Il disegno di legge 1660 «sicurezza», a firma Nordio, Piantedosi, Crosetto e
approvato in prima lettura alla camera, introduce nuove misure in difesa
dell’ordine pubblico che prevedono, tra l’altro, pene sproporzionate (fino a due
anni di reclusione) per chi ponga in atto proteste collettive e nonviolente
di Mario Ricciardi da il manifesto
Le immagini dell’incontro di Starmer e Meloni a Roma hanno provocato reazioni
vivaci nel Regno unito. Le associazioni che si battono per la tutela dei diritti
umani, diversi esponenti della sinistra e anche alcuni parlamentari laburisti
hanno manifestato il proprio dissenso.
Per un’iniziativa politica che allinea l’attuale governo britannico alle
posizioni della destra italiana in materia di immigrazione. La domanda che molti
si pongono è cosa abbia da imparare un partito della sinistra riformista da una
forza che affonda le proprie radici (orgogliosamente rivendicate) nel
neofascismo. Purtroppo, quello delle politiche in materia di migrazioni non è
l’unico tema sul quale tale allineamento si sta palesando in questi mesi. Un
altro è quello della libertà di espressione del dissenso, anche quando esso si
manifesti attraverso forme di disobbedienza civile.
Il disegno di legge «sicurezza», presentato dal governo Meloni e approvato ieri
sera in prima lettura alla camera, introduce nuove misure in difesa dell’ordine
pubblico che prevedono, tra l’altro, pene sproporzionate (fino a due anni di
reclusione) per chi ponga in atto proteste collettive che comportano
l’interruzione della circolazione ferroviaria. La misura è pensata per reprimere
le proteste degli ambientalisti, ma potrebbe in futuro essere utilizzata anche
per colpire iniziative di altro genere, come quelle in difesa dei diritti umani
dei palestinesi, o a favore della pace. Vale la pena di ricordare che a luglio
un processo che riguardava alcuni attivisti dell’associazione ambientalista Just
Stop Oil che avevano interrotto la circolazione su un’autostrada si è concluso
in Uk con condanne pesantissime, provocando le reazioni indignate di diversi
giuristi, oltre che delle associazioni ambientaliste e di quelle in difesa dei
diritti umani. La magistratura britannica è indipendente dal governo, ma Starmer
(che pure in passato è stato un avvocato impegnato nella difesa dei diritti
umani) ha lasciato intendere che questa risposta repressiva non sarà rivista dal
governo (che ha a disposizione sia strumenti per intervenire sull’esecuzione
della pena sia la possibilità di legiferare in materia).
L’uso repressivo e intimidatorio della forza è stato di recente massiccio non
solo in Uk (dove per fortuna la polizia si è astenuta dagli eccessi, e
l’opinione pubblica ha fatto sentire la propria voce in difesa del diritto di
manifestare), ma anche in altri Paesi che si vantano di essere democrazie
liberali, come gli Stati uniti, la Francia e la Germania.
Alla repressione legale si è affiancata, rafforzandola, una notevole pressione
informale, ma non per questo priva di efficacia, da parte di privati, individui
e istituzioni (tra cui imprese e università), che hanno utilizzato vari
strumenti per intimidire, delegittimare e reprimere il dissenso. Oggi chi
aderisce a una manifestazione di protesta in questi paesi, può andare incontro a
conseguenze serie sul piano personale, che in alcuni casi possono arrivare fino
alla perdita del posto di lavoro o a pesanti discriminazioni.
Chi ha a cuore la libertà, indipendentemente dal fatto che condivida o meno le
motivazioni e l’opportunità delle proteste, non può che essere preoccupato da
questa svolta autoritaria che corre il rischio di mettere in discussione, e in
prospettiva di erodere, le condizioni per l’esercizio del diritto manifestare il
proprio dissenso in modo pacifico, anche quando questo comporti la momentanea
violazione di leggi che tutelano la proprietà privata o la libera circolazione.
Che a adottare queste misure contro il dissenso siano governi sedicenti liberali
o riformisti è un ulteriore segnale preoccupante. Quando le idee non convincono,
e il consenso traballa, la forza può apparire l’ultimo rimedio per difendere il
proprio potere, ma questa reazione, come è già accaduto in passato, ottiene il
più delle volte soltanto il risultato di legittimare ulteriormente la destra più
estrema. Lo abbiamo visto negli anni Trenta in Europa, e negli Stati uniti nel
secondo dopoguerra. Un grande liberale, John Rawls, ha scritto che la
disobbedienza civile è un messaggio di allarme che una minoranza lancia alla
maggioranza. In gioco, non c’è l’interesse personale dei manifestanti, che anzi
mettono il proprio corpo in prima linea, esponendosi al manganello o alla
galera, ma la difesa di principi di giustizia politica riconosciuti dalle
costituzioni democratiche. In gioco non è solo la libertà di alcuni, ma quella
di tutti.
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