Più riviste specializzate avevano ipotizzato nei mesi scorsi che le nuove
corvette militari della Marina israeliana della classe Reshef in via di
realizzazione in Israele saranno armate con i cannoni OTO Melara Super Rapido da
76mm prodotte dal Gruppo Leonardo negli stabilimenti di La Spezia.
Adesso c'è la conferma dello Stato Maggiore della Marina da guerra di Tel Aviv:
dalla slide pubblicata con il design della corvetta di nuova generazione si
evince come a prua dell'imbarcazione sarà montata una torretta con il cannone
Super Rapido italiano, già in dotazione delle corvette della classe Sa'ar 6
impiegate per bombardare e distruggere il porto di Gaza dopo il 7 ottobre 2023.
La costruzione della prima corvetta della classe Reshef ha preso il via a metà
febbraio 2025 preso i cantieri navali Israel Shipyards di Haifa.
Il programma del ministero della Difesa israeliano prevede l'acquisizione di
cinque unità, con un costo complessivo di 780 milioni di dollari. Le corvette –
il primo esemplare dovrebbe essere consegnato nel 2029 – avranno un dislocamento
da 1.000 tonnellate, una lunghezza di 77 metri e una larghezza di poco inferiore
agli 11 metri.
Oltre all'OTO Melara Super Rapido da 76 mm (in grado di sparare fino a 120 colpi
al minuto), le corvette della classe Reshef saranno armate da un sistema SAM
Rafael C-DOME (versione navale del più famoso IRON DOME) con 4 lanciatori
verticali, e da una batteria di 8 missili supersonici antinave GABRIEL V.
Inoltre saranno montati a bordo anche 2 puntatori Rafael TYPHOON da 25/30 mm.
Il sogno della Grande Israele si conferma un'ottima occasione di affari per il
complesso militare industriale internazionale.
Il sito specializzato ItaMilRadar ha tracciato lunedì 26 ottobre 2025 il volo di
un grande aereo cargo KC-767A in dotazione al 14° Stormo dell'Aeronautica
Militare di Pratica di Mare (Roma) che dalla base aerea NATO di Decimomannu in
Sardegna ha raggiunto lo scalo polacco di Rzeszów, il maggiore hub della NATO
per i rifornimenti di armi, munizioni e mezzi di guerra alle forze armate
ucraine in guerra contro la Russia.
"Anche se non sono state rilasciate informazioni ufficiali, lo schema di volo e
la destinazione suggeriscono che la missione è legata al trasferimento di
equipaggiamento militare o di sistemi d'arma, dato che operazioni simili che
coinvolgono il velivolo KC-767A sono state osservate in passato", riportano gli
analisti di ItaMilRadar.
L'aereo da trasporto dell'Aeronautica Militare italiana ha lasciato Pratica di
Mare alle ore 12.32 di lunedì per poi raggiungere la base di Decimomannu.
Meno di un'ora dopo il KC-767A è decollato alla volta dello scalo-hub di Rzeszów
dove è giunto alle 17.14.
Il velivolo ha poi lasciato la Polonia per rientrare in Italia ed atterrare
nell'aeroporto militare di Pisa San Giusto (ore 20.13 locali).
L'Italia e le sue infrastrutture militari si confermano tra i maggiori supporter
di Kiev a livello internazionale.
Il vertice tenutosi a Sharm el-Sheikh il 13 ottobre 2025, alla presenza di molti
leader arabi e europei, per garantire il riconoscimento internazionale degli
accordi di pace che dovrebbero porre fine alla guerra unilaterale di Israele
contro la popolazione gazawi, intende, da un lato, proseguire il tentativo di
normalizzazione dei rapporti tra Paesi arabi e […]
Le forze armate israeliane continuano a bombardare la Striscia di Gaza
nonostante l'accordo di cessate il fuoco promosso da Donald Trump ma in Italia
c'è già chi pensa a fare affari miliardari con la "ricostruzione" di Gaza City.
L'edizione italiana di Fortune (nota rivista economica USA) ha pubblicato un
articolo dal significativo titolo "La ricostruzione a Gaza e le sfide per le
imprese tricolore" in cui elenca le principali società che punterebbero a
mettere le mani sull'affaire, stimato internazionalmente tra i 50 e i 70
miliardi di dollari.
"Le aziende europee avranno una corsia privilegiata nelle gare per la
ricostruzione, e in questo quadro aziende italiane come Webuild, Ansaldo
Energia, Saipem e Maire, potrebbero partecipare alle attività di ricostruzione",
scrive Fortune Italia. "Prysmian potrebbe essere coinvolta nella fornitura dei
cavi dell’alta tensione per ripristinare la rete elettrica e di quelli per
l’elettrificazione degli edifici. Ci sono poi aziende come Buzzi Unicem e
Cementir che potrebbero essere coinvolte in ogni caso, essendo tra i maggiori
produttori al mondo di cemento e calcestruzzo (e quindi in grado di collaborare
con chiunque sarà il committente dei lavori)".
In pole position dunque le aziende leader del settore costruzioni ed
engineering, prima fra tutte la Webuild asso pigliatutto delle Grandi Opere in
Italia, prima fra tutti il Ponte sullo Stretto di Messina, irrealizzabile, ma
per cui è previsto comunque un investimento non inferiore ai 15 miliardi di
euro.
"Si parla di aziende italiane di dimensione globale, abituate a destreggiarsi in
mezzo continente, tra appalti e tecnologie all’avanguardia", commenta ancora
Fortune Italia. "È interessante notare due fattori che potrebbero favorire le
aziende italiane: la prossimità geografica, che consente di abbattere i costi di
trasporto rispetto ad altri competitor e la prossimità politica, perché
indubbiamente il ruolo equilibrato del governo Meloni, favorevole alla pace ma
contrario a frettolosi riconoscimenti di nuovi stati e non equidistante tra
Israele e un gruppo terroristico come Hamas, ci rende più credibili agli occhi
di americani e israeliani".
In conclusione del suo articolo, Fortune Italia afferma con soddisfazione che
l’Italia, questa volta, "ha le carte giuste per contare".
Sì, "contare" senza doversi vergognare di contare le innumerevoli vittime
innocenti della sanguinaria campagna genocida di Israele, ampiamente sostenuta
dal trio del tricolore Meloni-Tajani-Crosetto.
Sono tanti i casi di accordi pubblico-privati nel settore bellico italiano. Ne è
un ennesimo esempio quello di Fincantieri, gruppo controllato dallo Stato, che
ha firmato un’intesa strategica con la start-up italiana Defcomm, specializzata
nei droni per il settore marittimo. Questo per accelerare lo sviluppo di unità
navali e droni di superficie destinati a missioni di […]
ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie
concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche
in streaming
Ascolta e diffondi l’audio della puntata:
https://radioblackout.org//podcast/anarres-del-26-settembre-ricerca-sul-clima-un-caso-di-obiezione-di-coscienza-rudolf-rocker-lanarchia-oltre-le-macerie-del-secolo
Dirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:
Guerra alla ricerca sul clima. Un caso di obiezione di coscienza
In questi giorni alla cascina e parco “Le Vallere”, che ospita una importante
stazione di rilevamento idrologico e meteorologico, si tiene un evento europeo
su “Water and Ecosystems in the Mediterranean: Climate Challenges and Adaptive
Responses”. Ovvero il problema idrico in diversi aspetti: troppa acqua nelle
precipitazioni, sparizione dell’acqua sotto forma di ghiacci, siccità. Se ne
parla con tecnici e ricercatori che operano sul campo, in glaciologia,
meteorologia e allerte meteo, analisi rischi, biodiversità e ovviamente la
metrologia a supporto delle misure.
Si tratta di studi cruciali per capire quali misure adattive siano necessarie
per fermare ed arginare la catastrofe in corso.
Dalle Vallere ci siamo collegati con Andrea Merlone, Dirigente di Ricerca –
Research Manager dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica con cui abbiamo
parlato dei tagli che queste ricerche stanno subendo in moltissimi paesi. Le
risorse vengono dirottate sulla ricerca bellica, che divenendo prioritaria quasi
ovunque, con conseguenze gravissime.
Non solo. È in atto una infiltrazione dei militari nelle misurazioni del clima,
dell’aria, dell’acqua perché necessarie al miglior funzionamento delle armi.
Dopo anni a supportare misure sempre più raffinate per comprendere il
riscaldamento dei mari parametro fondamentale soprattutto nel Mediterraneo, la
conferenza di riferimento di Genova si apre con una sessione plenaria dedicata a
“Military Metrology for the sea”. Ovvero gli interessi militari, sdoganati ormai
in pubblico in temi di misure, soprattutto per il mappamento dei fondali. Andrea
ci ha raccontato del suo rifiuto a presiedere e a partecipare ad un evento di
rilievo mondiale sulle misure marine.
Rudolf Rocker. L’anarchia oltre le macerie del secolo
Nel corso della sua straordinaria parabola esistenziale, Rudolf Rocker, uno dei
maggiori protagonisti dell’anarchismo tedesco e internazionale, ha profuso la
sua attività militante in una molteplicità di contesti sociali e politici,
passando dalla Germania di Bismarck alla Londra del movimento operaio yiddish,
per approdare infine negli Stati Uniti. Se il suo impegno sociale rimane
costante, il suo approccio politico cambia nel corso dei decenni, muovendo da
una visione prettamente anarcosindacalista a una visione più pragmatica e
gradualista attenta a proporre concrete analisi delle trasformazioni in atto
nella società. Le sue riflessioni consentono di ricostruire il percorso
intellettuale di uno dei più lucidi pensatori libertari del Novecento, come
testimonia la sua acuta analisi del totalitarismo di destra e di sinistra e la
sua incisiva critica di una concezione rivoluzionaria incapace di riflettere a
fondo sulle ragioni che avevano portato alla sconfitta della Rivoluzione
spagnola e alla degenerazione della Rivoluzione russa.
Il prossimo venerdì presenteremo una raccolta di testi di Rudolf Rocker
“Anarchismo, Politica, Comunità. Scritti in un tempo di crisi 1919 – 1947”
Con il curatore del libro, Gianfranco Ragona, docente di storia all’università
di Torino, abbiamo anticipato alcuni dei temi di cui abbiamo discusso il venerdì
successivo con Ragona e con David Bernardini, che all’anarchico tedesco ha
dedicato uno studio.
L’anarchia ai tempi della peste
Guerre, massacri, corsa agli armamenti. Le aporie infinite dei movimenti di
opposizione schiacciati tra campismo, propaganda e miopia.
Proviamo ad entrare nel vivo, chiacchierandone con Lollo.
La straordinaria giornata di lotta del 22 settembre, che per la prima volta ha
visto le piazze riempirsi non solo di studenti e attivisti ma anche di tanti
esponenti di quella sinistra moderata e fluida che solo occasionalmente scende
in piazza con modalità più radicali. Li avevamo visti a Roma il 20 maggio ma la
cornice allora era ancora meramente testimoniale.
La loro ricomparsa in piazze che miravano esplicitamente al blocco dimostra la
crescente consapevolezza che solo ponendosi sul terreno dell’azione diretta si
può inceppare il meccanismo terrificante che sta tritando le vite di migliaia di
uomini, donne, bambine e bambini a Gaza.
A muovere queste piazze è stata soprattutto un’ondata di incontenibile
indignazione, la necessità di non essere complici di un genocidio.
Un fatto in se positivo.
Purtroppo sullo sfondo restano e si allungano le tante ombre che hanno segnato
questi due anni di feroce guerra a Gaza.
In primis l’appoggio acritico alla resistenza palestinese, guidata da forze
islamiste, che hanno disciplinato a forza la gente della striscia, che hanno una
polizia morale che controlla l’osservanza della legge islamica, che trattano con
ferocia ogni forma di opposizione.
Ma non solo. Mentre esplode la giusta indignazione per il genocidio, per la
fame, per la distruzione a Gaza, il genocidio in Darfur, la feroce guerra in
Sudan resta avvolta nel silenzio. Perché?
In Siria c’è stato un milione di morti e la guerra è tutt’altro che finita, tra
stragi di drusi e alaviti e la costante pressione per chiudere i conti con i
curdi del confederalismo democratico nel nord del paese. Silenzio. Perchè?
La guerra ai migranti è un genocidio. Si ha genocidio ogni volta che le vite
umane sono considerate dannose, in eccesso. Mentre la flottilla prova con grave
rischio a raggiungere Gaza, nel Mediterraneo si continua a morire in silenzio.
Perché?
Sono domande che ci piacerebbe porre a chi riempie oggi le piazze per fermare un
altro genocidio.
Appuntamenti:
Rudolf Rocker
L’anarchia oltre le macerie del secolo
Venerdì 3 ottobre
ore 21
corso Palermo 46
Rudolf Rocker “Anarchismo, Politica, Comunità. Scritti in un tempo di crisi 1919
– 1947”
Ne parliamo con il curatore del libro, Gianfranco Ragona, docente di storia
all’università di Torino e con David Bernardini, autore di “Contro le ombre
della notte. Storia e pensiero dell’anarchico tedesco Rudolf Rocker”
4 novembre
Smilitarizziamo la città!
Noi disertiamo
Il 4 novembre, nell’anniversario della “vittoria” nella prima guerra mondiale,
in Italia si festeggiano le forze armate, si festeggia un immane massacro per
spostare un confine.
In quella guerra a migliaia scelsero di gettare le armi e finirono davanti ai
plotoni di esecuzione.
La memoria dei disertori e dei senzapatria di allora vive nella solidarietà
concreta con chi oggi diserta le guerre che insanguinano il pianeta.
Le celebrazioni militari del 4 novembre, servono a giustificare enormi spese
militari, l’invio delle armi e l’impegno diretto dell’Italia nelle missioni
militari all’estero, in difesa dei propri interessi neocoloniali.
In ogni dove ci sono governi che pretendono che si uccida per spostare un
confine, per annientare i “nemici”, altri esseri umani massacrati in nome della
patria, della religione, degli interessi di pochi potenti.
In ogni dove c’è chi si oppone, c’è chi diserta, chi straccia le bandiere di
ogni nazione, perché sa che solo un’umanità internazionale potrà gettare le
fondamenta di quel mondo di libere e liberi ed uguali che ciascuno di noi porta
nel proprio cuore.
A due passi dalle nostre case ci sono le fabbriche che costruiscono le armi
usate nelle guerre che insanguinano il pianeta.
Nelle scuole bambine, bambini, ragazze e ragazzi, vengono sottoposti ad una
martellante campagna di arruolamento, ad una sempre più marcata propaganda
nazionalista.
Nelle strade della nostra città militari armati di mitra e manganello affiancano
polizia e carabinieri nel controllo, etnicamente mirato, delle periferie più
povere.
Vogliono farci credere che non possiamo fare nulla per contrastare le guerre.
Chi promuove, sostiene ed alimenta le guerre ci vorrebbe impotenti, passivi,
inermi. Non lo siamo.
In ogni dove c’è chi diserta, chi lotta contro le guerre degli stati.
Noi siamo al fianco di chi diserta la guerra.
Ogni volta che un militare entra in una scuola possiamo metterci di mezzo,
quando sta per aprire una fabbrica d’armi possiamo metterci di mezzo, quando
decidono di fare esercitazioni vicino alle nostre case possiamo metterci di
mezzo.
Le guerre cominciano da qui.
Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere!
Via i mercanti d’armi!
Sabato 29 novembre
corteo antimilitarista
ore 14,30 corso Giulio Cesare angolo via Andreis
Martedì 2 dicembre
blocchiamo i mercanti armi all’Oval Lingotto in via Matté Trucco 70
Contro la guerra e chi la arma!
No all’aerospace and defence meetings!
A-Distro e SeriRiot
ogni mercoledì
dalle 18 alle 20
in corso Palermo 46
(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro
SeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte
Vieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!
Sostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!
Informati su lotte e appuntamenti!
Federazione Anarchica Torinese
corso Palermo 46
Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 20,30
per info scrivete a fai_torino@autistici.org
Contatti:
FB
@senzafrontiere.to/
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https://t.me/SenzaFrontiere
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PRESIDIO ALL’AEROPORTO DI MALPENSALunedì 20 OTTOBRE alle 19.30TERMINAL 1 –
ARRIVI – PORTA 1 Leonardo SpA prosegue nel rifornimento di armi e componenti
belliche, direttamente e indirettamente, a “Israele”. Parti dei jet F-35, jet
letali utilizzati dall’entità sionista per distruggere e massacrare, sono in
partenza stasera (lunedì 20) dall’aeroporto di Malpensa, dirette verso gli Stati
[…]
Alla luce delle manifestazioni di protesta contro l’invio di armi a Israele si
ritiene matura la proposta di creare nelle città sede di porti commerciali degli
osservatori indipendenti sulla movimentazione degli armamenti nei porti, perché
essa suscita preoccupazione politica, turbamento morale e insicurezza materiale
nei lavoratori e nei cittadini.
La movimentazione degli armamenti, disciplinata dalla legge 185/1990, è soggetta
all’autorizzazione e al controllo dello Stato, ma le istituzioni che esercitano
questi poteri latitano in trasparenza opponendo cortine burocratiche alle
istanze di accesso ai dati che dovrebbero essere pubblici.
Pertanto, che si sia di fronte a una qualche palese violazione della legge così
come a una qualche insufficiente informazione sulla natura delle merci in
transito nel porto, i lavoratori e i cittadini chiedono di non essere costretti
a iniziative di astensione sindacale dal lavoro o di manifestazione pubblica per
opporsi all’illegalità di certe movimentazioni e per dovere sostenere da sé i
diritti di informazione, tutela, sicurezza, obiezione di coscienza.
Nel caso particolare del trasporto di esplosivi e munizioni, i lavoratori del
porto e i cittadini che abitano in prossimità degli scali chiedono trasparenza
che la movimentazione avvenga in assoluta e verificata conformità agli speciali
regolamenti in materia.Oltre alle barriere burocratiche che ostacolano la
trasparenza e oltre alla complessità intrinseca del sistema commerciale, sono
state verificate pratiche elusive o ingannevoli da parte di vettori,
spedizionieri e imprese portuali, circa la natura militare delle merci
movimentate nei porti.
Di fronte a questi comportamenti, i lavoratori chiedono di potere conoscere
tempestivamente e ufficialmente l’eventuale natura militare della merce, la sua
origine e destinazione geografica, per avere certezza che non si infranga la
legge e che se ne interpreti autenticamente il valore costituzionale («I
portuali non lavorano per la guerra»).
A queste esigenze di puntuale informazione sindacale e pubblica, si accompagna
l’istanza di conoscere, attraverso dati statistici, l’incidenza della
movimentazione di queste merci nell’economia e nell’occupazione del porto e
della città.
Non è una domanda fine a sé, perché la stessa legge 185/1990 prescrive che il
Governo predisponga misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione
produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della
difesa (art.1 comma 3). Tale previsione, disattesa sinora da tutti i governi
avvicendatisi, nel caso specifico dei porti è priva di qualsiasi fonte
statistica utile a affrontare la questione.
Le conseguenze di questa lacuna si riverberano nell’assenza nei bilanci sociali
dei porti nazionali di una rendicontazione dedicata alla sostenibilità etica,
intesa come policy e atti regolatori con l’obiettivo di promuovere e attuare
l’attività portuale a esclusivo servizio di commerci di pace e di sviluppo del
benessere e della libertà dei popoli.
La necessità del confronto tra autorità, lavoratori e cittadini pone la
questione di disporre di un Osservatorio permanente, ossia di un “luogo” e di un
“tempo” in cui tale confronto possa avvenire con la necessaria franchezza e
trasparenza sulla base di dati e informazioni certe e qualificate.
Viste anche le recenti prese di posizione e deliberazioni di Sindaci e Consigli
comunali sui traffici d’armi nei rispettivi porti, la sede ospitante
dell’Osservatorio dovrebbe essere a nostro avviso nei Comuni sede di porti, per
la loro autorità elettiva sulla città da cui il porto dipende e a cui il porto
restituisce lavoro, ricchezza, identità e reputazione con i relativi costi
sociali e ambientali.
Il confronto può avvenire solo nella trasparenza dei processi decisionali e
delle informazioni che ne sono il presupposto. Informazioni che non sono in
alcun modo segrete, e semmai sottoposte all’obbligo della riservatezza
statistica. Di alcune informazioni, invece, è la stessa Legge 185 che impone la
pubblicità: il soggetto autorizzato, la natura e il valore degli armamenti, il
destinatario finale, i valori doganali dichiarati, l’appartenenza o meno a un
progetto di produzione internazionale, ecc.
L’osservatorio dovrà dotarsi della capacità di un triplice ordine di
obiettivi:1. un report periodico che dia conto dei traffici di armamenti
(origine/destinazione/merce) e della loro incidenza quantitativa e qualitativa
sul bilancio complessivo del porto;2. un servizio informativo, “a sportello”,
tempestivo e verificato con tutti gli attori coinvolti, su domanda dei
lavoratori e delle loro organizzazioni di rappresentanza, oltre che dei
cittadini, su arrivi e partenze di navi con carichi di armamenti eventualmente
sospetti;3. promuovere la qualificazione del porto sotto il profilo della
“sostenibilità etica”, improntata a capitali e organizzazioni di impresa non
compromessi in attività militari aggressive e in violazione dei diritti umani, e
a produzioni e commerci di pace.
Le fonti locali operanti dell’Osservatorio dovranno essere gli attori
istituzionali, sociali e civili che agiscono attivamente o passivamente nella
circostanza del traffico di materiali di armamento nel porto: Prefettura,
Capitaneria di porto-Guardia costiera, Autorità di Sistema Portuale, Agenzia
delle Dogane, Vettori e spedizionieri, Agenti marittimi, Imprese portuali,
Organizzazioni sindacali dei lavoratori, Municipi di circoscrizioni urbane
prospicienti il porto, Comitati civici e Associazioni pertinenti.
Estratti dalla puntata del 13 ottobre 2025 di Bello Come Una Prigione Che Brucia
CYBERSICUREZZA: LEGAMI TRA ITALIA E ISRAELE La cybersicurezza è uno dei nodi
principali che legano lo stato italiano e quello sionista, realizzando nei fatti
una fusione delle intelligence e degli interessi nazionali dei due paesi. Anche
il settore privato industriale si […]
Il rilascio degli ultimi ostaggi israeliani sopravvissuti dopo due anni di
prigionia, l’insperata liberazione di quasi duemila palestinesi trattenuti da
tempi immemorabili nelle prigioni-lager di Israele e, soprattutto, la riapertura
dei corridoi umanitari per l’afflusso di generi alimentari alla Striscia di
Gaza. Sono questi i primi effetti visibili del “piano di pace” di Donald Trump
o, meglio, dell’effimera “pax americana” imposta unilateralmente agli storici
alleati di Washington nell’area mediorientale.
Sulla seconda fase di quello che nelle intenzioni del “pacificatore” armato
dovrebbe condurre alla soluzione del “conflitto” israelo-palestinese (mai
conflitto si è caratterizzato per l’assoluta asimmetria delle forze degli attori
in campo) è invece notte fonda: nessuno ne ha capito ancora contenuti, modalità,
tempi e pratiche e dopo i tributi mainstream riservati a mister Trump e finanche
le proteste per il Nobel mancato, inizia a serpeggiare un tanto di sfiducia tra
gli analisti e le cancellerie di mezzo mondo.
In verità non c’è pace all’orizzonte in Palestina, anche perché per “fare la
pace” sono indispensabili processi dal basso, democraticamente discussi e
condivisi all’interno e tra le parti. Invece proprio questi ultimi sono stati
del tutto assenti dopo che gli USA si sono assunti l’impegno e l’onere di
premere un colpo d’acceleratore sulla “soluzione finale” della questione
palestinese, chiedendo al fragile governo Netanyahu di congelare sine die il
piano – quello vero – di “soluzione finale” manu militare, cioè di pulizia
etnica e “liberazione” dalla presenza di ogni essere vivente in buona parte
della Striscia di Gaza.
Un piano per la Palestina senza i palestinesi, le loro forme, pratiche di azione
e resistenza ed i propri legittimi rappresentanti politici organizzati che, per
questo, non ha alcuna credibilità né sostenibilità a medio e lungo termine. E
che il nazi-sionismo, sempre più forte in Israele e tra i governi alleati in
occidente non farà altro che sabotare in ogni modo per affermare il “diritto
esclusivo all’esistenza” della Grande Israele, dal Mediterraneo al fiume, non
certo il Giordano come si vorrebbe lasciar pensare, dato il devastante e
crescente impegno bellico di Tel Aviv in Libano, Siria, Yemen ed Iran.
L’esplicita fragilità e contraddittorietà della pax trumpiana impone alle
moltitudini mobilitatesi in questi mesi in ogni angolo del pianeta a mantenere
inalterati l’attenzione e l’impegno a fianco del popolo palestinese, contro le
politiche genocide di Israele e partner. E dobbiamo farlo innanzitutto nel
nostro Paese, uno dei più coinvolti nella legittimazione e nel sostegno dei
crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati da Netanyahu & C..
Il governo Meloni-Tajani-Crosetto-Nordio ha giocato e gioca un ruolo
determinante nei processi di riarmo e belligeranza di Israele: fornisce armi
distruttive ed intelligence alle operazioni di morte a Gaza e assicura la totale
impunità ai suoi peggiori protagonisti (meno di quindici giorni fa l’Italia è
stato l’unico paese europeo che ha consentito al Boeing in cui viaggiava il
leader di governo israeliano inseguito da un mandato di cattura internazionale
di transitare “senza incidenti” nello spazio aereo nazionale). E non c’è pace
senza giustizia e senza che la giustizia stessa sia garantita ed esercitata.
C’è che chi ritiene che Washington abbia “imposto” la falsa pax anche per
incrinare e indebolire il fronte internazionale di lotta al genocidio del popolo
palestinese, soprattutto all’interno di quei regimi – in Africa e Medio oriente
– dove la marea umana che invoca la Free Palestine potrebbe mettere in crisi lo
status quo che consente lo strapotere finanziario-economico e militare di
transnazionali yankee e petrosovrani.
Anche per questo dobbiamo continuare a riprenderci e vivere collettivamente
strade e piazze, licei e università, gli ingressi e i cancelli di quelle banche,
aziende o infrastrutture militari che hanno le mani sporche di sangue del popolo
palestinese perché hanno continuato a fare affari. fatturati e dividendi
sostenendo Tel Aviv e la furia genocida a Gaza. E dobbiamo farlo anche a partire
dall’appuntamento di martedì 14 ottobre, giornata in cui c’è chi vorrebbe
giocare ad Udine la partita della vergogna, l’incontro di calcio Italia-Israele
per le eliminatorie dei Mondiali 2026. Giocare sarebbe un colpo di spugna per
cancellare lo sterminio di centinaia e centinaia di giovani calciatori
palestinesi sotto il fuoco di bombardieri israeliani e legittimerebbe lo sport
come oppio dei popoli e oblio delle coscienze e della memoria storica
collettiva.
Blocchiamo tutto, boicottiamo tutto deve continuare ad essere l’impegno di tutti
fino a quando le forze armate israeliane non abbandonino Gaza, Gerusalemme Est e
West Bank, sia riconosciuto il pieno diritto all’autodeterminazione del popolo
palestinese e siano processati e condannati per crimini contro l’umanità tutti
coloro che direttamente e indirettamente hanno contribuito al primo genocidio
del Terzo millennio.
Articolo pubblicato in Alternativa il 13 ottobre 2025,
https://infoalternative.it/editoriali/dopo-il-cessate-il-fuoco-continuare-la-mobilitazione-per-il-riconoscimento-dei-diritti-del-popolo-palestinese/?fbclid=IwY2xjawNcDUVleHRuA2FlbQIxMABicmlkETBmWjlBYUUxUWlFZ2FvSnNuAR6iQM2ZX0JA37Ci6XapBN2_e45bvwqDOsQyCtpeQZdoknZyNLeL9LiiXeking_aem_CNzLtt_wTaXLUxeCNF_p2Q
Nel testo “Datacenter: il vivente come ingranaggio della macchina
militare-digitale“, che abbiamo scritto per Nunatak (n. 77, estate 2025),
elaborando un nostro precedente approfondimento radiofonico, abbiamo abbozzato
un primo sguardo sulle profonde implicazioni dell’oggetto Datacenter – la
cantina di Internet e dell’AI – infrastruttura centrale per il capitalismo
cibernetico e la sua guerra alla vita. […]
Domani, 14 ottobre, alle 20:45, si giocherà a Udine Italia–Israele, match di
qualificazione ai Mondiali 2026. Una partita che si terrà nonostante le proteste
e le richieste di esclusione della nazionale israeliana, ignorate dalla FIFA,
dalla FIGC e dagli addetti ai lavori. Una squadra che rappresenta pienamente i
valori del sionismo e non ha mai […]