Fotogalleria di Fabrizio Ferraro
Vitulazio (Caserta), 13 dicembre, ore 15.00. Calcestruzzo annerito intorno ai
nostri passi. Siamo in corteo con il Movimento Basta Impianti. Un intreccio
irregolare e numeroso di volti, età e rabbie. Altrettanto cospicuo lo
schieramento delle forze dell’ordine. In testa un furgone, tra gli amplificatori
spiccano le foto dei “martiri”. Superiamo un campanile, l’orologio è fermo alle
11:20. Ci sono anche le attiviste del comitato Mai più Ilside, le cui lotte nel
2021 hanno portato alla messa in sicurezza e bonifica del sito di gestione
rifiuti di Bellona. «Noi abbiamo vinto allora», dicono mostrando le immagini del
prezzo pagato in salute e vite.
Basta Impianti mantiene il passo. A metà gennaio il movimento sarà ascoltato in
Commissione bicamerale rifiuti e dalla Commissione d’inchiesta sulle attività
illecite connesse al ciclo dei rifiuti e agli illeciti ambientali.
Vi siete mai chiesti chi decide i nomi degli uragani?
In molti ricordano l’uragano Katrina, che nel 2005 devastò la zona nei pressi di
New Orleans negli Stati Uniti. Nel 2024 hanno fatto molto parlare di loro gli
uragani Beryl, Helene e Milton.
I nomi degli uragani non sono stabiliti sul momento in modo casuale, bensì
provengono da liste predeterminate, diverse a seconda della zona del globo dove
avviene lo specifico evento naturale.
Nel 1953 il National Hurricane Centre (NHC) degli Stati Uniti dedicata alla
previsione degli uragani stabilì delle liste di nomi annuali da associare agli
uragani. Inizialmente, si trattava di una lista alfabetica predeterminata per
ogni anno, di nomi unicamente femminili: il nome della lista, che viene
associato al primo uragano dell’anno, aveva un nome proprio femminile che
iniziava con la A, ad esempio Anna, il secondo con la B, come Betty, e così via
fino all’ultima lettera dell’alfabeto, la W.
Questo è il motivo per cui molte persone pensano tutt’oggi che gli uragani
posseggano solo nomi femminili, ma non è più così. Dal 1979 in poi, su richiesta
del Women’s Liberation Movement, sono stati introdotti anche i nomi maschili
alternati a quelli femminili per i cicloni atlantici, mantenendo sempre l’ordine
alfabetico delle iniziali.
Il processo per determinare i nomi degli uragani è condotto da specifici
organismi regionali del WMO che selezionano dei nomi in base alla loro
familiarità con le lingue parlate in ogni specifica regione, con l’obiettivo di
rendere la comprensione di tali nomi più chiara possibile a seconda della zona
del mondo in cui ci troviamo.
Esistono comunque delle regole generali che vengono seguite nell’attribuzione:
- i nomi non devono provenire da specifici individui (cioè non sono"dedicati")
- devono essere sufficientemente brevi da poter essere utilizzati con facilità
- devono essere nomi facili da pronunciare (per ogni lista, esiste anche uno specifico elenco delle pronunce)
- i nomi devono essere unici: non possono essere usati gli stessi nomi in zone diverse del globo
Il 18 novembre, al telefono con Antonello Pasini, fisico climatologo del CNR,
docente di Fisica del clima all’università Roma Tre, abbiamo parlato di eventi
climatici estremi, della loro frequenza e distruttività in relazione
all’attività umana, di equazioni dei disastri.
La puntata, di un mese fa, torna terribilmente attuale alla luce di quanto sta
avvenendo a Gaza. La tempesta Byron si è abbattuta sul terreno della Striscia,
massacrato dai bombardamenti, e sui campi degli sfollati di Gaza, che dopo due
anni di distruzione e massacri si appresta ad affrontare l’inverno in tende
vecchie e logore e con abbigliamento inadeguato. Mentre Israele continua a
fermare gli aiuti ai valichi di confine dell’enclave.
Ascolta la puntata.
Citati nella puntata:
> Crisi climatica, le alluvioni in Pakistan denunciano il nostro tempo: chi
> inquina meno paga più di tutti
Pakistan, inondazioni, cambiamento climatico e tensioni internazionali – diretta
all’info di Blackout
Solo lo 0,8% del fondi per l'efficientamento energetico è andato alle case
popolari. Quasi metà degli incentivi ha favorito il 5% dei contribuenti, i più
ricchi. I fallimenti del Superbonus visti dal Quarticciolo, borgata popolare di
Roma
L'articolo Gli esclusi del Superbonus proviene da IrpiMedia.
(disegno di mattia vincenzo abbruzzese)
Diluvia, per un momento quasi grandina. È il 2 dicembre e un freddo umido si è
cristallizzato sulla città da qualche giorno. Sono le venti circa. Io e Mel,
quasi completamente zuppi, ci infiliamo in una vecchia Clio, asciughiamo alla
buona il taccuino e la macchina fotografica e partiamo in direzione Bellona, un
comune di quasi seimila abitanti in provincia di Caserta, in un lembo dell’Agro
Stellato. Stasera si terrà un’assemblea pubblica indetta dal movimento Basta
Impianti, cresciuto nelle campagne dell’Agro Caleno, dove da anni si consuma la
convivenza forzata con siti di stoccaggio, impianti di trattamento rifiuti e
progetti industriali ad alto impatto. Partecipano residenti e attivisti che si
oppongono all’idea di un territorio condannato a essere “compromesso”.
L’oscurità e la condensa sul parabrezza filtrano un paesaggio quasi
inosservabile fino all’ingresso nel borgo, dove le luci di Natale restituiscono
un po’ di opaca visibilità. Entriamo nel teatro parrocchiale alle spalle della
chiesa di San Secondino. Nella lunga sala alcune decine di persone tra tavoli di
plastica ricoperti da incerate verdi, formano un’ovale di sedie; il microfono è
aperto e già si susseguono gli interventi moderati da un ragazzo dai capelli
lunghi seduto accanto all’amplificatore. Alle sue spalle un lungo striscione
plastificato con il lettering in maiuscolo “Basta Impianti”.
Ancora umidi prendiamo posto e ascoltiamo Pasquale, un attivista: «Noi ci
dobbiamo sentire tutti in dovere di parlare di ciò che è malato. Sono stato
fuori le scuole per parlare ai genitori dell’urgenza, dell’importanza del corteo
del 13 dicembre a Vitulazio. Le autorizzazioni per nuovi impianti portano noi
cittadini ad ammalarci sempre di più per cui, cari genitori, non è solo una
questione di senso civico partecipare a questa battaglia, voi lottate per
evitare un pericolo che vi tocca direttamente. C’è stato tra loro chi mi ha
risposto che da queste parti la monnezza o si sotterra o s’appiccia. Che cosa
può insegnare un genitore così a suo figlio? C’è chi pensa che il diritto di
proprietà legittimi qualsiasi tipo di brutalità, ma la terra non ha padroni. Noi
siamo di passaggio, lo dobbiamo alle future generazioni. Stasera siamo in tanti
e dobbiamo essere ancora di più». Dopo di lui parla Clemente Carlino, che è
stato assessore del comune di Grazzanise al tempo delle “ecoballe”. «Questa
terra – dice – è stata scelta come il “buco dove sversare”. Tutti questi luoghi
sono stati considerati tali, da Santa Maria Capua Vetere a Cancello e Arnone, da
Borgo Appio a Grazzanise, questa è la nostra condizione da tempo. Ora sappiamo
che ci sarà un ampliamento da quattro a nove vasche nell’impianto di biogas di
Arianova a Pignataro Maggiore, tra l’altro ci dicono che è un impianto non
impattante… Balle! Non ci sta niente da fare, noi siamo condannati alla
ribellione! Ma non dobbiamo fermarci qua. Io dico che dobbiamo andare più in là
dell’Agro Caleno e unirci con tutti i luoghi di sofferenza ambientale, fino al
litorale domizio…». La chiusura dell’intervento è accolta da applausi, e qualche
colpo di tosse.
L’intervento successivo è del neoeletto consigliere regionale Raffaele Aveta del
Movimento 5 Stelle. Parla della sua vicinanza alla causa, del suo interesse
alle politiche ambientali e sanitarie, di una serie di casi che ha seguito
personalmente; si definisce “ambientalista militante”. «Forse – dice a un certo
punto – a Caserta c’è qualcuno che vuole davvero fare politica come servizio
alla comunità…». Una voce si leva in fondo alla sala: «Sì, ma non a parole, che
pensa di fare la Regione?». Risponde Aveta: «Sicuramente non dare in gestione
siti di stoccaggio a società con capitale sociale quasi nullo, quelle sono
truffe!».
A questo punto un cellulare suona rompendo per qualche istante il silenzio
durante il cambio al microfono. Getto uno sguardo in fondo alla sala verso il
gruppo di non più giovanissimi signori da cui era partito il commento. La
storicità del fenomeno Terra dei fuochi sta nelle loro rughe… Proprio qualche
giorno prima, il dottor Marfella, oncologo, membro di Medici per l’ambiente, che
da anni si occupa di questi temi, mi aveva raccontato l’aspetto dinamico di
questo fenomeno industriale, un’anatomia articolata in sei fasi distinte.
La prima fase (1980-2014) è quella degli sversamenti. Per decenni, rifiuti
speciali e tossici, in larga parte provenienti dal Nord, sono stati interrati o
abbandonati al Sud. Un ciclo interrotto solo nel 2014 dall’introduzione dei
primi delitti ambientali. Questo segna l’inizio della seconda fase (2014-2019).
Quelle norme, focalizzando la pena sui roghi ai bordi stradali, hanno prodotto
un effetto perverso: i fuochi tossici si sono semplicemente spostati all’interno
di depositi e siti di stoccaggio, spesso localizzati al Nord, invertendo di
fatto la rotta prevalente del traffico illecito. La terza fase (2020-2022) si
apre con la pausa forzata del lockdown, che spegne tutto per un po’. Alla
ripresa, in assenza di impianti campani per i rifiuti speciali, il sistema
reagisce esternalizzando il problema: parte un flusso massiccio e scarsamente
controllato di rifiuti verso l’estero. Ma l’aumento dei costi di trasporto porta
alla quarta fase (2021-2022): non conviene più esportare. Si torna quindi
all’antico, ai roghi tossici locali.
È una crisi globale, quella energetica, a innescare la quinta fase (2022-2023).
Da agosto 2022, il caro bollette paralizza anche le attività illegali. I roghi
cessano, non per un’azione repressiva, ma per semplice insostenibilità
economica. Ora viviamo la sesta fase (2022-2025), quella dell’attesa. Si attende
l’operatività del sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti RenTRi.
Un’attesa che potrebbe durare ancora anni.
Ritorno con lo sguardo al microfono perché intanto, ha preso la parola il
ragazzo coi capelli lunghi che siede accanto all’amplificatore, si chiama
Dario. «Diamo battaglia da trent’anni nei nostri territori – dice –, siamo
disposti a rivoltarli come calzini per seguire gli sviluppi di queste vicende,
senza mollare di un centimetro. Non siamo Nimby (not in my backyard, non nel mio
cortile), per cui proseguiremo dialogando con tutte le parti coinvolte e
interessate a sostenere le istanze di questo movimento, dentro e fuori l’Agro
Caleno». Poi, rivolgendosi al neo consigliere, prosegue: «La prossima volta però
ci portiamo il cronometro per gli interventi – e aggiunge sorridendo –, e adesso
lascio il microfono per i venticinque minuti dedicati a Ignazio…». Risate,
qualche applauso. Ignazio è seduto proprio lì accanto. È un medico, appare
preoccupato: «Vorrei far passare un messaggio, oggi è difficile… Dal ’98, dai
tempi del centro sociale Tempo Rosso di Pignataro Maggiore, noi ci siamo.
C’eravamo con la bonifica conquistata a Bellona, ma eravamo tanti comitati. Oggi
invece c’è un movimento, sta cambiando il tipo di attacco. L’Agro Aversano è
stata la Terra dei fuochi parte uno, qui si sta per osservare la parte due. C’è
una mappatura che stiamo realizzando che mette in relazione l’incidenza tumorale
e la concentrazione di impianti nella zona. Mappiamo anche i roghi. Perché la
gente che vive di monnezza, nomi e cognomi, sono sempre gli stessi o amici
loro. Tra non molto apriranno il nono impianto di stoccaggio tessile a
Vitulazio. In una zona che già presenta un aumento della diffusione e dove l’età
di contrazione tumorale si abbassa ancora: non solo abbiamo più casi ma
avvengono anche prima; andremo a dire a una donna trentenne che non potrà avere
figli per questo… L’obiettivo del corteo del 13 dicembre sarà di incontrare il
governatore Fico. Perché deve essere riconosciuta la straordinarietà del
problema. Ci giochiamo il titolo di zona straordinaria, speriamo di non giocarci
quello di Terra dei fuochi bis. Noi qui parliamo di impianti che stoccano,
mettono “in garage” il rifiuto. Basta impianti, siamo saturi! Ci va più che bene
un solo sito di riciclaggio adeguatamente controllato e monitorato, ma che sia
funzionale alla chiusura degli altri quaranta. A Sparanise, a breve
realizzeranno altri due impianti e a Vitulazio altrettanti nuovi siti per
rifiuti tessili. Sappiamo che sono stati sequestrati per illeciti proprio due
impianti tessili in loco, degli otto presenti. Il buon senso mi porta a dire:
controlliamo anche gli altri sei. Noi chiediamo il ritiro delle concessioni per
quelli sequestrati e il controllo di tutti gli altri attivi. Chiediamo una
valutazione di impatto ambientale per rischio cumulativo. Siamo in condizioni di
saturazione ambientale…». Il discorso di Ignazio prosegue ancora e si conclude
con un lungo applauso.
Gli ultimi interventi sono di Enzo Palmesano, giornalista di Pignataro Maggiore
noto per le sue inchieste contro la criminalità organizzata e le ritorsioni
subite dalla camorra, il quale racconta due importanti roghi avvenuti a Bellona
nel 2012 e nel 2017: «Il 29 dicembre 2017 la popolazione disse basta e con una
delegazione sostanziosa si presentò sotto il municipio. C’erano attivisti, sì,
ma c’erano anche i malati di tumore, i familiari delle vittime, diverse persone
anziane. Chiedevamo risposte. La reazione delle istituzioni in quella
circostanza fu di chiamare i carabinieri. Sono andati sotto processo diversi di
quei malati. Undici persone assolte recentemente perché il fatto non sussiste.
Per questo sono contento che questa riunione si faccia proprio qui a Bellona.
Abbiamo il timore che il 13 dicembre a Vitulazio possa essere usata l’arma della
repressione, i segnali ci sono… Questo è il movimento più importante nato in
questa provincia nell’ultimo quarto di secolo, c’è gente da tutta Italia che si
sta chiedendo che sta succedendo nell’alto casertano. I sindaci pro-impianti, in
queste zone compromesse, sono nemici, non avversari politici».
I vestiti sono quasi asciutti, l’assemblea è finita. Usciamo: non piove più e la
brina sull’Agro Stellato si solleva, restituendo un paesaggio in bilico tra la
memoria di chi ha lottato e l’attesa delle prossime azioni concrete di un’intera
comunità. (edoardo benassai)
Piogge torrenziali, manifestazioni oceaniche, la pressione delle comunità
indigene che ha attraversato i corridoi dei negoziati, e persino un incendio tra
i padiglioni; un susseguirsi di eventi esterni ha accompagnato il vertice.
Quelle fiamme divampate nei padiglioni non sono state altro che l’annuncio di
una fumata nera che sarebbe arrivata poche ore dopo.
Il documento finale della COP, la Mutirao decision, denunciava che il testo in
discussione era scritto di fatto dai PetroStati, grazie alle pressioni di Arabia
Saudita, Stati Uniti e Russia.
Nonostante il nome simbolico del documento finale, Mutirao, che significa lavoro
comunitario per conseguire un bene collettivo, questo testo farà il bene di
pochi lasciando liberi i paesi ricchi di continuare a devastare.
Nel documento finale non c’è alcun riferimento ai combustibili fossili, non
vengono neppure menzionati.
Il mondo si è congedato da Belém senza un piano per abbandonare gas, petrolio e
carbone tornando indietro rispetto a quanto deciso a Dubai nel 2023.
Le proteste e e danze indigene diventano una mera operazione i green whashing
dell’amministrazione brasiliana.
Ne abbiamo parlato con Andrea Merlone, Dirigente di ricerca all’Istituto
Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM) e ricercatore associato all’Istituto di
Scienze Polari del CNR.
Ascolta la diretta:
Estratto dalla puntata di lunedì 17 novembre 2025 di Bello Come Una Prigione Che
Brucia
/ / immagine da 404media.co
BOLLA AI E LOTTA CONTRO I DATACENTERS
Mentre giganti della finanza come Warren Buffet e Micheal Burry, scommettono
sull’approssimarsi di una nuova crisi scatenata dalla bolla dell’intelligenza
artificiale, cerchiamo di tornare a osservare alcune declinazioni materiali e
territoriali della cornice tecnologica in cui si sviluppano questi eventi.
Da un lato il controllo di Taiwan potrebbe non essere sufficiente per concludere
la corsa al primato sull’AI intrapresa dai grandi poli geotecnologici (Cina e
USA), dall’altro le lotte contro il moltiplicarsi dei datacenters iniziano ad
assumere una scala rilevante.
Andiamo a raccontare il caso di Ypsilanti (Michigan), dove la comunità locale ha
resistito al progetto di un centro di super-calcolo ed elaborazione dati che
avrebbe visto fondersi – in modo esplicito – militare e civile, nucleare e AI,
Los Alamos National Laboratories e Università del Michigan.
A margine un’osservazione comparativa delle risorse investite nel vecchio
Progetto Manhattan (corsa alla bomba atomica) e nel Nuovo Progetto Manhattan
(corsa al primato cognitivo e militare dell’AI).
per maggiori info su Ypsilanti
Dopo il Consiglio Ambiente di novembre, il governo Meloni ha rivendicato due
successi politici su questi temi, ma le modalità con cui crediti internazionali
e carburanti a basse emissioni verranno usati nella transizione verde sono
ancora tutte da definire
L'articolo Crediti di carbonio e biocarburanti: come si muove l’Italia in Europa
proviene da IrpiMedia.
Martedì 18 è stata ufficialmente esposta da parte di ECCHR ( European Centre for
Costitutional and Human Rights) denuncia ai danni di TotalEnergies presso
l’antiterrorismo francese, per accuse di complicità in crimini di guerra,
torture e sparizioni forzate legate alle azioni di soldati governativi in
Mozambico nel 2021 nell’ambito del cosidetto “Massacro dei container”. (metti
link)
Il colosso petrolifero è accusato di aver finanziato direttamente e supportato
materialmente l’unità speciale di forze armate, nell’ambito di un accordo di
sicurezza con lo stato, perchè quest’ultime protegessero le installazioni di
estrazione di GNL installate da Total a Capo Delgado.
La situazione a Capo Delgado è epicentro di un conflitto fra esercito e milizie
di ispirazione jihadista affiliate allo Stato Islamico. Le mani di Total sono
sporche del trasferimento forzato di migliaia di famiglie, oltre che della
degradazione ambientale legata ai progetti estrattivi, che ha acuito le tensioni
sociali, mentre la povertà è aumentata di più dell’80%.
La denuncia riprende la dettagliata inchiesta della testata Politico ” All must
be beheaded, revelations of atrocities at French energy giant’s African
stronghold” pubblicata nel 2024.
L’accusa arriva a poche settimane di distanza dalla dichiarazione di Total di
voler far ripartire il progetto, considerato il più grande investimento privato
mai realizzato in Africa, con un costo totale di 50 miliardi di dollari. La
ripresa del progetto non avverrà prima del concordato con il governo di Maputo e
sarà sostenuta dal prestito di 4,7 miliardi di dollari dall’Export-Impost Bank
statunitense ed è prevista entro il 2029.
La banca statunitense non è l’unico finanziatore pubblico al progetto, infatti
altri due importanti partner commerciali sono le italiane SACE e Cassa Depositi
e Prestiti. Nelle parole di Simone Ogno “la SACE italiana è stata la prima
agenzia di credito all’esportazione a confermare il proprio sostegno finanziario
a Mozambique LNG, e lo ha fatto senza una nuova valutazione degli impatti
sociali e ambientali associati al progetto. Oggi l’US EXIM sta facendo lo
stesso. In queste scelte possiamo vedere il rapporto stretto tra il governo
della premier Giorgia Meloni e quello del presidente Donald Trump, in totale
disprezzo per le violazioni dei diritti umani direttamente e indirettamente
associate a Mozambique LNG”.
Ne parliamo con Simone Ogno, campaigner di Recommon:
Qui trovate il link al report di Recommon “Dieci anni perduti“.
Mentre a livello globale e nazionale l’aggressione estrattivista dei territori
si fa sempre maggiore, in Italia continua il percorso di Confluenza, affiancata
dalla coalizione TESS. A partire da un lavoro di mappatura dei comitati
ambientalisti presenti sul territorio italiano, è stata intessuta una rete tra
le varie realtà contro la transizione energetica della speculazione e del
nucleare e per un discorso e un agire sui territori che riporti la gestione
territoriale nelle mani delle comunità che lì abitano.
Il focus sarà sulla dorsale appenninica e lo stato dell’arte della speculazione
energetica che interessano la Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Alto
Abruzzo, Lazio. Il programma, infatti, si strutturerà su due giorni dal 22 al 23
nel Mugello, il cui crinale è messo a rischio di un grande progetto di impianto
eolico industriale e simili progetti interessseranno anche l’Appennino
umbro-marchigiano.
Ne parliamo con Elena di No Pizzone 2:
Negli ultimi 10-15 anni abbiamo assistito a un allarmante aumento del numero,
della frequenza e della natura irregolare delle inondazioni in Pakistan. Quando
queste inondazioni colpiscono, causano un’immensa mortalità, morbilità e
sfollamenti su larga scala. Solo pochi anni fa, nel Sindh, migliaia di anni di
civiltà sono stati letteralmente spazzati via: moschee, templi, scuole,
ospedali, vecchi edifici e monumenti. Anche quest’anno, le inondazioni in
Pakistan hanno segnato un nuovo record. Da fine giugno 2025 a fine settembre, il
Pakistan è stato sommerso da inondazioni che hanno devastato le province di
Khyber Pakhtunkhwa, Punjab, Sindh e Gilgit-Baltistan, con oltre 1.000 morti, 3
milioni gli sfollati, e quasi 7 milioni di persone colpite.
Ad aprile 2025, inoltre, l’India ha sospeso unilateralmente la sua
partecipazione al Trattato sulle Acque dell’Indo del 1960, aggiungendo
incertezza a una situazione già critica. La decisione indiana di sospendere il
Trattato delle acque dell’Indo rappresenta un precedente storico: nonostante
decenni di tensioni e crisi diplomatiche, il trattato era sempre stato
rispettato da entrambe le parti.
L’agricoltura, settore vitale per l’economia pakistana, è in ginocchio. Migliaia
di ettari di terreni coltivati e 6.500 capi di bestiame sono andati perduti. I
danni economici totali sono stimati in decine di miliardi di dollari.
Come ricorda la giornalista Sara Tanveer in un suo recente articolo, il
paradosso più crudele è che il Pakistan, con una produzione di appena 2,45
tonnellate di CO2 per persona all’anno, contribuisce meno dell’1% alle emissioni
globali ma subisce le conseguenze più devastanti del cambiamento climatico. Due
paesi, Cina e USA, producono il 45% delle emissioni globali, e i primi 10 sono
responsabili di oltre il 70%. Eppure l’85% dei finanziamenti verdi va a questi
stessi 10 paesi.
Abbiamo chiesto a Sara Tanveer, scrittrice e giornalista free lance italo
pakistana, di parlarci della situazione attuale del Pakistan per quanto riguarda
le conseguenze della crisi climatica, e dei rapporti del Paese con India e
Afghanistan. Ascolta o scarica l’approfondimento.
Per comprendere la natura del conflitto ucraino dobbiamo farci la classica
domanda “cui prodest” ed uno degli effetti strutturali più rilevanti della
guerra in Ucraina è che a livello energetico gli Stati Uniti stanno diventando
per l’Ue quello che fino al 2022 era stata la Russia per l’approvvigionamento di
energia visto che gli USA già oggi pesano per oltre il 50% delle importazioni di
gas liquefatto (e il 15% di quelle petrolifere).
A ottobre, per la prima volta, un singolo Paese gli USA ha esportato oltre 10
milioni di tonnellate metriche (mmt) di gas liquefatto, il 70% delle quali verso
l’Europa. e l’export di Gnl Usa, si stima, raddoppierà da qui al 2028 ,inoltre
nell’accordo sui dazi con la Casa Bianca, la Commissione s’è impegnata a un
ammontare folle di acquisti nel settore energetico Usa: 750 miliardi di dollari
in tre anni. Gli Stati Uniti hanno raggiunto con la guerra in Ucraina lo scopo
indicato da Brezinski ( La grande scacchiera,) il quale sosteneva che
l’obiettivo strategico degli Stati Uniti fosse quello di separare la Russia
dall’Europa per impedire la formazione di un blocco continentale che potesse
sfidare la potenza americana.
Non solo gas ma anche la nuova corsa agli armamenti , si parla del missile
ipersonico Dark Eagle che schierato in Germania potrebbe colpire obiettivi nella
Russia centrale nell’arco di sei-sette minuti. In risposta a queste minacce, la
Russia ha sospeso la moratoria sul dispiegamento di missili a medio e corto
raggio, dopo aver testato con successo il missile Burevestnik e il drone
sottomarino Poseidon.
L’ambasciatrice ucraina negli Stati Uniti ha dichiarato che il suo Paese «sta
conducendo negoziati positivi» con gli Stati Uniti incentrati sulla consegna a
Kiev di missili Tomahawk e altre armi a lungo raggio. Sta cominciando una nuova
corsa al riarmo tra Russia e Stati Uniti come quella che impose con conseguenze
catastrofiche per l’Urss Reagan negli anni 80 ,mentre gli Stati Uniti progettano
il sistema di difesa integrale “golden dom”.
Ne parliamo con Francesco Dall’Aglio esperto dell’Europa orientale e di
strategia.
I conflitti attorno all’acqua sono più che mai evidenti, ma da sempre i regimi e
i governi cercano di controllare l’aspetto del territorio attraverso lavori
idraulici come dighe o bonifiche per controllare la popolazione, sia locale, sia
nazionale attraverso la propaganda. Modificare il territorio significa
espropriare intere comunità delle loro ricchezze naturali e dell’economia
consuetudinaria su cui si reggono e portano sempre a una militarizzazione e ad
un accentramento del potere che difficilmente potrebbe imporsi in territori
impervi come le montagne o le paludi. Prendiamo ad esempio l’abbassamento del
lago di Sevan riportato da Giulio Burroni nell’articolo “acqua sovrane, di
guerra e di propaganda” uscito su Il Tascabile
(https://www.iltascabile.com/scienze/acque-sovrane-guerra-propaganda/)
Il libro “gli uomini pesce” ed. Einaudi vede protagonisti Antonia e Sonic alla
scoperta dei segreti lasciati da Ilario Nevi, partigiano regista e attivista
ambientale, nonchè nonno di Antonia. Nell’estate della più grande siccità degli
ultimi anni, il Po si è ritirato fino a diventare un rigagnolo, mentre la
stagione estiva impazzava nel vicino litorale ferrarese, l’ambiente paludoso del
Delta ha mostrato tutta la sua fondamentale importanza. Un territorio difficile,
costretto a ritardatarie bonifiche e che ha visto uno dei pochissimi casi di
guerra partigiana combattuta su barche. La storia di Ilario racconta tutto
questo: la resistenza, ambientale e antifascista, di un territorio unico. Gli
uomini pesce, disegnati come mostri, sono in realtà i difensori popolari dei
territori, mostri che preservavano le acque e che hanno limitato l’espansione
antropologica in territori difficilmente accessibili.
Ne parliamo con l’autore Wu ming1 (e ci scusiamo per la qualità della diretta)
Qualche lettura tratta da “addio alle valli” di Francesco Seratini, poeta
romagnolo che racconta la vita delle genti e dell’ambiente del Delta del po.