33 ANNI DI OCCUPAZIONE BAROCCHIO SQUAT - DOMENICA 2 NOVEMBRE 2025 -
PRESENTAZIONE DE L'UNICO E LA SUA PROPRIETÀ DI MAX STIRNER IN AUTOPRODUZIONI
FENIX - DISTRO FENIX - PIZZA BELLAVITA - CONCERTI
BAROCCHIO SQUAT - - strada del Barocchio 27 - Grugliasco (TO)
(domenica, 2 novembre 17:30)
DOMENICA 2 NOVEMBRE 2025 - DALLE 17 e 30 IN POI -
ore 17 e 30: PRESENTAZIONE della PRIMA autoproduzione FENIX de L'UNICO E LA SUA
PROPRIETÀ di Max Stirner con il filosofo Nevio Gallina - distro Fenix -
ore 21: pizza Bellavita
ore 22 e 30: CONCERTI GRIND THE POWER FEST 2
di Taranto per la Palestina Il porto di Taranto non è complice di genocidio: i
nostri mari sono luoghi di liberazione! Giovedi 30 ottobre, la nostra comunità e
il nostro …
AFTER PARTY 33 ANNI BAROCCHIO SQUAT
Barocchio Squat - Strada del Barocchio 27 - Grugliasco (TO)
(sabato, 1 novembre 22:30)
PER CONCLUDERE IN BELLEZZA LA SCALETTA DEI DJ SET POST CONCERTO!
LASCIA IL CANE A CASA!
Riceviamo e pubblichiamo da Taranto per la Palestina: Il porto di Taranto non è
complice di genocidio: i nostri mari sono luoghi di liberazione!
Domani, la nostra comunità e il nostro territorio torneranno in piazza per
ribadire la solidarietà politica alla resistenza palestinese.
Taranto rifiuta di essere zona di guerra e complice del genocidio: non esiste
pace, non esiste tregua, finché la Palestina non sarà libera — dal fiume al
mare. La giornata di domani ci chiama ancora una volta a praticare questo
orizzonte collettivo.
Nei nostri mari — marginalizzati e subordinati a politiche di
industrializzazione nociva e turistificazione predatoria — la bellezza e la
resistenza delle acque cristalline si scontrano con l’imposizione dello
stabilimento Ex Ilva, della Raffineria Eni e delle navi dei padroni, siano esse
petrolifere, militari o da crociera.
Presso il Molo Sant’Eligio, è previsto l’arrivo della Flotilla “Ghassan
Kanafani”, imbarcazione della Freedom Flotilla.
Sempre domani, alle 22:00, al Porto di Taranto, è previsto l’attracco della nave
petroliera SeaSalvia.
La SeaSalvia, con la complicità dell’ autorità portuale di Taranto, dell’Eni e
dell’amministrazione comunale, ha già attraccato in passato per poi dirigersi
verso le acque palestinesi, trasportando 30.000 tonnellate di greggio a sostegno
della violenza coloniale dell’aviazione sionista.
Mentre Eni cerca di nascondere il vero volto di fautore di ecocidi ne Sud
Globale dietro operazioni di “greenwashing”, una comunità plurale — donne,
lavoratrici e lavorator, madri, genitori, student, insegnanti, disoccupat* — ha
scelto di mettere corpi e voci a disposizione per fermare quella nave.
Il 27 settembre abbiamo percorso in migliaia un corteo fino alla sede Leonardo
di Grottaglie, denunciandone la complicità nella produzione di strumenti di
guerra.
Nel pomeriggio, ci siamo ritrovat* davanti al molo Eni: anche se non siamo
riuscit* a bloccare del tutto il carico, abbiamo occupato e rallentato i lavori
per l’intera giornata.
Chi poteva agire, come le istituzioni, non l’ha fatto si è reso complice.
Chi invece resiste ogni giorno in un territorio dove il diritto a respirare è
sistematicamente negato, precarizzando i nostri bisogni e desideri, ha ribadito
che la Palestina ci sta liberando: perché ci costringe a fare i conti con il
nostro privilegio bianco ed europeo e ci mostra che la resistenza palestinese è
una lotta di liberazione collettiva.
Domani, questi orizzonti diversi di mari e di mondi, si scontreranno e mostrano
da un lato una visione di Taranto relegata a zona di sacrificio e dall’altra,
espressione di margine di liberazione.
Domani, i nostri mari ci chiamano ancora a scegliere da che parte stare:
con le flotte che liberano le acque o con le navi che colonizzano.
Sostenere la Flotilla Ghassan Kanafani significa rifiutare le navi da guerra
come la SeaSalvia, mettersi di traverso a chi — come Eni — vuole relegare
Taranto a zona di sacrificio e complicità nel genocidio.
Le flotte che rompono l’assedio, che difendono la libertà di movimento contro
ogni confine e legge binaria, e che esprimono concretamente solidarietà politica
ai popoli in lotta che liberano i nostri mari, fiumi, le nostre terre ed i
nostri quartieri.
Le istituzioni che parlano di “pace” o “tregua” nascondono in realtà un progetto
neocoloniale, figlio dello stesso sistema di apartheid e pulizia etnica su cui
si fonda il progetto sionista. Ci preme sottolineare che, a seguito
dell’illusoria narrazione di pace promossa dagli Stati Uniti, Qatar ed Egitto,
lo Stato illegittimo di Israele non ha mai smesso di bombardare Gaza, il Libano
e di continuare il suo progetto di aggressione e colonizzazione della
Cisgiordania.
Per questo, Invitiamo tutta la cittadinanza a seguire i nostri canali per
aggiornamenti e a partecipare, domani dalle ore 18:0, in Piazza Maria Immacolata
per un momento di volantinaggio e controinformazione: informeremo la comunità
sull’arrivo della SeaSalvia, sulla complicità dell’Eni e daremo il benvenuto
collettivo alla Flotilla Ghassan Kanafani.
Domani 30 ottobre ore 18 piazza Maria Immacolata.
La distopia è già qui. Negli Stati Uniti, negli ultimi giorni, una pubblicità
che sembra uscita da un film di fantascienza è apparsa ovunque.
Tradotto da Contre Attaque
Lungo le strade, alle fermate degli autobus, all’interno dei mezzi pubblici…
Rivolgendosi ai datori di lavoro, proclama: «Smettete di assumere esseri umani.
È arrivata l’era dei dipendenti IA“. Questa aggressiva campagna pubblicitaria è
diffusa da un’azienda di IA con sede a San Francisco chiamata ”Artisan”. Da
notare l’ironia di un nome del genere.
Sui social network, l’azienda spiega: “Formiamo dipendenti IA, chiamati
‘artigiani’. Smettete di assumere esseri umani per compiti che l’IA può svolgere
meglio. Assumete Ava come vostra rappresentante commerciale IA”. Ava è il robot
digitale dell’azienda. L’IA sta conquistando i posti di lavoro degli esseri
umani e i suoi promotori promettono una rivoluzione.
Proprio questa settimana abbiamo appreso dal quotidiano Le Monde che Amazon sta
organizzando «il primo licenziamento di massa causato dall’intelligenza
artificiale». Un dispaccio dell’agenzia Reuters parla di 30.000 dipendenti
licenziati, il più grande piano di licenziamenti mai attuato da questa
multinazionale. E si tratterebbe solo di una prima fase, poiché sarebbe già
prevista un’«ondata più importante».
Amazon è uno dei principali datori di lavoro negli Stati Uniti e conta 1,5
milioni di dipendenti in tutto il mondo, di cui oltre due terzi negli Stati
Uniti. Questa immensa forza lavoro è concentrata nei grandi magazzini alla
periferia delle città o nella consegna dei pacchi. L’azienda di Jeff Bezos
realizza un fatturato annuo di 670 miliardi di dollari e lo scorso anno ha
registrato 70 miliardi di profitti. L’intelligenza artificiale consentirebbe di
aumentare ulteriormente questi importi colossali, distruggendo al contempo posti
di lavoro.
L’ondata di licenziamenti che sta iniziando presso Amazon dovrebbe interessare
fino al 10% delle “funzioni di supporto”, ovvero i colletti bianchi, ovvero i
dipendenti che lavorano negli uffici dell’azienda, davanti ai computer. Amazon
ne conta 350.000. In una lettera risalente a giugno, il CEO di Amazon spiegava
ai dipendenti che l’intelligenza artificiale porterà l’azienda a “ridurre il
numero totale dei dipendenti” nei prossimi anni. Un altro documento reso
pubblico in ottobre spiega che l’azienda intende automatizzare fino al 75% delle
sue operazioni.
Walmart, un’enorme azienda di grande distribuzione, ha annunciato che non è
previsto alcun aumento del personale nei prossimi anni, nonostante l’aumento
delle vendite. Questo aumento dell’attività, e quindi dei profitti, sarà
garantito dall’automazione delle mansioni. Il capo di Walmart spiega: “L’IA sta
cambiando tutti i lavori, questo è molto chiaro. Non ne vedo nessuno che non ne
sia interessato“. Nel settore digitale, Intel ha eliminato 22.000 posti di
lavoro nel 2025, Microsoft ha licenziato 15.000 persone tra maggio e luglio,
realizzando miliardi di profitti. Il Wall Street Journal riassume la situazione:
”Le grandi aziende scommettono sulla crescita senza assumere”.
Il senatore democratico Bernie Sanders si interroga sui social network riguardo
alla campagna pubblicitaria per l’IA: «Una domanda semplice: come
sopravviveranno questi lavoratori licenziati senza lavoro né reddito?».
La risposta va cercata tra i libertari e i signori della tecnologia. Uno dei
loro rappresentanti in Francia è Laurent Alexandre, fondatore di Doctissimo,
transumanista e tecnofilo, editorialista e vicino a Emmanuel Macron. Già nel
2019, in un discorso tenuto davanti agli studenti del Politecnico, riassumeva la
visione del mondo di queste persone: «Vivrete un’età dell’oro… voi, dei, che
padroneggerete e gestirete le tecnologie, creerete un divario rispetto agli
inutili… e i gilet gialli sono la prima manifestazione di questo insopportabile
divario intellettuale».
La gerarchia è chiara: da un lato, i nuovi dei, gli ingegneri e i grandi capi
che padroneggiano la tecnologia, dall’altro, gli esseri umani inutili, obsoleti,
che saranno stati sostituiti dai robot. Per queste persone, non si tratta di
condividere gli enormi guadagni derivanti dall’automazione delle attività. La
prova: in un secolo di progressi tecnici, tutti avrebbero potuto lavorare molto
meno, avendo risorse più che sufficienti per nutrirsi, alloggiarsi e vivere
bene. Ma gli enormi “guadagni di produttività” già realizzati nelle fabbriche
con i robot, negli ipermercati con le casse automatiche, nell’agricoltura con le
macchine… si sono concentrati in poche tasche invece di essere equamente
distribuiti. Con la diffusione dell’intelligenza artificiale, milioni di posti
di lavoro sono a rischio.
Cosa ne sarà dei disoccupati e dei senzatetto? Cosa fare di questa umanità
diventata scomoda e superflua per i dominanti?
Perché non metterli tutti insieme? Negli Stati Uniti, lo Utah ha appena
approvato la creazione di un “mega-campo” per i senzatetto, il cui numero è in
aumento nel Paese. Si tratta di un terreno di diversi ettari situato a 11
chilometri da Salt Lake City, senza collegamenti di trasporto, che ospiterà 1300
senzatetto. Vivranno in alloggi “adatti al lavoro”. Per i nostri signori
moderni, si tratta di una soluzione umana e accettabile, un internamento
mascherato da “aiuto”.
In questa distopia, ci sarebbe un’umanità a due velocità, con la maggioranza
mantenuta in uno stato di non-vita, in un mondo in cui le macchine produrrebbero
la maggior parte della ricchezza.
di Andrea Oleandri Antigone lancia una petizione per riportare il carcere nei
confini della Costituzione. Il sovraffollamento nelle carceri italiane ha
superato il 135%. Oltre 63.000 detenuti per meno di …
di Orazio Grasso Repressione istituzionale, cyberbullismo, e violazioni dei
diritti costituzionali. Sono passati più di vent’anni da quando ho iniziato a
interagire con le persone su internet. All’inizio era curiosità, …
BLOCCHIAMO TUTTO
Piazza Castello, Torino - Torino, piazza Castello
(giovedì, 30 ottobre 19:00)
OGGI - giovedì 30 ottobre
Ore 19:00
Piazza Castello
Il regime israeliano ha ripreso i bombardamenti sulla Striscia causando oltre
100 morti nelle ultime 24 ore. Come sempre le zone prese di mira dalle forze di
occupazione israeliane sono quelle nei pressi di ospedali, ad alta
concentrazione di persone per arrecare il peggior danno possibile.
A questi ennesimi vili attacchi bisogna rispondere con la mobilitazione nelle
piazze.
Il governo sostiene che le persone che si sono spese negli scioperi, nei
blocchi, nei cortei e in altre azioni per interrompere le complicità del nostro
Paese nel genocidio non hanno fatto nulla di concreto per la Palestina mentre i
ministri sì.
La verità è che l3 unich3 ad aver bloccato i carichi di armi verso il regime
sionista siamo stat3 noi, non certo Meloni o Tajani.
La "pace" che si intestano è quella fatta di bombardamenti a tappeto, a freddo
contro una popolazione che ha appena iniziato a riprendere aria dopo 2 anni di
incessanti operazioni genocidarie.
Una volta di più siamo chiamat3 a non rimanere in silenzio, a non essere
complici dell'ipocrisia del nostro governo.
Questa sera ore 19:00 Piazza Palestina (piazza Castello)
TORINO LO SA DA CHE PARTE STARE
https://www.facebook.com/torino.per.gaza
di Patrizio Gonnella* Il modello penitenziario scelto è quello delle chiusure
insensate, scoraggiando il mondo esterno dall’essere protagonista, in senso
positivo, della pena Per ben 5.837 volte nel 2024 c’è …
di Raúl Zibechi* Le parole non possono descrivere adeguatamente l’orrore del
massacro di oltre 138 giovani neri poveri, uccisi dalla polizia in Brasile con
il pretesto di combattere il narcotraffico. …
di Gianni Sartori In India, discriminazioni religiose e sociali, proteste
ambientaliste, repressione, insorgenze forse fuori tempo massimo… Nel 2019 il
Ladak si ritrovò separato dallo Stato indiano di Jammu e …
Non ci sono parole sufficienti per descrivere l’orrore che ci provoca il
massacro di oltre 130 giovani neri, poveri, uccisi dalla polizia di Rio de
Janeiro, con la scusa di combattere il narcotraffico.
di Raúl Zibechi, traduzione a cura di Nodo Solidale
Si è trattato di un’operazione di guerra urbana in cui il governo dello Stato ha
mobilitato 2.500 poliziotti in assetto da guerra, oltre a blindati ed elicotteri
per attaccare i complessi delle favelas Penha e Alemao nella zona nord della
città, un’area con un’alta concentrazione di popolazione povera. Si tratta di
due complessi di favelas che superano i 150.000 abitanti, con un’enorme densità
di popolazione.
Il governo di Rio ha dichiarato che ci sono stati 60 morti, ma la popolazione
delle favelas ha portato nelle piazze più di 50 corpi che non figuravano nel
conteggio ufficiale, lasciando il dubbio su quanti siano stati uccisi. Finora il
numero supera i 120.
Le reazioni non si sono fatte attendere, dalle organizzazioni per i diritti
umani alle Nazioni Unite, che si sono dette “inorridite” dal massacro. Al di là
dei dati, ci sono fatti rilevanti.
Il genocidio palestinese a Gaza è lo specchio in cui devono guardarsi i popoli e
le persone oppresse del mondo. Per chi sta in alto, si apre un periodo di caccia
indiscriminata alla popolazione “in esubero”, perché hanno la garanzia
dell’impunità. Ora più che mai, Gaza siamo tutti noi. Può essere Quito, San
Salvador, Rosario o Tegucigalpa; il Cauca colombiano o Wall Mapu; la montagna di
Guerrero o le comunità del Chiapas. Ora siamo tutti nel mirino di un capitalismo
che uccide per accumulare sempre più rapidamente.
Dicono narcotrafficanti con la stessa indifferenza con cui dicono palestinesi,
mapuche o maya. Sono solo scuse. Argomenti per le classi medie urbane. Ma la
storia recente ci mostra che quello che stanno facendo è creare laboratori per
il genocidio.
Nel tranquillo Ecuador, quando i popoli indigeni li hanno sconfitti nella
rivolta del 2019, hanno reagito liberando i più feroci criminali nelle carceri
trasformate in luoghi di sterminio, dove i media mostravano i detenuti che
giocavano a calcio con la testa di un decapitato.
Nel Cauca, l’estrazione mineraria a cielo aperto e la coltivazione di droga
hanno esacerbato la violenza paramilitare contro le comunità Nasa e Misak che
resistono e non si arrendono, rendendo la regione la più violenta di un paese
già di suo violento.
Nel territorio mapuche, sia in Cile che in Argentina, i poteri forti hanno
deciso che coloro che non si arrendono devono essere definiti “terroristi”, con
il risultato che oggi ci sono più prigionieri mapuche che sotto le dittature di
Pinochet e Videla.
In Messico, tutto è chiaro, così chiaro che i media e i governi non vogliono
farcelo vedere, mascherando la violenza con discorsi che ne sottolineano solo la
complicità. La violenza sistematica in Guerrero e in Chiapas dovrebbe essere
motivo di scandalo.
A Rio de Janeiro, un sociologo dice spesso che il narco non è uno Stato
parallelo, ma lo Stato realmente esistente. Compresi tutti i governatori degli
ultimi decenni, con il loro entourage di imprenditori mafiosi, deputati e
consiglieri comunali che costituiscono un potere ereditato dagli squadroni della
morte della dittatura militare.
Gaza ci pone in un altro luogo, di fronte ad altre sfide. La prima è comprendere
che la morte è la ragion d’essere del sistema capitalista. La seconda è capire
che questo sistema è composto dalla destra e dalla sinistra, dai conservatori e
dai progressisti. La terza è che dobbiamo organizzarci per proteggerci da soli,
perché nessuno lo farà per noi.
Il mondo che abbiamo conosciuto sta crollando. Piangiamo quei giovani uccisi a
Rio, quei corpi distesi sull’asfalto.
Trasformiamo le nostre lacrime in fiumi di indignazione e in torrenti di
ribellione.