[2025-05-22] DISUMANO E DEGRANTE - IL DECRETO SICUREZZA E IL CARCERE @ Unione culturale
DISUMANO E DEGRANTE - IL DECRETO SICUREZZA E IL CARCERE Unione culturale - via C. Battisti 4b, Torino (giovedì, 22 maggio 18:00) serata/dibattito su carcere e decreto sicurezza organizzato dal Coordinamento transfemminista contro il carcere composto da organizzazioni, comitati e singol3 che da anni si battono per i diritti delle persone detenute e, in particolare, delle donne e persone trans detenute nella sezione femminile delle Vallette e sezione trans di Ivrea (Mamme in piazza, Sbarre di Zucchero, Non una di meno, Isola di Arran, campagna Madri Fuori, Antigone) Il ‘decreto sicurezza’ attenta alle libertà, al diritto e ai diritti. Lo fa soprattutto ai danni di chi è socialmente più svantaggiat3, di chi protesta e manifesta, de3 più giovani. Lo fa in modo violento e feroce contro chi è detenut3, in carcere e nei CPR. Prevede pene fino a otto anni per chi protesta dietro le sbarre, anche in modo non violento. Priva le donne madri di bimb3 di meno di un anno della garanzia di accedere a forme alterative al carcere. Priva le donne incinte del diritto a partorire libere e i loro figl3 del diritto a nascere liber3. Sono norme disumane, dettate da razzismo, classismo e sessismo e da un autoritarismo patriarcale violento. 𝑰𝑵𝑽𝑰𝑻𝑰𝑨𝑴𝑶 𝑻𝑼𝑻𝑻3 𝑨𝑳 𝑫𝑰𝑩𝑨𝑻𝑻𝑰𝑻𝑶 𝑺𝑼𝑮𝑳𝑰 𝑨𝑹𝑻𝑰𝑪𝑶𝑳𝑰 𝑫𝑬𝑳 𝑫𝑳 𝑪𝑯𝑬 𝑹𝑰𝑮𝑼𝑨𝑹𝑫𝑨𝑵𝑶 𝑰𝑳 𝑪𝑨𝑹𝑪𝑬𝑹𝑬 𝑷𝑬𝑹 𝑬𝑳𝑨𝑩𝑶𝑹𝑨𝑹𝑬 𝑬 𝑷𝑹𝑶𝑴𝑼𝑶𝑽𝑬𝑹𝑬 𝑷𝑹𝑨𝑻𝑰𝑪𝑯𝑬 𝑫𝑰 𝑶𝑷𝑷𝑶𝑺𝑰𝒁𝑰𝑶𝑵𝑬  
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Cartografie del terzo settore e della innovazione sociale a Torino #6. Community Land Trust
(disegno di adriana marineo) Sulle serrande chiuse davanti al giardino Maria Teresa di Calcutta, in corso Giulio Cesare, compaiono due scritte: “meno filantropi, più licantropi” e “Partito Democratico e Sinistra Ecologista: per ogni sgombero un bene comune”. Incalza da anni la repressione delle occupazioni nei quartieri a nord della Dora: l’asilo di via Alessandria è stato sgomberato nel 2019 e un’altra palazzina occupata poco lontano è stata circondata dalla polizia nel gennaio del 2021. E numerosi, solo nell’ultimo anno, sono gli interventi contro le occupazioni delle case popolari: questi sgomberi sono rivendicati dall’amministrazione attuale, guidata dai due partiti menzionati dal graffito. Appare il paesaggio contemporaneo delle politiche per la casa: assieme alle irruzioni di polizia nascono e si diffondono le soluzioni abitative sedicenti innovative, promosse dal terzo settore e dai capitali delle fondazioni bancarie. Forze diverse disegnano un presente dove è rimossa la possibilità di occupare la proprietà. Le serrande su cui compaiono le scritte appartengono al primo Community Land Trust in Italia. *   *   * C’è un palazzo di sei piani in corso Giulio Cesare, vicino alla scuola Parini e di fronte all’ingresso del giardino Madre Teresa di Calcutta. Il palazzo ora è vuoto, le persiane sono chiuse, ma voci in quartiere raccontano di un’occupazione informale sgomberata dalla polizia al tempo della pandemia. In strada, accanto al portone, ci sono un fast food e un bar che prepara frullati alla frutta. Il palazzo accoglierà il primo Community Land Trust (CLT) in Italia. Il CLT è una forma di proprietà che afferisce al diritto privato con il fine di rendere accessibile la piccola proprietà immobiliare alle classi sociali meno abbienti. Il CLT s’origina dalle pratiche abitative comunitarie negli Stati Uniti del secolo scorso ed è giunto in Europa come nuovo strumento delle politiche sociali innovative, ovvero iniziative dove gli interessi privati si armonizzano, almeno nelle intenzioni, con il beneficio pubblico. Alla base del CLT c’è un soggetto privato – un trust – che compra l’intera proprietà e rivende le unità immobiliari singole (gli appartamenti), mantenendo però il controllo del suolo. Un appartamento senza il valore del suolo è così acquistabile a un prezzo inferiore rispetto alle altre unità presenti nella medesima area. Gli acquirenti, in seguito, possono rivendere il loro appartamento soltanto al trust, che trattiene buona parte dell’incremento di valore immobiliare accumulato nel tempo. A sua volta il trust immetterà sul mercato la stessa unità, ma a un prezzo superiore adeguato all’inflazione e all’aumento dei prezzi avvenuto nell’area urbana. Il CLT controlla così il plusvalore immobiliare e al contempo promette prezzi delle case più bassi rispetto agli standard del quartiere. Il palazzo in corso Giulio Cesare è stato rilevato nel 2023 dalla Fondazione di Comunità di Porta Palazzo. La fondazione ha impiegato i fondi (circa mezzo milione di euro) raccolti dalla Compagnia di San Paolo, da enti privati e da singoli cittadini a cui è garantita la restituzione del prestito dopo due anni con il due per cento di interessi. Per governare il trust è stata costituita la Fondazione CLT Terreno Comune che, alla fine della ristrutturazione, venderà gli appartamenti a famiglie selezionate che rispettino criteri stringenti, fra cui quello di avere un unico reddito fra i 1300 e i 1500 euro mensili. Ogni famiglia accederà a un mutuo per acquistare l’appartamento. Il CLT è governato da un consiglio di amministrazione dove siedono rappresentanti dei proprietari, degli abitanti del quartiere e dei portatori di interesse pubblico che insistono sull’area. Il governo del CLT ha il compito, fra gli altri, di investire i capitali accumulati in interventi di rigenerazione dell’isolato, così da incrementare ulteriormente il valore e l’appetibilità del palazzo. I promotori del CLT in corso Giulio Cesare sostengono di aver creato uno strumento volto al contrasto della speculazione immobiliare e dell’esclusione abitativa. Le contraddizioni, tuttavia, appaiono a uno sguardo attento. Nonostante sia un progetto di inclusione sociale con ambizioni di gestione democratica, la selezione delle famiglie che hanno la possibilità di accedere al mutuo per acquistare gli appartamenti sarà appannaggio della stessa fondazione. Ancora una volta sono le classi dirigenti – borghesi, progressiste, bianche – a scegliere chi siano i meritevoli ad accedere ai progetti di innovazione sociale. La selezione, d’altra parte, deve essere ben ponderata: sarebbe spiacevole sfrattare una famiglia perché chi lavora ha perso un impiego precario e non può più pagare il mutuo. Inoltre questo modello non ostacola la rendita immobiliare, anzi la sostiene e fomenta. Le classi dirigenti progressiste si limitano a controllare la speculazione, promettendo di calmierare gli effetti più violenti e redistribuire i dividendi ai loro sostenitori. Più che lotta alla speculazione, il CLT sembra un governo del capitale immobiliare da parte di un soggetto privato e filantropico, capace di elaborare politiche sociali remunerative a del tutto inadeguate a rispondere alle esigenze delle classi sociali più povere e precarie. Un programma di ingegneria sociale governato dai buoni sentimenti di una borghesia convinta d’essere illuminata. (voce a cura di francesco migliaccio) ______________________________ QUI L’INDICE DELLA CARTOGRAFIA
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[2025-05-20] Assemblea Terrona Transfemminista Torinese @ Manituana - Laboratorio Culturale Autogestito
ASSEMBLEA TERRONA TRANSFEMMINISTA TORINESE Manituana - Laboratorio Culturale Autogestito - Largo Maurizio Vitale 113, Torino (martedì, 20 maggio 19:30) Siamo delle persone terrone che abitano in Torino e dintorni, abbiamo deciso di chiamare la Prima Assemblea Terrona Transfemminista Torinese. Sarà un cerchio di autocoscienza collettiva, la cura reciproca sarà la nostra priorità. Puoi trovare le info nella pagina Instagram, ti diciamo già da subito che la cena sarà condivisa. Se, quindi, hai il piacere e il tempo porta qualcosa di vegano da condividere e non dimenticare il bicchiere o la borraccia, al resto ci pensiamo noi. Ti ricordiamo che Manituana è uno spazio accessibile per le persone in carrozzina e che è presente una zona silenziosa, per qualsiasi esigenza. Speriamo di vederti il 20!
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Il fuoco fra le urla e i silenzi. Rivolte e solidarietà al CPR di Torino
(archivio disegni napolimonitor) Si chiamava Cie (Centro di Identificazione e di espulsione), però era già molto conosciuto come carcere per stranieri. Allora il governo italiano, per confondere la società e lasciarla disinformata, ha cambiato il nome in Cpr (Centro di permanenza per il rimpatrio). Con la difficoltà di comunicazione gli abitanti di questa penisola vivono per la maggior parte disinformati. Qui a Torino il Cpr ha riaperto questa primavera. Un mese fa ero al presidio sotto il Cpr di corso Brunelleschi. Era un sabato, io sono straccivendola abusiva e dopo il mercato del Balon mi sono direzionata al movimento di resistenza. L’appuntamento per il presidio era alle 16 e io sono arrivata alle 19 dalla parte dell’entrata principale. Il movimento nella strada e l’eco del vuoto mi facevano avere passi decisi mentre fotografavo le mura indegne di questa prigione. “Fuoco ai CPR” era la scritta in rosso a bella vista in un quartiere silenzioso, oppressore e complice del campo di prigionia che trattiene esseri umani senza una carta di soggiorno. Nel prato di corso Brunelleschi le macchine accompagnano il semaforo, mentre davanti al muro, nell’angolo della via, davanti a me sbuca la macchina degli sbirri nel suo blu celeste colore della Madonna. I salvatori dall’ardore infernale mi fermano sul viale mentre cammino verso la fermata. Il poliziotto esce e urla: «Ferma!». Bloccata nel viale invio subito un vocale mentre il discepolo stradale mi chiede: «Documento?». Dico la mia generalità e nel confronto lo sbirro chiede se so il significato di “generalità”. Rimaniamo per quasi venti minuti a fare ricerca su di me. Dico che abito da vent’anni in Italia, neanche così: «Permesso di soggiorno!», «Carta di identità!», ma la carta è solo solo carta e la carta brucerà. Ferma, fisso negli occhi quello che fa la ronda sulla vita delle persone. In dieci minuti si aggiunge la macchina della finanza con i rinforzi, mi ordinano di posare il telefono, dicono che loro sono educati e pazienti: ecco tutti angeli scesi dal Paradiso. Arrivano i compagni e prendono un ruolo nel presepio, poi gli asini della Digos a confermare la mia liberazione. Dopo questa scena la vita procede quotidiana per le vie di Torino. Il 25 aprile, giorno della Liberazione, c’è una biciclettata e ha portato calore musica e tante urla davanti al Cpr. «Hurrya, libertà, freedom!». Scambio di messaggi con conflitto. Mentre urlavamo, da dentro loro gridavano: «Non abbiamo la libertà!». Dentro di me un vuoto e poi niente, niente, non c’era senso, neanche la musica, nessun senso, nessun perché di quelle mura. Perché siamo così pochi? Perché il vicinato accetta quelle mura? Anzi, ci sono due, tre maledetti che dentro casa urlano che gli stranieri devono morire, marcire dentro i Cpr. Continua il 25 aprile di Torino, è festa: gli americani li hanno salvati, ottant’anni fa, e oggi sono gli stranieri i pericolosi, ma gli stranieri non hanno armi, non hanno neanche le possibilità di avere una penna e un quaderno per andare a scuola, non hanno residenza, vivono in cantina come topi, urinano ovunque nei bar mentre fanno una colazione veloci, vivono nel subprecario perché i padroni non vogliono che esistano. Fine aprile, arriva il messaggio di una rivolta in corso Brunelleschi. Ognuno segue la propria vita, così all’improvviso il senso di colpa consuma tutto il tuo corpo e non puoi scapparne anche se sei sotto le coperte con il corpo che chiede riposo. Resistere alla stanchezza e fare un salto verso l’armadio a cercare all’improvviso una maglia per andare da loro, da chi si rivolta. Ancora siamo lontani a prendere una bazooka e far detonare quelle mura. Sono le dieci di sera e non c’è tanto da pensare, si va il più veloce possibile. Ho scelto il pullman, ma come sempre a Torino, una periferia che vuol travestirsi da metropoli, niente funziona. Si arriva in pullman, bici, macchina, tram: l’importante è esserci. Finalmente si arriva e il calore della resistenza è fare un piccolo corteo, con le proprie forze si trovano i vecchi compagni di strada e anche nuove figure che con sorrisi salutano e le urla oltrepassano le mura. Si sentono i ragazzi, si scambia numero di telefono, si chiede come stanno. Loro chiedono la musica che piace: Clandestino. Nel prato gira voce che c’è un ferito, uno in sciopero della fame da dieci giorni in quelle mura maledette e semplicemente perché l’Italia e la sua cupola hanno deciso di sacrificare gli innocenti. Il Papa è morto! Nessun politico nelle vicinanze. Un noto avvocato è passato e ci dice che non lo hanno lasciato entrare, è lì come noi, come uno di noi. È passata mezzanotte, non abbiamo acqua, una birretta nemmeno e non sappiamo neanche come ritornare. Gli sbirri sono lì a osservare le nostre facce già conosciute. Uno spreco di tempo: i burattini del presepio come asini ad aspettare la briciole di pagnotta su racconti fittizi. È passata l’una e ci si saluta con un ciao ragazzi, resistete, non siete soli. Siamo con voi! Già è il primo maggio e il Cpr di Torino è in rivolta. A Brindisi in Puglia muore uno straniero, dicono che si è suicidato. Un inizio di rivolta a Torino e un straniero morto nel Cpr di Brindisi in un primo maggio è una grande scintilla per una rivoluzione. Al corteo del primo maggio i leninisti addestrano gli stranieri in regola; nel centro di Torino la sfilata per i diritti lavorativi porta a tante belle parole con l’accento del latino perfetto, mentre i corpi marciscono dentro le mura del Cpr, gli stessi loro paesani. Importa sventolare le bandiere, così siamo apparentemente più cittadini. Ritorniamo al Cpr per un nuovo saluto, alle sette, con il corpo stanco ma ad alta voce, ognuno con le proprie possibilità mentre nel viale l’anziana con il suo girello prendeva l’aria, il signore con i suoi cento chili sedeva con le gambe larghe sulla panchina lungo il viale di corso Brunelleschi ad ammirare i rivoltosi contro il lager di Torino. Come un cinema all’aperto solo lui era il protagonista della propria solitudine. Fuochi pirotecnici brillavano nel cielo mentre gli angioletti travestiti da traditori passavano appoggiati alle macchine blu. Il traffico va in tilt mentre appaiono due demoni dal tetto del palazzo in costruzione, con le ali della libertà annunciano: «Fuoco ai Cpr!». Si disperde il presidio e il primo maggio prende il volo con l’annuncio indemoniato. Ricordiamo la notte precedente quando il Cpr di corso Brunelleschi è andato in scintille e il fuoco è apparso come simbolo di resistenza degli ultimi stranieri a Torino. Nel viavai dei soccorsi un eroe era evaso. (claudia muniz)
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[2025-05-10] BANDA MUTANDA: Workshop di scrittura ritmica con Puppycriesalot @ laboratorio zanna dura
BANDA MUTANDA: WORKSHOP DI SCRITTURA RITMICA CON PUPPYCRIESALOT laboratorio zanna dura - via alessandria 49 (sabato, 10 maggio 10:30) Dalle 10:30 alle 19:30 con pranzo offerto dalla Banda. La Banda vi invita ad una giornata immersiva al ritmo dei beat che tenevate ancora nascosti Insieme a Puppycriesalot esploreremo approcci alla scrittura di ritmi e batterie, attraverso il midi, registrazioni e editing. Parte 1- condivisione delle tecniche più comuni di scrittura partendo dalle basi. Parte 2- scrittura di parti ritmiche, anche in gruppo. Il tutto sarà accompagnato da momenti di ascolto di musica per analizzare gli elementi eventualmente da riprodurre. Per partecipare: - manda una mail a banda_mutanda(at)canaglie(punto)net, riceverai una mail di conferma dell'iscrizione - max 15 persone con priorità a soggettività queer, - se hai modo porta pc/ smartphone/tablet/hardware, cuffie, altrimenti potrai comunque seguire. - come sempre scegliamo la modalità non escludente dell'offerta libera e consapevole.
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25 aprile. Contro guerra, militarismo, repressione, per la rivoluzione sociale
Come ogni anno ci siamo ritrovati alla lapide che ricorda Ilio Baroni, partigiano anarchico. Oggi più che mai ritrovarci in quell’angolo di periferia, dove cadde combattendo Baroni, non è stato un mero esercizio di memoria, ma occasione per intrecciare i fili delle lotte, perché il testimone lasciato da chi non c’è più è ora nelle nostre mani. In un clima di guerra e revisionismo quello di questo 25 aprile è stato un momento di raccolta della comunità libertaria di Barriera di Milano. Una Barriera che i fascisti al governo della Circoscrizione hanno posto sotto assedio militare, per mettere la sordina alle questioni sociali, perché chi oggi fatica a pagare fitto e bollette riversi il proprio rancore sugli ultimi arrivati, quelli che vivono ancora peggio, quelli che nessuno gli affitta una casa, quelli che si arrangiano come possono tra una miriade di lavori precari. Ma la condizione di chi è nato altrove è la stessa di chi vive qui, perché precarietà, sfratti e povertà sono il pane quotidiano di noi tutti.Parlare dei partigiani di Barriera, di quelli che, come Baroni il fascismo lo hanno combattuto negli anni Venti come durante la Resistenza, ci ricorda che, in barba a tutti i revisionismi di Stato, il fascismo è stato ed ha continuato ad essere il braccio armato dei padroni. Oggi ci troviamo di fronte gli stessi, che legge repressiva dopo legge repressiva, stanno scrivendo in modo normale le leggi speciali di questo secolo, quelle che rischiano di seppellire in galera compagni e compagne per banali episodi di lotta. Una scritta sul muro, un blocco stradale, un picchetto, un’occupazione, magari messi insieme da uno dei tanti reati associativi, sono trattati con estrema durezza. Nelle molli maglie della democrazia, il fascismo, anche grazie all’acquiescenza di certa sinistra, sta schiacciando in una morsa sempre più ferrea le poche libertà e tutele, che chi c’era prima si è preso senza chiedere il permesso. Solo con la lotta la sola avremo nelle nostre mani il sogno irrealizzato dai partigiani di Barriera. Eravamo in tanti e la giornata, complice un sole luminoso, è volata veloce, con la deposizione di fiori alla lapide che ricorda Ilio Baroni e il ricco e coinvolgente canzoniere anarchico e antifascista del Cor’okkio. Una bicchierata, due taralli e l’impegno a ritrovarci in piazza il 1 maggio con uno spezzone anarchico e antimilitarista.   Di seguito il volantino distribuito in piazza:   1945-2025. Oggi come ieri Azione diretta contro Stato e fascisti! La memoria è uno strumento per leggere il presente e trasformarlo radicalmente. Il 25 aprile rappresenta un’occasione preziosa. Rievocare l’epopea partigiana non è un esercizio retorico, ci ricorda l’importanza di lottare apertamente contro il fascismo, da sempre braccio armato dei padroni che ci costringono ad un’intollerabile condizione di miseria e di sfruttamento. Oggi viviamo in un clima di guerra e di revisionismo senza precedenti. La Resistenza viene ridotta a mera lotta di liberazione nazionale, per cancellarne la spinta sovversiva, internazionalista, contro stato e capitalismo. La prospettiva rivoluzionaria si eclissa sotto il peso di una narrazione egemone che vede la Repubblica come approdo definitivo, frutto degli sforzi di tanti e tante che al contrario volevano farla finita con una società divisa in classi. Nel frattempo le periferie della nostra città sono sotto costante assedio militare. Si moltiplicano le retate contro coloro che non hanno in tasca il giusto documento. Questioni sociali vengono trattate come problemi di ordine pubblico. I ricchi diventano sempre più ricchi, mentre i poveri sono sempre più poveri. Il lavoro non c’è, e anche quando c’è è sottopagato, pericoloso, sfruttato, privo di qualsivoglia tutela. Precarietà, sfratti, povertà sono all’ordine del giorno. Fitto e bollette sono cresciuti a dismisura e sempre più persone faticano ad arrivare alla fine del mese. Il governo fascista soffia sul fuoco della guerra fra poveri, per nascondere la guerra sociale che ha scatenato contro tutti i poveri, italiani e nati altrove. Il tentativo è quello di imprimere una svolta sempre più autoritaria e liberticida al paese, dotandosi di strumenti utili a reprimere sul nascere qualsiasi insorgenza sociale. La ricetta scelta per ostacolare l’opposizione politica e sociale è l’ultimo Decreto Legge “Sicurezza” (ex DDL 1236), approvato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12 aprile. Il provvedimento appena entrato in vigore bypassando completamente il parlamento, si inserisce nel solco già aperto da altri provvedimenti (i decreti rave, Cutro, immigrazione, Caivano), che colpiscono i poveri, gli stili di vita non conformi, gli stranieri senza documenti. Blocchi stradali o ferroviari, picchetti, occupazioni, scritte su caserme o commissariati, prevedono pene durissime. Normali forme di lotta attuate dai movimenti climatici, sociali e sindacali, anticarcerari e no border rischiano di costare la galera a tante compagne e compagni. Viene confermata l’introduzione del reato di “terrorismo della parola”. Viene concesso ancora più potere, agibilità e impunità alle forze di polizia. Le lotte portate avanti nelle carceri e nei CPR – anche sotto forma di resistenza passiva – possono essere perseguite in modo più duro perché chi le attua è dipinto come costitutivamente criminale, illegale, fuori norma. La logica sottesa al decreto è quella del diritto penale del nemico. Una logica di guerra, nella quale coloro che vengono identificati come nemici vanno annientati, ridotti a nulla, privati di vita, libertà e dignità. Per il nemico non valgono le tutele formali riservate ai cittadini. Quando la logica bellica si applica al diritto, alcuni gruppi umani vengono repressi per quello che sono più che per quello che fanno. L’intera azione dell’esecutivo è informata a questo principio. Un principio sulle cui fondamenta sono stati costruiti i lager nazisti e i gulag staliniani. Oggi la democrazia getta via la maschera e mostra il suo vero volto, quello della più spudorata violenza a salvaguardia del privilegio di classe e del potere nelle mani di pochi. Non solo. La stretta repressiva in atto e la criminalizzazione dei movimenti sociali vanno di pari passo con un intenso impegno bellico, sostenuto sia dalla sinistra che dalla destra istituzionale. Il piano ReArm Europe prevede di destinare ben 800 miliardi di euro al riarmo su ampia scala. La spesa militare nel nostro paese ha da tempo toccato quota 108 milioni di euro al giorno. Le missioni all’estero delle forze armate italiane a difesa dei propri interessi neocoloniali si sono moltiplicate. In compenso, servizi pubblici essenziali vanno incontro ad ingenti tagli. Casa, sanità, istruzione, trasporti pubblici di prossimità efficienti sono un vero e proprio miraggio. Il warfare prende definitivamente il posto delle sorpassate politiche di welfare. L’industria militare fa affari d’oro, a pagarne le spese sono uomini, donne e bambini che periscono sotto le bombe costruite a due passi dalle nostre case. La nostra città – vera e propria eccellenza nel settore aerospaziale bellico – si impegna a costruire la Città dell’Aerospazio, polo di ricerca promosso dal colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino, il quale ospiterà persino un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei del D.I.A.N.A, struttura della NATO. Vogliono arruolare i nostri corpi e le nostre coscienze bombardandoci di retorica patriottica, a partire dalle scuole e dalle università. Vogliono prepararci ad un allargamento del conflitto che può essere solo foriero di morte. Ma le leggi dettate dal clima repressivo e dall’economia di guerra non sono altro che il precipitato normativo dei rapporti di forza all’interno della società. Siamo ancora in tempo per far sì che la paura cambi di campo, per fermare l’avanzata del fascismo, del nazionalismo, del militarismo. Le tante libertà che padroni e governanti continuano a sottrarci con la forza possiamo riprendercele soltanto praticando l’azione diretta, la solidarietà, il mutuo appoggio tra sfruttat*. I partigiani che imbracciarono le armi e combatterono strada per strada e sui sentieri di montagna fino alla seconda metà degli anni ’40 del Novecento, lo sapevano bene. Spetta a noi raccoglierne l’eredità e fare in modo che il loro sforzo non sia stato vano. Spetta a noi realizzare giorno dopo giorno il sogno di un mondo di libere ed eguali, di una società realmente autogestita, libera da stato, padroni, militari, polizia. Giovedì 1 maggio ore 9 piazza Vittorio   Spezzone antimilitarista e anarchico Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere!   Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori! Federazione Anarchica Torinese Assemblea Antimilitarista – Torino riunioni, aperte agli interessat, ogni martedì alle 20,30 in corso Palermo 46
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[2025-04-25] Biciclettata antifascista @ Manituana - Laboratorio Culturale Autogestito
BICICLETTATA ANTIFASCISTA Manituana - Laboratorio Culturale Autogestito - Largo Maurizio Vitale 113, Torino (venerdì, 25 aprile 11:00) Il 25 aprile non é una ricorrenza, è prassi di lotta! 🔥 Ci troviamo alle h. 10 di venerdì 25 aprile a Manituana, con la @ciclo_pop_malabroc aperta. Partiremo verso le h. 11 percorrendo Torino, per convergere in San Paolo 🚲 Che gli 80 anni della Liberazione d’Italia dalla dittatura fascista non siano solo un anniversario, ma una lente per riconoscere le forme di fascismo, da appendere sempre! 🙃 Per lə compagnə a piedi, ci sarà un pezzo del percorso del corteo non pedalato, seguiranno info a ridosso del 25 🩷
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[2025-06-13] BLACKOUT FEST @ Manituana - Laboratorio Culturale Autogestito
BLACKOUT FEST Manituana - Laboratorio Culturale Autogestito - Largo Maurizio Vitale 113, Torino (venerdì, 13 giugno 16:00) Siamo una radio autogestita che trasmette voci libere, senza padroni e fuori dai palinsesti omologati. Radio Blackout esiste solo grazie a chi la ascolta, la sostiene, la vive. In una città che vende cultura a pacchetto completo – con sponsor, loghi, “valori” aziendali e accordi con le istituzioni – il Blackout Fest è un’anomalia. Nessun marchio, nessun finanziamento: solo musica, corpi, parole e relazioni che non piegati alle logiche del profitto. A Torino gli spazi liberi scompaiono, soffocati dalle trasformazioni della città e dalle logiche del mercato: speculazione, gentrificazione, militarizzazione. Se sei qui anche tu fai parte di un atto di resistenza collettiva. Da oltre 30 anni, sappiamo cosa suonare.
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1945 – 2025. Oggi come ieri. Azione diretta contro il fascismo
1945 – 2025. Oggi come ieri Azione diretta contro il fascismo Venerdì 25 aprile ore 15 Alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni in corso Giulio Cesare angolo corso Novara dove Ilio cadde combattendo il 26 aprile 1945. Ricordo, bicchierata, fiori, musica. E, dal vivo, il Cor’okkio nel canzoniere anarchico e antifascista (in caso di pioggia ci troviamo in piazza Crispi). Contro guerra, militarismo, repressione, per la rivoluzione sociale La memoria è uno strumento per leggere il presente e trasformarlo radicalmente. Il 25 aprile rappresenta un’occasione preziosa. Rievocare l’epopea partigiana non è un esercizio retorico, ci ricorda l’importanza di lottare apertamente contro il fascismo, da sempre braccio armato dei padroni che ci costringono ad un’intollerabile condizione di miseria e di sfruttamento. Oggi viviamo in un clima di guerra e di revisionismo senza precedenti. La Resistenza viene ridotta a mera lotta di liberazione nazionale, per cancellarne la spinta sovversiva, internazionalista, contro stato e capitalismo. La prospettiva rivoluzionaria si eclissa sotto il peso di una narrazione egemone che vede la Repubblica come approdo definitivo, frutto degli sforzi di tanti e tante che al contrario volevano farla finita con una società divisa in classi. Nel frattempo le periferie della nostra città sono sotto costante assedio militare. Si moltiplicano le retate contro coloro che non hanno in tasca il giusto documento. Le questioni sociali vengono trattate come problemi di ordine pubblico. I ricchi diventano sempre più ricchi, mentre i poveri sono sempre più poveri. Il lavoro non c’è, e anche quando c’è è sottopagato, pericoloso, sfruttato, privo di qualsivoglia tutela. Precarietà, sfratti, povertà sono all’ordine del giorno. Fitto e bollette sono cresciuti a dismisura e sempre più persone faticano ad arrivare alla fine del mese. Il governo fascista soffia sul fuoco della guerra fra poveri, per nascondere la guerra sociale che ha scatenato contro tutti i poveri, italiani e nati altrove. Il tentativo è quello di imprimere una svolta sempre più autoritaria e liberticida al paese, dotandosi di strumenti utili a reprimere sul nascere qualsiasi insorgenza sociale. La ricetta scelta per ostacolare l’opposizione politica e sociale è l’ultimo Decreto Legge “Sicurezza” (ex DDL 1236), approvato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12 aprile. Il provvedimento appena entrato in vigore bypassando completamente il parlamento, si inserisce nel solco già aperto da altri provvedimenti (i decreti rave, Cutro, immigrazione, Caivano), che colpiscono i poveri, gli stili di vita non conformi, gli stranieri senza documenti. Blocchi stradali o ferroviari, picchetti, occupazioni, scritte su caserme o commissariati, prevedono pene durissime. Normali forme di lotta attuate dai movimenti climatici, sociali e sindacali, anticarcerari e no border rischiano di costare la galera a tante compagne e compagni. Viene confermata l’introduzione del reato di “terrorismo della parola”. Viene concesso ancora più potere, agibilità e impunità alle forze di polizia. Le lotte portate avanti nelle carceri e nei CPR – anche sotto forma di resistenza passiva – possono essere perseguite in modo più duro perché chi le attua è dipinto come costitutivamente criminale, illegale, fuori norma. La logica sottesa al decreto è quella del diritto penale del nemico. Una logica di guerra, nella quale coloro che vengono identificati come nemici vanno annientati, ridotti a nulla, privati di vita, libertà e dignità. Per il nemico non valgono le tutele formali riservate ai cittadini. Quando la logica bellica si applica al diritto, alcuni gruppi umani vengono repressi per quello che sono più che per quello che fanno. L’intera azione dell’esecutivo è informata a questo principio. Un principio sulle cui fondamenta sono stati costruiti i lager nazisti e i gulag staliniani. Oggi la democrazia getta via la maschera e mostra il suo vero volto, quello della più spudorata violenza a salvaguardia del privilegio di classe e del potere nelle mani di pochi. Non solo. La stretta repressiva in atto e la criminalizzazione dei movimenti sociali vanno di pari passo con un intenso impegno bellico, sostenuto sia dalla sinistra che dalla destra istituzionale. Il piano ReArm Europe prevede di destinare ben 800 miliardi di euro al riarmo su ampia scala. La spesa militare nel nostro paese ha da tempo toccato quota 108 milioni di euro al giorno. Le missioni all’estero delle forze armate italiane a difesa dei propri interessi neocoloniali si sono moltiplicate. In compenso, servizi pubblici essenziali vanno incontro ad ingenti tagli. Casa, sanità, istruzione, trasporti pubblici di prossimità efficienti sono un vero e proprio miraggio. Il warfare prende definitivamente il posto delle sorpassate politiche di welfare. L’industria militare fa affari d’oro, a pagarne le spese sono uomini, donne e bambini che periscono sotto le bombe costruite a due passi dalle nostre case. La nostra città – vera e propria eccellenza nel settore aerospaziale bellico – si impegna a costruire la Città dell’Aerospazio, polo di ricerca promosso dal colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino, il quale ospiterà persino un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei del D.I.A.N.A, struttura della NATO. Vogliono arruolare i nostri corpi e le nostre coscienze bombardandoci di retorica patriottica, a partire dalle scuole e dalle università. Vogliono prepararci ad un allargamento del conflitto che può essere solo foriero di morte. Ma le leggi dettate dal clima repressivo e dall’economia di guerra non sono altro che il precipitato normativo dei rapporti di forza all’interno della società. Siamo ancora in tempo per far sì che la paura cambi di campo, per fermare l’avanzata del fascismo, del nazionalismo, del militarismo. Le tante libertà che padroni e governanti continuano a sottrarci con la forza possiamo riprendercele soltanto praticando l’azione diretta, la solidarietà, il mutuo appoggio tra sfruttat*. I partigiani che imbracciarono le armi e combatterono strada per strada e sui sentieri di montagna fino alla seconda metà degli anni ’40 del Novecento, lo sapevano bene. Spetta a noi raccoglierne l’eredità e fare in modo che il loro sforzo non sia stato vano. Spetta a noi realizzare giorno dopo giorno il sogno di un mondo di libere ed eguali, di una società realmente autogestita, libera da stato, padroni, militari, polizia. Federazione Anarchica Torinese Assemblea Antimilitarista – Torino riunioni, aperte agli interessat, ogni martedì alle 20,30 in corso Palermo 46 www.anarresinfo.org
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Cartografie del terzo settore e della innovazione sociale a Torino #5. Almaterra
(disegno di adriana marineo) Per circa un anno, alcune ex-lavoratrici dell’associazione Almaterra, insieme ad altre lavoratrici del terzo settore, hanno portato avanti una mobilitazione contro le condizioni di sfruttamento nel settore sociale. La contestazione contro Almaterra è nata quando alcune operatrici hanno deciso di portare alla luce un episodio di aggressione e ritorsione nei confronti di una collega, a cui hanno fatto seguito licenziamenti ed estromissioni dall’organo associativo. Le ex-lavoratrici hanno iniziato una vertenza, chiedendo quello che spetta loro per gli straordinari non pagati e imposti come volontariato obbligatorio e il riconoscimento del reale inquadramento contrattuale. Dando seguito a precedenti assemblee pubbliche per discutere il tema del lavoro sociale in città, l’11 febbraio un presidio di fronte al tribunale ha portato solidarietà alle lavoratrici in occasione della prima udienza, con l’associazione chiamata in giudizio a causa dei licenziamenti impiegati come ritorsione e quindi ingiustificati. Poi, il 5 marzo, un presidio si è radunato davanti alla sede della Compagnia di San Paolo per raccontare il ruolo che questo ente gioca nella trasformazione del terzo settore in uno strumento di profitto e controllo. Questi momenti sono stati un’occasione per condividere le proprie esperienze e gli strumenti possibili per costruire una lotta. *   *   * Almaterra è un’associazione del terzo settore di Torino che si presenta come “un’associazione di donne femministe e transfemministe di diversi paesi”. Il Centro interculturale delle donne Alma Mater, situato presso un ex edificio scolastico, nacque su iniziativa di un gruppo di donne riunitesi a partire dal 1990 e fu inaugurato nel dicembre del 1993: oggi è gestito dall’associazione, istituita nel 1994 proprio a tale scopo. Nata all’interno della tradizione femminista, Almaterra a oggi lavora su progetti interculturali dedicati all’empowerment femminile, all’accessibilità al mercato del lavoro e all’inclusione sociale e culturale delle donne, occupandosi di questioni di genere e violenza di genere. L’associazione offre un’ampia gamma di servizi dedicati alle donne e alle soggettività femminili: corsi di alfabetizzazione, sportello di orientamento sociale, sportello lavoro, sportello psicologico, consulenza legale, ludoteca, mensa, uno sportello di segreteria e altro. Inoltre promuove un insieme di progetti che includono sia attività interne al Centro sia azioni esterne, realizzate attraverso collaborazioni e convenzioni con istituzioni ed enti, pubblici e privati, a livello locale e non solo. Tra questi attualmente si annoverano un’unità di contatto per sexworkers e vittime di tratta; un progetto dedicato alle diverse forme di fragilità sociale e rivolto alle circoscrizioni 5 e 6 della città, di cui è capofila Arci Torino; e alcuni progetti correlati all’emergenza abitativa, tra cui un social housing che offre una sistemazione temporanea a seguito della perdita della casa.  Almaterra è sostenuta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dalla Regione Piemonte, dalla Città di Torino e da UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), oltre che da una serie di attori privati tra cui spiccano la fondazione Compagnia di San Paolo e la fondazione CRT. L’associazione è inoltre un ente accreditato per il Servizio Civile Universale e accoglie giovani partecipanti al servizio civile, avvalendosi del loro contributo, oltre che di una più ampia attività di volontariato, definita da Almaterra stessa “il cuore pulsante della associazione”.  Nel 2023, Almaterra ha partecipato al bando Next Generation You promosso da Compagnia di San Paolo, un bando volto a promuovere tra le realtà del terzo settore strumenti gestionali e economici più efficienti, attraverso la definizione di ruoli interni ben circoscritti, organigrammi, processi decisionali definiti e verticistici: in pratica un processo di aziendalizzazione del lavoro sociale. Le associazioni che accedono ai finanziamenti di questo bando sono tenute a rispettare rigide linee guida, simili a quelle imposte dagli istituti bancari, e a conformarsi a criteri di efficienza, produttività e sostenibilità economica tipici del settore privato. Le realtà del sociale sono così spinte a uniformarsi a una condotta operativa che di fatto incrementa la standardizzazione delle pratiche e rafforza le dinamiche di controllo e subordinazione nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici, così come nei confronti delle persone beneficiarie dei servizi. Di pari passo con la ridefinizione in chiave sempre più orientata al profitto, le lavoratrici di Almaterra hanno registrato all’interno dell’associazione condizioni di forte stress lavorativo, carichi di lavoro eccessivi senza alcun aumento della retribuzione, l’imposizione del volontariato come obbligatorio, finanche episodi di prevaricazione nei loro confronti. Le condizioni di inquadramento e di retribuzione per loro erano quelle di contratti precari e a tempo determinato, con compensi forfettari a cadenza trimestrale posticipata, e contratti firmati a posteriori. Erano inoltre inquadrate con contratti di co-co-co, pur a fronte della richiesta effettiva di una presenza invece costante, de facto full time, e pur essendo investite di mansioni di responsabilità e di coordinamento. Nel febbraio 2024 Almaterra interrompe il contratto di una lavoratrice in seguito a un episodio nel quale la stessa ha preso le difese della cuoca della mensa durante una lite con un’amministratrice dell’associazione, ed è stata da quest’ultima aggredita verbalmente e fisicamente. In seguito alcune colleghe, che palesano la loro solidarietà alla lavoratrice, ed esprimono la necessita di risolvere i contrasti interni all’ente, a loro volta sono estromesse dal lavoro.  Nel suo sito web Almaterra si richiama a valori quali “il rispetto, l’accoglienza, la solidarietà e la dignità umana” e dichiara “l’intenzione di contribuire alla decostruzione dei pregiudizi e alla costruzione di comunità”. L’associazione si presenta come inclusiva e attenta alle discriminazioni, fornisce un’immagine che deve passare all’esterno, ma è notevole il contrasto con la realtà interna mostrata da questi fatti. Sotto la veste del lavoro di cura si riproducono meccanismi di oppressione. Anche nei confronti dei beneficiari dei servizi, a dispetto della immagine proposta, le lavoratrici testimoniano di atteggiamenti discriminatori e infantilizzanti, di logiche premiali e orientate al disciplinamento delle persone che si rivolgono all’associazione e la attraversano. La narrazione di Almaterra appare quindi come un’appropriazione dei valori e del linguaggio dei movimenti sociali e dei contesti di cura: parole come “accoglienza”, “inclusione”, “empatia” vengono utilizzate per costruire un’immagine positiva, forse utile per attirare soggetti (possibili volontari) animati da determinati valori, ma nella sostanza si legittimano nuove forme di precarietà e disciplinamento. Il caso di Almaterra mette in luce caratteri comuni a tutto il terzo settore: il carico sui lavoratori e le lavoratrici di grandi responsabilità, il ricatto del rinnovo contrattuale, la richiesta di reperibilità continue e disponibilità al sacrificio a fronte di “una buona causa”. La strumentalizzazione della volontà di aiutare il prossimo si concretizza spesso, per di più, senza che venga fornito il dovuto supporto psicologico in caso di situazioni emotivamente destabilizzanti e senza i dovuti riconoscimenti a livello di retribuzione e tutele del lavoratore. A partire dalle rivendicazioni e dalle voci coraggiose delle lavoratrici di Almaterra, si apre forse uno spiraglio per uno sguardo, una lettura e un discorso critici sul lavoro sociale in città, e per una analisi critica dei suoi attori. (voce a cura di stefania spinelli) _______________________________ QUI L’INDICE DELLA CARTOGRAFIA
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[2025-05-24] 10 ANNI DI PENNICHELLA: FESTIVAL DELLA CANZONETTA ITALIANA [ TENIA · LA TOSSE GRASSA · TONINO3000 ] @ El Paso Occupato
10 ANNI DI PENNICHELLA: FESTIVAL DELLA CANZONETTA ITALIANA [ TENIA · LA TOSSE GRASSA · TONINO3000 ] El Paso Occupato - Via Passo Buole, 47, Torino (sabato, 24 maggio 10:00) Per festeggiare i 10 anni del programma radiofonico più mediocre di sempre, Radio Blackout vi invita a festeggiare sabato 24 Maggio al Paso Occupato Pennichella propone per il suo decennale il Festival della Canzonetta Italiana! Dalle 22:00 saliranno sul palco pasico: TENIA ( Power Trap, Pop Violento ) LA TOSSE GRASSA ( Electrodance, Trop Pop, March Up ) TONINO3000 (Laserpunk, Electropical, Cyberfolk ) Benefit LibereFrequenze
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