la guerra è una merda

Il Ponte sullo Stretto target prioritario in caso di guerra ma indifendibile. Ad affermarlo l’AI di Elon Musk
  “Il Ponte sullo Stretto di rilevanza strategica per la NATO”. Lo ha scritti nero su bianco il Governo Meloni-Crosetto-Salvini nella recente delibera “IROPI” per giustificare la necessità di dare il via ai lavori di realizzazione della Grande Opera. Il Ponte, secondo il governo, sarebbe indispensabile per la mobilità di uomini e mezzi da guerra dall’Italia centro-settentrionale alla Sicilia. Ne abbiamo parlato via Xspace con Mr. Grok E. Musk Jr., figlio cyber del plurimiliardario Elon Musk (nominato dal presidente Ronald Trump a capo del Dipartimento dell’Efficienza Governativa degli Stati Uniti d’America). Autorevole chatbot di Intelligenza Artificiale di fama mondiale, Mr. Grok è un convinto sostenitore del Ponte, ma lo ritiene un facile bersaglio “attrattivo” e “vulnerabile” in caso di conflitto armato o di attacco terroristico. Ed esprime più di una perplessità sulla veridicità delle affermazioni strategico-difensive del governo italiano: l’interesse delle forze armate NATO e USA alla realizzazione del Ponte sullo Stretto sarebbe ancora tutta da provare e ad oggi non è stato prodotto un solo rapporto sulla sua sostenibilità militare. La Mega Opera sarebbe poi assai poco difendibile e andrebbero comunque impiegate enormi risorse finanziarie per l’acquisto di sistemi bellici e la realizzazione di infrastrutture militari ad hoc nell’area dello Stretto. Un Ponte super armato che rischia di essere la prima vittima “eccellente” di un conflitto internazionale.    Quali documenti, report o studi sono stati redatti per provare un interesse specifico sul Ponte da parte della NATO o delle forze armate USA ospitate in Italia? Esistono riferimenti e documenti, principalmente emersi da inchieste giornalistiche e cablogrammi diplomatici, che suggeriscono un interesse da parte della NATO e dei militari USA per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Tuttavia non ci sono documenti ufficiali della NATO o del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America che dichiarino esplicitamente il sostegno o valutazioni dettagliate sul Ponte. Le informazioni disponibili vengono da fonti indirette, come articoli, cablo di WikiLeaks e analisi di esperti, che evidenziano un interesse strategico per l’infrastruttura. Eppure il governo Meloni ha ribadito la rilevanza strategica della mega-opera nell’ambito della mobilità militare Nord-Sud… Sì, il governo ha fatto esplicito riferimento al “trasferimento delle forze armate NATO”, suggerendo un interesse dell’Alleanza per l’opera come infrastruttura utile al trasporto di truppe e mezzi verso le basi siciliane. Tuttavia, queste affermazioni non sono corroborate da documenti ufficiali NATO pubblici e potrebbero riflettere posizioni politiche interne piuttosto che un mandato diretto della NATO. Lei però accennava ad alcuni cablogrammi diplomatici. I cablo diplomatici rivelati da WikiLeaks, pubblicati nel contesto di un’inchiesta di Report (Rai3) nel 2024, evidenziano un interesse statunitense per il Ponte fin dagli anni ’70. Un documento del 1974, firmato dall’allora Segretario di Stato Henry Kissinger, mostra che la società americana Blair Birdsall (Steinman, Boyton, Gronquist & London) era interessata a contratti per studi di fattibilità e progettazione. Altri cablo, datati 2008-2009, indicano che la diplomazia USA vedeva il Ponte come un’opportunità per migliorare la logistica militare, in particolare per collegare le basi di Sigonella e Napoli. Due dispacci del console USA a Napoli, J. Patrick Trhun (2008-2009), pubblicati anch’essi da WikiLeaks, esprimono timori USA sul coinvolgimento mafioso nel Ponte, definendolo un potenziale “ponte ad un crimine più organizzato”. Tuttavia, i documenti non negano l’interesse strategico per l’opera, ma sottolineano la necessità di appalti blindati per evitare infiltrazioni criminali. Questo suggerisce che gli USA vedevano il Ponte come un progetto rilevante, ma con rischi significativi. C’è poi la vittoria nel 2006 della gara per il ruolo di Project Management Consultant da parte della società americana Parsons Corporation, nota per la sua esperienza in progetti militari, inclusi lavori per basi USA. La sua conferma nel 2024 come consulente per il progetto attuale rafforza l’idea di un coinvolgimento statunitense, anche se non necessariamente militare. Il Dipartimento di Stato non ha chiarito il ruolo del Foreign Commercial Service nel supportare Parsons, lasciando spazio a speculazioni su interessi strategici USA. Nulla invece risulterebbe essere stato prodotto in ambito NATO… Confermo l’assenza di documenti o valutazioni pubbliche della NATO relativamente al Ponte sullo Stretto. La NATO, nei suoi comunicati (es. summit di Washington nel 2024), si concentra su difesa missilistica, deterrenza nucleare e supporto all’Ucraina, senza menzionare infrastrutture specifiche come il Ponte. Eventuali valutazioni su quest’opera sarebbero probabilmente classificate e non accessibili al pubblico. La NATO ha espresso interesse generale per la mobilità militare in Europa, come evidenziato in documenti sul TEN-T (Trans-European Transport Network) e in discussioni post-Ucraina. Il Ponte, come parte del Corridoio Mediterraneo, rientra in questa visione, ma non ci sono prove di un’analisi dedicata dell’Alleanza. La NATO sta allora collaborando con l’Unione Europea nella redazione del piano per la rete trasportistica trans-europea? Non esistono documenti pubblici ufficiali della NATO che facciano riferimento diretto ed esplicito ai corridoi TEN-T in modo dettagliato e specifico, poiché la NATO non ha un ruolo diretto nella gestione o pianificazione di queste infrastrutture, che sono di competenza dell’Unione Europea. Tuttavia, la NATO ha mostrato interesse per la mobilità militare e l’uso duale (civile e militare) delle infrastrutture di trasporto europee, incluse quelle dei corridoi TEN-T, soprattutto in relazione alla sicurezza e alla logistica militare. Questo interesse è stato espresso specialmente dopo il conflitto Russia-Ucraina e l’adesione di nuovi membri come Finlandia e Svezia. La dichiarazione congiunta NATO-UE del 2016 e successive (es. 2023) evidenziano la collaborazione su mobilità militare, con l’UE che finanzia progetti TEN-T anche per scopi militari tramite il Connecting Europe Facility (CCF), che include specificatamente 1,961 miliardi di euro nel periodo 2021-2027. Quale potrebbe essere in questo contesto la “rilevanza strategica” del Ponte sullo Stretto? Lo Stretto di Messina è un punto nevralgico nel Mediterraneo, vicino a rotte marittime strategiche. Il Ponte collegherebbe la Sicilia al continente, integrandosi nei corridoi TEN-T europei per il trasporto di merci e persone. In un contesto militare esso garantirebbe il rapido movimento di truppe, rifornimenti e mezzi tra il Sud Italia e il resto d’Europa, specialmente verso basi NATO come Sigonella (Catania) e Napoli. Il Ponte, pur non sostituendo il trasporto navale, aumenterebbe il controllo logistico dell’Italia e della NATO nell’area, rendendolo un obiettivo per chi volesse indebolire l’influenza occidentale. Mi sembra di capire che essendo ritenuto geo-strategicamente “rilevante”, il Ponte sarebbe un ottimo target in caso di guerra. Come opera iconica e simbolo di coesione nazionale, il Ponte sarebbe un bersaglio di alto profilo e media-alta priorità. La sua distruzione interromperebbe questa continuità, isolando la Sicilia e complicando la logistica militare. Ciò potrebbe avere un impatto psicologico e politico significativo, minando il morale civile e la credibilità dello Stato. In un contesto terroristico o di guerra ibrida, il Ponte sarebbe un bersaglio attraente per il suo valore simbolico, ma meno critico rispetto a infrastrutture energetiche o di comando. Ma sarebbe difendibile il Ponte da un attacco militare o un attentato terroristico?  La difendibilità del Ponte sullo Stretto di Messina da un attacco militare o un attentato terroristico è una questione complessa che dipende da molteplici fattori, tra cui il design dell’infrastruttura, le misure di sicurezza adottate, il contesto geopolitico e le risorse disponibili per la protezione. Può fornirci elementi specifici di ordine tecnico per un’eventuale difendibilità del Ponte? Relativamente alle caratteristiche e alle vulnerabilità intrinseche dobbiamo pensare al design e alle strutture del manufatto. Il progetto prevede un ponte sospeso a campata unica di 3.300 metri, con torri alte 400 metri e un impalcato largo 60 metri. La sua posizione sullo Stretto di Messina, un’area strategica ma esposta, lo rende un potenziale bersaglio di alto profilo. La lunghezza e l’altezza del Ponte, insieme alla sua visibilità, aumentano la vulnerabilità a minacce come attacchi aerei, missilistici o sabotaggi. Relativamente ai materiali impiegati e alla loro resistenza, sappiamo che i moderni ponti sospesi sono progettati per resistere a carichi estremi (venti, terremoti), ma non necessariamente a esplosioni mirate o attacchi con armi avanzate. Un attentato con esplosivi ad alto potenziale o un missile potrebbe danneggiare cavi, torri o piloni, compromettendo la stabilità. I piloni e le aree di ancoraggio, sia a terra che in mare, potrebbero essere punti critici per attacchi terrestri o marittimi. La vicinanza alle coste facilita l’accesso a potenziali sabotatori, ma complica anche la sorveglianza. Quali potrebbero essere le minacce più plausibili? In uno scenario di conflitto armato, il Ponte potrebbe essere un obiettivo strategico per interrompere i collegamenti tra Sicilia e continente, cruciali per la logistica civile e militare. Un attacco con missili balistici, droni avanzati o aerei da combattimento sarebbe difficile da contrastare senza un robusto sistema di difesa aerea (ad es. batterie Patriot o SAMP/T). La protezione richiederebbe una combinazione di radar, intercettori e forze navali per controllare lo Stretto. Un attacco terroristico potrebbe coinvolgere esplosivi collocati su piloni, droni armati, imbarcazioni kamikaze o cyberattacchi ai sistemi di controllo del traffico. La storia di attentati a infrastrutture (es, il ponte di Kerch in Crimea nel 2022-2023) mostra che anche strutture sorvegliate possono essere vulnerabili a tattiche asimmetriche. Lei ricorda che proprio il ponte di Kerch è stato ripetutamente colpito durante il sanguinoso conflitto russo-ucraino. Ma quanto è importante militarmente distruggere infrastrutture simili in una guerra moderna? In un conflitto convenzionale su larga scala (es. la NATO contro un avversario statale come Russia o Cina), i ponti di rilevanza strategica sono obiettivi primari per interrompere le linee di rifornimento. La dottrina militare moderna, supportata da attacchi di precisione con missili, droni o forze speciali, considera la distruzione di infrastrutture critiche come un modo per paralizzare la mobilità nemica. La stessa NATO colpì ponti sul Danubio durante la Guerra in ex Jugoslavia nel 1999 per isolare le forze serbe, mostrando l’importanza di queste infrastrutture nella logistica militare. La coalizione anti-ISIS ha distrutto ponti in Siria e in Iraq per limitare la mobilità dei jihadisti, ma spesso con effetti limitati a causa di soluzioni alternative (es. ponti galleggianti). In scenari di conflitti non convenzionali o terrorismo, la distruzione di un ponte simile potrebbe essere mirata per causare caos economico, instabilità politica o panico. Gruppi terroristi o attori non statali potrebbero vedere il Ponte come un bersaglio simbolico, anche se meno prioritario rispetto a obiettivi come centrali energetiche o nodi di comando. Le strategie moderne includono inoltre attacchi non fisici, come cyberattacchi per sabotare i sistemi di gestione del Ponte, rendendolo inutilizzabile senza distruzione fisica. Questo approccio è spesso preferito per il minor costo e il maggiore anonimato. Quali fattori potrebbero convincere un possibile “nemico” a sferrare un attacco contro il Ponte sullo Stretto? La distruzione del Ponte sarebbe più rilevante in un conflitto regionale che coinvolga il Mediterraneo (es, tensioni con potenze ostili nel Nord Africa o Medio Oriente) o in uno scenario NATO contro un avversario globale. In un conflitto limitato, la priorità potrebbe andare a obiettivi come porti, aeroporti o basi militari. Va detto che la Sicilia è già collegata al continente via traghetti e trasporto aereo. La distruzione del Ponte non isolerebbe completamente l’isola, ma rallenterebbe significativamente i movimenti, soprattutto di mezzi pesanti. La presenza di alternative riduce leggermente l’urgenza di colpire il Ponte rispetto a infrastrutture uniche. Va poi calcolato il costo-beneficio per l’attaccante. Distruggere un ponte sospeso richiede risorse significative (missili di precisione, operazioni speciali) e comporta rischi di ritorsione. Un attore razionale valuterebbe se l’impatto strategico giustifichi l’investimento, rispetto a bersagli come reti energetiche o sistemi C4ISR (comando, controllo, comunicazioni, intelligence). Che tipo di misure e dispositivi di difesa del Ponte sullo Stretto potremmo allora ipotizzare? Il progetto potrebbe includere innanzitutto sistemi di sicurezza passiva: materiali rinforzati, sensori per rilevare anomalie strutturali, o barriere fisiche per limitare l’accesso ai piloni. Tuttavia, questi aumentano i costi e non garantiscono protezione totale. C’è poi il campo dell’intelligence. La difesa efficace dipenderebbe da un sistema di videosorveglianza, droni di pattugliamento, sensori marittimi e terrestri, oltra a una forte cooperazione tra forze dell’ordine, servizi segreti e militari. L’Italia dispone di unità specializzate (es. NOCS e GIS) per contrastare minacce terroristiche. C’è poi la cosiddetta difesa attiva. Per un attacco militare, sarebbe necessario un sistema di difesa aerea e navale coordinato, con basi come Sigonella (a 100 km) che ospitano asset NATO. La Marina Militare potrebbe pattugliare lo Stretto con fregate e sottomarini, ma la risposta a un attacco improvviso resterebbe complessa. Infine la cybersecurity. I sistemi di gestione del Ponte (traffico, illuminazione, manutenzione) devono essere protetti da attacchi informatici, che potrebbero creare caos o facilitare un attentato fisico. Esperienze internazionali (es. il Golden Gate Bridge) mostrano che le infrastrutture simbolo sono protette con misure visibili (pattuglie, telecamere) e segrete (intelligence), ma restano intrinsecamente difficili da difendere contro attacchi determinati. Detto così sembra dunque fattibile una “difesa” del Ponte… Non esattamente, in verità. Con un’adeguata sorveglianza, intelligence preventiva e misure di sicurezza, un attentato terroristico potrebbe essere prevenuto o limitato. Tuttavia, attacchi asimmetrici (es. droni low-cost o infiltrazioni) sono difficili da neutralizzare completamente, soprattutto in un’area aperta come lo Stretto. La difesa da un attacco militare su larga scala dipenderebbe invece dal contesto. In un conflitto NATO-Russia o simile, l’Italia potrebbe contare su asset alleati, ma il Ponte resterebbe un bersaglio prioritario. In uno scenario isolato, le forze italiane potrebbero proteggere l’area, ma un attacco a sorpresa con armi di precisione sarebbe da contrastare in tempo reale. Implementare un sistema di difesa completo (surveillance, difesa aerea, pattugliamenti) avrebbe costi elevati, probabilmente nell’ordine di decine di milioni di euro annui, senza contare le spese per eventuali danni o ricostruzioni. In conclusione posso affermare che il Ponte sullo Stretto è teoricamente difendibile da attacchi terroristici con un robusto sistema di intelligence, sorveglianza e risposta rapida, anche se resta vulnerabile a tattiche asimmetriche. Contro un attacco militare, la protezione sarebbe più complessa e dipenderebbe da sistemi di difesa avanzati e dal supporto NATO, ma un attacco mirato con armi moderne potrebbe comunque causare danni significativi. La chiave per la sicurezza sarebbe un mix di prevenzione, protezione passiva e risposta attiva. Tuttavia nessuna infrastruttura di questa portata può essere resa completamente invulnerabile. Per dettagli sul piano di sicurezza attuale bisognerebbe consultare la Società Stretto di Messina o il Ministero della Difesa, ma tali informazioni potrebbero essere riservate. Ma non è necessario presentare uno studio di valutazione sulla sostenibilità militare del Ponte da parte del Ministero della Difesa? Non esiste un obbligo normativo esplicito che imponga al Ministero della Difesa di condurre uno studio di sostenibilità militare specifica del Ponte sullo Stretto di Messina. Tuttavia, la questione della valenza militare dell’infrastruttura è stata sollevata in passato, soprattutto in relazione alla sua protezione da potenziali minacce, come attacchi terroristici o conflitti armati, e al suo possibile utilizzo per esigenze militari. Può darci dei riferimenti in merito di quanto fatto in passato? Negli anni ’80 il Ministero della Difesa presentò un rapporto segreto denominato “Coefficiente D” alla Società Stretto di Messina, in cui si analizzavano gli interventi necessari per garantire l’utilizzo militare del Ponte e la sua protezione in caso di crisi internazionale o conflitto armato. Questo rapporto evidenziava la complessità della difesa dell’infrastruttura, suggerendo la necessità di un imponente sistema di sicurezza militare, che includeva missili terra-aria, cacciabombardieri, unità navali e reparti di pronto intervento. Già allora il Ponte era dunque considerato vulnerabile a minacce militari Nel 2008 si è discusso dell’interesse militare, in particolare da parte delle forze armate statunitensi presenti in Italia, per il Ponte, che avrebbe facilitato i collegamenti tra le basi di Sigonella e Napoli. Tuttavia, tali considerazioni non hanno mai portato a un obbligo formale di studio di sostenibilità militare. La protezione del Ponte da minacce, inclusi atti terroristici o mafiosi, è stata oggetto di dibattito. Negli anni 2000, si parlava di un possibile dispiegamento di forze armate e servizi segreti per presidiare i cantieri e l’opera finita, ma senza dettagli su piani concreti o un riferimento a uno studio militare obbligatorio. Parliamo di tanto, tanto tempo fa. Ma oggi cosa si fa? Il progetto attuale del Ponte sullo Stretto, rilanciato dal governo Meloni, si concentra principalmente su aspetti ambientali, sismici, economici e infrastrutturali. La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) del Ministero dell’Ambiente, approvata a novembre 2024 con 60 prescrizioni, non menziona esplicitamente la necessità di uno studio di sostenibilità militare. Le normative vigenti, come il Decreto Legislativo 36/2023 sul Codice degli Appalti, e le procedure di approvazione del progetto (ad esempio, tramite il CIPESS) non includono un requisito obbligatorio per uno studio militare. L’attenzione è posta su valutazioni tecniche, ambientali e socio-economiche, come l’analisi costi-benefici e la sostenibilità idrica dei cantieri. Tuttavia, data l’importanza strategica dell’opera, che rientra nei corridoi TEN-T europei per migliorare coesione, efficienza e sostenibilità dei trasporti, è plausibile che il Ministero della Difesa possa essere coinvolto in fasi successive, ad esempio per pianificare la sicurezza dell’infrastruttura una volta operativa. Questo potrebbe includere valutazioni su sistemi di difesa o protezione, ma non necessariamente uno studio di sostenibilità militare formale. Ma non è il caso allora che le forze politiche e le associazioni No Ponte richiedano specificazioni di ordine militare in fase di approvazione del progetto definitivo del Ponte? Le associazioni ambientaliste e alcuni critici, come il Partito Democratico, hanno sollevato dubbi sulla completezza delle valutazioni del progetto, ma nessuno ha menzionato esplicitamente la necessità di uno studio militare. Il focus delle critiche rimane sugli impatti ambientali, sismici ed economici. Alcuni osservatori ritengono che un’analisi militare potrebbe essere rilevante in un’area come lo Stretto di Messina, strategicamente importante per il Mediterraneo, ma ciò dipenderebbe da decisioni politiche e dalle priorità di sicurezza nazionale, non da un obbligo normativo. Allo stato attuale, pertanto, non è necessario né obbligatorio uno studio di sostenibilità militare del Ponte sullo Stretto di Messina da parte del Ministero della Difesa, sulla base delle normative e delle procedure in corso. Tuttavia, considerazioni militari potrebbero emergere in futuro, soprattutto in relazione alla sicurezza dell’opera, ma sarebbero probabilmente gestite come parte di un più ampio piano di protezione delle infrastrutture strategiche, senza richiedere uno studio dedicato. Per conferme definitive, si potrebbe consultare la documentazione ufficiale sul sito del Ministero dell’Ambiente o della Società Stretto di Messina.
Cooperazione “sbilenca” Italia-Somalia: cessione di blindati militari in disuso
 Lo scorso 2 aprile le Commissioni Affari esteri e Difesa della Camera dei deputati hanno espresso parere favorevole alla proposta del governo di cedere a “titolo gratuito” materiale di armamento alle forze armate e di polizia della Repubblica federale di Somalia. Lo schema di decreto interministeriale era stato trasmesso in Parlamento il 24 febbraio. “Scopo del provvedimento è quello di rafforzare la collaborazione e la cooperazione tra l’Arma dei carabinieri e le Forze di polizia somale, nel quadro delle attività di collaborazione e di sostegno alle istituzioni locali”, vi si legge. Al decreto è stata allegata una relazione del Reparto “Logistica e Infrastrutture” dello Stato Maggiore della Difesa (datata 25 giugno 2024) che fornisce alcune informazioni sulle sempre più consolidate relazioni politico-militari tra Italia e Somalia. “Il Governo della Repubblica Italiana e il Governo Federale della Repubblica di Somalia hanno sottoscritto a Roma il 17 settembre 2013 un Accordo di Cooperazione Generale in materia di Difesa”, spiegano i vertici militari. “Tale Accordo è entrato in vigore il 25 luglio 2016, a durata illimitata ed è finalizzato ad incrementare la collaborazione tra le Forze armate, consolidando le rispettive capacità difensive e migliorando la comprensione reciproca sulle questioni della sicurezza”. Nello specifico l’Accordo di Cooperazione prevede lo scambio di materiali militari “quale contributo ad accrescere l’interoperabilità fra i rispettivi dispositivi di polizia”. In tale ambito il governo italiano si è fatto carico di cedere “gratuitamente” alle forze armate di Mogadiscio sei blindati tattici VM-90P, già in dotazione all’Arma dei Carabinieri. “Il VM-90 è un veicolo multiruolo 4x4 con elevata mobilità sulla viabilità ordinaria e su terreni accidentati, su fondo anche cedevole e con scarsa aderenza, largamente impiegato soprattutto per attività tattico–logistiche”, spiega lo Stato Maggiore. I veicoli da guerra sono stati prodotti dagli stabilimenti di Iveco Defence Vehicles S.p.A. (sede principale a Bolzano); possono trasportare personale fino a un massimo di sei persone e sono omologati per viaggiare per via aerea, terrestre e marittima. “La protezione fornita dai VM-90 è normalmente classificata su livelli che vanno dal B1, con un livello base legato al rischio di criminalità metropolitana, fino ad arrivare al B7, il massimo della blindatura contro le minacce di azioni terroristiche”, aggiunge lo Stato Maggiore. Ma sono davvero uno strumento bellico efficiente i sei blindati Iveco ceduti alle forze armate somale? A leggere gli ulteriori passaggi della relazione dei vertici militari italiani sembrerebbe proprio di no. “I veicoli VM-90P sono obsoleti per cause tecniche in quanto, essendo entrati nel ciclo logistico nel periodo 1996-2004, appartengono ad un segmento di parco vetusto che oggi presenta elevati oneri manutentivi e limitate possibilità di impiego nei moderni scenari di crisi sia dentro sia, soprattutto, fuori dal territorio nazionale”, annota lo Stato Maggiore. La “vetustà” dei blindati aveva indotto le forze armate italiane a perseguire un dispendiosissimo programma di acquisizione di una nuova generazione di veicoli tattici leggeri multiruolo, i VTLM Lince, “più performanti e sicuri”. “Con il passare del tempo – si spiega - i citati VM-90P sono transitati in extra-organico rispetto all’esigenza dell’Arma e, difatti, sono stati già dichiarati fuori servizio dall’ispettorato logistico dell’Arma dei Carabinieri”. Nel 2020 il governo italiano aveva ceduto alle autorità di Mogadiscio due blindati della stessa tipologia. Nello stesso anno erano stati consegnati pure 200 scudi quadrati marca Mirafan, 200 caschi con maschera marca Protos e 50 scudi tondi, “non più rispondenti alle esigenze di impiego operativo dei Carabinieri”. “La cessione dei blindati VM-90P si inserisce nel quadro del crescente impegno della Difesa italiana a supporto del processo di capacity building della Somalia”, spiega il Governo nello schema di decreto sottoposto alle due Camere il 24 febbraio 2025. “E’ in corso di revisione il Somali National Security Architecture (SNSA), programma di riordino del settore sicurezza che prevede l’integrazione delle milizie regionali nelle Forze di Sicurezza federali e che è orientata, da un punto di vista politico-militare, all’adozione di azioni mirate principalmente alla salvaguardia dell’unità, della sovranità e della sicurezza nazionale, con focus sul contrasto dei gruppi insorgenti armati”. Obiettivo chiave del programma è quello di incrementare l’organico delle forze d’élite somale di almeno 30.000 unità, “escluse le Forze Speciali addestrate da USA e Turchia”. La Relazione predisposta dallo Stato Maggiore ed allegata allo schema di decreto delinea un quadro della situazione in Somalia caratterizzato “da elevata volatilità a partire dalla fine del 1991, quando fu rovesciato il Presidente Siad Barre”. “La Somalia rientra, infatti, tra i c.d. failed State, ovvero tra gli Stati in cui nessuna entità governativa è capace di esercitare il monopolio dell’uso legittimo della forza sull’intero territorio”, spiegano i vertici militari. “L’instabilità della Somalia è a sua volta la principale causa endogena di instabilità regionale del Corno d’Africa, a causa prevalentemente del terrorismo, dell’attivismo di organizzazioni criminali a carattere transnazionale e del fenomeno della pirateria, che, sebbene notevolmente ridimensionato negli ultimi anni, costituisce comunque fattore di minaccia sempre presente”. “La crisi nel Corno d’Africa risulta quindi legata a doppio filo alla stabilità futura della Somalia – dove da gennaio 2025 la nuova missione a guida dell’Unione Africana AUSSOM è destinata a sostituire ATMIS – a seguito dell’entrata dell’Egitto nella partita del Corno, con il rischio di ulteriori preoccupanti tensioni, qualora Mogadiscio dovesse richiedere formalmente la sostituzione del contingente etiopico, attualmente quello numericamente prevalente nella missione, con quello egiziano”. In tale scenario lo Stato Maggiore della Difesa chiede un maggiore coinvolgimento italiano e delle istituzioni europee in Corno d’Africa, soprattutto nell’addestramento delle forze armate della Repubblica Federale della Somalia. “Oltre alla missione europea EUTM Somalia, operano in territorio somalo anche altri Paesi che conducono attività addestrative/formative in favore delle forze armate locali (tra questi, in particolare, USA, Regno Unito e Turchia”, ricordano i vertici militari. “In tale contesto, l’Italia è uno dei Paesi più attivi, oltre che con la partecipazione alle missioni dell’UE (EUTM Somalia, EUCAP Somalia ed EUNAVFOR Atalanta), anche attraverso la Missione Bilaterale di Addestramento delle Forze di Polizia somale e gibutiane (MIADIT), con sede a Gibuti, volta a favorire la stabilità e la sicurezza della Somalia e dell’intera regione”. Al rafforzamento della presenza militare italiana in Corno d’Africa non potrà che seguire la crescita delle esportazioni di armi e munizioni al governo di Mogadiscio. “In tale contesto, le Autorità somale hanno già rappresentato ufficiosamente le loro aspettative nei confronti dell’Italia per un maggior contributo in termini di mezzi (sia terrestri che marittimi), sistemi d’arma ed equipaggiamenti militari”, conclude lo Stato Maggiore italiano. Un impegno ad accrescere gli “aiuti militari” alla Somalia era stato assicurato dal ministro della difesa Guido Crosetto in occasione della visita in Italia del Presidente della Repubblica Hassan Sheikh Mohamud e del ministro Mohamed Nur Abulkadir (10 febbraio 2023). “La Somalia ha il confine marino più lungo dell’Africa, ma è anche la porta dell’Africa: abbiamo ragionato quindi sulla possibilità di aumentare gli aiuti nel settore marittimo per il contrasto alla pirateria trainando anche l’Europa e la NATO in quest’area di interesse strategico”, dichiarò Crosetto. Prima di lasciare Roma, il presidente Mohamud e il ministro Abulkadir parteciparono al convegno dal titolo “Italia, Somalia. Una relazione speciale”, presenti pure i ministri Antonio Tajani e Matteo Piantedosi. Ad organizzarlo la Fondazione Leonardo Med-Or, istituita dall’azienda leader del comparto militare-industriale, Leonardo SpA, e presieduta dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti (Pd). Articolo pubblicato in Africa ExPress il 17 aprile 2025, https://www.africa-express.info/2025/04/17/cooperazione-sbilenca-italia-somalia-cessione-di-blindati-tattici-in-disuso/
Il Ponte sullo Stretto "opera strategica per il trasferimento delle forze armate NATO". Lo dice il governo. Ma è l'ennesima minkiata
"La disponibilità di un’infrastruttura strategica come quella del Ponte sullo Stretto, una volta posta nella sua piena funzionalità, potrebbe contribuire ad elevare notevolmente i livelli di efficienza ed efficacia dei processi organizzativi e funzionali di safety e security". Ad affermarlo il Consiglio dei ministri guidato dal duo Meloni-Salvini, nella recentissima delibera "IROPI" sulle “motivazioni imperative di rilevante interesse pubblico” che giustificherebbero la Mega Opera. "L’Unione Europea ha sviluppato il Military Mobility Action Plan per rafforzare la capacità di spostamento rapido delle truppe all’interno del continente", aggiunge il governo. "Il Ponte sullo Stretto si inserirebbe perfettamente in questa strategia, fornendo un’infrastruttura chiave per il trasferimento delle forze NATO dal Nord Europa verso il Mediterraneo". Inutile dire che si tratta dell'ennesima bufala governativa per accreditare di fronte all'opinione pubblica e tra qualche disattento Commissario europeo la "sostenibilità" militare del Mostro sullo Stretto. Ad oggi però non esiste nessuno straccio di documento NATO e/o UE che ritenga il Ponte utile per la mobilità di uomini, mezzi ed armamenti. Di contro tra gli oltre 500 progetti finanziati dalla Commissione europea nell'ambito del Military Mobility Action Plan (per rendere compatibile - dual use - la rete trasportistica esistente al transito militare) solo tre hanno riguardato l'Italia: un piccolo ponte sull’autostrada A7 che collega Milano con Genova (Serravalle); una breve tratta dell'asse ferroviario che dalla valle Scrivia arriva al porto di Genova; un altro breve nodo ferroviario di collegamento al porto di La Spezia. La NATO e il Comando delle forze armate USA in Europa pensano invece di potenziare il trasporto militare sul cosiddetto "fianco sud" per via aerea e marittima: è per questo che sono stati avviati i dispendiosissimi progetti di potenziamento delle grandi basi navali di Taranto, Brindisi e Augusta (Siracusa) e dello scalo aeroportuale di Sigonella, dove sono in corso i lavori di estensione delle piste per consentire l'atterraggio e il decollo dei grandi aerei cargo e dei velivoli tanker per il rifornimento in volo. Vogliamo inoltre ricordare che da oltre 15 anni chiediamo inutilmente che la Stretto di Messina SpA e il governo forniscano tutti i documenti in possesso sui rilievi (dovuti per legge) sulla reale sostenibilità e "difendibilità" del Ponte in caso di conflitto o attentati terroristici, a firma delle forze armate e dello Stato Maggiore della Difesa. A noi risulta - e non siamo mai stati smentiti in nessuna sede - che tali rilievi sarebbero tutt'altro che positivi e benevoli. Il Ponte non è dunque militarmente strategico. Di contro l'avvio dei lavori di costruzione accelererà i dirompenti processi di militarizzazione in atto in Sicilia e nel sud Italia, contribuendo all'affermazione dello Stato di guerra e alla cancellazione delle libertà individuali e dei diritti di espressione e opposizione.
25 APRILE 25 – CONTRO IMPERIALISMO E GUERRA
Ci avviciniamo a celebrare l’80esimo anniversario della liberazione dal nazi-fascismo immersi in un’atmosfera da fine del mondo. Se non fosse bastata la promessa distruttiva della crisi ecologica in cui siamo immers*, con la sindemia del covid come trauma collettivo già quasi-rimosso, la guerra aperta è nuovamente esplosa anche nella “pacifica” Europa. Sappiamo bene che per i popoli e per le soggettività oppresse, così come per le lavoratrici e i lavoratori, la guerra, nelle sue forme più esplicite delle bombe in Palestina o in quelle meno dichiarate come femminicidi, transicidi, morti sul lavoro o in mare, non si era mai fermata.  Al contempo però assistiamo ad un cambio di paradigma, esemplificato dai discorsi intorno alla guerra guerreggiata, dal via libera al riarmo come unica soluzione per salvarci dalla barbarie, dal riaccendersi dei nazionalismi e dalle guerre commerciali. Eppure, di fronte all’intensificarsi del genocidio in Palestina, all’aumento vertigionoso delle spese in armamenti in Europa e nel mondo, alla violenta repressione del dissenso che, partendo dagli USA di Trump e passando per la “democratica” Germania, arriva fino alla fascistissima Italia, non è il momento di abbandonarci allo sconforto nè di soccombere alla disillusione. Il macro della geopolitica estera si riflette e rafforza nel micro delle nostre vite e dei quartieri in cui viviamo come nodi in tensione da cui rispondere, opporsi e resistere, soprattutto quando la sospensione totale di qualsiasi forma di democrazia si rende evidente. Ci scontriamo infatti con disuguaglianze di classe sempre più amplificate, le stesse che rendono impossibile a moltx avere una casa ed arrivare a fine mese nonostante un contesto urbano colmo di spazi abbandonati lasciati a marcire. Le città che abitiamo si rivelano divise in frontiere interne che separano i quartieri  “riqualificati”, accessibili a poch*, da quelli “indecorosi”, raccontati come pericolosi attraverso le famose “zone rosse” fino a rendere di nuovo legittimi e desiderabili luoghi di confine e tortura come le carceri e i cpr. Nel clima di guerra diffuso, non sono solo le fasce più marginalizzati a subire il neofascismo, siamo tutt noi, perché i tagli all’istruzione, alla ricerca, alla salute pubblica, ai centri antiviolenza hanno effetti reali sui corpi senza distinzioni, seppur con differenti gradi di severità. In questo meccanismo stratificato, la guerra si presenta come realtà pronta a riscrivere i presupposti di ulteriori divisioni sociali, nuovi sommersi e salvati mentre si allarga la fascia di persone e corpi sacrificabili. Se la confusione è grande sotto il cielo, il momento non è certo eccellente, eppure il mondo è lungi dall’essere pacificato: in Palestina il movimento di resistenza palestinese affronta con determinata ostinazione il tentativo di cancellazione del loro popolo, negli Stati Uniti studentesse e studenti infiammano le università sfidando l’ira repressiva del governo repubblicano, mentre dal Chiapas arriva l’appello a costruire “il giorno dopo” della tempesta capitalista. IL 25 aprile ci pare allora quanto mai attuale, nel suo interrogarci in maniera urgente, non solo oggi ma nelle lotte che animiamo tutti i giorni: di fronte alle crisi del mondo che conosciamo, con i suoi immancabili risvolti violenti e sanguinari, da che parte stiamo? Quali responsabilità, individuali e collettive, ci chiamano all’azione? Ieri come oggi, resistere rimane per noi una postura necessaria quanto diversificata nella molteplicità di pratiche, forme e idee disposte a contrastare imperialismi e fascismi vecchi e nuovi. Che sia nell’opporsi a progetti estrattivi ed ecocidi tramite sabotaggi e picchetti, occupando fabbriche e rivoluzionando gli assetti produttivi in chiave anti-capitalista, dis-armando una guerra contro le donne e le soggettività non conformi al mito patriarcale e alle sue soluzioni punitive e securitarie. Smontando il mito del progresso e della pace basate su violenza e sfruttamento lontano dai nostri occhi. Resistiamo e ci organizziamo nella lotta liberando spazi e menti, salvando il desiderio di un’alternativa rispetto a un mondo in fiamme, occupando case, palazzi, quartieri e università per dar spazio a nuove forme del sociale, di alleanze e di solidarietà nelle lotte di ciascun contro nemici comuni, perchè nessunx rimanga solx.  Oggi, dopo 80 anni, siamo qui per ricordare, e per non dimenticare mai, il costo della nostra libertà e la sua necessità, uno sforzo continuo da compiere insieme, giorno dopo giorno. Sarà un giorno di festa e di lotta, vogliamo passarlo con l* nostr* compagn*, sicur* che le nostre strade si incontreranno ancora e spesso nei tempi prossimi di resistenza.  Fino alla rivoluzione ★ PROGRAMMA ★ 
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25 aprile
Le carriere nelle forze armate USA e NATO per i dodicenni delle scuole siciliane
Studenti under 12 a lezione di carriere militari in Italia, Stati Uniti d’America e partner NATO. Dove? In un Istituto comprensivo di Palagonia, piccolo comune della provincia metropolitana di Catania. La mattina di mercoledì 12 marzo, nell’aula magna dell’IC “Gaetano Ponte” si è tenuto l’incontro dal titolo “USA e Italia: Carriere militari a confronto”, a cui hanno partecipato gli alunni delle prime due classi della scuola secondaria di primo grado. “L’evento promosso dall’Ufficio Comunicazione e Stampa della Base USA NAS Sigonella -– si legge nella circolare della dirigente Grazia Poma -  si inquadra nell’ambito del programma di socializzazione, buon vicinato e volontariato Community Relations che lega la comunità militare americana alle  comunità siciliane presso le quali sono state effettuate negli anni, da parte dei militari americani, diverse iniziative di volontariato civico e linguistico culturale presso le scuole comunali dell’isola”. Focus dell’incontro, quello di “mettere a confronto le varie carriere militari e scoprire differenze e punti in comune tra le diverse culture”. Hanno preso parte in qualità di formatori-relatori alcuni rappresentanti delle forze armate USA di stanza nella grande aerostazione militare di Sigonella e graduati della Polizia di Stato, dell’Aeronautica militare italiana, della Marina, del Comando dei Carabinieri, dell’Esercito e della Guardia di Finanza. “L’evento si propone non solo di dare voce al personale in uniforme, ma anche di sottolineare l’importanza del loro contributo in un settore tradizionalmente dominato dagli uomini”, scrive ancora la dirigente scolastica. “I protagonisti condivideranno la loro esperienza, che va ben oltre il ruolo di militari: raccontando sfide, sacrifici e vittorie, esploreranno anche il lato umano di una carriera che implica resilienza, determinazione e un forte senso del dovere”. Un report sullo svolgimento dell’evento è stato pubblicato sul sito internet ufficiale della scuola di Palagonia. Si riallacciano i rapporti tra l’istituto comprensivo “G. Ponte” ed i militari della NAS di Sigonella, il titolo. “I militari USA sono stati ospiti, insieme alle forze armate italiane, dell’evento svoltosi nell’aula magna. Sono intervenuti i rappresentanti della NAS Sigonella appartenenti a diverse forze armate: la U.S. Navy, la U.S. Air Force e la U.S. Army. I militari U.S. Army che la U.S. Air Force presenti alla conferenza, fanno parte del contingente NATO”. “A questo scambio culturale hanno preso parte tutti gli alunni delle classi prime ed alcuni alunni delle classi seconde della scuola secondaria di primo grado”, si legge ancora. “Essendo la nostra una scuola ad indirizzo musicale, si è scelto di aprire l’evento con l’esecuzione al pianoforte del brano Nuvole Bianche a cura di un’allieva di classe terza. A seguire sono stati intonati gli inni nazionali, italiano e statunitense che, seguiti dall’allegro sventolio delle bandierine, hanno segnato ufficialmente l’inizio della conferenza”. “I militari americani ed italiani hanno raccontato la loro esperienza professionale che riguarda i campi dell’aviazione, della polizia militare e del settore amministrativo. C’è stata una bella interazione tra le due parti, mettendo a confronto le tradizioni e i diversi tipi di arruolamento. Per quanto riguarda il sistema americano, si è parlato delle varie motivazioni che li spinge ad arruolarsi: motivi professionali, la possibilità di viaggiare e scoprire il mondo e, non ultimi, i vantaggi offerti dalle forze armate americane per finanziare l’istruzione e garantire l’assistenza medica. I militari italiani hanno invece illustrato le specifiche del loro lavoro, spesso sconosciute agli adolescenti, permettendo così di comprendere pienamente il valore di indossare una divisa e aprendo loro l’immaginario di un possibile sbocco lavorativo a servizio della comunità e del Paese”. Moderatore della lezione pluri-arma binazionale, il dottore Alberto Lunetta, responsabile dell’Ufficio relazioni esterne del Comando US Navy di stanza a Sigonella. Presenti in sala, accanto ai piccoli alunni, i responsabili delle associazioni locali “AVAP” ed “Insieme a Marianna”, del Rotary International Distretto 2110 Sicilia–Malta e il dirigente dell’Istituto Comprensivo Statale “Giovanni Blandini” di Palagonia, Antonino Fabio Marco Laudani. Grande la soddisfazione espressa dalla preside del “Gaetano Ponte” a conclusione dell’incontro. “Siamo pronti ad ospitare nuovamente giornate di questo tipo per arricchire ed allargare gli orizzonti degli allievi della scuola”, ha dichiarato la prof.ssa Grazia Poma. La militarizzazione a stelle e strisce delle aule dell’Isola sembra purtroppo proseguire inarrestabile…     Articolo pubblicato in Stampalibera.it l’8 aprile 2025,  https://www.stampalibera.it/2025/04/08/le-carriere-nelle-forze-armate-usa-e-nato-per-i-dodicenni-delle-scuole-siciliane/
Si ripara ad Augusta (Sicilia) grande unità da guerra della Marina libica
Sulle forze armate navali libiche si è scritto di tutto e di più, specie in tema di violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani. Fanno la sporca guerra alle migrazioni nel Mediterraneo: assaltano le imbarcazioni dei migranti per poi deportarli in orribili prigioni-lager e mitragliano le navi delle organizzazioni umanitarie che soccorrono i barchini a rischio naufragio. Ciononostante le unità libiche e i suoi equipaggi sono ospiti graditi e riveriti degli alti comandi della Marina Militare italiana. Lo staff generale delle forze navali di Tripoli ha annunciato l’invio in Italia della nave da sbarco “Ibn Al-Haritha”. Essa sarà sottoposta a lavori di manutenzione in un cantiere navale “nell’ambito dell’accordo di cooperazione tra le marine militari libica e italiana”. L’unità da guerra ha lasciato il porto di Tripoli giovedì 13 marzo per approdare la mattina del giorno successivo nella grande base navale di Augusta (Siracusa).  “L’operazione di attracco di poppa è stato eseguito con successo, a riprova dell’alta efficienza, della distinta perizia e della professionalità del personale delle forze libiche nello svolgimento delle manovre navali”, riporta con malcelata enfasi la testata giornalistica di Tripoli, Almenassa. “Gli ufficiali della Marina militare italiana che hanno ricevuto l’unità nella base navale di Augusta hanno lodato il risultato”. Con un dislocamento di 1.150 tonnellate e una lunghezza di 81,3 metri, l’unità da sbarco “Ibn Al-Haritha” venne acquistata in Polonia dal governo libico del colonnello Gheddafi a metà anni ottanta. Realizzata nei cantieri navali di Danzica, la “Ibn Al-Haritha” fu poi sottoposta a lavori di manutenzione e rinnovamento dei motori in un cantiere navale croato nel 2009. L’unità uscì indenne dalla campagna di bombardamenti NATO contro la Libia nel 2011; oggi viene impiegata dalla Marina libica come nave appoggio, da sbarco e trasporto di uomini e mezzi militari. Unità della stessa classe sono impiegate in Europa orientale anche per il “supporto di fuoco” alle truppe schierare sul fronte terrestre, con l’impiego di cannoni e sistemi di lancio multiplo di missili a corto raggio superficie-aria. Non è la prima volta che navi da guerra libiche sono ormeggiate nella grande base navale siciliana. In occasione dell’esercitazione multinazionale “Searborder”, tenutasi nelle acque di Augusta dal 18 al 25 settembre 2023, era presente pure un’imbarcazione della Libia libica a fianco di altre sette unità e 3 assetti appartenenti ad altri paesi nordafricani (Algeria, Marocco e Tunisia) e a Francia, Spagna, Malta ed Italia (presente pure un team di fucilieri della brigata marina San Marco di Brindisi). I war games aeronavali furono organizzati nell’ambito delle attività di formazione e sorveglianza marittima previste dall’accordo di collaborazione “5+5” siglato a Parigi il 21 dicembre 2004, dai ministri della Difesa dei Paesi delle due sponde del Mediterraneo Occidentale: Francia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna, Algeria, Libia, Mauritania, Marocco e Tunisia. “L’esercitazione Searborder ad Augusta ha incluso un aspetto teorico con letture e workshop sulla conduzione delle attività di navigazione, mentre l’aspetto pratico ha visto lo svolgimento di operazioni di ricerca e salvataggio, interventi contro navi sospette, manovre marittime, combattimento contro un gruppo terroristico, protezione di una nave, mostra di formazioni navali a visitatori VIP ed esercitazioni addestrative notturne per ufficiali dell’intelligence”, ha spiegato a conclusione delle manovre ad Augusta il Capo di Stato Maggiore della marina militare libica. Articolo pubblicato in Stampalibera.it l’8 aprile 2025, https://www.stampalibera.it/2025/04/08/si-ripara-ad-augusta-sicilia-grande-unita-da-guerra-della-marina-libica/?fbclid=IwY2xjawJowBNleHRuA2FlbQIxMQABHkY5NEA-zpjo6wXu3kzoVk8a5dQMNeGSV1Op8W2TNjUgr1dZU8bSlkTfgUdC_aem_zyvDYBK1ph0lRARShOm48g  
L’Italia invia materiale d’armamento “obsoleto” alle forze armate del Niger
La cooperazione del governo italiano con il continente africano? Solo regali di armamenti obsoleti ai regimi golpisti. Le Commissioni Difesa ed Esteri dalla Camera dei deputati hanno espresso parere favorevole (a maggioranza) allo schema di decreto trasmesso il 25 febbraio scorso dal governo Meloni-Crosetto-Tajani, concernente la cessione “a titolo gratuito” di materiale d’armamento a favore delle forze armate del Niger. Nello specifico si tratta di 220 paracadute modelli T10-C e T10-R MIRPS che saranno impiegati per i “lanci massivi” delle truppe d’élite nigerine. Valore delle attrezzature militari 500.000 euro. “I materiali oggetto della cessione sono obsoleti in quanto l’Esercito ha già avviato un programma che ne prevede la sostituzione con il sistema paracadute EPC (Ensemble de Parachutage du Combattant) che entrerà a pieno servizio nei prossimi mesi”, spiegano le autorità italiane. L’articolo 311 del Codice dell’ordinamento militare, entrato in vigore nel 2010, consente al Ministero della Difesa la consegna di “materiali non d’armamento, dichiarati fuori servizio o fuori uso, a Paesi in via di sviluppo e Paesi partecipanti al Partenariato per la Pace, nell’ambito dei vigenti accordi di cooperazione”. Stavolta il “dono” è però diretto a un paese partner governato da oltre 20 mesi da una giunta militare (il Consiglio Nazionale di Salvaguardia della Patria) che ha deposto con un golpe il presidente legittimamente eletto, Mohamed Bazoum. Fa davvero i salti mortali lo Stato Maggiore per giustificare la cessione di materiali d’armamenti alle forze armate di uno Stato africano ormai inviso alle cancellerie occidentali, Francia e Stati Uniti d’America in testa. “Il Niger è tra gli ultimi paesi al mondo secondo l’indice di sviluppo umano dell’ONU, con inconsistenti servizi sociali erogati dallo Stato e il minimo dei fondi allocati allo sviluppo”, si legge nella Relazione predisposta dai vertici militari italiani, allegata allo schema di decreto. “Più dell’80% della popolazione vive nelle zone rurali del Sud del Paese e quasi il 40% del PIL dipende dal settore primario (agricoltura e pastorizia). L’età media è tra le più basse al mondo (15,2 anni) mentre il 40% circa dei bambini vive in condizioni di malnutrizione e poco più del 50% della popolazione ha accesso all’acqua potabile”. Dopo il preambolo ipocritamente umanitario, lo Stato Maggiore spiega le ragioni di tipo strategico-militare per cui l’Italia è chiamata a sostenere la giunta golpista: “L’estremo nord del Niger – che confina con Algeria, Libia e Ciad – è una zona desertica, di difficile controllo statuale. Si tratta di un’area di grande importanza per la sicurezza nazionale e internazionale, poiché rappresenta rilevante snodo logistico per lo scambio di armi e per i traffici illeciti, utilizzato dalle organizzazioni terroristiche operanti nel Sahel, prima fra tutte AQIM (Al-Qaida nel Maghreb Islamico)”. Pur consapevole delle violazioni del diritto internazionale perpetuate dai nuovi padroni di Niamey, con un contorto valzer machiavellico la Difesa italiana spiega perché sia necessario restare nel martoriato paese africano. “L’onda lunga del golpe del 26 luglio 2023 ha avuto ripercussioni che vanno ben oltre i confini del Niger ed ha aperto una situazione di crisi lunga e complessa, ancora lungi dall’essere risolta”, aggiunge lo Stato Maggiore. “La giunta militare ha sospeso la Costituzione entrata in vigore nel 2010 e, successivamente, ha deciso l’uscita del Niger dalla CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), ritenuta troppo influenzata della Francia”. Sempre in dissenso con Parigi, la giunta golpista ha pure ordinato la chiusura delle missioni militari EU (EUMPM ed EUCAP). “Interagendo con dinamiche regionali e globali, il golpe di Niamey ha contribuito ad accelerare il processo di frammentazione e polarizzazione degli stati dell’Africa occidentale, inaugurato dai precedenti golpe militari in Mali (agosto 2020 e maggio 2021) e Burkina Faso (gennaio e settembre 2022)”, lamentano i vertici militari italiani. “Mali, Burkina Faso e Niger hanno avviato una convergenza politica e militare, denominata Alleanza degli stati del Sahel (Aes), annunciando parallelamente l’intenzione di abbandonare la storica organizzazione regionale Ecowas, di cui sono stati membri fin dalla fondazione nel 1975”. A ciò è seguito il “precipitoso ritiro” delle truppe francesi dal Niger e, il 18 marzo 2024, “l’invito senza preavviso” della giunta di Niamey alle truppe degli Stati Uniti d’America di abbandonare il paese. “Nel frattempo, dal 10 aprile 2024 sono arrivate a Niamey le prime truppe russe”, allerta lo Stato Maggiore. “Nonostante la modesta entità del contingente, per ora dislocato presso l’aeroporto della capitale e con limitata proiezione sul territorio, non è da escludere che possa trattarsi dell’avanguardia di un nuovo partneriato strategico con Mosca mutuato sull’esempio del Mali”. “Mentre il quadro regionale di alleanze resta fluido, gli analisti segnalano il progressivo inasprimento delle relazioni bilaterali fra gli stati del Sahel centrale afferenti a Aes da una parte, e i loro vicini della fascia costiera affacciata sull’oceano Atlantico, dall’altra. In particolare, l’esacerbarsi delle tensioni fra Niger e Benin, fra Burkina Faso e Costa d’Avorio, fra Mali e Mauritania, lascia presagire il rischio di un’ulteriore destabilizzazione di una regione già segnata dall’avanzata dei gruppi terroristi d’ispirazione jihadista, dal radicamento della criminalità transnazionale organizzata, e dall’impatto del riscaldamento globale”. Lotta al terrorismo, alle migrazioni, ai traffici di droga, ai cambiamenti climatici, eccetera, eccetera, ed ecco allora le “ragion di Stato” per cui l’Italia, unico Paese occidentale “ancora presente e gradito” in Niger debba continuare a fare da “interlocutore privilegiato” del governo militare. “La cessione di materiale d’armamento ha lo scopo di rafforzare la collaborazione e la cooperazione tra le Forze Armate italiane e le Forze Armate nigerine”, spiegano militari e governo. “L’attività si inquadra nell’ambito dell’attività di sostegno alle istituzioni nigerine e avviene nell’ottica di accrescere l’interoperabilità tra i rispettivi dispositivi, premessa indispensabile per operare congiuntamente e sinergicamente nelle varie situazioni di crisi”. Italia e Niger hanno sottoscritto il 26 settembre 2017 un Accordo di Cooperazione Generale in materia di Difesa, entrato in vigore il 30 agosto 2019. Un anno prima, nel 2018, aveva preso il via la “Missione Bilaterale di Supporto in Niger (MISIN)”, con area geografica di intervento allargata anche a Mauritania, Nigeria e Benin, al fine di “incrementare le capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza”. La missione MISIN prevede l’impiego annuale in Niger fino a un massimo di 500 militari, 100 mezzi terrestri e 6 mezzi aerei italiani. I reparti d’eccellenza dell’Esercito e dell’Arma dei Carabinieri svolgono principalmente attività di formazione e addestramento delle unità nigerine. Ad oggi sono stati realizzati oltre 400 corsi e formati più di 11.000 militari in vari ambiti. Dal 9 marzo 2021 è stata concessa all’Italia a titolo gratuito e fino al termine della missione, una porzione di terreno all’interno dell’aeroporto di Niamey (lo stesso dove opera il contingente russo), nonché ulteriori facilities. Come enfatizza lo stesso Ministero della Difesa, la “massima espressione” della cooperazione militare con il regime di Niamey è rappresentata dalla “più grande campagna lanci mai condotta in Niger”: nei mesi di novembre e dicembre 2024, sono stati addestrati 150 nuovi parà nigerini in 754 operazioni di lancio. Quest’anno è previsto un ulteriore sviluppo delle attività di cooperazione bellica. “Il 27 gennaio 2025 MISIN ha dato avvio al nuovo ciclo addestrativo in favore delle forze armate nigerine”, spiega lo Stato Maggiore. “L’Italia impegnerà, nell’arco del 2025, numerosi teams di addestramento dell’Esercito per sviluppare corsi basici e avanzati, per il personale all’aviolancio di unità e materiali, alla condotta di operazioni fluviali e al Counter IED (contrasto di ordigni esplosivi improvvisati, nda). Inoltre, sono stati avviati i primi corsi con l’impiego di teams dell’Arma dei Carabinieri per la formazione nei settori delle tecniche di investigazione e di intervento operativo”. Il 20 febbraio è giunto in visita ufficiale in Niger il nuovo Capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Luciano Portolano. “Le attività di MISIN sono di fondamentale importanza in quanto l’addestramento, la consulenza, l’assistenza, il supporto e mentoring a favore delle Forze di sicurezza e delle istituzioni governative nigerine contribuiscono ad aumentare le capacità e l’autonomia del Paese nella sorveglianza delle frontiere, nel controllo del territorio e nel contrasto ai fenomeni illeciti”, ha spiegato Portolano. Nel corso della sua visita a Niamey, il Capo di Stato Maggiore ha annunciato l’avvio dei progetti per equipaggiare le unità locali addestrate con barchini per il controllo dei movimenti lungo il fiume Niger ed elicotteri da trasporto medio AB412 (produzione di Leonardo SpA) per il controllo del territorio. Anche nel corso della precedente legislatura le Camere avevano espresso parere favorevole alla cessione “a titolo gratuito” di materiali d’armamento al Niger. Allora si trattò di 250 giubbetti antiproiettile per addestramento, 250 elmetti in kevlar, 10 caschi balistici, 8 tute antiframmento, 2 kit corazzato per tuta antiframmento e 10 contenitori per tuta antiframmento. Tutto il materiale era già presente in Niger perché utilizzato per l’addestramento del personale nigerino nell’ambito delle attività MISIN. “I giubbetti antiproiettile e gli elmetti in kevlar risultano obsoleti a causa dell’impossibilità e della non economicità ad effettuare degli interventi di rispristino e di mantenimento delle caratteristiche prestazionali e di protezione originarie indispensabili per poterli impiegare per fini operativi”, riporta senza falsi pudori la relativa Relazione dello Stato Maggiore. “Le tute antiframmentazione RAV 501 risultano obsolete a causa della vetustà del materiale e della progressiva scadenza di validità della protezione balistica dei vari lotti che non hanno superato le prove per l’estensione della vita”. Ma il deserto del Niger è forse una discarica dove l’Italia può disperdere rifiuti di guerra a costo zero?   Articolo pubblicato in Africa ExPress il 7 aprile 2025, https://www.africa-express.info/2025/04/08/furbizia-italiana-armamenti-obsoleti-ai-regimi-golpisti-africani/
L’educazione alimentare nelle scuole siciliane? Con i marines sovrappeso di Sigonella
E’ epidemia obesità tra le forze armate degli Stati Uniti d’America ma sempre più scuole siciliane si affidano ai Marines della base di Sigonella per diffondere una “sana cultura alimentare” tra i propri studenti. E quando non sono i militari USA a recarsi negli istituti scolastici di ogni ordine e grado, sono gli alunni in gita a frequentare i fast food della grande infrastruttura di guerra alle porte della città di Catania. L’ultima lezione di “buona alimentazione” con i guerrieri a stelle e strisce si è tenuta venerdì 14 marzo 2025 all’Istituto Professionale di Stato per i Servizi di Enogastronomia e Ospitalità Alberghiera “Giovanni Falcone” di Giarre (CT). “Nell’ambito del progetto PTOF Chat with U.S. che prevede la collaborazione con il programma di volontariato linguistico, culturale e civico denominato Community Relations della Base Marina Militare Americana di Sigonella, si svolgerà un incontro linguistico-comunicativo con la dott.ssa Barbara Drobina”, riporta la circolare a firma della dirigente dell’Istituto, la professoressa Monica Insanguine. “L’incontro finalizzato all’interazione linguistica sulla tematica Healthy Nutrition: the Mediterranean diet, the Food Pyramid and Nutrients con attività appositamente programmate e sviluppate in preparazione all’incontro e vedrà coinvolte tutte le classi del corso di istruzione per adulti”. Ad accompagnare la dietologa nella scuola di Giarre il dottore Alberto Lunetta, responsabile “relazioni esterne” della Naval Air Station di Sigonella. Il 3 dicembre 2024 Barbara Drobina e Alberto Lunetta erano stati ospiti dell’Istituto Comprensivo Statale “Madre Teresa di Calcutta” di Belpasso (CT) per un incontro con gli alunni delle classi V delle elementari.  “Nell’ambito del programma di relazioni comunitarie della NAS Sigonella, noto come Community Relations, si terrà un incontro con la con la nutrizionista della base americana, dott.ssa Drobina, che offrirà una presentazione sulla sana alimentazione cui seguiranno domande degli studenti preparate nei giorni precedenti all’evento dagli alunni in classe”, scriveva in circolare la dirigente della “Madre Teresa di Calcutta”, Antonella Rapisarda. A conclusione dell’incontro con l’esperta di Sigonella, veniva pure organizzato un “momento conviviale” con i genitori intervenuti, con tanto di informazioni sull’offerta formativa per la scuola secondaria di primo grado per l’anno scolastico 2025/2026. Nella circolare dell’Istituto catanese era presente un breve curriculum professionale della dottoressa (già) in forza ai reparti dei Marines USA. “Capitano di vascello medico in congedo, la dott.ssa Barbara Drobina si è congedata dalla Marina Militare degli Stati Uniti nel 2019 dopo 22 anni di servizio”, vi si legge. “Ha conseguito una laurea in Nutrizione Umana e un master in Fisiologia dell’Esercizio, seguiti da una laurea in Medicina Osteopatica. Si è specializzata in chirurgia generale e medicina d’emergenza e ha ricoperto vari ruoli medici, tra cui Ufficiale Medico delle Forze Speciali della Marina e Ufficiale Medico Subacqueo”. In verità l’esperienza medico-militare della formatrice di tanti studenti siciliani è molto più articolata: la Drobina ha operato nelle più importanti basi di guerra della Marina negli Stati Uniti d’America (il Naval Medical Center Portsmouth, Virginia; l’Ospedale navale di Camp Lejeune, North Caroline; la Naval Air Station Jacksonville, Florida) e all’estero (oltre a Sigonella, la base aerea Al Taqaddum nei pressi di Baghdad e in Afghanistan), dove la “nutrizionista” è stata premiata con ben tre medaglie “d’onore” per i “servizi di guerra al terrorismo”. Alla capitana-medico (in congedo) di US Navy le scuole siciliane si rivolgono per approfondire pure tematiche relative al disagio giovanile, l’alcolismo e le tossicodipendenze. Il 22 aprile 2024, nell’ambito delle “attività linguistico interculturale svolte dai volontari americani della NAS Sigonella”, la Dobrino si è intrattenuta con gli studenti delle classi terze dell’Istituto di Istruzione Superiore “Marconi – Mangano” di Catania sull’uso e abuso delle sostanze alcoliche e stupefacenti, in compagnia dell’immancabile responsabile delle relazioni esterne USA, Alberto Lunetta. Quest’ultimo, nella duplice veste di funzionario di NAS Sigonella e presidente del club service “Rotary Catania Ovest” ha firmato due anni fa un “patto educativo di comunità” con l’Istituto Comprensivo “Cesare Battista” del popolare quartiere San Cristoforo di Catania. Attività clou del programma Community Relations di US Navy, l’incontro di “sensibilizzazione alla problematica della sopravvivenza delle api” con i bambini delle elementari e, con quelli delle medie, una lezione di Barbara Drobina su “sana alimentazione e corretti stili di vita” con “metodologia CLIL che prevede l’insegnamento di contenuti in lingua straniera”. Appare del tutto “indigeribile” che sempre più scuole siciliane deleghino a NAS Sigonella le attività di formazione ed educazione nutrizionale, specie alla luce dei più recenti studi sui disturbi alimentari e le relative patologie che colpiscono buona parte della popolazione statunitense, forze armate incluse. Negli States l’obesità ha assunto dimensioni da vera e propria epidemia: il 42% dei cittadini sono obesi e il 31% in sovrappeso. Il fenomeno è sempre più evidente tra i giovani e, secondo il Pentagono, ben tre cittadini su quattro in età per il servizio militare non soddisferebbero i criteri fisici richiesti. Uno studio pubblicato nell’ottobre 2023 dall’American Security Project (organizzazione non governativa con sede a Washington specializzata in questioni di difesa nazionale) documenta come il 68% dei militari statunitensi abbia un BMI (indice sulla massa corporea che tiene conto di parametri come il peso e l’altezza) che li classifica come sovrappeso o obesi, secondo i criteri dell’Istituto Nazionale di Sanità (National Institutes of Health). “Il rapido e prolungato ripetersi dell’obesità in tutti i servizi, gradi e posizioni rappresenta oggi una seria minaccia, in particolare per le popolazioni a rischio e per coloro che prestano servizio in ruoli critici di combattimento”, sottolinea il rapporto dell’American Security Project. “L’obesità è il principale motivo di squalifica per i candidati al servizio militare ed una delle principali cause degli infortuni in servizio e delle dimissioni mediche”. L’obesità tra le forze armate USA è più che raddoppiata in dieci anni, passando dal 10.4% nel 2012 a 21.6% del 2022. Sotto accusa per l’epidemia da sovrappeso c’è soprattutto l’abuso di cibo spazzatura tra la popolazione, in particolare tra lew nuove generazioni. Le buone pratiche alimentari e i rischi del modello Mc’s dovrebbero essere appresi soprattutto a scuola. Invece capita, ancora una volta in Sicilia, che proprio le scuole indirizzino gli alunni a nutrirsi male e per giunta all’interno delle basi militari yankee. Il 16 gennaio 2025 il 3° Istituto Comprensivo di Giarre ha pensato bene di organizzare una “visita” a Sigonella per gli alunni delle classi V delle elementari (plesso M. Pia di Savoia) e per quelli della media (Plesso G. La Pira).  “A seguito di ricevuta autorizzazione da parte del personale della Base Aeronavale di Sigonella, le studentesse e gli studenti, accompagnati dai loro docenti, partiranno per la base direttamente da S. Alfio”, riporta la circolare a firma della dirigente, dott.ssa Rossana Maletta. “Durante la permanenza nella base sarà effettuata una visita guidata degli spazi aperti ai visitatori e si pranzerà con menù tipico americano (hot dog, hamburger e soft drink) presso uno dei punti di ristoro della base”. Alle famiglie l’onere di spesa per la gita “educativa” alla principale infrastruttura operativa delle forze armate USA e NATO negli scacchieri bellici in Europa orientale, Africa e Medio oriente: 10 euro per il trasporto in bus e 8 euro per il junk food a stelle a strisce. “Quest’ultima somma, preventivamente raccolta al rientro dalle vacanze Natalizie unitamente ad un elenco nominativo, andrà consegnata direttamente alla base al momento del pranzo”, aggiunge la dirigenza del 3° Comprensivo di Giarre. “Gli studenti e le studentesse che intendono partecipare dovranno scaricare, compilare e restituire l’autorizzazione entro l’8 gennaio 2025. Come indicatoci dai responsabili della base le scadenze sono perentorie e non differibili in quanto è necessario per tempo effettuare controlli preventivi per l’ingresso alla base. Ci raccomandiamo la puntualità nel rispetto della tempistica indicata…”.   Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 31 marzo 2025, https://www.stampalibera.it/2025/03/31/leducazione-alimentare-nelle-scuole-siciliane-con-i-marines-sovrappeso-di-sigonella/
12 aprile – Sabotare le guerra! Disarmare l’Europa!
Sabotare le guerra! Disarmare l’Europa! Per un mondo senza eserciti e frontiere Sabato 12 aprile giornata di informazione e lotta antimilitarista presidio al Balon dalle ore 10,30 Mentre l’Europa – e il mondo – fanno una precipitosa corsa al riarmo è sempre più necessario mettersi di mezzo, inceppare gli ingranaggi, lottare contro l’industria bellica e il militarismo. La guerra insanguina vaste aree del pianeta in una spirale che sembra non aver fine. A tre anni dall’accelerazione violenta impressa dall’invasione russa dell’Ucraina il conflitto si inasprisce sempre di più. A Gaza è ripresa la pulizia etnica mentre gli Stati Uniti spingono per la deportazione dei gazawi. Se si aggiungono il conflitto nel Mar Rosso, il moltiplicarsi degli attacchi turchi in Rojava, i massacri degli alewiti in Siria, le tensioni per Taiwan, il perdurare dei conflitti per il controllo delle risorse nel continente africano dal Sudan al Congo, il rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è una possibilità reale. I paesi europei, indeboliti da tre anni di guerra e dal conseguente aumento della spesa energetica, reagiscono al repentino mutamento nella politica estera statunitense con un processo di riarmo, che potrebbe aprire a nuove pericolose escalation belliche. La guerra non è più così lontana come un tempo. I potenti che si contendono risorse e potere, sono indifferenti alla distruzione di città, alla contaminazione dell’ambiente, al futuro negato di tanta parte di chi vive sul pianeta. Le macerie sono solo buoni affari per un capitalismo vorace e distruttivo che ha una sola logica, quella del profitto ad ogni costo. Uomini, donne, bambine e bambini sono solo pedine sacrificabili in un gioco terribile, che non ha altro limite se non quello imposto dalla forza di oppress e sfruttat, che si ribellano ad un ordine del mondo intollerabile. Il prezzo delle guerre lo pagano bambine e bambini, uomini e donne massacrati ed affamati in ogni angolo del pianeta. Lo paghiamo noi tutti stretti nella spirale dell’inflazione, tra salari e pensioni da fame e fitti e bollette in costante aumento. Il governo italiano si è schierato nella guerra in Ucraina inviando armi, e dispiegando 3.500 militari nelle missioni in ambito NATO nell’est europeo e nel Mar Nero. L’Italia è impegnata in ben 43 missioni militari all’estero, in buona parte in Africa, dove le truppe tricolori fanno la guerra ai migranti e difendono gli interessi di colossi come l’ENI. L’Italia vende armi a tutti i paesi in guerra, contribuendo direttamente alle guerre di ogni dove. Torino punta tutto sull’industria bellica per il rilancio dell’economia. Un’economia di morte. La nostra città è uno dei maggiori poli dell’industria bellica aerospaziale. Ed è a Torino che sorgerà la Città dell’Aerospazio, un centro di eccellenza per l’industria bellica aerospaziale promosso dal colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino. La Città dell’Aerospazio ospiterà un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della NATO. Progetti di morte che è impegno di tutt* inceppare. Occorre capovolgere la logica perversa che vede nell’industria bellica il motore che renderà più prospera la nostra città. Un’economia di guerra produce solo altra guerra. Provate ad immaginare quante scuole, ospedali, trasporti pubblici di prossimità si potrebbero finanziare se la ricerca e la produzione venissero usate per la vita di noi tutti, per la cura invece che per la guerra. La corsa alla guerra uccide anche in tempo di “pace”. La mancanza di prevenzione e cura per tutti è intrinsecamente omicida. La guerra non dichiarata ai migranti uccide ogni giorno lungo le frontiere del Belpaese. La guerra è anche interna. Il governo con una forzatura inedita, da stato di polizia, ha trasformato il disegno di legge 1236 in decreto, esautorando il parlamento e rendendo immediatamente operative misure repressive durissime. Colpi sempre più forti a chi lotta nei CPR e nelle carceri, a chi si batte contro gli sfratti, a chi occupa, a chi fa scritte , a chi blocca una strada o una ferrovia, a chi sostiene e diffonde idee sovversive. Il governo risponde alla povertà trattando le questioni sociali in termini di ordine pubblico: i militari dell’operazione “strade sicure” li trovate nelle periferie povere, nei CPR, nelle stazioni, sui confini. A Torino il comitato per l’ordine e la sicurezza ha dichiarato zone a sorveglianza rinforzata Barriera, Aurora, San Salvario, il centro cittadino. Il governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, i “sacri” confini, l’esaltazione della guerra. Le scuole e le università sono divenute terreno di conquista per l’arruolamento dei corpi e delle coscienze. Solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di libere ed uguali che può porre fine alle guerre. Oggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo. Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo la retorica patriottica – anche quando veste l’abito buono europeista – come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche, funzionali agli interessi del capitalismo. In ogni dove. Non ci sono nazionalismi buoni. Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra. Noi siamo disfattisti contro il nostro governo, e solidali con chi si batte contro il proprio. Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra. Coordinamento contro la guerra e chi la arma antimilitarista.to@gmail.com
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Capitalismo finanziario e economia di guerra
Nella giornata che ha visto grandi dichiarazioni del presidente Trump aprire alla guerra commerciale dei dazi abbiamo approfondito come la ristrutturazione della finanza e gli scenari bellici mondiali siano strettamente connessi. Negli ultimi anni abbiamo vissuto una forte crisi dei mercati finanziari che ha visto una crescita fuori misura di specifici settori (come il Big […]
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Al mercato delle armi: Italia e Kenya rafforzano collaborazione milionaria in ambito militare
  Il cosiddetto “Piano Mattei” promosso dal governo Meloni per promuovere la cooperazione italiana in Africa? Ad oggi solo, o quasi, si è trattato di implementare attività di collaborazione militare-industriale con alcuni paesi partner del continente. L’ultimo atto del rafforzamento della presenza delle forze armate e delle industrie belliche italiane in territorio africano risale al 13 marzo scorso. A Nairobi, presso il quartier generale delle forze armate keniane, il Capo di Stato Maggiore della difesa, generale Charles Kahariri, ha ospitato una delegazione dell’Aeronautica Militare italiana guidata dal comandante in capo, il generale Luca Goretti. All’incontro erano presenti pure il direttore generale delle Industrie della difesa del Kenya, generale Bernard Waliaula, e l’ambasciatore italiano a Nairobi, Roberto Natali. “Nel corso dell’incontro, le due delegazioni hanno espresso l’intenzione di rafforzare le relazioni militari tra Kenya e Italia attraverso la cooperazione nel settore dell’addestramento, dell’acquisizione di nuovi equipaggiamenti e dello sviluppo di iniziative strategiche presso il Centro Spaziale Luigi Broglio di Malindi”, riporta il sito specializzato Military Africa. Il Capo di Stato Maggiore della difesa keniano ha inoltre invitato l’Aeronautica italiana ad accrescere la collaborazione nel campo delle tecnologie spaziali, della raccolta di immagini geo-satellitari, dell’intervento e gestione in caso di disastri, della produzione di droni e dell’Intelligenza Artificiale legata alle attività militari. “Il generale Charles Kahariri Additionally ha pure enfatizzato la necessità di finalizzare l’Accordo di Cooperazione della Difesa con il governo italiano per rafforzare la partnership tecnologica e migliorare la capacità locale nella manutenzione degli assetti militari”, conclude Military Africa. Il Centro Spaziale “Luigi Broglio” attenzionato al vertice di Nairobi è una base operativa dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) per le attività di lancio e di controllo dei satelliti da terra. Il centro dell’ASI è dotato di sofisticate apparecchiature per la ricezione dei dati satellitari e di tracciamento dei vettori o altri oggetti spaziali. Il Centro si estende su un’area di circa 3,5 ettari sulla costa dell’Oceano Indiano a circa 32 km dalla città di Malindi ed è stato inaugurato nel 1966. Inizialmente la sua gestione fu affidata all’Università di Roma “La Sapienza” attraverso il Centro Ricerche Progetto San Marco. Tra il 1967 e il 1988 lo Space Center è stato utilizzato per il lancio in orbita di nove satelliti: quattro del programma italiano “San Marco”, quattro statunitensi e uno del Regno Unito. Attualmente il Centro ASI collabora con altre agenzie spaziali internazionali: quelle di Kenya ed Egitto; la NASA (USA); l’ESA (Unione europea); il CNES (Francia); CONAE (Argentina). Tra gli accordi di collaborazione sottoscritti ne esiste pure uno con l’operatore commerciale-militare SpaceX del plurimiliardario Elon Musk (oggi alla guida del Dipartimento per l’Efficienza Governativa degli Stati Uniti d’America con l’amministrazione Trump). In passato il Centro di Malindi ha fornito un supporto chiave ai lanci delle navicelle spaziali “Shenzhou”, nell’ambito del programma di realizzazione della stazione spaziale cinese. Nel Centro sono presenti tre Stazioni di Terra con relativi sistemi d’antenna. La prima, in Banda S, è adibita ai programmi dell’ASI. Quella in Banda S/X/L è adibita al controllo dei veicoli di lancio Arianespace e Titan e al supporto alle prime fasi di volo di satelliti commerciali LEOP. La terza stazione in Banda X è adibita alla ricezione di dati di telerilevamento dei satelliti ERS2 (European Remote-Sensing Satellite), SPOT (Satellite Pour l’Observation de la Terre) e Landsat. Il Centro di Malindi è collegato con l’Italia mediante satelliti Intelsat nell’ambito della rete ASI-net. Le funzioni duali, civili-militari, del Centro Spaziale italiano in Kenya sono ampiamente documentate: l’Aeronautica Militare ha collaborato alle sue attività fin dalla sua realizzazione. Il 16 dicembre 2008 ASI ed Aeronautica hanno pure firmato un accordo esecutivo di cooperazione nell’ambito delle attività di conduzione e gestione del progetto satellitare “San Marco”. Sotto il punto di vista operativo, a partire del 2009, il Comando delle forze aeree nazionali ha inviato a Malindi personale qualificato (ingegneri ed esperti informatici) per fornire all’ASI supporto e assistenza al funzionamento delle stazioni e al controllo delle attività di tracciamento satellitare. Interesse in ambito militare per il Centro ASI è stato espresso dalle stesse forze armate del Kenya. In occasione della sua visita ufficiale nello stato africano (13-16 marzo 2023), il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in compagnia del Presidente ASI Giorgio Saccoccia ha incontrato allo Space Center “Luigi Broglio” il ministro della Difesa keniano Aden Bare Duale e il direttore dell’Agenzia Spaziale nazionale James Aruasa. Sei mesi più tardi il ministro Duasa è stato ospite a Roma del ministro della Difesa Luigi Crosetto, di quello delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e dei vertici dell’Agenzia Spaziale italiana. “Il già solido legame tra le agenzie spaziali dei nostri due Paesi verrà ulteriormente rafforzato dopo l’accordo intergovernativo entrato in vigore il 16 dicembre 2020 e che ha una durata di 15 anni con possibilità di rinnovo”, ha dichiarato Urso. “La sicurezza del Sahel e del Corno d’Africa è strategica e le dinamiche regionali si riflettono sul Mediterraneo e sull’Europa: Italia e Kenya devono crescere insieme e cooperare nel settore della Difesa a beneficio della stabilità”, ha invece dichiarato Crosetto a conclusione del vertice con il ministro Aden Bare Duale. Con il fine di rafforzare la cooperazione militare tra Unione europea e Kenya, nel maggio 2024 la Marina Militare di Nairobi ha organizzato una grande esercitazione navale nelle acque di Mombasa (Usalama Baharini 24) a cui ha partecipato la fregata missilistica “Federico Martinengo” della Marina italiana. “Le attività e le esercitazioni svolte hanno contribuito nell’azione di supporto a favore delle autorità del Kenya per un efficace contrasto alla pirateria e a tutte le attività illecite che vengono perpetrate in mare, come ad esempio il traffico di armi e di sostanze stupefacenti”, riporta la nota dello Stato Maggiore della Marina. L’esercitazione ha previsto anche una dimostrazione pratica tra il team specialistico della Brigata Marina “San Marco”, la Marina Militare e la Guardia Costiera keniana. “L’evento ha mostrato la simulazione di un boarding su una imbarcazione con a bordo dei sospetti pirati, che una volta arrestati, sono stati consegnati prima alla Guardia Costiera e successivamente alle forze di polizia locali”. Articolo pubblicato in Africa ExPress il 31 marzo 2025, https://www.africa-express.info/2025/03/31/al-mercato-delle-armi-italia-e-kenya-rafforzano-collaborazione-milionaria-in-ambito-militare/
Verso un attacco USA-Israele contro l'Iran?
Venti di guerra contro l'Iran. Dopo le minacce di Donald Trump e le inequivocabili dichiarazioni del governo Netanyahu contro Teheran, il Pentagono ha dislocato nell'area mediorientale alcuni bombardieri strategici a capacità nucleare. La scorsa settimana sono giunti nella grande infrastruttura militare di Diego Garcia (Oceano indiano) sei bombardieri subsonici B-2 Spirit (con caratteristica stealth, che consentono loro di sfuggire al controllo radar e predisposizione al trasporto di testate nucleari B-61 e B-83). Nella giornata di ieri, 1 aprile 2025, è stato registrato invece un intenso traffico di grandi velivoli da trasporto C-17A Globemaster III di US Air Force tra alcune importanti basi aeree in Europa (in particolare Ramstein, Germania) e lo scalo Al Udeid in Qatar, hub operativo e logistico chiave per le operazioni delle forze armate USA nello scacchiere mediorientale (presenza fino a 10.000 militari e un centinaio di velivoli). E' presumibile che in Qatar siano stati trasferiti sistemi d'arma, munizioni e apparecchiature in vista dell'escalation bellica contro l'Iran. Presso la base di Al Udeid è pure presente una Cellula Nazionale Italiana Interforze italiana che ha il compito di coordinare la pianificazione delle attività degli assetti dell'Aeronautica Militare impiegati nelle operazioni "anti-terrorismo" a guida USA in Iraq e Siria.