FACCIAMO LUCE SUI TRAFFICI DI ARMI ED ESPLOSIVI TRA ITALIA E ISRAELE
Mentre il governo si sta orientando al tacito rinnovo per altri cinque anni
dell’accordo militare segreto tra Italia e Israele, a che punto è l’interscambio
di armamenti tra i due paesi?
Come riporta l’ultima Relazione sulle operazioni autorizzate dalla Legge
185/1990, per decisione del governo nel 2024 le aziende italiane non hanno
ricevuto autorizzazioni ad esportare in Israele, paese in guerra – tra l’altro
– con gli stessi territori occupati nel 1967 (nel 2004 l’Alta corte di
giustizia di Tel Aviv l’ha definita «occupazione belligerante»). Negli anni
precedenti le esportazioni militari italiane verso Israele avevano mostrato una
tendenza declinante: nel 2023 le autorizzazioni erano state di 9,9 milioni di
euro, rispetto ai 21,4 milioni di euro registrati nel 2020.
La decisione del governo non ha però bloccato le consegne relative alle commesse
autorizzate in precedenza. Infatti proprio nel 2024 il Ministero delle Finanze
ha registrato esportazioni di armi ad Israele per 35,2 milioni di euro (importi
segnalati di transazioni definitive). Se dunque la posizione ufficiale del
nostro paese sul conflitto di Gaza è cauta, di fatto le armi prodotte in Italia
hanno contribuito e stanno contribuendo al massacro della popolazione civile
palestinese. È noto il caso dei cannoni super rapidi OTO Melara 76/62 fabbricati
a La Spezia dal gruppo Leonardo e impiegati sin dall’ottobre 2023 per bombardare
dal mare la popolazione di Gaza (vedi il nostro articolo del gennaio 2024).
Secondo l’Atlante di Weapon Watch, sono una sessantina le aziende che negli
ultimi anni hanno venduto armi a Israele. Le principali sono direttamente o
indirettamente sotto controllo governativo: Leonardo, Elettronica, Consorzio
Iveco-Oto Melara. Quasi tutte partecipano ai maggiori programmi di cooperazione
militare, in particolare per gli addestratori M-346 Alenia-Leonardo, i caccia
F16 (Fighting Falcon) e JSF (F-35). Alcune forniscono munizioni e attrezzature
per fabbricare munizioni, di cui Israele è grande acquirente globale e
fortissimo consumatore.
I dati che Istat raggruppa sotto il codice merceologico 93 – che mescola armi
leggere militari e civili, parti e ricambi e anche bombe pesanti e granate –
indicano che nonostante il blocco governativo nel 2024 l’export verso Israele è
stato quasi del tutto (89%) da armi militari. Le province più implicate sono
Lecco (probabilmente da Fiocchi Munizioni) e Brescia (il “distretto Beretta”
delle armi leggere).
Il dato più preoccupante, però, è la crescente dipendenza dalle forniture
militari israeliane, che contrariamente alle esportazioni stanno crescendo
fortemente. Il ministro Crosetto il 21 maggio scorso in Parlamento ha spiegato
che la Legge 185 «non prevede una valutazione di merito sulla provenienza dei
materiali ma la valutazione sul loro utilizzo finale e sull’impatto potenziale
sulla difesa e sicurezza dell’Italia». Quindi armi e attrezzature militari
israeliane sono indispensabili per la difesa italiana, al punto che è passato in
secondo piano il contributo economico sempre più forte che il nostro paese dà
all’apparato militare-industriale di Tel Aviv, apparato che si ramifica e
pervade gran parte dell’economia israeliana, oltre che i vertici militari e lo
stesso governo.
Dal 2021 le importazioni militari dell’Italia da Israele hanno superato le
esportazioni. Nel 2024, ben il 21% (in valore) delle importazioni militari
complessive autorizzate ha riguardato Israele, con 42 autorizzazioni, al secondo
posto appena dopo gli Stati Uniti (24%). Per quel che riguarda le operazioni
effettivamente svolte, tra le aziende importatrici troviamo in prima fila
Leonardo e le sue controllate Elettronica e Telespazio, due colossi globali del
munizionamento come KNDS-Simmel Difesa e RWM Italia (che probabilmente ha
ordinato in Israele 608 tonnellate di esplosivo CXM-7), Gelco (800 kit completi
per missile anticarro Pike) e anche dell’operatore logistico SLS che opera per
conto delle forze armate italiane e di gruppi come Leonardo, Fincantieri,
Thales.
La sempre più profonda interconnessione tra la difesa italiana e il complesso
militare-industriale israeliano è del resto un modello seguito da molti paesi
europei. Sono di ieri i dati diffusi dal Ministero della difesa di Tel Aviv – e
ripresi dal New York Times – che ha sottolineato il raggiungimento nel 2024 di
un record storico di vendite negli armamenti: 14,7 miliardi di dollari, di cui
circa la metà costituito da missili, razzi e sistemi di difesa aerea. Il 54%
delle armi prodotte da Israele è acquistato dai paesi europei.
Dal sito dell’azienda israeliana Ashtot Ashkelon Industries, destinataria del
materiale militare sequestrato nel porto di Ravenna
Il recente caso venuto alla luce nel porto di Ravenna (ne abbiamo parlato in un
articolo del marzo scorso) dimostra che la domanda dell’industria militare
israeliana, affamata di componenti per il proprio export, è molto forte e cerca
ogni via, anche illegale, per aggirare divieti e restrizioni. Quelli sequestrati
a Ravenna sono componenti per cannoni presentati in dogana da un “prestanome”
delle vere aziende produttrici come “lavori di ferro o acciai fucinati”.
La data per la manifestazione nazionale a Roma contro il riarmo e la guerra è
stata individuata nel 21 giugno, poco prima che si tenga il summit NATO all’Aja
dal 25 al 25 giugno sulla Difesa e la spesa militare. In quell’occasione infatti
i governi europei saranno chiamati a rispondere sulla loro disponibilità in
percentuale […]
A Briosco, paesino di poche migliaia di abitanti in Brianza, si è tenuta la
37esima edizione dell’Italian Raid Commando ossia una esercitazione militare
cammuffata da competizione/allenamento da svolgersi nella palestra della scuola,
resasi disponibile per l’accoglienza, oltre che nei boschi circostanti.
Cittadini e cittadine, militanti delle realtà della zona tra Monza e Lecco,
associazioni pacifiste, […]
Le forze di occupazione israeliane hanno intensificato le operazioni militari in
diverse aree della Cisgiordania occupata, provocando l’uccisione di un
palestinese e il ferimento e l’arresto di molti altri, oltre a diffuse
incursioni e violenze da parte dei coloni. Nella Cisgiordania meridionale, la
Mezzaluna Rossa Palestinese ha riferito che un civile palestinese è stato ferito
[…]
COLLINS E ZONE ROSSE STESSA GUERRA.
A seguito dell’attentato che ha ucciso 26 turisti indiani nel Kashmir
amministrato dall’India avvenuto a fine aprile, la risposta dello stato indiano
è arrivata nella notte tra martedì 6 maggio e mercoledì 7 maggio, con
l’Operazione definita Sindoor: una serie di bombardamenti si sono abbattuti sul
Pakistan, nella parte di territorio pachistana del Kashmir e […]
Si formeranno in Italia i piloti della ricostituita aeronautica di guerra della
Libia. A renderlo noto l’ufficio pubblica informazione delle forze aeree
italiane. Il 25 marzo, il capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare,
generale Luca Goretti, ed il capo della Libyan Air Force, generale Amhamed
Gojel, hanno firmato a Roma un accordo tecnico bilaterale sull’addestramento in
favore dei top gun e degli istruttori di volo libici.
L’accordo prevede la partecipazione del personale militare dello Stato
nordafricano ai corsi di addestramento presso il 70° Stormo dell’Aeronautica di
stanza a Latina e presso il 61° Stormo di Galatina (Lecce) per le fasi 2 e 3
dell’iter addestrativo. Parte della formazione teorica si svolgerà anche presso
il centro di formazione Aviation English di Loreto (Ancona), la scuola di lingue
straniere dell’Aeronautica.
L’intesa sottoscritta dai generali Goretti e Gojel disciplina i vari aspetti del
percorso addestrativo del personale libico negli specifici programmi erogati dal
207° gruppo volo del 70° Stormo e dal 214° gruppo volo del 61° Stormo.
“L’accordo assume una rilevanza significativa in quanto costituisce il primo
accordo di cooperazione bilaterale con la Forza Aerea libica nel settore
dell’addestramento al volo con durata di validità triennale”, spiega lo Stato
Maggiore dell’Aeronautica italiana. “Esso è un’ulteriore riprova del livello di
eccellenza raggiunto dalla Forza Armata nel settore addestrativo, nonché un
significativo consolidamento della cooperazione con un Paese partner
estremamente importante nell’ambito della sicurezza e della stabilità dell’area
mediterranea”. (1)
Il 70° Stormo di Latina è posto alle dipendenze del Comando Scuole
dell’Aeronautica e della 3a della Regione Aerea con sede a Bari; presso i suoi
reparti si effettuano i corsi di abilitazione e l’addestramento basico degli
allievi dell’Aeronautica e delle altre forze armate italiane e dei cadetti
militari di paesi esteri per il conseguimento del brevetto di pilota. Fino ad
oggi Latina ha rilasciato oltre 15.000 brevetti di pilotaggio, realizzando un
totale di circa 500.000 ore di volo. (2) Nello scalo del 70° Stormo gli
allievi-piloti libici saranno formati a bordo di due tipi di velivoli di
produzione del gruppo Leonardo SpA: il T-260B (aereo biposto, già classificato
come SIAI Marchetti SF-260) e il T-2600A (quadriposto, già Aermacchi SF260 EA).
(3)
Presso la base salentina di Galatina, il personale militare libico sarà
addestrato in vista della conduzione dei velivoli di quarta e quinta generazione
(in particolare i cacciabombardieri Eurofighter Typhoon e gli F-35 Lightning
II). Sotto il comando del 61° Stormo opera l’International Flight Training
School (IFTS), un centro internazionale per l’addestramento al volo avanzato,
frutto di un accordo del 2018 tra l’Aeronautica Militare e la holding
industriale-militare Leonardo S.p.A.. “Il progetto IFTS è nato con l’obiettivo
di realizzare un polo di eccellenza nella formazione dei piloti militari e
soddisfare la crescente domanda di training avanzato proveniente dagli stati
alleati e partner”, spiega lo Stato Maggiore della Difesa. “L’International
Flight Training School ha consentito di raddoppiare l’attuale offerta
addestrativa attraverso la realizzazione di un nuovo polo distribuito tra la
base dell’Aeronautica di Galatina, e quella di Decimomannu (Sardegna), dove è
nato il campus dedicato alla fase avanzata dell’addestramento al volo”.
I reparti del 61° Stormo hanno formato e brevettato più di 9.000 avieri
appartenenti a 20 paesi, alcuni del Medio oriente ed Asia (in particolare Arabia
Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Singapore). A Galatina gli allievi-piloti
di Tripoli voleranno a bordo dei caccia-addestratori T-346A (gli stessi venduti
una quindicina di anni fa da Aermacchi-Leonardo alle forze armate israeliane).
Questi aerei sono in via di sostituzione con i più sofisticati T-345, anch’essi
progettati e prodotti dall’italiana Leonardo, per “ottenere un miglioramento
della qualità addestrativa a costi inferiori, da cui il nome High Efficiency
Trainer”, come enfatizza il Comando del 61° Stormo. Nelle scorse settimane sono
giunti nella base aerea salentina i primi sei velivoli T-345 e da giugno saranno
impiegati per i corsi addestrativi. (4)
La decisione di utilizzare alcune delle maggiori basi aeree italiane per la
“formazione” del personale militare libico sarebbe stata presa in occasione
della riunione del Comitato misto di Cooperazione Libia–Italia tenutasi a
Tripoli nel giugno 2024. A quell’incontro parteciparono per la parte italiana il
generale Alessandro Grassano del III Reparto dello Stato Maggiore della Difesa e
per la parte libica il gen. Mustafa Ben Rashed.
Nonostante le sempre più numerose e documentate denunce da parte di
organizzazioni governative ed ONG internazionali sulle gravissime violazioni dei
diritti umani perpetrate dalle forze armate e di polizia libiche contro la
popolazione e i migranti, il ministero della Difesa italiano si è impegnato ad
“esaminare nuove strategie per incrementare e ottimizzare le attività di
cooperazione” con la Libia. In particolare è stato redatto un articolato Piano
di Formazione per il secondo semestre 2024 e per l’intero 2025, “comprensivo di
numerose attività sia in Italia che in Libia”. (5) Relativamente al settore
aereo, in attesa di avviare le attività addestrative per i piloti a Latina e
Galatina, l’Italia ha iniziato ad erogare a beneficio del personale libico
alcuni corsi per controllori del traffico aereo presso il reparto di
addestramento di Pratica di Mare (Roma) e quelli presso l’Accademia Aeronautica
di Pozzuoli (Napoli). (6)
Le attività di formazione, addestramento e mentoring a favore delle forze armate
e di sicurezza e delle istituzioni governative libiche, vengono svolte in
territorio italiano e libico nell’ambito della cosiddetta Missione bilaterale di
assistenza e supporto in Libia (MIASIT). Nata nel 2018 sulle ceneri della
precedente Operazione “Ippocrate”, MIASIT ha come obiettivo prioritario quello
di “incrementare le capacità complessive” dei militari fedeli al Governo di
Accordo Nazionale della Libia. Tra le attività addestrative spiccano in
particolare quelle finalizzate al “controllo e contrasto dell’immigrazione
illegale e delle minacce alla sicurezza della Libia; al ripristino
dell’efficienza di assetti terrestri, navali e aerei, comprese le relative
infrastrutture, funzionali allo sviluppo della capacità libica di controllo del
territorio; all’assistenza e supporto sanitario (anche con il trasferimento dei
pazienti Italia); allo sminamento; alla formazione da parte di forze speciali
italiane, delle omologhe unità libiche”.
Sempre secondo lo Stato Maggiore della Difesa, i corsi di formazione a le
attività addestrative vengono condotte da MIASIT “in conformità all’Accordo
tecnico di Cooperazione militare sottoscritto nel 2020”, sotto la direzione e il
coordinamento del Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI), con quartier
generale nello scalo aeroportuale di Centocelle, Roma. (7)
Il testo di questo accordo non è pubblico. Grazie però ad alcuni organi di
stampa di Tripoli è stato possibile apprendere che esso è stato sottoscritto il
4 dicembre 2020 in occasione della visita in Italia dell’allora ministro della
Difesa del governo libico, generale Salaheddine al-Namroush (oggi vice capo di
Stato Maggiore). Al-Namroush avrebbe concordato con il ministro della Difesa
italiano Lorenzo Guerini (Pd) e con quello degli Affari Esteri Luigi Di Maio
(M5S), l’implementazione di “attività di cooperazione nei settori
dell’addestramento e dell’istruzione militare, dello scambio di competenze, del
supporto, dello sviluppo, della manutenzione e della consulenza, della
cooperazione nel campo dell’immigrazione clandestina, oltre che della sicurezza
delle frontiere terrestri e marittime, delle operazioni di munizioni e
smaltimento delle mine, della medicina militare, di soccorso in caso di disastri
naturali ed emergenze sanitarie, di scambio di informazioni ed esperienze nel
campo della ricerca scientifica e tecnica e della sicurezza militare”. (8)
Attualmente il Comando della Missione MIASIT è schierato a Tripoli, mentre a
Misurata è presente un distaccamento operativo. La consistenza massima annuale
autorizzata dal Parlamento per il contingente nazionale impiegato in Libia è di
200 militari, più un mezzo aereo. E’ pure previsto l’impiego di ulteriori
assetti aerei (anche a pilotaggio remoto) e di mezzi navali, tratti dal
dispositivo nazionale operante nel Mediterraneo. Originariamente la missione di
sostegno militare alla Libia prevedeva pure la gestione di un ospedale da campo
a Misurata, ma questo è stato “dismesso” nel corso del 2022. “Da allora, anche
nell’area di Misurata la presenza italiana ha svolto attività addestrativa,
mediante team mobili (Mobile Training Team)”, spiega lo Stato Maggiore.
Il contingente italiano è composto da unità con compiti di formazione,
consulenza, assistenza e supporto logistico, infrastrutturale e sanitario;
personale di collegamento presso dicasteri e stati maggiori libici; unità con
compiti di force protection; tecnici e specialisti contro minacce
chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari (CBRN); team per la ricognizione e per
le attività di comando e controllo. “L’addestramento si svolge in particolare
nei settori del contrasto di ordigni esplosivi improvvisati (IED),
dell’aviolancio e della tutela e scorta; l’impegno si è esteso anche alla
collaborazione con la Guardia Costiera libica, che ha proseguito nell’azione di
contenimento dei movimenti migratori non regolamentati”. (9) Pure formazione e
addestramento, dunque, oltre al supporto logistico e di intelligence a favore
della famigerata Guardia Costiera responsabile di orribili crimini
(mitragliamenti, deportazioni, omissioni di soccorso, ecc.) nella quotidiana
guerra contro le migrazioni e i migranti in acque territoriali e internazionali.
Nel corso del 2024 sono stati non meno di una cinquantina i corsi di
addestramento svolti da team appartenenti all’Esercito, alla Marina Militare,
all’Aeronautica e all’Arma dei Carabinieri. Circa 700 i militari di tutte le
forze armate libiche “formati” da MIASIT. (10) Tra gli impegni più “onerosi”
quelli svolti per addestrare le unità di fanteria libiche e di “combattimento
nei centri abitati” con l’ausilio del personale della Scuola di Fanteria
dell’Esercito di Cesano (Roma); l’Esplorazione Tattica Terrestre, grazie ai team
della Scuola di Cavalleria di Lecce; le “lezioni” di topografia e navigazione
sul terreno, con tanto di fornitura al personale libico di “ausili tecnici e
software open source per leggere e costruire mappe topografiche da utilizzare
per il tiro di artiglieria”, da parte della Scuola di Artiglieria di
Bracciano. (11)
Presso il Distaccamento MIASIT di Misurata, il personale del 9° Reggimento
Alpini (quartier generale a L’Aquila), reparto d’élite per il “combattimento in
montagna”, ha curato i corsi di lingua italiana, Combat Intelligence e gestione
delle “operazioni speciali” (OPS – Special Operations) a favore dei componenti
della 307^ unità della Counter Terrorism Force libica. Ancora gli alpini
abruzzesi nel deserto tripolitano per svolgere i “corsi basici di fanteria” per
gli uomini della 52^ Brigata. (12)
Il Comando Genio dell’Esercito di Roma ha portato a termine 15 corsi a favore
del costituendo Centro di Eccellenza C-IED (Counter-Improvised Explosive Device)
di Tripoli; i parà della Brigata Paracadutisti “Folgore” e gli istruttori del
Centro Addestramento Paracadutismo dell’Esercito di Pisa hanno condotto invece
diversi corsi di Self Defense Close Combat e di “Metodo di Combattimento
Militare (MCM)” per il Dipartimento di Polizia Militare e gli “allievi”
dell’Accademia Militare di Tripoli. “Il Metodo di Combattimento Militare è parte
integrante dell’addestramento individuale al combattimento ed è una metodologia
tesa a fornire al soldato quelle capacità necessarie per difendersi e
fronteggiare situazioni critiche o che minacciano la sua incolumità e quella
degli altri”, spiega lo Stato Maggiore della Difesa. (13)
Per il Corpo della Polizia Militare della capitale libica, il Centro
Addestramento Paracadutismo e il 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti
“Tuscania” di Livorno hanno condotto i corsi di Personal Security Detail in
Hostile Enviroment che hanno come scopo “l’apprendimento delle procedure di
protezione e sicurezza di Autorità o personale VIP”. Ufficiali dei Carabinieri e
del Gruppo di Intervento Speciale (G.I.S.) dell’Arma hanno svolto invece un
Negotiation Course a favore di 13 ufficiali della Libyan Military Intelligence
di Tripoli, normalmente impiegati tra la capitale e Misurata. “Il corso ha avuto
l’obiettivo di insegnare agli allievi le tecniche basilari per la gestione delle
crisi, la capacità di approccio/ascolto e le tecniche per addivenire ad una
soluzione efficace delle controversie”, spiega la Difesa. (14)
Trentacinque i militari libici addestrati al Sea Survival dagli istruttori
aero-soccorritori del 15° Stormo dell’Aeronautica Militare, di stanza nello
scalo di Cervia-Pisignano (Ravenna). Il corso si è svolto presso la base navale
di Abu Sittah, Tripoli, dove è attivo il Centro di coordinamento di ricerca e
soccorso mobile (Mrcc) della Marina e della Guardia Costiera libica che
sorveglia l’immensa aerea SAR - in verità anti-migranti - nel Canale di Sicilia.
“Alle attività formative hanno preso parte militari appartenenti alla Lybian Air
Force e alla Lybian Navy che hanno avuto modo di apprendere le procedure e
tecniche di base per la sopravvivenza in mare a seguito di incidenti aerei e
navali, tramite l’uso di materiali e zattere di salvataggio”, riporta lo Stato
Maggiore italiano. Ospiti d’onore al corso Sea Survival il Capo del Dipartimento
Search & Rescue libico, generale Mansour Al-Taish, e il responsabile del
Dipartimento addestrativo della Marina Militare, ammiraglio Abdul Rahman
Al-Baroni. (15)
Oltre ad addestrare il personale militare libico, la Missione MIASIT ha gestito
la consegna a “titolo gratuito” di equipaggiamento e aiuti militari. Nel corso
del biennio 2023-2024, è stata formalizzata la cessione di materiale per la
ricerca e la bonifica degli ordigni esplosivi, a favore degli operatori del
Dipartimento del Genio militare di Tripoli. Tra i materiali “donati” decine di
esemplari di tute protettive, occhiali speciali per la protezione degli occhi,
kit di tiranteria, ausili per la rimozione a distanza di trappole esplosive e
ordigni inesplosi, cercamine e apparati radiografici portatili per l’ispezione
di pacchi sospetti o di munizioni inesplose di medio e piccolo calibro. Il
trasferimento di equipaggiamento militare è stato realizzato “grazie ai fondi
stanziati dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale,
nel quadro del più esteso programma di assegnazione di equipaggiamento
specialistico, in Convenzione con il Ministero della Difesa”, spiega lo Stato
Maggiore. (16)
Il 2 maggio 2024 il personale italiano ha pure consegnato materiale
elettromedicale all’Ospedale Militare di Tripoli e all’Accademia Aeronautica di
Misurata, dove è stata pure realizzata un’aula multimediale per lo svolgimento
di corsi per i piloti militari e civili. Ad agosto, farmaci e apparecchiature
elettromedicali per un valore complessivo di quasi 100.000 euro, sono stati
inviati al Misurata Medical Center e ai Poliambulatori militari locali. Alcuni
dispositivi medici cardiovascolari sono stati acquistati mediante i fondi
stanziati dal Comando Operativo di Vertice Interforze; i farmaci sono stati
messi a disposizione dalla Fondazione Banco Farmaceutico. (17)
Note
1)
https://www.aeronautica.difesa.it/news/aeronautica-militare-cooperazione-internazionale-firmato-accordo-per-laddestramento-di-piloti-militari-libici-in-italia/
2)
https://www.aeronautica.difesa.it/news/70-stormo-cerimonia-di-consegna-delle-aquile-di-pilota-di-aeroplano-agli-allievi-piloti-del-corso-falco-vi/
3)
https://www.aviation-report.com/70-stormo-scuola-di-volo-basico-aeronautica-militare/
4)
https://www.rid.it/shownews/7219/aeronautica-arrivati-i-primi-t-345-a-giugno-parte-l-addestramento
5)
https://www.difesa.it/smd/news-italia/prima-riunione-del-comitato-misto-di-cooperazione-libia-italia/53472.html
6)
https://www.aeronautica.difesa.it/news/aeronautica-militare-cooperazione-internazionale-firmato-accordo-per-laddestramento-di-piloti-militari-libici-in-italia/
7) https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/DI0145.pdf?_1744875457583
8)
https://alwasat.ly/news/libya/303351?fbclid=IwAR0eudWADmm-zHocMTasNn5aSo13rriiDxIySXJNrVtMgUliq-fmoyqecKg
9) https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/DI0145.pdf?_1744875457583
10)
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/libia-proseguono-le-attivita-addestrative-con-gli-istruttori-del-9-reggimento-alpini-dellesercito-e-della-scuola-di-fanteria-di-cesano-di-roma/55457.html
11)
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/missione-in-libia-la-miasit-conclude-un-importante-ciclo-formativo/55736.html
12)
https://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/Libia-proseguono-le-attivita-addestrative-con-gli-istruttori-del-9-Reggimento-Alpini-dell-Esercito-240805.aspx
13)
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/libia-conclusi-corsi-metodo-di-combattimento-militare-e-personal-security-detail-in-hostile-enviroment/54544.html
14)
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-terminato-corso-negotiation-course-a-favore-libyan-military-intelligence/46617.html
15)
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/missione-in-libia-concluso-sea-survival-training/51981.html
16)
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-donato-equipaggiamento-per-lo-sminamento-al-genio-militare-libico/47432.html
17)
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-e-fondazione-banco-farmaceutico-supportano-la-sanita-libica/55795.html
Articolo pubblicato in Pagine Esteri il 22 aprile 2025,
https://pagineesteri.it/2025/04/22/africa/litalia-addestrera-i-piloti-militari-libici/
L’Italia rafforza la partnership militare con il Mozambico puntando gli occhi
alle imponenti risorse energetiche del Paese africano.
Dall’8 al 12 aprile 2025 il porto di Maputo ha ospitato la fregata FREMM “Luigi
Rizzo” della Marina Militare, unità specializzata nella guerra anti-sottomarini.
La fregata italiana proveniva dalle acque antistanti la città di Mombasa, Kenya,
dove aveva partecipato ad esercitazioni con alcune unità della Marina keniota,
nell’ambito della missione europea EUNAVFOR Atalanta di “pattugliamento e
protezione dei traffici marittimi” nell’area del Corno d’Africa e dell’Oceano
Indiano.
“La presenza della fregata Luigi Rizzo a Maputo ha consentito di rafforzare le
relazioni militari tra Italia e Mozambico”, annota il sito specializzato
sudafricano Defenceweb.
Durante la visita è stato sottoscritto un accordo di cooperazione bilaterale nel
settore della difesa, secondo quanto annunciato giovedì 10 aprile dai
rappresentanti del corpo diplomatico italiano nella capitale mozambicana.
“L’accordo, coincidente con il 50° anniversario dei legami diplomatici tra i due
paesi, prevede l’addestramento congiunto, lo sviluppo delle capacità e la
potenziale espansione ad altri settori delle forze armate”, spiega Defenceweb.
“L’accordo – aggiunge il sito sudafricano - punta a rafforzare l’abilità dei
militari del Mozambico nel contrastare le minacce marittime come la pirateria e
i traffici illegali, con il sostegno della Marina italiana che recentemente ha
sventato due attacchi dei pirati nella regione del Corno d’Africa”.
Lo Stato Maggiore della Marina italiana ha reso noto che nel corso della visita
in Mozambico, la FREMM “Luigi Rizzo” ha effettuato alcune dimostrazioni nella
baia di Maputo congiuntamente ad unità da guerra locali, mostrando tecniche di
“interdizione navale” e contrasto della pirateria, a “protezione” delle rotte
commerciali marittime.
“Vogliamo rafforzare le capacità operative della Marina del Mozambico per
rendere le sue acque più sicure, raddoppiando gli sforzi per proteggere l’Oceano
Indiano, vittima di episodi di pirateria, che aumentano l’insicurezza nella
regione”, ha dichiarato ad Agenzia Nova il contrammiraglio Davide Da Pozzo,
comandante dell’operazione EUNAVFOR Atalanta.
“Stiamo sviluppando programmi di partnership nei Paesi che visitiamo per
garantire il successo delle attività; da metà 2009 ad oggi la missione europea
ha prodotto risultati efficaci e negli ultimi anni si sono verificati solo tre
episodi di pirateria”, ha aggiunto Da Pozzo.
L’addetto militare italiano in Mozambico, il colonnello Franco Linzalone, ha
reso noto a conclusione della missione della fregata che con i nuovi accordi
militari sottoscritti, il personale delle forze armate mozambicane “potrà
beneficiare di attività di addestramento e di rafforzamento delle capacità in
Italia, oltre ad azioni di scambio di esperienze”. Già in passato i militari del
Mozambico hanno svolto corsi di formazione specifica in territorio italiano.
L’Italia partecipa alla Missione di assistenza militare dell’Unione europea
EUMAM in Mozambico, che ha lo scopo di addestrare, assistere ed equipaggiare le
forze armate e di sicurezza del Mozambico impiegate contro le milizie armate
islamico-radicali nella regione settentrionale di Cabo Delgado.
I vertici militari di EUMAM hanno effettuato una visita di “cortesia” a bordo
della fregata italiana in sosta a Maputo per uno scambio di esperienze con la
missione europea anti-pirateria. EUMAM è stata prorogata recentemente fino al 20
giugno 2026.
L’accordo tecnico di Cooperazione Navale tra Italia e Mozambico è stato firmato
il 30 gennaio 2014 dall’allora Capo di Stato Maggiore della Marina Militare,
ammiraglio Giuseppe De Giorgi ed il Capo di Stato Maggiore della Marinha
mozambicana, Lazaro Menete. In quell’occasione fu dislocato per circa due mesi
nelle acque di Maputo, il pattugliatore d’altura “Comandante Borsini”.
Un anno e mezzo fa (prima metà di ottobre 2023) un’altra unità da guerra della
Marina italiana, il cacciatorpediniere “Durand de La Penne” si era recato in
visita nella capitale mozambicana. In quell’occasione fu ospitata a bordo la
Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni.
“La tappa a Maputo di nave Durand de La Penne è stata l’occasione per ribadire
l’impegno nazionale nella collaborazione con le Forze Armate della Repubblica
del Mozambico”, riportò in nota il Comando della Marina italiana. “L’unità
ormeggiata ha fatto da cornice agli incontri bilaterali previsti dal Piano di
Cooperazione in atto tra le Marine militari di Italia e Mozambico, condotti
dalla delegazione del 3° Reparto dello Stato Maggiore”.
In particolare è stato avviato un programma di collaborazione che riguarda il
settore dell’Idrografia e delle capacità per le Operazioni di interdizione
marittima. La Marina dello Strato africano ha pure aderito al VRMTC (Virtual
Regional Maritime Traffic Center), il centro realizzato presso il Comando in
Capo della Squadra Navale (CINCNAV) di Santa Rosa, Roma, per il controllo e la
gestione della sicurezza nell’area del Mediterraneo, del Mar Nero, del Golfo di
Guinea e dell’Oceano Indiano.
“Durante la sosta, sono continuate a bordo le attività addestrative e capacity
enhancement a favore del team di Fuzileiros de Marinha, imbarcato dal 5 al 19
ottobre 2023: si tratta di una unità di fanteria specializzata mozambicana, già
obiettivo del programma addestrativo condotto dalla missione militare
europea in Mozambico, che ha condotto un intenso periodo di cooperazione con il
personale della Brigata Marina San Marco”, ha specificato lo Stato Maggiore.
Sempre a bordo del cacciatorpediniere si sono tenute sessioni addestrative a
favore di un team di sommozzatori mozambicani e anche un corso di formazione
specialistico sulla “medicina da campo in teatri operativi” a favore degli
studenti dell’organizzazione non governativa CUAMM (Collegio Universitario
Aspiranti Medici Missionari) per l’Africa.
Come ha sottolineato il sito specializzato Defenceweb, la recente visita della
fregata “Luigi Rizzo” ha “posto i riflettori sul maggiore investimento italiano
in Mozambico”: il progetto Coral Norte di ENI per la produzione offshore di Gas
Naturale Liquefatto (GNL), valore 7,56 miliardi di dollari, nel bacino di
Rovuma, nella provincia di Cabo Delgado.
Questo progetto è “gemello” di Coral Sul, anch’esso nelle acque ultra-profonde
del bacino Rovuma. L’8 aprile 2025, il giorno stesso dell’arrivo a Maputo
dell’unità della Marina italiana, il Gruppo ENI ha “celebrato” la spedizione del
100° carico di GNL prodotto dagli impianti della Coral Sul.
Questi ultimi hanno una capacità di liquefazione di gas di 3,4 milioni di
tonnellate all’anno. L’area di estrazione è gestita per il 70% da Mozambique
Rovuma Venture S.p.A., una joint venture di proprietà di ENI, ExxonMobil e China
National Petroleum Corporation (CNPC); il restante 30% è gestito dalle società
Enh, Galp e Kogas.
Gli impatti socio-ambientali e sul clima dell’impianto Coral Sul al largo delle
coste mozambicane è stato stigmatizzato dal report “Fiamme Nascoste” presentato
a Roma il 26 marzo scorso dall’associazione ReCommon.
Dall’analisi dei dati pubblici e delle immagini satellitari esaminati
dall’associazione e dai suoi consulenti, si evince che l’impianto per
l’estrazione e liquefazione di gas sarebbe stato “protagonista di numerosi
fenomeni di flaring dall’inizio della sua attività nel 2022, non adeguatamente
riportati dall’azienda petrolifera”.
Il flaring consiste nella pratica di bruciare in torcia il gas in eccesso
estratto insieme ad altri idrocarburi, che ha impatti rilevanti sul clima,
l’ambiente e – in prossimità di centri abitati – sulle persone.
“Solo fra giugno e dicembre 2022, le operazioni di flaring avrebbero comportato
lo spreco di 435.000 metri cubi di gas, equivalente a circa il 40% del
fabbisogno annuo del Mozambico”, scrive ReCommon.
“Gli episodi si sono ripetuti anche in numerose altre giornate negli anni
successivi”, lamenta l’associazione ambientalista. “Per esempio nella giornata
del 13 gennaio 2024, secondo le stime basate su dati NASA, per ogni ora
di flaring l’ENI avrebbe mandato in fumo tanto gas quanto una famiglia media
italiana consuma in 8 anni e mezzo”.
Articolo pubblicato in Africa ExPress il 26 aprile 2025,
https://www.africa-express.info/2025/04/27/roma-fa-affari-di-guerra-in-mozambico-dove-leni-festeggia-il-centesimo-carico-di-gas/
Altro che “apostolo di pace”. Da quando si è insediato alla Casa Bianca, Donald
Trump sembra aver assunto i panni di cavaliere dell’apocalisse in Medio Oriente.
Gli assetti schierati dalle forze armate degli Stati Uniti d’America tra il Mar
Rosso e l’Oceano Indiano lasciano preludere all’intenzione di Washington di
scatenare un’offensiva senza precedenti contro l’Iran e/o le milizie dell’“Asse
del Male” in Yemen, Libano, Siria e Iraq. Solo nell’ultimo mese sono stati
trasferiti nel Mediterraneo orientale e nel Golfo Persico truppe d’assalto,
bombardieri strategici, caccia di ultima generazione, portaerei a propulsione
nucleare e sistemi missilistici ultra-avanzati.
Il 2 aprile il segretario alla Difesa USA Pete Hegseth ha ordinato il
trasferimento in Giordania di un imprecisato numero di cacciabombardieri F-35
per “accrescere la pressione” contro le milizie Houthi in Yemen e le autorità di
governo a Teheran. “Gli F-35A di quinta generazione sono dotati di capacità
stealth (invisibilità ai radar) e di sofisticati sensori e possono impiegare una
varietà di sistemi d’arma aria-aria e aria-terra”, minacciano al Pentagono. A
fine marzo erano stati inviati nella regione mediorientale anche i sofisticati
aerei d’attacco al suolo A-10 Warthogs e, nella grande infrastruttura militare
di Diego Garcia (Oceano indiano) sei bombardieri subsonici B-2 “Spirit”,
predisposti al trasporto di testate nucleari a caduta libera del tipo B-61 e
B-83.
Il 1° di aprile è stato registrato un intenso traffico di grandi velivoli da
trasporto C-17A “Globemaster III” di US Air Force tra alcune importanti basi
aeree in Europa (in particolare Ramstein, Germania) e lo scalo Al Udeid in
Qatar, hub operativo e logistico per le operazioni delle forze armate USA nello
scacchiere mediorientale. Il via vai degli aerei cargo lascia presupporre il
trasferimento nell’area di sistemi d’arma, munizioni e attrezzature militari
“sensibili”. Nella base di Al Udeid ci sarebbero adesso più di un centinaio di
velivoli da guerra e 10.000 tra militari e civili statunitensi. Nella base aerea
del Qatar è pure presente una Cellula Interforze italiana che ha il compito di
coordinare la pianificazione delle attività dei velivoli dell’Aeronautica
Militare impiegati nelle operazioni “anti-terrorismo” a guida USA in Iraq e
Siria. (1) Secondo Air Force Times, nelle scorse settimane il Pentagono avrebbe
dirottato “molteplici” sistemi di difesa aerea dalla Corea del Sud al Medio
Oriente, comprese due batterie di missili terra-aria Patriot e una anti-missili
balistici THAAD (Terminal High Altitude Area Defense). (2)
Due portaerei nucleari e bombardieri strategici nel Golfo Persico
Il 21 marzo Pete Hegseth aveva formalizzato la proroga di un mese della presenza
nelle acque del Mar Rosso del gruppo aeronavale d’attacco USA guidato dalla
portaerei a propulsione nucleare “Harry S. Truman” (CVN 75) con nove squadroni
aerei a bordo, sei cacciatorpedinieri lanciamissili della classe “Arleigh Burke”
e un incrociatore della classe “Ticonderoga”. Il Carrier Strike Group era giunto
in Medio Oriente il 14 dicembre 2024; da allora ha condotto numerose incursioni
aeree e missilistiche in territorio yemenita. Ad esso si affiancherà nelle
prossime settimane un secondo gruppo aeronavale guidato dalla portaerei nucleare
“Carl Vinson” (CVN-70), fino ad oggi operativo nel Pacifico. “Con questa scelta,
il segretario Hegseth continua a rendere chiaro che, se l’Iran o i suoi più
stretti alleati minacciassero il personale e gli interessi americani nella
regione, gli Stati Uniti assumeranno azioni decisive per difendere il nostro
popolo”, ha dichiarato il portavoce del Pentagono, Sean Parnell. (3)
Anche il presidente Donald Trump non ha risparmiato anatemi e minacce contro
Teheran e le milizie alleate che operano in territorio yemenita. “La scelta per
gli Houthi è chiara: Se smettono di sparare contro le navi USA, noi smetteremo
di sparare contro di loro. In caso contrario, noi abbiamo solo iniziato, e il
vero dolore deve ancora arrivare, sia per gli Houthi che per i loro sponsor in
Iran,” ha twittato il presidente degli Stati Uniti d’America sul suo profilo
ufficiale, giorno 31 marzo. (4) Senza troppi giri di parole Mr. Trump ha
rivendicato la paternità della sanguinosa escalation dei bombardamenti USA e
britannici in Yemen. A partire del 15 marzo - giorno in cui l’U.S. Central
Command ha ordinato il primo attacco in grande stile contro le milizie Houthi –
sono già stati colpiti nel paese più di un centinaio di obiettivi, civili e
militari.
I dottor stranamore alla corte di Trump & C. sembrano non voler escludere
l’impiego contro i nemici dell’impero a stelle e strisce delle innumerevoli armi
di distruzione di massa a disposizione delle forze armate USA. Nelle giornate
del 18 e 20 febbraio e del 6 marzo l’U.S. Central Command (Centcom) – il Comando
militare centrale USA di stanza a Tampa, Florida) – ha condotto sui cieli del
Golfo Persico minacciose esercitazioni con i bombardieri strategici a lungo
raggio B-52H “Stratofortress” (le famose fortezze volanti in grado di impiegare
missili termonucleari aria-terra), appositamente decollati dalla base britannica
di Fairford. “Nel corso delle missioni i bombardieri hanno attraversato lo
spazio aereo europeo e quello di sei paesi dell’area sotto la responsabilità
Centcom, con operazioni di rifornimento in volo ed addestramento congiunto”,
spiega il Dipartimento della Difesa. “Inoltre, alcune nazioni partner hanno
fornito caccia per scortare i bombardieri durante la loro missione”. (5) In
occasione dell’esercitazione del 18 febbraio, i B-52H hanno pure effettuato
lanci di “bombe vere” nei poligoni di diversi paesi alleati. “Le missioni della
Bomber Task Force dimostrano la capacità di proiezione di potenza USA, l’impegno
per la sicurezza regionale e l’abilità nel rispondere ad ogni attore statale e
non statale che cerchi di ampliare il conflitto nella regione Centcom”, ha
dichiarato il generale Michael Erik Kurilla, alla guida del Comando centrale
delle forze combattenti USA. (6)
Come ci si prepara alla guerra nel Golfo Persico
Oltre ai war games nucleari, nel corso del primo trimestre 2025 le forze armate
degli Stati Uniti d’America hanno promosso complesse esercitazioni aeronavali
con i principali partner della regione mediorientale. Dal 9 al 23 gennaio l’U.S.
Central Command di Tampa e lo Stato Maggiore del Qatar hanno condotto Eagle
Resolve 2025, congiuntamente ai reparti militari delle nazioni membre del “Gulf
Cooperation Council”: oltre al Qatar, Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi
Uniti, Kuwait e Oman. Nel corso delle esercitazioni i reparti d’élite degli
Stati Uniti e degli alleati arabi hanno simultato operazioni d’attacco aereo,
missilistico, cibernetico ed “anti-terrorismo”, interdizioni navali, bonifica di
ordigni esplosivi e interventi medico-preventivi contro le minacce chimiche,
biologiche, radiologiche e nucleari (CBRN). (7)
IMX (International Maritime Exercise) è stata invece la maxi-esercitazione
navale multinazionale tenutasi nelle acque del Golfo Persico, del Mar Rosso e
dell’Oceano Indiano, dal 9 al 20 febbraio 2025. Condotta dal Comando Centrale
delle forze navali USA/Quinta flotta di stanza in Bahrain, IMX ha visto la
partecipazione di oltre 5.000 militari di una trentina di paesi mediorientali ed
europei. Le attività addestrative si sono interfacciate con un’altra grande
esercitazione aeronavale in corso nelle stesse settimane, Cutlass Express,
promossa dal Comando di US Navy per l’Europa e l’Africa (quartier generale a
Napoli) con lo scopo di “rafforzare la consapevolezza regionale e le capacità
coordinate dei paesi partner in risposta alle minacce navali in Africa
orientale”.
Le fasi operative di IMX 2025 si sono concentrate sull’impiego di sistemi navali
a pilotaggio remoto, integrazione dell’intelligenza artificiale, guerra
anti-mine e “risposta in caso di incidenti che coinvolgono numerose vittime”.
“Gli alleati e i partner partecipanti all’esercitazione hanno avuto pure
l’opportunità di addestrarsi con la CTF - Combined Task Force (la forza
multinazionale a guida USA anch’essa con quartier generale in Bahrain che opera
per la sicurezza delle acque mediorientali)”, riporta l’ufficio stampa di U.S.
Centcom. “I militari di otto nazioni alleate, compresi sei membri della Guardia
costiera del Governo della Repubblica dello Yemen, sono stati ospitati presso le
strutture dipendenti dal Comando CTF ad Aqaba (Giordania) ed Eilat (Israele)”.
(8)
La settimana precedente all’avvio dei war games (1-2 febbraio), presso il
quartier generale delle forze armate USA in Bahrain si era tenuta una
“conferenza” dei leader militari di alcuni dei paesi membri della Coalizione
Globale anti-ISIS (Australia, Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Germania,
Italia, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti
d’America). All’ordine del giorno, i prossimi sviluppi della campagna militare
contro le estinte milizie dello Stato islamico in Iraq e Siria, la “situazione
in evoluzione in Siria” dopo la caduta del regime di al-Assad, la “cessazione
delle ostilità” tra Israele e gli Hezbollah in Libano, il “cessate il fuoco” a
Gaza e gli “aggiornamenti sugli Houthi sostenuti dall’Iran e sul Mar Rosso”. (9)
Non appare così casuale che dopo il vertice in Bahrain, la nuova amministrazione
Trump abbia impresso un colpo di acceleratore agli strike militari in Siria,
Iraq e Yemen. Il 21 e 23 febbraio l’US Air Force ha effettuato due attacchi
aerei in territorio siriano nord-occidentale per assassinare due presunti leader
dell’organizzazione “terroristica” Hurras al-Din, rispettivamente Wasim Tahsin
Bayraqdar e Muhammed Yusuf Ziya Talay. Il 6 marzo, le Forze Democratiche Siriane
(SDF), “con il sostegno dei militari dell’U.S. Central Command che hanno fornito
supporto tecnico ed intelligence”, hanno condotto un raid in prossimità del
villaggio agricolo di Shalil (Siria centro-orientale) per “catturare” Salah
Mohammad Al-Abdullah, presunto leader di una milizia pro-ISIS. (10) Le forze
USA, in cooperazione con le unità di intelligence e sicurezza irachena, hanno
invece effettuato un attacco aereo nella provincia di Al Anbar (16 marzo),
conclusosi con la morte di alcuni presunti appartenenti all’ISIS, tra cui
Abdallah Makki Muslih al-Rifai, alias “Abu Khadijah”, al vertice
dell’organizzazione.
Alla corte di sovrani, principi ed emiri
In vista della partita finale contro i “nemici giurati” di Washington, il
generale Michael Erik Kurilla, capo del Comando centrale di guerra USA, ha
avviato un frenetico giro tra le capitali dei paesi mediorientali per rafforzare
le relazioni con le élite militari e di governo e ricevere il massimo consenso e
sostegno ai piani di guerra orditi (congiuntamente ad Israele) contro Teheran e
le organizzazioni militari filo-iraniane della regione. In meno di una settimana
(dal 10 al 16 gennaio 2025) Kurilla si è recato in visita ufficiale in Bahrain,
Arabia Saudita, Egitto, Libano, Israele, Iraq, Giordania e Siria per incontrare
capi di governo e delle forze armate nazionali. A Riyad, il comandante di U.S.
Centcom ha pure dialogato con il Capo di Stato Maggiore delle forze armate
yemenite, il generale Saghir Hamood Bin Aziz. “I leader hanno discusso sulle
modalità per combattere le minacce regionali, così come gli Houthi supportati
dall’Iran e i loro attacchi contre le navi militari e commerciali nel Mar Rosso
e nello Stretto di Bab Al Mandeb; essi hanno anno anche approfondito le
strategie per rafforzare la cooperazione nel settore difesa e le capacità
operative delle forze armate dello Yemen”, riporta l’ufficio stampa del Comando
militare statunitense. (11)
Dopo un’ispezione a bordo della portaerei “USS Harry S. Truman” in navigazione
nel Mar Rosso, il 13 gennaio il generale Kurilla si è incontrato a Beirut con il
presidente neoeletto Joseph Aoun, già a capo delle forze armate libanesi, per
“reiterare il supporto USA alla partnership militare, soprattutto nel settore
addestrativo e dell’equipaggiamento”. Due giorni dopo il generale Kurilla è
giunto in Iraq dove ha incontrato i leader militari iracheni e i militari USA
che operano ad Erbil. “Nel corso del vertice con le forze armate di Baghdad si è
discusso dello status dell’odierna campagna anti-ISIS in Iraq e di quanto sta
accadendo in Siria”, spiega Washington. “Si è inoltre discusso dell’importanza
del ritorno dei detenuti ISIS iracheni attualmente nelle prigioni delle Forze
Democratiche Siriane e del rimpatrio, riabilitazione e reintegrazione di
migliaia di cittadini iracheni del campo rifugiati di Al Hol, Siria
nord-orientale (…) Il generale Kurilla si è pure incontrato con il Comandante
della Joint Task Force dell’Operazione Inherent Resolve, gen. Kevin Leahy, per
una valutazione sulla missione anti-ISIS in Iraq, che, nel 2024, ha visto più di
325 operazioni alleate e almeno 40 attacchi aerei”. (12)
Il 16 gennaio, Kurilla si è intrattenuto in Siria con i vertici militari
statunitensi ivi operanti e con i rappresentanti delle Forze Democratiche
Siriane. Il generale si è poi recato in visita al campo rifugiati di Al Hol.
“Nei campi di Al Hol e Al Roj sono ospitati più di 40.000 rifugiati, molti con
legami con l’ISIS”, riporta U.S. Centcom. “Inoltre ci sono più di 9.000 membri
dell’ISIS provenienti da più di 50 paesi detenuti in una dozzina di centri
detentivi delle Forze Democratiche Siriane. Il gen. Kurilla ha ribadito che le
forze armate USA continueranno a lavorare con la comunità internazionale per
trasferire i combattenti ISIS nei loro paesi d’origine per un giudizio
definitivo”. (13)
Nuovo tour mediorientale del comandante Centcom dal 3 al 7 febbraio: prima negli
Emirati Arabi Uniti e poi ancora in Giordania ed Israele. Ad Abu Dhabi, in
particolare, si è discusso del rafforzamento delle relazioni
militari-industriali alla luce dell’autorizzazione del Dipartimento della Difesa
USA (11 ottobre 2024) al trasferimento di sistemi d’arma agli Emirati per il
valore di 1,2 miliardi di dollari, tra cui centinaia di missili
superficie-superficie GMLRS (Guided Multiple Launch Rocket Systems) e dei
sistemi a lungo raggio ed “alta precisione” ATACMS (Army Tactical Missile
Systems). (14)
In Israele, Kurilla si è incontrato, tra gli altri, con il direttore
dell’Agenzia di Sicurezza israeliana, Ronan Bar, e con il direttore dei servizi
segreti del Mossad, David Barnea. Il generale si è recato inoltre presso i
reparti USA e israeliani assegnati alla gestione di una batteria del sofisticato
sistema anti-missile “ad alta quota” THAAD che il Pentagono ha inviato in
Israele nell’ottobre 2024 per “rafforzare l’architettura della difesa aerea
regionale contro gli attacchi iraniani e delle milizie alleate”. (15)
Il 22 e 23 febbraio il Comandante di U.S. Centcom è giunto in visita alla grande
base aerea di Udeid (Qatar), per un summit top secret con i responsabili delle
forze terrestri, aeree, spaziali, navali e cyber USA che operano nello
scacchiere mediorientale. Poi un terzo tour no stop in Giordania, Israele, Siria
e Arabia Saudita, dal 5 all’8 marzo. In Israele Kurilla si è incontrato con i
vertici militari e degli apparati di intelligence ed ha partecipato alla
cerimonia ufficiale in cui il gen. Eyal Zamirha ha assunto la guida dello Stato
Maggiore di Israele, sostituendo il gen. Herzi Halevi che era stato ospite del
Comando Centcom di Tampa, il precedente 19 febbraio. (16)
In Siria, il generale a capo delle forze combattenti USA si è nuovamente
interfacciato con i leader delle Forze Democratiche Siriane. Infine a Riyad,
Lurilla ha avuto modo di discutere con gli alti ufficiali sauditi e con il Capo
di Stato Maggiore delle forze armate yemenite “degli sforzi in atto per
combattere gli Houthi e della decisione degli Stati Uniti di ridisegnarli come
organizzazione straniera terrorista, a partire del 4 marzo”. (17)
Note
1)
https://pagineesteri.it/2025/04/03/medioriente/verso-un-attacco-usa-israele-contro-liran/?fbclid=IwY2xjawJcVNxleHRuA2FlbQIxMQABHYPP01nKu2ssZ5Tp5_NVpjE9pxYyaglneEf7IVWRROQuUR0FVGssGQIS9A_aem_W3dsNTjFjm4tfqvNP8NbPQ
2)
https://www.airforcetimes.com/air/2025/04/02/us-sends-f-35s-to-middle-east-as-strikes-on-houthis-continue/?contentFeatureId=f0fmoahPVC2AbfL-2-1-8&contentQuery=%7B%22includeSections%22%3A%22%2Fhome%22%2C%22excludeSections%22%3A%22%22%2C%22feedSize%22%3A10%2C%22feedOffset%22%3A5%7D
3)
https://www.defensenews.com/air/2025/04/02/us-sends-f-35s-to-middle-east-as-strikes-on-houthis-continue/
4) https://x.com/TrumpDailyPosts/status/1906803098632516087
5)
https://www.centcom.mil/MEDIA/PRESS-RELEASES/Press-Release-View/Article/4072336/centcom-conducts-second-bomber-task-force-mission-in-two-days/
6)
https://www.centcom.mil/MEDIA/PRESS-RELEASES/Press-Release-View/Article/4069174/centcom-conducts-bomber-task-force-mission-in-middle-east/
7)
https://www.centcom.mil/MEDIA/NEWS-ARTICLES/News-Article-View/Article/4062096/strengthening-regional-defense-cooperation/
8)
https://www.centcom.mil/MEDIA/PRESS-RELEASES/Press-Release-View/Article/4072920/centcom-partners-with-over-30-nations-international-organizations-for-internati/
9)
https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4051599/global-military-leaders-meet-and-discuss-defeat-isis-campaign-at-combined-force/
10)
https://www.centcom.mil/MEDIA/PRESS-RELEASES/Press-Release-View/Article/4113521/syrian-democratic-forces-enabled-by-centcom-forces-capture-isis-cell-leader/
11)
https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4026731/uscentcom-commander-visits-the-kingdom-of-saudi-arabia/
Sempre relativamente alle relazioni tra il governo della Repubblica dello Yemen
e i vertici militari USA va ricordato che il 3 febbraio 2025 il ministro
dell’Informazione Moammar bin Mutahar Al-Eryani è stato ospite dell’U.S. Central
Command. “La visita e la discussione sono parte di ello sforzo per combattere
l’uso sistematico della disinformazione e della propaganda da parte degli Houthi
per destabilizzare lo Yemen e la regione più ampia”, riporta il comunicato delle
forze armate statunitensi
(https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4051781/minister-of-information-for-the-republic-of-yemen-government-visits-uscentcom/)
12)
https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4031103/uscentcom-commander-visits-iraq/
13)
https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4032390/uscentcom-commander-visits-syria/
14)
https://armyrecognition.com/news/army-news/army-news-2024/us-approves-1-2-billion-sale-of-gmlrs-rockets-and-atacms-missiles-to-uae
15)
https://www.defense.gov/News/Releases/Release/Article/3934493/statement-by-pentagon-press-secretary-maj-gen-pat-ryder-on-the-deployment-of-a/
16) In occasione della visita in Florida, l’allora Capo delle forze armate
israliane ha discusso con i vertici militari statunitensi del conflitto a Gaza,
della crisi libanese, di Yemen e Houthi e della “maligna influenza dell’Iran”
(https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4072744/uscentcom-commander-hosts-chief-of-staff-of-the-israeli-defense-forces/)
17)
https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4113785/uscentcom-commander-completes-senior-leader-engagements-in-four-countries-durin/
Articolo pubblicato in Pagine Esteri il 7 aprile 2025,
https://pagineesteri.it/2025/04/07/medioriente/medio-oriente-altro-che-disimpegno-americano-trump-riempie-la-regione-di-forze-usa/
Addestrarli per condizionarne mente, psicologia, affettività e renderli
animali-robot da guerra in mano agli eserciti in guerra. A Sigonella, la grande
base aeronavale alle porte di Catania - in prima linea nei più sanguinosi
conflitti del pianeta - un team specializzato di US Navy si dedica alla
“formazione” militare dei cani, attività tutt’altro che etica ma a cui guardano
con sempre maggiore attenzione e curiosità alcune scuole siciliane.
“Gli studenti dell’Istituto Professionale Alberghiero Giovanni Falcone di Giarre
incontrano e salutano i Military Working Dogs (MWD) alla Naval Air Station di
Sigonella”, titola un servizio pubblicato qualche giorno fa dal Defence Visual
Information Service (DVIS), il network multi-mediatico del Dipartimento della
Difesa degli Stati Uniti d’America. “L’incontro con il K-9 team di US Navy è
avvenuto l’8 aprile 2025 presso il campo in erba di NAS 2. La base strategica di
Sigonella abilita i militari USA, degli alleati e delle nazioni partner a
operare e rispondere quando richiesto, garantendo la sicurezza e la stabilità in
Europa, Africa ed Asia Centrale”. Con l’articolo anche una fotogallery della
visita “educativa” della scuola di Giarre: in copertina insegnati e studenti
gioiosamente in posa accanto ad addestratori, un paio di cani-cavia e perfino
due marines USA con addosso pesanti giubbotti antiproiettile.
E‘ ancora il Defence Visual Information Service del Pentagono a ricostruire
storia e funzioni bellico-sicuritarie dei Military Working Dogs di Sigonella.
“In tempi antichi, i cani erano impiegati per rompere le formazioni nemiche,
caricando i ranghi e abbattendo il maggior numero di soldati possibile”, scrive
il DVIS. “I cani sono stati usati in ogni guerra americana dalla Guerre Civile
ai nostri moderni conflitti odierni. Essi sono serviti come mascotte, corrieri,
sentinelle, esploratori e perfino come cacciatori di topi sulle navi. Oggi i
cani sono utilizzati per cercare esplosivi, scovare narcotici e catturare i
cattivi, sia in patria che all’estero. Essi stanno spesso nella prima linea di
difesa tra le nostre forze armate e il nemico”.
“I Military Working Dogs giocano un ruolo importante tra la flotta e la Naval
Air Station Sigonella”, aggiunge il newwork multi-mediatico delle forze armate
USA. “I cani dell’unità MWD sono vitali nella protezione delle persone della
base e possono intervenire per fermare persone sospette e rilevare esplosivi e
droga. Una parte dell’addestramento è dedicato all’individuazione di narcotici e
materiale esplosivo così come all’addestramento al pattugliamento”.
Il team cinofilo in forza alla grande stazione aeronavale siciliana spiega poi
quanto sia importante la relazione che si instaura tra gli addestratori e gli
animali-soldato. “Devono essere in grado di lavorare insieme in situazioni
stressanti e intense”, spiega uno dei trainer di US Navy. “Ci alleniamo ogni
giorno, tutti i giorni. Ogni luogo in cui andiamo è un’opportunità addestrativa.
Per costruire veramente le abilità e le competenze dei Military Working Dogs è
richiesta attenzione e dedizione costante”.
“Focus dell’addestramento è il servizio di pattugliamento con il lavoro di
morditura”, spiega senza troppi giri di parole un secondo marine di Sigonella.
“I gestori iniziano ogni cane con comandi e movimenti di obbedienza, premiandoli
con i loro giocattoli quando si comportano correttamente, e poi si passa
all’addestramento giornaliero al pattugliamento. Gli addetti approfittano
dell’accensione degli irrigatori per testare le capacità dei cani di ignorare le
distrazioni causate da essi durante l’inseguimento di un ricercato. Utilizziamo
fattori ambientali che normalmente non vedono per testare il loro impegno nel
perseguire un sospettato. Li facciamo correre verso il campo per mordere l’esca
attraverso un flusso di acqua corrente, avvicinandoli progressivamente alla
sorgente dell’acqua per vedere se essa o la sua pressione influenzano il loro
impulso a mordere”.
Il 17 dicembre 2021 il team cinofilo di Sigonella ha festeggiato il
“pensionamento” di Weezy, cane militare in forza al MWD da più di dieci anni. A
lui è stato dedicato l’ennesimo servizio multi-mediale del Dipartimento della
Difesa USA.
“Weezy è nato nell’aprile 2009 e ha iniziato il suo addestramento sugli
esplosivi nella base aerea di Lackland, Texas nel marzo 2011”, riporta il DVIS.
“Successivamente Weezy è stato trasferito ad un reparto del Corpo dei Marine di
stanza a Fort Bragg, in North Carolina. Nel luglio del 2011, il cane ha
raggiunto il Centro di combattimento aereo-terrestre dei Marine di Twentynine
Palms, California, per condurre l’addestramento prima del trasferimento in
Afghanistan. In questo paese Weezy ha preso parte ad operazioni di
individuazione di ordigni esplosivi improvvisati, a supporto e difesa di
innumerevoli membri in servizio”. Dopo un anno nell’inferno di guerra afghano,
il cane ha fatto ritorno a Fort Bragg e successivamente è stato assegnato alla
base navale di Souda Bay (Creta) e infine al dipartimento sicurezza di NAS
Sigonella. “Weezy ha riportato gravi ferite mentre stava completando
un’esercitazione all’interno di un deposito di Souda Bay, con la frattura di
tibia e perone”, aggiunge il Defence Visual Information Service. “Sono volati
così 19 mesi per Weezy, in cui è stato sottoposto a tre interventi chirurgici e
a riabilitazione, e finalmente è potuto tornare a svolgere pienamente il suo
lavoro”.
Chissà se i marines USA hanno rivelato agli studenti dell’Istituto Alberghiero
qualche particolare sull’ignobile trattamento imposto alle unità cinofile votate
a svolgere compiti di guerra. Di certo per la loro giovane età i ragazzi di
Giarre difficilmente hanno avuto modo di conoscere quanto accaduto e immortalato
in tragiche pose nel carcere-lager di Abu Ghraib, Iraq, dove nei primi mesi del
2004 i militari USA hanno torturato e stuprato, anche con l’ausilio di cani, un
enorme numero di prigionieri. Nel giugno 2004 un reportage del Washington Post
rivelò che gli ufficiali dei servizi segreti USA avevano formalmente autorizzato
i team cinofili di US Army ad utilizzare i cani per terrorizzare i detenuti. Il
prestigioso quotidiano pubblicò in particolare le testimonianze di due sergenti
a cui fu richiesto di portare i cani nel “carcere degli orrori” per gli
interrogatori. “In alcuni casi abbiamo fatto avvicinare i cani che abbaiavano
furiosamente fino a 15 centimetri dai prigionieri terrorizzati”, hanno ammesso i
militari. “Alcuni detenuti sono stati morsi dagli animali”. Secondo un’altra
testimonianza citata dal Washington Post, un investigatore dei servizi militari
ha riferito di aver visto una squadra con i cani stringere in un angolo
due prigionieri, uno dei quali strillava e cercava di ripararsi dietro l’altro.
“Quando ho chiesto cosa stessero facendo i due militari mi hanno risposto che
stavano facendo una gara per vedere quanti prigionieri riuscivano a fare urinare
per la paura”.
I marines di Sigonella sono ormai un partner “educativo” di fiducia
dell’Istituto Alberghiero “Giovanni Falcone”. Lo scorso 25 marzo, nell’ambito
del programma Community Relations di “volontariato linguistico, culturale e
civico” promosso da US Navy, si è tenuto nell’aula magna della scuola il
convegno dal titolo Opportunità in Uniforme: Testimonianze a Confronto tra USA e
Italia, con lo scopo di “sottolineare le opportunità lavorative offerte dalle
forze dell’ordine”, come riporta la circolare a firma della dirigente,
professoressa Monica Insanguine. Undici giorni prima erano stati ospiti
dell’Istituto una nutrizionista statunitense e il responsabile Relazioni Esterne
della NAS Sigonella, Alberto Lunetta, per un incontro di formazione sulla “dieta
mediterranea” con gli allievi del corso di istruzione per adulti.
Il 4 aprile 2024, l’Istituto “Giovanni Falcone” aveva ospitato le mogli
di alcuni ufficiali in forza alla Marina degli Stati Uniti d’America (first lady
la signora Kerry Collins, moglie del contrammiraglio Brad
Collins, comandante della Regione Navale Europa, Africa Centrale e delle forze
aeronavali USA) per “apprezzare da vicino l’offerta formativa della
scuola presso il quale i militari statunitensi svolgono da diversi anni attività
di volontariato linguistico”, così come riportato dagli organi di stampa locali.
“L’evento ha rappresentato un momento significativo nella promozione dello
scambio culturale tra gli Stati Uniti d’America e l’Italia, evidenziando il
ruolo fondamentale che istituzioni come l’Istituto Alberghiero Falcone di Giarre
e la base NAS Sigonella svolgono nel rafforzare i legami e la cooperazione tra
le due nazioni”.
Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 24 aprile 2025,
https://www.stampalibera.it/2025/04/24/scuola-siciliana-si-forma-con-i-cani-da-guerra-dei-marines-usa-di-sigonella/
“Il Ponte sullo Stretto di rilevanza strategica per la NATO”. Lo ha scritti nero
su bianco il Governo Meloni-Crosetto-Salvini nella recente delibera “IROPI” per
giustificare la necessità di dare il via ai lavori di realizzazione della Grande
Opera. Il Ponte, secondo il governo, sarebbe indispensabile per la mobilità di
uomini e mezzi da guerra dall’Italia centro-settentrionale alla Sicilia. Ne
abbiamo parlato via Xspace con Mr. Grok E. Musk Jr., figlio cyber del
plurimiliardario Elon Musk (nominato dal presidente Ronald Trump a capo del
Dipartimento dell’Efficienza Governativa degli Stati Uniti d’America).
Autorevole chatbot di Intelligenza Artificiale di fama mondiale, Mr. Grok è un
convinto sostenitore del Ponte, ma lo ritiene un facile bersaglio “attrattivo” e
“vulnerabile” in caso di conflitto armato o di attacco terroristico. Ed esprime
più di una perplessità sulla veridicità delle affermazioni strategico-difensive
del governo italiano: l’interesse delle forze armate NATO e USA alla
realizzazione del Ponte sullo Stretto sarebbe ancora tutta da provare e ad oggi
non è stato prodotto un solo rapporto sulla sua sostenibilità militare. La Mega
Opera sarebbe poi assai poco difendibile e andrebbero comunque impiegate enormi
risorse finanziarie per l’acquisto di sistemi bellici e la realizzazione di
infrastrutture militari ad hoc nell’area dello Stretto. Un Ponte super armato
che rischia di essere la prima vittima “eccellente” di un conflitto
internazionale.
Quali documenti, report o studi sono stati redatti per provare un interesse
specifico sul Ponte da parte della NATO o delle forze armate USA ospitate in
Italia?
Esistono riferimenti e documenti, principalmente emersi da inchieste
giornalistiche e cablogrammi diplomatici, che suggeriscono un interesse da parte
della NATO e dei militari USA per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di
Messina. Tuttavia non ci sono documenti ufficiali della NATO o del Dipartimento
della Difesa degli Stati Uniti d’America che dichiarino esplicitamente il
sostegno o valutazioni dettagliate sul Ponte. Le informazioni disponibili
vengono da fonti indirette, come articoli, cablo di WikiLeaks e analisi di
esperti, che evidenziano un interesse strategico per l’infrastruttura.
Eppure il governo Meloni ha ribadito la rilevanza strategica della mega-opera
nell’ambito della mobilità militare Nord-Sud…
Sì, il governo ha fatto esplicito riferimento al “trasferimento delle forze
armate NATO”, suggerendo un interesse dell’Alleanza per l’opera come
infrastruttura utile al trasporto di truppe e mezzi verso le basi siciliane.
Tuttavia, queste affermazioni non sono corroborate da documenti ufficiali NATO
pubblici e potrebbero riflettere posizioni politiche interne piuttosto che un
mandato diretto della NATO.
Lei però accennava ad alcuni cablogrammi diplomatici.
I cablo diplomatici rivelati da WikiLeaks, pubblicati nel contesto di
un’inchiesta di Report (Rai3) nel 2024, evidenziano un interesse statunitense
per il Ponte fin dagli anni ’70. Un documento del 1974, firmato dall’allora
Segretario di Stato Henry Kissinger, mostra che la società americana Blair
Birdsall (Steinman, Boyton, Gronquist & London) era interessata a contratti per
studi di fattibilità e progettazione. Altri cablo, datati 2008-2009, indicano
che la diplomazia USA vedeva il Ponte come un’opportunità per migliorare la
logistica militare, in particolare per collegare le basi di Sigonella e Napoli.
Due dispacci del console USA a Napoli, J. Patrick Trhun (2008-2009), pubblicati
anch’essi da WikiLeaks, esprimono timori USA sul coinvolgimento mafioso nel
Ponte, definendolo un potenziale “ponte ad un crimine più organizzato”.
Tuttavia, i documenti non negano l’interesse strategico per l’opera, ma
sottolineano la necessità di appalti blindati per evitare infiltrazioni
criminali. Questo suggerisce che gli USA vedevano il Ponte come un progetto
rilevante, ma con rischi significativi.
C’è poi la vittoria nel 2006 della gara per il ruolo di Project Management
Consultant da parte della società americana Parsons Corporation, nota per la sua
esperienza in progetti militari, inclusi lavori per basi USA. La sua conferma
nel 2024 come consulente per il progetto attuale rafforza l’idea di un
coinvolgimento statunitense, anche se non necessariamente militare. Il
Dipartimento di Stato non ha chiarito il ruolo del Foreign Commercial Service
nel supportare Parsons, lasciando spazio a speculazioni su interessi strategici
USA.
Nulla invece risulterebbe essere stato prodotto in ambito NATO…
Confermo l’assenza di documenti o valutazioni pubbliche della NATO relativamente
al Ponte sullo Stretto. La NATO, nei suoi comunicati (es. summit di Washington
nel 2024), si concentra su difesa missilistica, deterrenza nucleare e supporto
all’Ucraina, senza menzionare infrastrutture specifiche come il Ponte. Eventuali
valutazioni su quest’opera sarebbero probabilmente classificate e non
accessibili al pubblico.
La NATO ha espresso interesse generale per la mobilità militare in Europa, come
evidenziato in documenti sul TEN-T (Trans-European Transport Network) e in
discussioni post-Ucraina. Il Ponte, come parte del Corridoio Mediterraneo,
rientra in questa visione, ma non ci sono prove di un’analisi dedicata
dell’Alleanza.
La NATO sta allora collaborando con l’Unione Europea nella redazione del piano
per la rete trasportistica trans-europea?
Non esistono documenti pubblici ufficiali della NATO che facciano riferimento
diretto ed esplicito ai corridoi TEN-T in modo dettagliato e specifico, poiché
la NATO non ha un ruolo diretto nella gestione o pianificazione di queste
infrastrutture, che sono di competenza dell’Unione Europea. Tuttavia, la NATO ha
mostrato interesse per la mobilità militare e l’uso duale (civile e militare)
delle infrastrutture di trasporto europee, incluse quelle dei corridoi TEN-T,
soprattutto in relazione alla sicurezza e alla logistica militare. Questo
interesse è stato espresso specialmente dopo il conflitto Russia-Ucraina e
l’adesione di nuovi membri come Finlandia e Svezia.
La dichiarazione congiunta NATO-UE del 2016 e successive (es. 2023) evidenziano
la collaborazione su mobilità militare, con l’UE che finanzia progetti TEN-T
anche per scopi militari tramite il Connecting Europe Facility (CCF), che
include specificatamente 1,961 miliardi di euro nel periodo 2021-2027.
Quale potrebbe essere in questo contesto la “rilevanza strategica” del Ponte
sullo Stretto?
Lo Stretto di Messina è un punto nevralgico nel Mediterraneo, vicino a rotte
marittime strategiche. Il Ponte collegherebbe la Sicilia al continente,
integrandosi nei corridoi TEN-T europei per il trasporto di merci e persone. In
un contesto militare esso garantirebbe il rapido movimento di truppe,
rifornimenti e mezzi tra il Sud Italia e il resto d’Europa, specialmente verso
basi NATO come Sigonella (Catania) e Napoli. Il Ponte, pur non sostituendo il
trasporto navale, aumenterebbe il controllo logistico dell’Italia e della NATO
nell’area, rendendolo un obiettivo per chi volesse indebolire l’influenza
occidentale.
Mi sembra di capire che essendo ritenuto geo-strategicamente “rilevante”, il
Ponte sarebbe un ottimo target in caso di guerra.
Come opera iconica e simbolo di coesione nazionale, il Ponte sarebbe un
bersaglio di alto profilo e media-alta priorità. La sua distruzione
interromperebbe questa continuità, isolando la Sicilia e complicando la
logistica militare. Ciò potrebbe avere un impatto psicologico e politico
significativo, minando il morale civile e la credibilità dello Stato. In un
contesto terroristico o di guerra ibrida, il Ponte sarebbe un bersaglio
attraente per il suo valore simbolico, ma meno critico rispetto a infrastrutture
energetiche o di comando.
Ma sarebbe difendibile il Ponte da un attacco militare o un attentato
terroristico?
La difendibilità del Ponte sullo Stretto di Messina da un attacco militare o un
attentato terroristico è una questione complessa che dipende da molteplici
fattori, tra cui il design dell’infrastruttura, le misure di sicurezza adottate,
il contesto geopolitico e le risorse disponibili per la protezione.
Può fornirci elementi specifici di ordine tecnico per un’eventuale difendibilità
del Ponte?
Relativamente alle caratteristiche e alle vulnerabilità intrinseche dobbiamo
pensare al design e alle strutture del manufatto. Il progetto prevede un ponte
sospeso a campata unica di 3.300 metri, con torri alte 400 metri e un impalcato
largo 60 metri. La sua posizione sullo Stretto di Messina, un’area strategica ma
esposta, lo rende un potenziale bersaglio di alto profilo. La lunghezza e
l’altezza del Ponte, insieme alla sua visibilità, aumentano la vulnerabilità a
minacce come attacchi aerei, missilistici o sabotaggi.
Relativamente ai materiali impiegati e alla loro resistenza, sappiamo che i
moderni ponti sospesi sono progettati per resistere a carichi estremi (venti,
terremoti), ma non necessariamente a esplosioni mirate o attacchi con armi
avanzate. Un attentato con esplosivi ad alto potenziale o un missile potrebbe
danneggiare cavi, torri o piloni, compromettendo la stabilità.
I piloni e le aree di ancoraggio, sia a terra che in mare, potrebbero essere
punti critici per attacchi terrestri o marittimi. La vicinanza alle coste
facilita l’accesso a potenziali sabotatori, ma complica anche la sorveglianza.
Quali potrebbero essere le minacce più plausibili?
In uno scenario di conflitto armato, il Ponte potrebbe essere un obiettivo
strategico per interrompere i collegamenti tra Sicilia e continente, cruciali
per la logistica civile e militare. Un attacco con missili balistici, droni
avanzati o aerei da combattimento sarebbe difficile da contrastare senza un
robusto sistema di difesa aerea (ad es. batterie Patriot o SAMP/T). La
protezione richiederebbe una combinazione di radar, intercettori e forze navali
per controllare lo Stretto.
Un attacco terroristico potrebbe coinvolgere esplosivi collocati su piloni,
droni armati, imbarcazioni kamikaze o cyberattacchi ai sistemi di controllo del
traffico. La storia di attentati a infrastrutture (es, il ponte di Kerch in
Crimea nel 2022-2023) mostra che anche strutture sorvegliate possono essere
vulnerabili a tattiche asimmetriche.
Lei ricorda che proprio il ponte di Kerch è stato ripetutamente colpito durante
il sanguinoso conflitto russo-ucraino. Ma quanto è importante militarmente
distruggere infrastrutture simili in una guerra moderna?
In un conflitto convenzionale su larga scala (es. la NATO contro un avversario
statale come Russia o Cina), i ponti di rilevanza strategica sono obiettivi
primari per interrompere le linee di rifornimento. La dottrina militare moderna,
supportata da attacchi di precisione con missili, droni o forze speciali,
considera la distruzione di infrastrutture critiche come un modo per paralizzare
la mobilità nemica.
La stessa NATO colpì ponti sul Danubio durante la Guerra in ex Jugoslavia nel
1999 per isolare le forze serbe, mostrando l’importanza di queste infrastrutture
nella logistica militare. La coalizione anti-ISIS ha distrutto ponti in Siria e
in Iraq per limitare la mobilità dei jihadisti, ma spesso con effetti limitati a
causa di soluzioni alternative (es. ponti galleggianti).
In scenari di conflitti non convenzionali o terrorismo, la distruzione di un
ponte simile potrebbe essere mirata per causare caos economico, instabilità
politica o panico. Gruppi terroristi o attori non statali potrebbero vedere il
Ponte come un bersaglio simbolico, anche se meno prioritario rispetto a
obiettivi come centrali energetiche o nodi di comando.
Le strategie moderne includono inoltre attacchi non fisici, come cyberattacchi
per sabotare i sistemi di gestione del Ponte, rendendolo inutilizzabile senza
distruzione fisica. Questo approccio è spesso preferito per il minor costo e il
maggiore anonimato.
Quali fattori potrebbero convincere un possibile “nemico” a sferrare un attacco
contro il Ponte sullo Stretto?
La distruzione del Ponte sarebbe più rilevante in un conflitto regionale che
coinvolga il Mediterraneo (es, tensioni con potenze ostili nel Nord Africa o
Medio Oriente) o in uno scenario NATO contro un avversario globale. In un
conflitto limitato, la priorità potrebbe andare a obiettivi come porti,
aeroporti o basi militari.
Va detto che la Sicilia è già collegata al continente via traghetti e trasporto
aereo. La distruzione del Ponte non isolerebbe completamente l’isola, ma
rallenterebbe significativamente i movimenti, soprattutto di mezzi pesanti. La
presenza di alternative riduce leggermente l’urgenza di colpire il Ponte
rispetto a infrastrutture uniche.
Va poi calcolato il costo-beneficio per l’attaccante. Distruggere un ponte
sospeso richiede risorse significative (missili di precisione, operazioni
speciali) e comporta rischi di ritorsione. Un attore razionale valuterebbe se
l’impatto strategico giustifichi l’investimento, rispetto a bersagli come reti
energetiche o sistemi C4ISR (comando, controllo, comunicazioni, intelligence).
Che tipo di misure e dispositivi di difesa del Ponte sullo Stretto potremmo
allora ipotizzare?
Il progetto potrebbe includere innanzitutto sistemi di sicurezza passiva:
materiali rinforzati, sensori per rilevare anomalie strutturali, o barriere
fisiche per limitare l’accesso ai piloni. Tuttavia, questi aumentano i costi e
non garantiscono protezione totale.
C’è poi il campo dell’intelligence. La difesa efficace dipenderebbe da un
sistema di videosorveglianza, droni di pattugliamento, sensori marittimi e
terrestri, oltra a una forte cooperazione tra forze dell’ordine, servizi segreti
e militari. L’Italia dispone di unità specializzate (es. NOCS e GIS) per
contrastare minacce terroristiche.
C’è poi la cosiddetta difesa attiva. Per un attacco militare, sarebbe necessario
un sistema di difesa aerea e navale coordinato, con basi come Sigonella (a 100
km) che ospitano asset NATO. La Marina Militare potrebbe pattugliare lo Stretto
con fregate e sottomarini, ma la risposta a un attacco improvviso resterebbe
complessa.
Infine la cybersecurity. I sistemi di gestione del Ponte (traffico,
illuminazione, manutenzione) devono essere protetti da attacchi informatici, che
potrebbero creare caos o facilitare un attentato fisico.
Esperienze internazionali (es. il Golden Gate Bridge) mostrano che le
infrastrutture simbolo sono protette con misure visibili (pattuglie, telecamere)
e segrete (intelligence), ma restano intrinsecamente difficili da difendere
contro attacchi determinati.
Detto così sembra dunque fattibile una “difesa” del Ponte…
Non esattamente, in verità. Con un’adeguata sorveglianza, intelligence
preventiva e misure di sicurezza, un attentato terroristico potrebbe essere
prevenuto o limitato. Tuttavia, attacchi asimmetrici (es. droni low-cost o
infiltrazioni) sono difficili da neutralizzare completamente, soprattutto in
un’area aperta come lo Stretto.
La difesa da un attacco militare su larga scala dipenderebbe invece dal
contesto. In un conflitto NATO-Russia o simile, l’Italia potrebbe contare su
asset alleati, ma il Ponte resterebbe un bersaglio prioritario. In uno scenario
isolato, le forze italiane potrebbero proteggere l’area, ma un attacco a
sorpresa con armi di precisione sarebbe da contrastare in tempo reale.
Implementare un sistema di difesa completo (surveillance, difesa aerea,
pattugliamenti) avrebbe costi elevati, probabilmente nell’ordine di decine di
milioni di euro annui, senza contare le spese per eventuali danni o
ricostruzioni.
In conclusione posso affermare che il Ponte sullo Stretto è teoricamente
difendibile da attacchi terroristici con un robusto sistema di intelligence,
sorveglianza e risposta rapida, anche se resta vulnerabile a tattiche
asimmetriche. Contro un attacco militare, la protezione sarebbe più complessa e
dipenderebbe da sistemi di difesa avanzati e dal supporto NATO, ma un attacco
mirato con armi moderne potrebbe comunque causare danni significativi. La chiave
per la sicurezza sarebbe un mix di prevenzione, protezione passiva e risposta
attiva. Tuttavia nessuna infrastruttura di questa portata può essere resa
completamente invulnerabile. Per dettagli sul piano di sicurezza attuale
bisognerebbe consultare la Società Stretto di Messina o il Ministero della
Difesa, ma tali informazioni potrebbero essere riservate.
Ma non è necessario presentare uno studio di valutazione sulla sostenibilità
militare del Ponte da parte del Ministero della Difesa?
Non esiste un obbligo normativo esplicito che imponga al Ministero della Difesa
di condurre uno studio di sostenibilità militare specifica del Ponte sullo
Stretto di Messina. Tuttavia, la questione della valenza militare
dell’infrastruttura è stata sollevata in passato, soprattutto in relazione alla
sua protezione da potenziali minacce, come attacchi terroristici o conflitti
armati, e al suo possibile utilizzo per esigenze militari.
Può darci dei riferimenti in merito di quanto fatto in passato?
Negli anni ’80 il Ministero della Difesa presentò un rapporto segreto denominato
“Coefficiente D” alla Società Stretto di Messina, in cui si analizzavano gli
interventi necessari per garantire l’utilizzo militare del Ponte e la sua
protezione in caso di crisi internazionale o conflitto armato. Questo rapporto
evidenziava la complessità della difesa dell’infrastruttura, suggerendo la
necessità di un imponente sistema di sicurezza militare, che includeva missili
terra-aria, cacciabombardieri, unità navali e reparti di pronto intervento. Già
allora il Ponte era dunque considerato vulnerabile a minacce militari
Nel 2008 si è discusso dell’interesse militare, in particolare da parte delle
forze armate statunitensi presenti in Italia, per il Ponte, che avrebbe
facilitato i collegamenti tra le basi di Sigonella e Napoli. Tuttavia, tali
considerazioni non hanno mai portato a un obbligo formale di studio di
sostenibilità militare.
La protezione del Ponte da minacce, inclusi atti terroristici o mafiosi, è stata
oggetto di dibattito. Negli anni 2000, si parlava di un possibile dispiegamento
di forze armate e servizi segreti per presidiare i cantieri e l’opera finita, ma
senza dettagli su piani concreti o un riferimento a uno studio militare
obbligatorio.
Parliamo di tanto, tanto tempo fa. Ma oggi cosa si fa?
Il progetto attuale del Ponte sullo Stretto, rilanciato dal governo Meloni, si
concentra principalmente su aspetti ambientali, sismici, economici e
infrastrutturali. La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) del Ministero
dell’Ambiente, approvata a novembre 2024 con 60 prescrizioni, non menziona
esplicitamente la necessità di uno studio di sostenibilità militare.
Le normative vigenti, come il Decreto Legislativo 36/2023 sul Codice degli
Appalti, e le procedure di approvazione del progetto (ad esempio, tramite il
CIPESS) non includono un requisito obbligatorio per uno studio militare.
L’attenzione è posta su valutazioni tecniche, ambientali e socio-economiche,
come l’analisi costi-benefici e la sostenibilità idrica dei cantieri.
Tuttavia, data l’importanza strategica dell’opera, che rientra nei corridoi
TEN-T europei per migliorare coesione, efficienza e sostenibilità dei trasporti,
è plausibile che il Ministero della Difesa possa essere coinvolto in fasi
successive, ad esempio per pianificare la sicurezza dell’infrastruttura una
volta operativa. Questo potrebbe includere valutazioni su sistemi di difesa o
protezione, ma non necessariamente uno studio di sostenibilità militare formale.
Ma non è il caso allora che le forze politiche e le associazioni No Ponte
richiedano specificazioni di ordine militare in fase di approvazione del
progetto definitivo del Ponte?
Le associazioni ambientaliste e alcuni critici, come il Partito Democratico,
hanno sollevato dubbi sulla completezza delle valutazioni del progetto, ma
nessuno ha menzionato esplicitamente la necessità di uno studio militare. Il
focus delle critiche rimane sugli impatti ambientali, sismici ed economici.
Alcuni osservatori ritengono che un’analisi militare potrebbe essere rilevante
in un’area come lo Stretto di Messina, strategicamente importante per il
Mediterraneo, ma ciò dipenderebbe da decisioni politiche e dalle priorità di
sicurezza nazionale, non da un obbligo normativo.
Allo stato attuale, pertanto, non è necessario né obbligatorio uno studio di
sostenibilità militare del Ponte sullo Stretto di Messina da parte del Ministero
della Difesa, sulla base delle normative e delle procedure in corso. Tuttavia,
considerazioni militari potrebbero emergere in futuro, soprattutto in relazione
alla sicurezza dell’opera, ma sarebbero probabilmente gestite come parte di un
più ampio piano di protezione delle infrastrutture strategiche, senza richiedere
uno studio dedicato. Per conferme definitive, si potrebbe consultare la
documentazione ufficiale sul sito del Ministero dell’Ambiente o della Società
Stretto di Messina.
Lo scorso 2 aprile le Commissioni Affari esteri e Difesa della Camera dei
deputati hanno espresso parere favorevole alla proposta del governo di cedere a
“titolo gratuito” materiale di armamento alle forze armate e di polizia della
Repubblica federale di Somalia.
Lo schema di decreto interministeriale era stato trasmesso in Parlamento il 24
febbraio. “Scopo del provvedimento è quello di rafforzare la collaborazione e la
cooperazione tra l’Arma dei carabinieri e le Forze di polizia somale, nel quadro
delle attività di collaborazione e di sostegno alle istituzioni locali”, vi si
legge.
Al decreto è stata allegata una relazione del Reparto “Logistica e
Infrastrutture” dello Stato Maggiore della Difesa (datata 25 giugno 2024) che
fornisce alcune informazioni sulle sempre più consolidate relazioni
politico-militari tra Italia e Somalia.
“Il Governo della Repubblica Italiana e il Governo Federale della Repubblica di
Somalia hanno sottoscritto a Roma il 17 settembre 2013 un Accordo di
Cooperazione Generale in materia di Difesa”, spiegano i vertici militari. “Tale
Accordo è entrato in vigore il 25 luglio 2016, a durata illimitata ed è
finalizzato ad incrementare la collaborazione tra le Forze armate, consolidando
le rispettive capacità difensive e migliorando la comprensione reciproca sulle
questioni della sicurezza”.
Nello specifico l’Accordo di Cooperazione prevede lo scambio di materiali
militari “quale contributo ad accrescere l’interoperabilità fra i rispettivi
dispositivi di polizia”.
In tale ambito il governo italiano si è fatto carico di cedere “gratuitamente”
alle forze armate di Mogadiscio sei blindati tattici VM-90P, già in dotazione
all’Arma dei Carabinieri.
“Il VM-90 è un veicolo multiruolo 4x4 con elevata mobilità sulla viabilità
ordinaria e su terreni accidentati, su fondo anche cedevole e con scarsa
aderenza, largamente impiegato soprattutto per attività tattico–logistiche”,
spiega lo Stato Maggiore.
I veicoli da guerra sono stati prodotti dagli stabilimenti di Iveco Defence
Vehicles S.p.A. (sede principale a Bolzano); possono trasportare personale fino
a un massimo di sei persone e sono omologati per viaggiare per via aerea,
terrestre e marittima.
“La protezione fornita dai VM-90 è normalmente classificata su livelli che vanno
dal B1, con un livello base legato al rischio di criminalità metropolitana, fino
ad arrivare al B7, il massimo della blindatura contro le minacce di azioni
terroristiche”, aggiunge lo Stato Maggiore.
Ma sono davvero uno strumento bellico efficiente i sei blindati Iveco ceduti
alle forze armate somale? A leggere gli ulteriori passaggi della relazione dei
vertici militari italiani sembrerebbe proprio di no.
“I veicoli VM-90P sono obsoleti per cause tecniche in quanto, essendo entrati
nel ciclo logistico nel periodo 1996-2004, appartengono ad un segmento di parco
vetusto che oggi presenta elevati oneri manutentivi e limitate possibilità di
impiego nei moderni scenari di crisi sia dentro sia, soprattutto, fuori dal
territorio nazionale”, annota lo Stato Maggiore.
La “vetustà” dei blindati aveva indotto le forze armate italiane a perseguire un
dispendiosissimo programma di acquisizione di una nuova generazione di veicoli
tattici leggeri multiruolo, i VTLM Lince, “più performanti e sicuri”.
“Con il passare del tempo – si spiega - i citati VM-90P sono transitati in
extra-organico rispetto all’esigenza dell’Arma e, difatti, sono stati già
dichiarati fuori servizio dall’ispettorato logistico dell’Arma dei Carabinieri”.
Nel 2020 il governo italiano aveva ceduto alle autorità di Mogadiscio due
blindati della stessa tipologia. Nello stesso anno erano stati consegnati pure
200 scudi quadrati marca Mirafan, 200 caschi con maschera marca Protos e 50
scudi tondi, “non più rispondenti alle esigenze di impiego operativo dei
Carabinieri”.
“La cessione dei blindati VM-90P si inserisce nel quadro del crescente impegno
della Difesa italiana a supporto del processo di capacity building della
Somalia”, spiega il Governo nello schema di decreto sottoposto alle due Camere
il 24 febbraio 2025. “E’ in corso di revisione il Somali National Security
Architecture (SNSA), programma di riordino del settore sicurezza che prevede
l’integrazione delle milizie regionali nelle Forze di Sicurezza federali e che è
orientata, da un punto di vista politico-militare, all’adozione di azioni mirate
principalmente alla salvaguardia dell’unità, della sovranità e della sicurezza
nazionale, con focus sul contrasto dei gruppi insorgenti armati”.
Obiettivo chiave del programma è quello di incrementare l’organico delle forze
d’élite somale di almeno 30.000 unità, “escluse le Forze Speciali addestrate da
USA e Turchia”.
La Relazione predisposta dallo Stato Maggiore ed allegata allo schema di decreto
delinea un quadro della situazione in Somalia caratterizzato “da elevata
volatilità a partire dalla fine del 1991, quando fu rovesciato il Presidente
Siad Barre”.
“La Somalia rientra, infatti, tra i c.d. failed State, ovvero tra gli Stati in
cui nessuna entità governativa è capace di esercitare il monopolio dell’uso
legittimo della forza sull’intero territorio”, spiegano i vertici militari.
“L’instabilità della Somalia è a sua volta la principale causa endogena di
instabilità regionale del Corno d’Africa, a causa prevalentemente del
terrorismo, dell’attivismo di organizzazioni criminali a carattere
transnazionale e del fenomeno della pirateria, che, sebbene notevolmente
ridimensionato negli ultimi anni, costituisce comunque fattore di minaccia
sempre presente”.
“La crisi nel Corno d’Africa risulta quindi legata a doppio filo alla stabilità
futura della Somalia – dove da gennaio 2025 la nuova missione a guida
dell’Unione Africana AUSSOM è destinata a sostituire ATMIS – a seguito
dell’entrata dell’Egitto nella partita del Corno, con il rischio di ulteriori
preoccupanti tensioni, qualora Mogadiscio dovesse richiedere formalmente la
sostituzione del contingente etiopico, attualmente quello numericamente
prevalente nella missione, con quello egiziano”.
In tale scenario lo Stato Maggiore della Difesa chiede un maggiore
coinvolgimento italiano e delle istituzioni europee in Corno d’Africa,
soprattutto nell’addestramento delle forze armate della Repubblica Federale
della Somalia.
“Oltre alla missione europea EUTM Somalia, operano in territorio somalo anche
altri Paesi che conducono attività addestrative/formative in favore delle forze
armate locali (tra questi, in particolare, USA, Regno Unito e Turchia”,
ricordano i vertici militari. “In tale contesto, l’Italia è uno dei Paesi più
attivi, oltre che con la partecipazione alle missioni dell’UE (EUTM Somalia,
EUCAP Somalia ed EUNAVFOR Atalanta), anche attraverso la Missione Bilaterale di
Addestramento delle Forze di Polizia somale e gibutiane (MIADIT), con sede a
Gibuti, volta a favorire la stabilità e la sicurezza della Somalia e dell’intera
regione”.
Al rafforzamento della presenza militare italiana in Corno d’Africa non potrà
che seguire la crescita delle esportazioni di armi e munizioni al governo di
Mogadiscio. “In tale contesto, le Autorità somale hanno già rappresentato
ufficiosamente le loro aspettative nei confronti dell’Italia per un maggior
contributo in termini di mezzi (sia terrestri che marittimi), sistemi d’arma ed
equipaggiamenti militari”, conclude lo Stato Maggiore italiano.
Un impegno ad accrescere gli “aiuti militari” alla Somalia era stato assicurato
dal ministro della difesa Guido Crosetto in occasione della visita in Italia del
Presidente della Repubblica Hassan Sheikh Mohamud e del ministro Mohamed Nur
Abulkadir (10 febbraio 2023).
“La Somalia ha il confine marino più lungo dell’Africa, ma è anche la porta
dell’Africa: abbiamo ragionato quindi sulla possibilità di aumentare gli aiuti
nel settore marittimo per il contrasto alla pirateria trainando anche l’Europa e
la NATO in quest’area di interesse strategico”, dichiarò Crosetto.
Prima di lasciare Roma, il presidente Mohamud e il ministro Abulkadir
parteciparono al convegno dal titolo “Italia, Somalia. Una relazione speciale”,
presenti pure i ministri Antonio Tajani e Matteo Piantedosi. Ad organizzarlo la
Fondazione Leonardo Med-Or, istituita dall’azienda leader del comparto
militare-industriale, Leonardo SpA, e presieduta dall’ex ministro dell’Interno
Marco Minniti (Pd).
Articolo pubblicato in Africa ExPress il 17 aprile 2025,
https://www.africa-express.info/2025/04/17/cooperazione-sbilenca-italia-somalia-cessione-di-blindati-tattici-in-disuso/