Acerra, 10 maggio 2025. In quello che per tre decenni è stato un luogo simbolo
dell’emergenza rifiuti, e contemporaneamente delle lotte ambientali, sfila il
corteo che pretende l’esecuzione della sentenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo con cui si condanna l’Italia per non aver tutelato la salute dei
propri cittadini, imponendole di attuare un piano di bonifiche nell’arco di due
anni.
Comitati, studenti, attivisti e cittadini da tutta la provincia compresa tra
Napoli e Caserta affollano le strade del centro cittadino al grido di “abbiamo
sempre avuto ragione noi”. Più che dai presenti il corteo si racconta, però, a
partire dagli assenti.
Nonostante l’appuntamento sia in piazza Duomo, il primo è proprio il vescovo,
monsignor Di Donna. Il pastore gode di grande credito sul territorio, e aveva
guidato il proprio “gregge” nel corteo del 2023 contro la quarta linea
dell’inceneritore (in aperto scontro con l’esecutivo regionale); oggi, però,
sembra aver ripiegato su posizioni più moderate e di dialogo con il commissario
unico per le bonifiche, Giuseppe Vadalà. Un repentino cambio di rotta successivo
all’ultima legge di stabilità che, come denunciano alcuni consiglieri regionali,
vede una pioggia di finanziamenti attribuiti alle diocesi, senza, dall’altro
lato, l’elaborazione di particolari progettualità o strategia di sviluppo del
territorio.
All’appello mancano anche i rappresentanti istituzionali: il presidente del
consiglio comunale Raffaele Lettieri (ex sindaco per due mandati) e il sindaco
Tito D’Errico, eletto proprio con Lista Lettieri. In un comunicato, la giunta
acerrana ha richiamato più alle “responsabilità istituzionali […] che alle
azioni dimostrative (in quanto) la difesa dell’ambiente non può diventare
terreno di scontro ideologico né strumento di visibilità”. È una sollecitazione
che potrebbe anche essere auspicabile, se non fosse che negli ultimi tredici
anni le responsabilità sono state in capo a questi stessi amministratori e che i
due milioni e settecentomila euro per la bonifica del sito di Calabricito, per
esempio, erano già stati stanziati dieci anni fa (proprio con un accordo di
programma tra la Regione e RaffaeleLettieri): il progetto invece non è stato
portato a termine, mentre l’ente guidato da Vincenzo De Luca continuava a
finanziare programmi di “rigenerazione integrata urbana sostenibile” (PRIUS),
l’ultimo dal valore di quattordici milioni di euro. Il comunicato istituzionale
si chiude con un richiamo alla fiducia nella “filiera istituita tra diocesi,
Comune e Regione, ora ampliata al governo, nelle veci del Commissario unico
Vadalà” (“[…] chi si impegna veramente per il Bene di Acerra”).
Probabilmente questi esponenti istituzionali non sarebbero stati ben accolti dai
partecipanti al corteo, e nello specifico dagli studenti che hanno coniato per
loro una serie di slogan divenuti celebri, al suono dei quali li hanno
allontanati dalle ultime manifestazioni. Colpito da una feroce campagna di
repressione per opera della dirigenza scolastica nel 2024, quando il preside La
Montagna sospese settantuno studenti (ritirando poi il provvedimento) dopo
l’occupazione del liceo De Liguori, il movimento studentesco ha visto in questi
ultimi anni indebolite le proprie capacità organizzative. Ciò nonostante, a
questi ragazzi va il merito di farsi portavoce di una libera e sincera rabbia,
senza la quale questo corteo trascorrerebbe anche troppo tranquillamente, nonché
del coraggio necessario per portare avanti una lotta anche quando non è più così
popolare.
Mentre la manifestazione prosegue, tra la folla prova a farsi notare qualche
altro personaggio che oggi si pone in opposizione alla giunta comunale, e che
della tutela dell’ambiente ha fatto il fulcro della propria campagna elettorale
nel 2022. Ancora una volta, però, si tratta degli stessi politici che,
rivestendo posizioni di rilievo, non hanno portato avanti azioni concrete in
tema ambientale nell’ultimo decennio: tra questi vale la pena citare anche solo
i membri dell’amministrazione Esposito, responsabili, per esempio, di non aver
mai fatto entrare in funzione gli impianti di depurazione della falda acquifera
costruiti dall’amministrazione precedente, avendo allo stesso tempo continuato a
pagare il personale che vi agiva.
“Bonifiche subito!” è uno slogan che ritorna da trent’anni e che rischia di
assolvere tutti se non ci si assume la responsabilità di una trasformazione
trasversale, come spesso ripete Valentina Centonze, avvocata che ha promosso e
vinto il ricorso alla Cedu. Un rischio concreto insito nello strumento stesso
del commissariamento promosso dal governo Meloni: in primo luogo, perché il
commissario assolve a un incarico che ha un preciso inizio e una fine, connesso
strettamente ai fondi stanziati (ne consegue che, laddove lo stanziamento fosse
insufficiente, le istituzioni potrebbero trovare il modo di “assolversi” di
fronte alla Corte); in secondo perché il decreto legge del 14 marzo che gli
conferisce l’incarico demanda al commissario l’individuazione dei fondi e le
operazioni di bonifica, il monitoraggio sanitario e il piano comunicativo, ma
trascura la prescrizione più significativa della sentenza: l’istituzione di
un’autorità indipendente composta dalla società civile, che prenda parte al
processo decisionale e vigili sulle operazioni, oltre che l’avvio di una riforma
in materia penale e amministrativa in relazione ai reati ambientali e al
meccanismo di individuazione delle responsabilità.
La Terra dei fuochi non può essere una questione isolata, scindibile dal
conteso. Un contesto di piccole e medie imprese che si fondano su regimi di
lavoro per lo più irregolare, e che scaricano spesso sulla collettività la voce
più onerosa del loro bilancio: quella dello smaltimento dei rifiuti industriali;
un contesto in cui agisce una classe politica il cui unico scopo, ben lungi dal
farsi espressione delle esigenze del territorio, è stato quello di mantenere lo
status quo, tutelando i propri interessi particolari e le proprie clientele.
Infine, il contesto di una società che dopo anni di lotte ha smarrito sé stessa,
intrappolata in un vuoto politico che ha inaridito il territorio e disintegrato
qualsivoglia tendenza all’emancipazione collettiva.
Dopo un lungo percorso il corteo si chiude con l’intervento del Comitato unico
contro la quarta linea, che prova a dare nuova linfa alla mobilitazione e su cui
adesso pesa la responsabilità di tenere alto il conflitto nelle sedi
istituzionali, ribaltando una narrazione che mostra la popolazione come un
soggetto passivo e vittimizzato. La sfida è quella di non abbassare la guardia
rispetto agli interventi in programma, pianificati da chi con una mano firma
l’avvio delle bonifiche e con l’altra rinnova il contratto di gestione
dell’inceneritore (attraverso una gara di appalto dai contenuti piuttosto
ambigui, che aumenta la capacità inceneritiva di ulteriori 100.000 tonnellate).
Non c’è più tempo per protagonismi o richiami populistici: è il momento di
intervenire direttamente su un modello di sviluppo che antepone il profitto alla
salute degli abitanti, di disegnare un futuro diverso anche solo in memoria
degli unici assenti giustificati di questo corteo: le vittime. (maddalena de
simone)
Chi decide davvero se un’azienda è etica? E cosa succede quando le regole
cambiano per far sembrare etico anche chi è coinvolto nell’occupazione militare
dei territori palestinesi? Poi ci spostiamo in Italia, dove la trasparenza sui
finanziamenti elettorali è spesso solo sulla carta
L'articolo Newsroom – Gli sconti delle agenzie di rating etico per le aziende
filoisraeliane. Eurodeputati eludono le leggi sui finanziamenti elettorali
proviene da IrpiMedia.
A seguito dell’attentato che ha ucciso 26 turisti indiani nel Kashmir
amministrato dall’India avvenuto a fine aprile, la risposta dello stato indiano
è arrivata nella notte tra martedì 6 maggio e mercoledì 7 maggio, con
l’Operazione definita Sindoor: una serie di bombardamenti si sono abbattuti sul
Pakistan, nella parte di territorio pachistana del Kashmir e […]
IMBOSCATA II 🐿️
info sul sito: limboscata.noblogs.org - mail: imboscate@canaglie.org
(sabato, 24 maggio 09:30)
Torna la settimana autogestita di condivisioni teoriche e pratiche di lotta nel
bosco!
> Ogni forma di vita che non è sfruttabile diventa un ostacolo all’espansione di
> questa società e all’espansione del cemento, che è la negazione stessa della
> vita. Per questo schiere di trivelle, ruspe e motoseghe instancabilmente le
> attaccano, disboscando, scavando, costruendo nuove infrastrutture, nuovi
> luoghi di produzione e di consumo. Qualche scoiattola ribelle però ha deciso
> di abbandonare il livello del suolo, quello delle macchine, dell’asfalto,
> delle fabbriche, per arrampicarsi e tornare a vivere tra le chiome degli
> alberi.
> Dal ritorno tra le chiome l’avanzata del cemento è stata rallentata, in certi
> casi respinta e tra gli alberi si sono aperti nuovi spazi di libertà dove
> immaginare e costruire altri mondi e altri modi di abitare e difendere i
> territori che viviamo.
> È in uno di questi spazi che ci incontreremo.
PROGRAMMA
Tutti i giorni da lunedì mattina laboratori di arrampicata e costruzione di
strutture sospese.
Punta alle 9.30 per iniziare i laboratori.
Oltre ai laboratori di arrampicata e costruzione:
SABATO 24
15.00 Presentazione della settimana
Allestimento del campo
19.00 Serata conviviale
DOMENICA 25
10.00 Alla scoperta del bosco. Passeggiata per esplorare il luogo, apprenere
alcune basi di riconoscimento degli alberi, del loro stato di salute e qualche
rudimento di cura del bosco.
20.00 La guerra parte da qui. Se la lotta contro la guerra ci fa provare una
certa impotenza, c’è qualcosa di concreto, tangibile e vicino a noi da
contrastare. Otre all’industria bellica sui nostri territori, il riarmo passa
infatti anche attraverso la digitalizzazione, la transizione energetica e in
generale la costruzione di nuove infrastrutture. Parliamone.
LUNEDì 26
10.00 Come ci raccappezziamo nel bosco? Laboratorio di orientamento e mappatura
collettiva.
MARTEDì 27
20.00 Critica della ragion ecologica. Per pensare insieme le potenzialità e i
limiti delle lotte boschive e riflettere sui nostri diversi approcci, dalla
militanza all’attivismo.
VENERDì 30
Fuga nel bosco. Da sempre eretiche, banditi, fuorilegge si sono rifugiate nelle
foreste per sfuggire a guerre, persecuzioni e imperi per vivere più liberamente.
Uno spazio per immaginare scenari e possibilità dell’oggi e del domani.
SABATO 31
Pomeriggio di giochi tra i rami e nel sottobosco.
& Festa silvana
DOMENICA 1
smonto
Ogni secondo in Italia spariscono due metri quadrati di suolo. Cemento, strade,
capannoni: il nostro paesaggio si trasforma, ma a che prezzo? Poi, insieme ad
Alessandro Leone andiamo a Ponte (Benevento) dove un impianto di asfalto ha
cambiato la vita dei residenti
L'articolo Newsroom – Perché il Pnrr accelera il consumo di suolo. Cittadini in
lotta contro una fabbrica di asfalto proviene da IrpiMedia.
Ponte, a 20 minuti dalla città, è interessata da interventi infrastrutturali
finanziati anche con il Pnrr. È lì dove ha sede lo stabilimento della La.b.i.t.
srl, di proprietà di un’importante famiglia di industriali locali
L'articolo Benevento, la lotta di un gruppo di cittadini contro un impianto che
produce asfalto proviene da IrpiMedia.
Con l'adozione dell'AI Act, l'Unione europea cerca di regolamentare
l'intelligenza artificiale, ma la sfida è enorme. Come si governa l'AI in un
panorama globale così frammentato? Poi ci spostiamo sul caso Clearview AI,
l’azienda che ha raccolto milioni di volti dal web, creando un enorme database
usato da polizie e governi in tutto il mondo
L'articolo Newsroom – Clearview AI è fuori gioco in Europa. Ma il riconoscimento
facciale è ormai alla portata di tutti proviene da IrpiMedia.
Lo 0,1% della popolazione mondiale possiede il 13% della ricchezza globale,
mentre la metà più povera ne detiene meno del 2%. Ma chi dovrebbe colmare questo
divario e con quali strumenti? Poi, parliamo di Reyl, una piccola banca svizzera
che secondo l’autorità di vigilanza Finma, ha chiuso gli occhi su clienti
sospetti: politici corrotti, narcotrafficanti, riciclator
L'articolo Newsroom – Una tassa globale per i super ricchi- Intesa San Paolo
indagata in Svizzera per i clienti a rischio riciclaggio proviene da IrpiMedia.
Il Gambia è il Paese più piccolo dell’Africa Continentale, ma con una storia
politica e sociale densa di trasformazioni. Dall’eredità coloniale britannica
alla lunga stagione di governi autoritari, fino alle sfide attuali della
democrazia e delle migrazioni
L'articolo Newsroom – Cosa succede in Gambia. Madri che aspettano, figli che
partono proviene da IrpiMedia.
(disegno di pietro cozzi)
La pioggia gelida del primo mattino si placa, le nuvole lasciano passare perfino
un po’ di sole, man mano che le persone affluiscono nella piazza principale dei
Campi d’Annibale, una delle aree più urbanizzate dei Castelli romani, nel
territorio di Rocca di Papa. Nonostante il meteo incerto, il primo corteo contro
il disboscamento dei Colli Albani è un successo. Siamo a metà febbraio e il
Comitato protezione boschi dei Colli Albani ha chiamato a raccolta abitanti,
associazioni e collettivi per marciare tra le strade del borgo di Rocca di Papa
con l’obiettivo di arrivare sotto la sede del Parco regionale dei Castelli
romani. La piattaforma rivendicativa è frutto di diversi mesi di controllo
popolare, studio e mobilitazioni da parte del giovane comitato, costituito poco
più di un anno prima: i tagli boschivi stanno violentando il territorio e i suoi
beni patrimoniali; gli interessi economici dietro il cosiddetto ceduo (metodo di
“governo” del bosco che consente la ricrescita delle piante dopo alcuni anni dal
taglio del fusto) sono soverchianti rispetto all’interesse collettivo di
protezione del bosco che i comuni, l’ente parco e tutte le istituzioni hanno di
fatto smesso di perseguire. Il taglio massiccio va fermato, sostiene il fronte
sempre più ampio di organizzazioni e residenti che si è compattato intorno
all’attività del comitato, altrimenti il disastro ambientale e sociale diventerà
irreversibile.
Per le strade della Rocca il corteo raccoglie la solidarietà di abitanti e
commercianti che si affacciano dalle finestre e dalle botteghe, si uniscono alla
marcia per qualche tratto, raccontano le loro storie sull’importanza del bosco
per questa comunità. I manifestanti chiedono una moratoria al taglio ceduo che
interessa la quasi totalità degli ottomila ettari sotto la gestione dell’ente
parco, tagli che vengono effettuati in modo intensivo, distruggendo gli
ecosistemi naturali e i preziosi sentieri della via Francigena, la via Sacra,
l’Ippovia, cammini millenari sventrati dal continuo passaggio di ruspe e
cingolati. Durante il corteo alcuni anziani boscaioli si fermano a parlare con
attivisti e cittadini; sostengono le ragioni della mobilitazione perché,
raccontano, le tecniche tradizionali avvenivano a passo di mulo, in aree
circoscritte e diffuse, nel più minuzioso rispetto dei cicli vegetativi. Era
un’economia di sussistenza, a beneficio delle famiglie locali, ben diversa
dall’industria su vasta scala che oggi riceve dalle istituzioni il lasciapassare
per massacrare l’ambiente boschivo a beneficio di grandi interessi privati. A
differenza dei boscaioli solidali, infatti, nei giorni precedenti la
manifestazione iniziano a circolare online tentativi di denigrazione da parte di
improvvisati sodalizi di impresari del legname che rivendicano il loro diritto a
disboscare, con il solito mantra sull’occupazione e goffi tentativi di
greenwashing. Tuttavia, sono gli stessi che ci svelano parte della destinazione
del legname tagliato: l’edilizia, soprattutto quella destinata alle classi più
agiate, interessate a impreziosire le proprie abitazioni ecosostenibili con il
castagno locale; ma anche il commercio di scarti della lavorazione del legno,
materiale imprescindibile per il funzionamento di tutta una serie di impianti
industriali, tra cui quelli per la produzione di cemento.
C’è infatti una forte connessione tra il disboscamento dei Colli Albani e
l’implacabile cementificazione di cui il territorio è vittima da decenni. Come
hanno spiegato alcuni interventi alla fine del corteo, il bosco per queste
comunità ha sempre rappresentato l’ultimo margine, la barriera verde contro
l’avanzare della metropoli. Mentre Roma si espandeva a sud-est e la pianura
della provincia ne subiva le conseguenze in termini di impatto urbano (con la
nascita di agglomerati tra i più densamente popolati della penisola), gran parte
dei centri collinari sulle pendici del vulcano laziale venivano risparmiati
dallo tsunami speculativo proprio grazie alla muraglia alberata. Ma il bosco da
solo non sarebbe bastato. Soprattutto la mobilitazione popolare, che negli anni
Ottanta porterà alla nascita del Parco regionale dei Castelli romani, è riuscita
a porre un primo importante freno a cementificazione, crisi idrica e
disboscamenti. Purtroppo lo stesso ente parco, nato dalle lotte delle comunità,
nei decenni successivi e per diverse ragioni non è stato in grado di fermare
quelle che oggi rappresentano le più pesanti nocività nell’area, cui si aggiunge
l’aggressione estrattivista del ciclo dei rifiuti capitolino.
La pressione antropica è implacabile, frutto di una profonda commistione tra
interessi politici ed economico-finanziari sull’utilizzo del suolo nei Castelli
romani. In tutta l’area si contano ormai oltre 350 mila residenti, mentre i
servizi diminuiscono sotto i colpi della scure neoliberista che taglia le
strutture socio-sanitarie e disincentiva la pianificazione pubblica del
territorio. La stessa pressione antropica è tra le principali cause
dell’abbassamento drammatico del livello dei laghi di Albano e di Nemi, un
processo che sembra inarrestabile e che porterà a una crisi idrica dell’intera
falda a fronte dei 172 mila litri d’acqua al giorno che serviranno
all’inceneritore di Santa Palomba, se non verrà fermato prima.
Ma il legame tra motoseghe e betoniere non si ferma qui. Come accennato, gli
scarti della lavorazione del legno servono anche ad alimentare gli impianti per
la produzione industriale della calce e di altri materiali per l’edilizia. Tra
le vertenze presenti al corteo c’erano anche rappresentanti della lotta contro
l’ampliamento dell’impianto Fassa Bortolo di Artena, il quale per funzionare
avrà bisogno di circa 30 mila tonnellate di questi scarti! È verosimile che il
ceduo locale sarà una fonte appetibile.
La mattina del corteo, dentro la sede dell’ente parco non c’è nessuno. Nessuno
che possa ricevere i manifestanti, nessun comunicato nelle ore successive, solo
un silenzio assordante. Si affaccia il sindaco di Rocca di Papa, contestato
della piazza per voler difendere l’idea che si può continuare a tagliare con
ritmi non dissimili da quelli attuali, purché ciò avvenga nella “legalità” delle
concessioni. Nonostante il botta e risposta in piazza, al sindaco viene
riconosciuta dagli organizzatori almeno la decenza di aver aperto un dialogo. Le
realtà presenti sono le stesse che hanno intrapreso in questi mesi un percorso
comune di messa a sistema delle mobilitazioni sulle singole vertenze e di
analisi degli intrecci tra ognuna di esse. La rete ha iniziato a incontrarsi
mensilmente in assemblee pubbliche (l’ultima lo scorso 21 marzo a Genzano),
lanciando una nuova grande mobilitazione congiunta per fine maggio, dove far
emergere in modo chiaro la relazione tra le nocività, tra i nodi del sistema
estrattivo sui Castelli romani, e dunque delle lotte per provare a contrastarlo.
Deforestazione, crisi idrica, consumo di suolo, discariche e combustori,
questione abitativa, diritto a restare per comunità umane e non. Simili processi
intersezionali non sono una novità in questo territorio. C’è una lunga storia ai
Castelli romani che parte dalle lotte contadine per la terra e per la casa, e
arriva ai conflitti ambientali, l’antifascismo militante, i comitati per la
sanità pubblica, i collettivi transfemministi, la solidarietà con la comunità
palestinese, l’implacabile lotta No Inc.
Sempre a proposito di storia, a margine della manifestazione qualcuno si domanda
da quanto tempo non si vedesse un corteo simile per le strade del piccolo e
inerpicato borgo di Rocca di Papa. C’era stata la mobilitazione antifascista e
antirazzista del 2018, quando molte persone solidali accorsero in difesa dei
migranti appena sbarcati dalla nave Diciotti della Guardia costiera e ospiti in
una struttura sulla via dei Laghi, all’esterno della quale si erano raggruppati
i soliti nuclei delle più note sigle neofasciste romane. Ma la memoria storica
corre molto più indietro, prima ancora delle lotte per l’istituzione del Parco,
addirittura prima della nascita delle organizzazioni di massa. A metà del XIX
secolo, i rocchigiani insorsero contro gli abusi dei principi Colonna e per il
rispetto degli usi di legnatico (la raccolta del legno concessa per consuetudine
ai contadini). Da queste parti il processo di smantellamento degli usi
collettivi fu lo strumento della definitiva “recinzione” delle terre. Un caso
emblematico è quello del castagno, principale vittima del disboscamento attuale.
La richiesta di legname già dal XVI secolo spinse il governo pontificio a
sostituire i boschi originari (oggi ridotti a poche aree) con il più proficuo
castagno, ma la scelta fu orientata anche da una legge che liberava i
proprietari dagli usi collettivi qualora la loro terra fosse adibita ad alberi
da frutto. Molti proprietari di boschi trovarono utile allora trasformarli in
castagneti, così da tenere lontana la povera gente dal libero uso del bosco.
Questi processi non furono indolori e le comunità provarono a resistere fino
alla prima metà del secolo scorso. A Rocca di Papa tutto ebbe inizio all’alba
del primo maggio 1855, quando duecento contadini marciarono per invadere i
terreni dei Colonna. Affisso un manifesto contro le autorità, i paesani
proclamarono la Repubblica di Rocca di Papa e innalzarono nella piazza del paese
l’albero della libertà: un berretto rosso giacobino sulla cima di un palo di
legno. Non sappiamo quanto durò l’esperienza di autogoverno (forse un giorno,
forse qualche settimana), né i nomi delle persone coinvolte nella rivolta e nei
successivi arresti. Sappiamo solo che la milizia del papa riuscì in pochissimo
tempo a sedare il tentativo rivoluzionario. Rimane un importante episodio di
insurrezione contadina nella provincia romana, nonché un esempio lampante di
quanto sia radicato il rapporto viscerale di questa comunità con il bosco, con
la sua concezione di “common” da difendere a ogni costo.
La funzione sociale del bosco non nasce nell’ambito della produzione, dunque,
quanto dalla riproduzione sociale delle comunità, proprio perché questo aveva
rappresentato per millenni una risorsa libera e utile ai processi di
sopravvivenza collettiva – benché nell’ambito di rapporti feudali –, come
appunto la raccolta, la caccia, la protezione da incursioni esterne, i rituali
religiosi. Nell’era moderna, la tensione tra produzione e riproduzione è
diventata conflitto: ai giorni nostri il bosco dei Castelli è una risorsa per il
profitto delle aziende del legname, ma è anche epicentro del riposo di migliaia
di famiglie lavoratrici, luogo di svago, percorrenza, fruizione culturale,
economie tradizionali, ambito di accoglienza di viandanti e viaggiatori
(laddove, in parte, riesce a resistere al turismo di massa), protezione non solo
dall’espansione urbana ma anche dai cataclismi climatici, casa inviolabile di
specie vegetali e animali. La produzione di legname, a oggi, non sembra portare
alcun tipo di beneficio alle comunità: ai Castelli si tagliano più alberi di
trent’anni fa ma non si produce neppure un mestolo di legno. È il capitalismo
estrattivo, che toglie al territorio senza restituire niente, neppure
all’interno di un indotto. In questo contesto il bosco dei Castelli rappresenta
di fatto la frontiera tra iper-sfruttamento delle risorse e spazio ri-produttivo
sul territorio. Ennesimo suolo conteso tra interessi divergenti: miniera per gli
speculatori ma anche ultima terra comune, percorribile e collettiva per gli
abitanti ai suoi margini, ben consapevoli dell’importanza della difesa del
bosco. (lorenzo natella)
(disegno di leMar)
Si ferma il piano di sviluppo industriale del centro di sperimentazione
automobilistica Nardò Technical Center nel Salento, di cui abbiamo scritto nei
mesi passati. Lo annuncia Porsche nel pomeriggio di giovedì 27 marzo, in
una nota in cui motiva la rinuncia al progetto con le attuali “prospettive
sociali, ambientali ed economiche” e “le circostanze dell’industria
automotive mondiale”. La buona notizia arriva dopo quasi venti mesi di lotte e
resistenza da parte di associazioni e comitati, a un anno esatto dalla
comunicazione della Regione Puglia riguardo la decisione del presidente Emiliano
di sospendere l’accordo di programma con NTC, a seguito dei richiami dalla
Commissione europea. Nell’attesa che la Regione metta nero su bianco la revoca
dell’accordo di programma con NTC, è tempo di riavvolgere il nastro e smontare
le narrazioni che accompagnano la decisione di Porsche e stanno monopolizzando
gli spazi di quotidiani e pagine d’informazione.
Il piano prevedeva l’ampliamento dei circuiti NTC con nuove piste e impianti su
duecento ettari guadagnati distruggendo l’ultimo pezzo di un antico bosco
mediterraneo e 351 ettari espropriando terreni dei cittadini. Tutto con il
consenso della Regione Puglia e dei comuni di Nardò e Porto Cesareo, che
riconoscevano in questo progetto la pubblica utilità. L’area rientra in un sito
di interesse comunitario e in una riserva regionale, è tutelata dalla normativa
comunitaria, la Direttiva Habitat e la rete Natura 2000 per la salvaguardia
della biodiversità. Normative che sono state aggirate senza il parere della
Commissione europea e senza dibattito pubblico, ignorando numerosi pareri
d’impatto ambientale negativi. Tutto grazie al “rilevante interesse pubblico”
connesso alla salute dell’uomo e alla sicurezza pubblica. Infatti, alla
distruzione del bosco, il progetto affianca la realizzazione di un centro di
elisoccorso attrezzato con eliporto e annesse strutture sanitarie, un centro
visite polifunzionale e un centro di sicurezza antincendi. Molto è stato detto
riguardo la reale utilità pubblica di queste opere: gli ospedali di Lecce e
Brindisi sono sprovvisti di piste di atterraggio e gli incendi che nei mesi
estivi hanno interessato le campagne nei terreni limitrofi all’anello di Porsche
non hanno visto i soccorsi di NTC.
L’IMBROGLIO ECOLOGICO
Le misure compensative alla distruzione del bosco sarebbero state la
rinaturalizzazione e riforestazione delle aree intorno al perimetro di NTC, ma
era impensabile rimpiazzare una comunità ecosistemica complessa e
autosufficiente con filari di alberelli bisognosi di anni e acqua per crescere,
con sole dodici specie vegetali contro le quattrocentoventi attestate nel bosco
secolare. Per fare spazio alle piste di prova per auto
elettriche, Porsche avrebbe tradito le promesse di sostenibilità del gruppo
Volkswagen, di cui fa parte: “lasciare un mondo migliore per le generazioni
future”, “sostenibilità significa mantenere a lungo termine sistemi ecologici,
sociali ed economici sostenibili a livello globale, regionale e locale”.
Per denunciare il massacro ambientale in un’area protetta e la perdita
irreversibile di biodiversità, per resistere a questa truffa ai danni della
natura e della comunità, si è costituito nell’autunno 2023 il comitato Custodi
del bosco d’Arneo, che ha promosso un ricorso al Tar a gennaio 2024 insieme a
Italia Nostra e Gruppo di Intervento Giuridico, fino a ottenere dal commissario
europeo per l’ambiente Sinkevičius, a nome della Commissione europea, la
richiesta di ulteriori chiarimenti riguardo il progetto e i presunti motivi di
interesse pubblico. Nei mesi è cresciuta la solidarietà e la mobilitazione
dell’opinione pubblica tedesca, con sit-in e manifestazioni a Stoccarda, patria
di Porsche, una lettera aperta ai Ceo di Porsche e Volkswagen, con
il supporto delle tre maggiori associazioni per la tutela della natura del
Baden-Württemberg, Nabu, Bund e Lnv, di Robin Wood e Fern.
L’alleanza tra associazioni pugliesi e tedesche ha portato la vicenda del bosco
d’Arneo al consiglio di amministrazione Porsche durante l’annual general
meeting di Stoccarda, la riunione annuale degli shareholders. Lì i Custodi del
bosco sono stati riconosciuti come legittimi interlocutori e portatori
d’interesse, si è messa in luce tutta l’illogicità del piano e l’incoerenza con
le politiche aziendali (seppur le risposte siano state vaghe e autoassolutorie
nonostante le domande consegnate con tre giorni di anticipo). A novembre,
durante una pacifica azione di protesta, gli attivisti di Robin Wood hanno
piantato un leccio nella Porsche-Platz a Stoccarda, che è stata simbolicamente
rinominata “Bosco d’Arneo-Platz”. Ancora, a dicembre le associazioni hanno
inviato al presidente Emiliano un documento per chiedere chiarimenti in vista
della scadenza della sospensiva e a gennaio una conferenza stampa con attivisti
dalla Germania e dal Brasile ha continuato ad alimentare quel dibattito pubblico
negato dalle istituzioni.
A ridosso di Ferragosto (con le stesse tempistiche nemiche della partecipazione
con cui un anno prima era stata diffusa la notizia del progetto), la Regione
avvia il procedimento di definizione degli obiettivi di conservazione
sito-specifici della Zona Speciale di Conservazione “Palude del Conte, dune di
Punta Prosciutto”, in cui ricade il circuito NTC. In effetti, sulla Puglia
incombono una procedura d’infrazione comunitaria del 2015 e una messa in mora
del 2019 da parte della Commissione europea, per aver omesso di stabilire nelle
ZSC misure di conservazione necessarie per gli habitat naturali presenti. Ora,
la Puglia conta ottanta siti tra ZSC e SIC, ma la Regione si attiva solo per
quello che interessa Porsche. Dalle osservazioni presentate da alcune
associazioni alla deliberazione regionale si scopre che già nel 2006 i
proprietari delle piste avevano avuto l’autorizzazione all’ampliamento su
un’area di circa trecentocinquanta ettari, con l’unica prescrizione di
realizzare opere di rinaturalizzazione su una superficie pari all’estensione
dell’habitat compromesso.
L’intero quadro della vicenda mostra un pericoloso precedente in cui stretti
vincoli ambientali non bastano più a proteggere un’area, un caso in cui il
potere economico privato cattura la scelta pubblica, celando gli interessi del
singolo operatore di mercato con il velo della pubblica utilità, a discapito dei
diritti della collettività. Come argomenta Giovanni D’Elia, il forte potere
economico di uno dei maggiori gruppi automobilistici a livello mondiale sarebbe
stato in grado di influenzare gli attori istituzionali nella gestione di una
vasta area boschiva tutelata dal diritto europeo.
A marcare questo ricatto, nel bollettino ufficiale la Regione scriveva che la
“mancata realizzazione delle quattro fasi del masterplan potrebbe comportare la
dismissione dell’impianto di prova esistente”, in quanto “il mancato adeguamento
alle nuove esigenze tecnologiche in corso nel settore automotive innescherebbe
il processo di declino tecnologico e commerciale delle attuali piste”. In più
minacciava che “con la dismissione delle attività, oltre a ricadute di natura
socio-economica, verrebbe meno il presidio dell’area attualmente assicurato da
NTC, aumentando di conseguenza il rischio di compromissione degli habitat”. Ora
che Porsche dichiara che “le attività di testing continueranno a essere svolte
nel sito, contribuendo allo sviluppo di tecnologie innovative per la mobilità”,
torna in mente la paura che le opposizioni al piano di ampliamento di NTC
avrebbero indotto il disinteresse di Porsche a investire e a rimanere sul
territorio. La tanto temuta “alternativa zero” che avrebbe comportato anche
“l’esaurimento del positivo indotto socio-economico generato sul territorio,
derivante dalla presenza di clienti e visitatori da tutto il mondo”,
e paventata come “non percorribile” durante la seduta a Bari della V Commissione
in Regione a novembre 2023, ora sta perfettamente in piedi e lo dice Porsche
stessa.
Ritorna il copione, tracciato da Naomi Klein nel saggio Shock economy, per cui
le crisi vengono utilizzate, dietro il pretesto dell’emergenza, come
un’opportunità per introdurre politiche economiche impopolari, quali
deregolamentazioni e privatizzazioni. L’elemento chiave è la velocità con cui
vengono attuate tali politiche, mentre il consenso popolare viene manipolato
attraverso la paura e la propaganda. Approfittando del disorientamento e della
paura causati dalla crisi, i governi agiscono rapidamente, spesso senza un
adeguato dibattito pubblico. Dopo anni di disastri ecologici con ambiente e
salute subordinati al profitto, è evidente come non possa esistere industria
sostenibile sotto il capitalismo, sostenibilità e profitto non sono
conciliabili. Il mese scorso perfino Ursula von der Leyen “si è arresa di fronte
alla narrazione industriale: mantenere alta la competitività rispettando
stringenti regole ambientali non è possibile, i conti non tornano”, scrive Irpi
Media.
IL SUD DEI RICATTI
“Chance perse”, “colpo fatale al futuro”, “clima ostile all’impresa”: sono
alcuni dei titoli allarmistici che occupano le pagine della stampa locale dopo
la rinuncia di Porsche. La generica categoria degli ambientalisti contro cui
stanno puntando il dito la Regione e le associazioni di categoria rimarca la
stigmatizzazione delle esperienza di attivazione sul territorio. Gli
ambientalisti sono solo cittadini attenti (e incensurati) che chiedono di
autodeterminarsi, che hanno utilizzato gli strumenti legislativi ordinari, senza
generare problemi di ordine pubblico durante le manifestazioni, mentre chi
cercava di aggirare i vincoli della giustizia erano altri. Non è una novità che
al sud chi respinge modelli di sviluppo imposti dall’alto sia sempre tacciato di
arretratezza e inciviltà, come fossimo poveri selvaggi da evangelizzare al
progresso, secondo la buona tradizione coloniale.
L’assessore Delli Noci, braccio destro di Emiliano, piange una “perdita enorme
per il territorio”, “gli sforzi della Regione Puglia di attrarre investimenti da
parte di grandi imprese vengono vanificati, con la grave perdita di occasioni di
crescita, di nuovi posti di lavoro e di possibilità di sviluppo”. Lo stesso
presidente Emiliano, interpellato dal Quotidiano di Puglia, dichiara: “Abbiamo
perso una grande occasione di sviluppo, centinaia di posti di lavoro e un
rimboschimento di cinquecento ettari al posto dei centocinquanta da abbattere”.
E poi preme il pulsante delle emozioni di pancia: “C’è chi sarà felice e chi si
rende conto di questi ragazzi e ragazze pugliesi che dovranno andar via a causa
di questo mancato investimento”, senza ammettere che, se migliaia di pugliesi
sono costretti a emigrare, la colpa è di politiche regionali capaci solo
di svendere una terra pur di avere il prestigio di averlo concesso.
Chi sottolinea la perdita di opportunità occupazionali, in questo perenne
ricatto salute-lavoro che attanaglia il meridione, dimentica i fatti recenti che
hanno interessato lavoratori di NTC, oltre alle vicende sindacali dei pochi
salentini che lavorano per Porsche, sottopagati e minacciati di licenziamento:
collaudatori e operai in presidio permanente davanti ai cancelli dell’azienda e
in sciopero della fame nel 2017, costretti per vent’anni a condizioni di lavoro
precarie. Alcuni collaudatori raccontano: “Lavoriamo rischiando la vita ogni
giorno, quaranta ore alla settimana, per una paga misera”, “stare per ore con il
piede fisso sull’acceleratore, lungo una pista che sembra non finire mai, con
gli stessi contratti che si applicano ai commessi” e non metalmeccanici.
I politici non hanno mai avuto scrupoli nell’alimentare il ricatto: la sindaca
di Porto Cesareo accusava ogni tentativo di frenare il progetto di NTC come uno
“schiaffo al territorio e alla comunità”, alle “tante attività che d’inverno
farebbero la fame”. Un anno fa Confcommercio e Federalberghi si
dicevano preoccupate che la sospensione al progetto di NTC potesse “influenzare
negativamente l’economia locale”, essendo l’attività del centro prove “risorsa
per centinaia di piccole e medie imprese e realtà del commercio locali” e “una
risorsa vitale per le strutture ricettive”. Grazie a “clienti internazionali che
visitano l’area tutto l’anno, il Salento viene promosso su scala globale”.
Quando Emiliano dichiara che la rinuncia di Porsche “anche dal punto di vista
ambientale è stato un danno, perché nel tempo avremmo quintuplicato l’area
boschiva”, finge di non sapere che se quello che la Regione auspica è un’opera
di riforestazione, questa è perseguibile senza bisogno di sacrificare gli ettari
di bosco e le specie animali che lo abitano. Poi, la riforestazione resta una
misura compensativa che (lo dice il nome) serve a bilanciare l’incidenza
negativa significativa dell’intervento, quindi per logica non può essere motivo
per attestare la bontà dell’intervento.
L’amaro in bocca dei politici locali e delle associazioni di categoria alimenta
la logica coloniale ed estrattiva in un territorio di conquista già devastato
dal disseccamento degli ulivi, consumo di suolo e desertificazione, incendi
sistematici, crisi idrica e siccità galoppante, land grabbing per impianti di
fotovoltaico, agrivoltaico ed eolico (proprio in questi giorni a Livorno si
tiene Confluenza, il primo incontro nazionale contro la speculazione energetica
ed estrattivista sui territori).
Sebbene la Puglia sia ancora in violazione della direttiva sui criteri
sito-specifici e la vicenda di Porsche abbia mostrato come bastino forti poteri
privati per far decadere i vincoli ambientali, la storia del bosco d’Arneo serve
come monito: ciò che viene presentato come necessario e inevitabile non è che
una contingenza. Gli imperativi del capitalismo non diventino una tara cognitiva
che riduce la politica a spartizione di fette di potere. Il leccio che i Custodi
del bosco e il Wwf hanno piantato lo scorso 24 gennaio a Lecce in viale De
Pietro, nell’aiuola di fronte gli uffici di NTC, sta a ricordare che bisogna
immaginare sempre altri scenari possibili oltre quello imposto. E serve
raccontare i territori e le storie con tutto ciò che preme al loro ribaltamento,
riappropriandosi della categoria dell’utopia, come scrive Alessandro Leogrande.
“Non è possibile raccontare il presente senza presagire un suo
sovvertimento”. (chiara romano)
Donald Trump ha lanciato una guerra commerciale per proteggere l’economia
americana, ma chi ci sta guadagnando davvero? Poi, ci addentriamo negli affari
di Jared Kushner, il genero di Trump che ha costruito una rete di investimenti e
contatti che mescola politica, diplomazia e mercato immobiliare
L'articolo Newsroom – Ritorna il nucleare in Italia. Come la stampa italiana ha
venduto i bond poco sostenibili di Eni proviene da IrpiMedia.