGTT nasce la chiamata
allo sciopero regionale del 21 ottobre, che ha coinvolto oltre centomila persone
e ottenuto lâadesione totale delle attivitĂ commerciali del territorio. Le
immagini di quella storica giornata raccontano una comunitĂ che, allâunisono,
rivendica il diritto alla vita e lo smantellamento delle unitĂ produttive
responsabili di un genocidio urbano senza precedenti nel territorio tunisino. Il
popolo si solleva contro la narrazione tossica dello sviluppo, secondo cui
alcune comunitĂ sarebbero residuali e sacrificabili, inondando le strade di
Gabès con una mobilitazione senza eguali.
LE RADICI DEL DISASTRO
Le cause del dissenso nel sudest tunisino sono antiche e risalgono alla
scoperta, durante la colonizzazione francese, di fosfati nellâarea. A partire da
allora, lâintera economia materiale e immateriale della regione è stata
stravolta e asservita allâestrazione e successiva lavorazione dei fosfati,
portando sul lungo termine a una catastrofe ecologica e sociale. Lâinstaurarsi
del monopolio minerario, di cui ancora oggi la Tunisia è schiava, ha consolidato
il modello estrattivista basato sulla marginalizzazione sociale e sulla
degradazione ambientale. CosÏ Gabès, per la sua posizione strategica, è stata
scelta come nodo principale di trasformazione dei fosfati, culminando nella
costruzione nel 1972 dellâimpianto del GCT. Raccontare cosa avviene a Gabès
impone una difficoltĂ : non si sa dove cominciare. Lâimpatto ecologico del GCT si
inserisce in un quadro piĂš ampio di sfruttamento eccessivo delle terre e delle
risorse idriche delle oasi che ne hanno determinato la progressiva scomparsa.
Oggi si parla della morte del corpo dellâoasi, metafora potente per la lenta
agonia di Gabès. La quasi totalità delle oasi è stata sacrificata per lasciare
spazio allâurbanizzazione seguita allâinsediamento industriale, ma lâaspetto piĂš
grave riguarda lâespropriazione delle risorse idriche: per esempio, nellâoasi di
Chenini erano presenti quattrocento sorgenti naturali utilizzate collettivamente
e gratuitamente per lâirrigazione; oggi sono tutte esaurite.
Quando si parla di acqua, bisogna inoltre guardare al mare, dove quotidianamente
lâimpianto del GCT scarica â senza alcun trattamento â gli scarti della
produzione. Nello specifico, si tratta del fosfogesso, pericoloso a causa
dellâelevata presenza di metalli pesanti e materiali radioattivi. Nel corso dei
decenni, ciò ha causato un crollo drastico della biodiversità del golfo, che è
passato da ospitare duecentocinquanta specie nel 1965 a sole cinquanta nel 2023.
Parallelamente allâespropriazione e contaminazione dellâacqua, le ciminiere
rilasciano costantemente ammoniaca, anidride solforica e ossido di azoto,
trasformando lâaria in veleno. A marzo è emersa anche la notizia della
pianificazione di nuovi impianti per la produzione di ammoniaca e idrogeno
verde. Dinnanzi a tutto ciò, possiamo davvero parlare di emergenza? Da decenni
Gabès soffoca non per un incidente, ma per causa diretta di politiche
neocoloniali che si perpetuano. In tal senso, le rivendicazioni dei movimenti
sociali ed ecologisti sono chiare: lo smantellamento delle unitĂ inquinanti e la
riconversione ecologica del territorio, insieme a unâindagine sugli impatti
dellâindustria. Le mobilitazioni proseguono, e il 25 ottobre una grande marcia
di sostegno ha raggiunto la capitale, inondando le strade di Tunisi.
LA DOPPIA FACCIA DEL POTERE
Davanti a questo grande movimento popolare, il presidente Kais Saied ha dovuto
prendere posizione, garantendo sostegno e solidarietĂ . Con una strategia tipica,
però, ha scaricato la responsabilità del disastro sui governi precedenti, senza
offrire prospettive concrete dâintervento. Lâunico intervento tempestivo
osservato è stato quello delle forze dellâordine, impegnate a difendere le
macchine della morte e a reprimere con violenza i manifestanti. La crisi di
Gabès rappresenta un banco di prova cruciale per Saied, che dal 2021 ha
intensificato la repressione contro ogni forma di dissenso. Recentemente, sono
state sospese per un mese organizzazioni storiche come lâAssociation Tunisienne
des Femmes DÊmocrates, il Forum Tunisien pour les Droit Economiques et Sociaux e
la rivista indipendente Nawaat. Queste sospensioni si inseriscono in una
strategia di silenziamento della societĂ civile tunisina, tesa a controllare e
limitare ogni opposizione al potere assoluto del presidente. Gli arresti
politici â fondati su decreti contro la âcospirazione contro la sicurezza di
Statoâ, come quello del giudice Ahmed Sawab, condannato a cinque anni di carcere
dopo un processo lampo â testimoniano il vortice di regressione democratica in
corso. Dal luglio 2021, con lo scioglimento arbitrario del parlamento e
lâaccentramento dei poteri nelle mani di Saied, le istituzioni si sono
progressivamente indebolite, la magistratura subordinata allâesecutivo e le
libertĂ civili fortemente ridotte.
La crisi di Gabès mette in luce non solo le sfide ambientali e sociali, ma anche
la profonda crisi politica e di legittimitĂ del regime, che risponde con
repressione e controllo mediatico piuttosto che con soluzioni inclusive e
trasparenti. A soli tredici anni dalla rivoluzione, il popolo tunisino torna a
chiedersi cosa significhi davvero lottare per la propria vita in un contesto
dominato da violenza e repressione. Nel 2024 e 2025, parallelamente a proteste
sociali e ambientali, sono stati registrati ulteriori arresti arbitrari di
attivisti e manifestanti. Un caso emblematico è quello di Mohamed Ali Rtimi,
attivista queer dellâAssociation tunisienne pour la justice et lâĂŠgalitĂŠ,
arrestato durante una mobilitazione di Stop Pollution il 23 maggio 2025. Le
recenti proteste a Gabès sono state represse con arresti e detenzioni
arbitrarie, spesso in condizioni che violano i diritti processuali, con accusati
privi di avvocati e accusati ingiustamente di essere âcospiratori finanziati
dallâesteroâ. Gli arresti di massa â oltre centocinquanta in due settimane â e
la repressione delle proteste pacifiche dimostrano una chiara volontĂ politica
di criminalizzare la mobilitazione popolare e soffocare ogni voce critica. Gabès
torna però a sollevarsi, si fa marea contro un potere che vorrebbe sacrificarla,
inondando ancora una volta le strade il 31 ottobre. Lottare per il diritto alla
vita a Gabès significa rivendicare un diritto basilare come quello di respirare
ma anche quello di restare, o meglio, tornare: tornare ad abitare un territorio
senza che ciò costi la vita. Significa essere quel sole che sorge ogni giorno,
tra i colori lividi della contaminazione e della repressione, sapendo che, per
quanto gli si spari addosso, ânessuno può spegnere il soleâ. (matilde collavini)
Il villaggio di Bodo ha subito una devastante fuoriuscita di greggio nel 2008.
Shell dovrĂ bonificare ma i lavori sono ancora indietro. Hyprep è lâagenzia che
bonifica tutta la regione. Avanza tra ritardi, polemiche e qualche successo
L'articolo Nigeria, la speranza delle bonifiche con i soldi delle societĂ
petrolifere internazionali proviene da IrpiMedia.
Ogoniland è unâarea del delta del Niger dove da anni lo sfruttamento del
petrolio alimenta ambizioni e conflitti. Qui gruppi ambientalisti hanno fermato
le esplorazioni nel 1993, ma i leader locali ora vogliono farle ricominciare
L'articolo Chi vuole tornare a estrarre il petrolio in Nigeria proviene da
IrpiMedia.
Il Rapporto sull'anno 2024 edizione 2025 a cura di Michele Munafò dal titolo
"Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici" inquadra la
situazione a livello nazionale rispetto alle trasformazioni sul territorio che
implicano perdita di suolo e dunque con le relative funzioni fondamentali.
Nel cuore di Roma câè un lago naturale, nato su un terreno privato, che è dalla
sua nascita al centro di una contesa fra i cittadini, che vorrebbero diventasse
un parco, e attori privati, che ne hanno finora impedito lâesproprio
L'articolo Il Lago Bullicante, un esproprio lungo trentâanni proviene da
IrpiMedia.