[2025-05-24] 100 rose contro Esselunga @ Parco Artiglieri da Montagna
100 ROSE CONTRO ESSELUNGA Parco Artiglieri da Montagna - Corso Vittorio Emanuele, Torino (sabato, 24 maggio 09:00) Torna uno degli appuntamenti più spinosi della stagione. 100 rose contro Esselunga! Un momento di aggiornamento da parte del comitato, ma anche una giornata per continuare a prendersi cura del parco che vorrebbero distruggere. Dalle 9.00 ci troviamo al parco Artiglieri da Montagna per iniziare la piantumazione delle 100 rose donateci da un vivaio solidale alla causa. Porta (se c'è l'hai) guanti e paletta, ma soprattutto tanta voglia di dare una mano! Dalle ore 13 pranzo condiviso (noi facciamo un cous cous di verdure come base, per il resto ognun@ porti qualcosa) A seguire musica, sport (campi da bocce aperti e rete da pallavolo) e riposini sul prato!
Il nuovo Papa: perché chiamarsi Leone?
Son stati scritti fiumi di parole sull’esito inatteso del conclave e anche sulla ripresa di un nome desueto da oltre un secolo Leone, dicendo troppe banalità. Cerchiamo di decifrare il significato di questa scelta. Di Marino Ruzzenenti, da Officina Primo Maggio VEDIAMO I PAPI LEONE PIÙ ILLUSTRI CITATI DALLA STAMPA IN QUESTI GIORNI: DAI PRIMI SECOLI DELLA CHIESA FINO AL XVI SECOLO. Leone I, detto Magno, fu eletto nel 441 e nei suoi 21 anni di regno fu un instancabile combattente per affermare e consolidare il primato del vescovo di Roma, la rigida ortodossia, sconfiggendo le numerose eresie del tempo in particolare sulla natura della figura di Cristo e sulla Trinità. Leone III, Papa dal 795 all’816, incoronò Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero e stabilì il precedente storico dell’assoluta supremazia del papa sui poteri terreni. Leone IV, Papa dal 847 al 855, fortificò Roma costruendo le Mura Leonine e promuovendo diverse spedizioni armate per sconfiggere i saraceni ed impedirne le scorribande; il giorno di Pasqua dell’850 Leone incoronò imperatore Ludovico, figlio di Lotario, riaffermando il prestigio e il privilegio pontificio di compiere un tale atto. Leone X, Papa dal 1513 al 1521, nato Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, fu particolarmente impegnato sul fronte dell’ortodossia, in un momento di particolari tensioni nel mondo della cristianità, evitando il pericolo di uno scisma, ribadendo il dogma dell’immortalità dell’anima, contro le teorie filosofiche degli averroisti e la sottomissione della verità filosofica a quella teologica. Fu il protagonista intransigente della diatriba sulle indulgenze, da lui stesso concesse, sollevata da Martin Lutero, con conclusiva scomunica di quest’ultimo e inizio della Riforma protestante. In generale sono Papi coerenti con il significato allegorico del leone: personalità forti, impegnate nel potenziare l’autorità e l’unità della Chiesa, custodi dell’ortodossia contro le eresie, tendenzialmente teocratici nel ribadire la supremazia del potere spirituale su quello temporale, ovvero sull’allora Sacro romano impero d’Occidente. Il leone era anche il simbolo della Repubblica di Venezia, cattolica, dopo l’anno mille protagonista di un’espansione imperiale e di un’accresciuta potenza economica e politica di prim’ordine. Così il leone di San Marco simboleggiò i caratteri con cui Venezia amava pensare e descrivere sé stessa: maestà, potenza, sapienza, forza militare e pietà religiosa. PAPA LEONE XIII FU DAVVERO UN “PAPA SOCIALE”? Ma in tutti i commenti, anche di intellettuali laici e di “sinistra”, si è voluto enfatizzare il probabile richiamo da parte del nuovo Leone XIV all’ultimo Leone, quello comunemente definito con malcelata ammirazione il “papa sociale”, per confermare la continuità con Papa Francesco. Ma quello fu davvero un papa “sociale e progressista” come lo si vuole rappresentare? Di Leone XIII mi sono occupato a lungo in una delle mie più impegnative ricerche storiche: «Preghiamo anche per i perfidi giudei». L’antisemitismo cattolico e la Shoah, DeriveApprodi, Roma 2018 (pp. 8-44). La favola di Leone XIII “papa sociale” resiste, nonostante Giovanni Miccoli (G. Miccoli, Antisemitismo e cattolicesimo, Morcelliana, Brescia 2013), il più importante storico cattolico italiano, negli ultimi anni della sua vita, abbia approfondito proprio quel periodo cruciale dell’antisemitismo cattolico che si dispiega a cavallo tra Ottocento e Novecento, il periodo in cui l’antisemitismo divenne in Europa un tema costitutivo delle ideologie reazionarie, appunto su impulso proprio del lungo Pontificato di Leone XIII (1878-1903) e dell’iniziativa insistente, quasi ossessiva, della rivista da lui promossa a partire dal 1881, «La Civiltà cattolica», impegnata allo stremo nel combattere l’ebraismo e le ideologie anticristiane dallo stesso derivate, la massoneria, il liberalismo e il socialismo. Quello leonino fu un pontificato straordinariamente forte, come poteva lasciar presagire il nome che scelse il cardinal Pecci al suo insediamento e come riconoscono tutti gli studiosi di storia della Chiesa. Un pontificato molto politico, convintamente interventista nelle vicende terrene contemporanee. Fu questo il vero tratto innovatore rispetto al predecessore Pio IX, il quale di fronte alla modernità, da un canto ne ribadì l’assoluta e totale condanna con il Sillabo, dall’altro condusse la Chiesa a ritrarsi nelle proprie casematte, in una posizione difensiva che poteva risultare alla lunga sterile. Questo indebolimento della Chiesa venne percepito fin da subito da Leone XIII che quindi si impegnò per ricollocarla al centro della scena internazionale: dunque la guerra contro la modernità, perché fosse efficace e vincente per la Chiesa, doveva essere ingaggiata in campo aperto, sul terreno dei grandi cambiamenti economici e sociali in corso, in una contesa aspra, militante, con le società liberali. Leone XIII comprese che, dentro la modernità, la civiltà industriale e tecnologica, che si stava convulsamente sviluppando con la scoperta dei combustibili fossili, irrompeva come un fiume in piena che era impossibile sbarrare. La Chiesa rischiava l’irrilevanza se avesse mantenuto un atteggiamento di totale rifiuto del nuovo, espresso icasticamente da Gregorio XVI, quando bollò come un «satana su rotaia» il primo treno in Italia che il 13 ottobre 1839 ansimò sbuffando sui sette chilometri da Napoli a Portici. Leone XIII, invece, comprese che quei processi tecnologici, economici e sociali, a dispetto della «scomunica» pontificia, si stavano affermando, e che andavano coinvolgendo sempre più estese masse di popolazione, le quali rischiavano di essere scristianizzate dalle ideologie che quel processo assecondavano, liberalismo e socialismo innanzitutto, diffusi dall’ebraismo anticristiano. Ebbene, in quell’agone la Chiesa doveva scendere in campo, accettando la sfida della modernità proprio sul terreno economico e sociale, con l’obiettivo di cristianizzare la modernità stessa, sconfiggendo le ideologie razionaliste e laiciste che si erano affermate con l’Ottantanove. L’obiettivo, apparentemente paradossale, era quello di affermare una sorta di «teocrazia della modernità», ovvero ripristinare il primato assoluto della Chiesa, di impronta medievale, nel mondo nuovo delle innovazioni tecnologiche, della produzione industriale e delle conseguenti trasformazioni sociali: la Cristianità che tornava a governare anche il mondo moderno, reinserendolo in quella civiltà cristiana e in quella visione del mondo che il Medioevo aveva cristallizzato come ordine naturale delle cose modellato dal disegno soprannaturale divino. Cosicché, l’anno dopo della sua elezione, Leone XIII si preoccupò di stabilire, in una delle prime encicliche del suo lungo papato, Aeterni Patris, una salda base teologica, unica per tutta la Chiesa e, in qualche modo, indiscutibile e immodificabile, fondata sulla Somma teologica e l’opera di San Tommaso d’Aquino, un’imperiosa restaurazione di una rigidità teologica, che peraltro durerà a lungo, praticamente fino al Concilio Vaticano II. Si tratta di «una visione teocratica dei rapporti tra la Chiesa e la società civile» in Leone XIII che così lo stesso sintetizzò: «Siccome il fine al quale tende la Chiesa è nobilissimo sopra ogni altro, così la potestà di essa va sopra tutte le altre, e non deve essere, né riputata inferiore ai poteri dello Stato, né a lui in qualche modo sottoposta». Dunque, se da un canto Leone XIII gettò la Chiesa e i cattolici nell’agone politico e sociale, dall’altro si preoccupò con grande energia di restaurare una rigida ortodossia teologica, il tomismo, e di ribadire la più ferma condanna delle ideologie che avevano ispirato la modernità: «Non si trattava di una resa davanti alla modernità. Né si trattava di contrapporsi semplicemente alla modernità. Cominciava un confronto, non certo ancora un dialogo, per di più talvolta ancora molto aspro». Il suo programma che è quello di ricostruire e restaurare una nuova Civiltà dandole come tessuto principale e come anima i valori e la filosofia del Vangelo poiché la Società moderna «è caratterizzata da un universale sovvertimento dei principi dai quali, come da fondamento, è sorretto l’ordine sociale». Come si vede, papa Leone non aveva assolutamente in mente la riconciliazione con la modernità, ma la sua sconfitta tramite la confutazione dei falsi principi sui quali essa si fondava per potere restaurare la Cristianità avversata dalla modernità e dalle sette dirette dal giudaismo talmudico. A questo proposito, Leone XIII gestì direttamente i tre casi critici dell’antisemitismo cattolico dell’epoca: la vicenda del partito cristiano sociale austriaco, la posizione dei cattolici francesi rispetto all’affaire Dreyfuss e infine la credenza del rito del sangue nella Pasqua ebraica. La prima vicenda riguarda il primo esperimento, vincente, di discesa in campo in Europa di un partito cattolico, il Partito cristiano sociale austriaco, che partecipò e vinse le elezioni per il comune di Vienna. L’esperimento austriaco fu in sostanza il primo banco di prova dell’enciclica di Leone XIII Immortale Dei del 1º novembre 1885, sulla costituzione cristiana degli Stati, che per permetteva finalmente ai cattolici di intervenire nell’agone politico (non ancora a quelli italiani per il trauma della breccia di Porta Pia). Il leader, Karl Lueger, ispirandosi alla Rerum novarum, elaborò un programma che, riprendendo la critica pontificia al capitalismo ed al marxismo, rappresentava questi fenomeni della modernità come prodotti, in certo modo complementari, della mente ebraica, fondendo questi nuovi temi con il secolare odio per gli ebrei della tradizione cattolica. Karl Lueger, leader carismatico e autoritario di un partito che si presentò come antisemita, fu borgomastro ininterrottamente dal 1895 al 1910, benedetto da Leone XIII e considerato dal giovane Adolf Hitler il modello su cui costruire il suo progetto politico e la sua figura di Führer. La seconda è quella dell’altro tentativo del partito cristiano francese di sfruttare il caso Dreyfuss per conquistare un ruolo di governo nello schieramento reazionario e antisemita. In questo caso, come sappiamo, il progetto di Leone XIII incontrò una bruciante sconfitta. Prima però ebbe modo di lasciare una eredità gravida di calamità per gli ebrei europei, alla luce degli eventi futuri. Il 25 e 26 novembre 1896, nel periodo infuocato dell’affaire Dreyfus, si tenne a Lione il primo congresso nazionale di questo partito voluto da Leone XIII, la Democrazia cristiana, articolato in tre sessioni, la prima antimassonica, la seconda antisemita e la terza sociale. Ebbene questo congresso, benedetto in apertura con una missiva dal Papa, elaborò la prima proposta in Europa di una legislazione antisemita, debitamente articolata e dettagliata, che avrebbe rappresentato il modello per le leggi di Norimberga del nazismo del 1935. Il terzo caso è quello della credenza cattolica nell’omicidio rituale da parte degli ebrei: si riteneva che gli ebrei in occasione della loro Pasqua uccidessero un bambino cristiano per prelevargli del sangue con cui condire il pane azimo rituale. Ebbene, verso la fine del 1899, dopo un ventennio di accuse processi e tumulti in diversi Paesi d’Europa, un gruppo influente di cattolici inglesi, tra cui Lord Russell e lo stesso cardinale di Westminster, presentarono a Leone XIII un’istanza perché questa credenza, ritenuta del tutto infondata, venisse condannata dalla Santa Sede. Il Sant’Uffizio, investito della questione, il 25 luglio 1900 statuiva che la dichiarazione richiesta non poteva essere data, cui seguiva l’approvazione il 27 di Leone XIII: nella sostanza il Papa rigettava l’istanza dei cattolici inglesi con la sottintesa motivazione, «perché gli omicidi rituali che si vorrebbero negare sono invece realmente accaduti», peraltro esplicitata in un manoscritto che accompagnava la risoluzione. Il tema, anzi, divenne ricorrente nella campagna denigratoria nei confronti degli ebrei de «La Civiltà cattolica», tema ripreso come è noto dalla campagna dei nazisti e del fascismo di Salò per sostenere la necessità della Shoah. Dunque, paradossalmente, l’antisemitismo ridiventava un cardine della politica e del magistero della Chiesa, proprio quando la stessa in qualche modo «si apriva» alla modernità, superava il puro e semplice atteggiamento di rifiuto, scendeva sul terreno della nuova società per combattere una battaglia campale per la riaffermazione del primato della cristianità sulla modernità stessa, contro le ideologie scristianizzanti, dal razionalismo al liberalismo, al socialismo. Ed era su questo terreno che la Chiesa riscopriva negli ebrei uno degli ostacoli maggiori al compimento della sua missione. Del resto l’antisemitismo era un pilastro fondamentale del pensiero reazionario di fine Ottocento: il rifiuto del liberalismo, della laicità dello Stato, dei principi dell’Ottantanove, del socialismo si associava all’individuazione degli ebrei come principali ispiratori di questi movimenti ed ideologie, ebrei per di più emancipati dal ghetto proprio grazie alla Rivoluzione francese, in grado così di dispiegare finalmente tutta la loro «nefasta» volontà di rivalsa nei confronti della civiltà cristiana. Fino a qui la coerenza del pensiero e dell’azione di Leone XIII può apparire persino scontata. Ciò che può sorprendere è il lato sociale, presente nella Rerum Novarum. Ma anche questo è un dato in verità ricorrente nel pensiero politico reazionario tra Ottocento e Novecento. Lo si è visto per i cristiano sociali austriaci; lo si vedrà con il fascismo italiano, nel programma del 1919 ripreso poi con la Carta di Verona della Repubblica sociale; lo si vedrà nel movimento politico costruito da Hitler, non incidentalmente chiamato Partito nazionalsocialista dei lavoratori, con la bandiera su fondo rosso, colore intenzionalmente mutuato dai vessilli del movimento operaio e socialista. Almeno nei programmi, il pensiero reazionario e antimoderno spesso adottò accenti anticapitalisti, essendo anche il capitalismo in certo modo filiazione del liberalismo, e si cimentò sul piano sociale proprio con l’obiettivo di sottrarre le masse operaie all’influenza del socialismo, divenuto ormai più pericoloso e temibile dello stesso liberalismo. Dunque antisemitismo e Rerum Novarum non solo non confliggevano, ma facevano parte di una visione coerente che Leone XIII aveva sistematizzato in una strategia di lungo periodo di scardinamento delle ideologie della modernità. Del resto, occorre ricordarlo, i pontefici che seguirono nel corso della prima metà del secolo scorso, Pio X, Benedetto XV, Pio XI e Pio XII, si mossero sostanzialmente all’interno del solco teologico, ideologico e politico tracciato in profondità dal papato leonino. Si dovranno attendere papa Giovanni XXIII ed il concilio Vaticano II, agli inizi degli anni Sessanta, perché la Chiesa cattolica uscisse da quel solco profondo ed angusto, riconoscesse «i segni dei tempi» e aprisse un dialogo vero con le culture laiche della modernità, con le confessioni non cattoliche e con le religioni non cristiane, quindi anche con l’ebraismo. Infine, Se poi qualcuno vuole conoscere più a fondo la figura di Leone XIII consiglio la piacevolissima lettura del folgorante romanzo-inchiesta di Émile Zola, Roma, Paris 1896, ed. it. Bordeaux, Roma 2014. CONCLUSIONI In conclusione, Robert Francis Prevost tutto quanto detto sopra a proposito di Leone XIII e degli altri Papi Leone lo conosce bene, essendo un plurilaureato e un profondo studioso della Chiesa. E la scelta di Leone ha ragioni profonde che non hanno nulla a che vedere con la presunta “sensibilità sociale” e quindi con la continuità con Papa Francesco. E la novità va ben oltre il pur simbolico ripristino dei paramenti e della Croce che rappresentano il potere papale. Programmaticamente vorrebbe essere un papato forte, autorevole nella Chiesa, fermo nell’affermare e conservare l’ortodossia, ma anche influente sulle sorti del mondo ricostruendo il primato della Chiesa cattolica, come furono i Leone che lo hanno preceduto. Chissà, forse per la Chiesa si tratta di una scelta lungimirante come fu quella di Giovanni Paolo II, per l’esito della crisi del bipolarismo (Paolo Mieli è a questo papa che lo paragona, non a Francesco). In questo caso potrebbe essere un tentativo della Chiesa di salvare l’Occidente in crisi, in particolare il paese guida, gli Usa, dilaniato da contrasti interni autodistruttivi. È l’ipotesi di Cosimo Risi, già diplomatico e Ambasciatore d’Italia in Svizzera, ora insegnante di Diritto Internazionale all’Università di Salerno. E il richiamo nei primi discorsi alla potente tecnologia digitale dei nostri tempi, in particolare all’intelligenza artificiale, che nella versione transumanista dovrebbe generare una sorta di nuova specie umana liberata dai limiti della propria condizione, potrebbe far intendere il senso della scelta del nome, ovvero la volontà di riaffermare i valori eterni del messaggio di Cristo anche su questo terreno particolarmente insidioso, in cui gli umani potrebbero immaginarsi onnipotenti e non più bisognosi del conforto della religione: insomma, si tratterebbe di cristianizzare oggi l’intelligenza artificiale, come ai tempi di Leone XIII la macchina a vapore. Staremo a vedere. Una cosa è certa: assisteremo a un cambiamento importante rispetto a Papa Francesco.
L’uso dei reati associativi per contrastare il conflitto sociale: il processo contro il CSOA Askatasuna (1° parte)
Il processo contro 28 militanti del centro sociale Askatasuna e del movimento No Tav, conclusosi il 31 marzo scorso, costituisce il tassello principale[1] di un’articolata strategia volta a contrastare il conflitto sociale a Torino e in Val di Susa, in sintonia con quella profonda metamorfosi del sistema penale che, in relazione a specifici fenomeni, ha trasformato il processo da luogo di accertamento dei fatti e delle responsabilità individuali a strumento di lotta e di repressione. di Claudio Novaro, da Studi sulla questione criminale Per comprenderne adeguatamente le caratteristiche e la specificità è necessario allargare l’orizzonte analitico allo scenario complessivo, segnato dalla presenza di un movimento, come quello valsusino, che si oppone da oltre 30 anni alla costruzione di una grande opera, la linea ad alta velocità Torino-Lione, e agli interessi economici che la sostengono. Più commentatori hanno rilevato[2] come Torino sia stata in questi anni una città laboratorio di pratiche ed innovazioni di contrasto nei confronti dell’attività dei militanti e degli attivisti dei movimenti e dei circuiti antagonisti, a partire dalla decisione, collocabile all’inizio del 2010, di costituire uno specifico pool di magistrati all’interno della Procura che si occupasse inizialmente proprio delle vicende legate alla protesta contro il TAV e che poi, come spesso avviene, ha finito per diffondersi sull’intero fronte dei procedimenti connessi alle lotte sociali[3]. Questo particolare modulo organizzativo – che ha comportato la costruzione di un circuito processuale ad alta velocità, nato, con straordinaria capacità profetica, prima della commissione dei reati per cui è stato creato – ha consentito che venissero drenate sul fronte della repressione giudiziaria del conflitto sociale, prima valsusino e poi anche  metropolitano, importanti risorse umane ed economiche, “distogliendo alcuni PM dai loro normali compiti d’ufficio per destinarli ad una sezione che non aveva però, in allora, materiale su cui investigare”[4]. Sul piano giudiziario si sono di lì in avanti sperimentate innovative soluzioni giuridiche, dall’applicazione al conflitto sociale delle categorie giuridiche introdotte negli anni dell’emergenza[5], all’utilizzo massivo di misure di prevenzione[6], fino alla recente proposta di contestare la fattispecie di quasi reato di cui all’art. 115 c.p. per sanzionare con misure di sicurezza condotte esterne alle ipotesi di concorso nel reato[7]. Il radicamento cittadino di Askatasuna, il suo insediamento sociale e territoriale nel quartiere Vanchiglia, gli stretti rapporti con i comitati popolari della Val di Susa richiedevano probabilmente una strategia più complessa e sofisticata di quella  messa in campo per silenziare altre aree politiche (ad esempio quella anarchica), dove l’utilizzo della risposta giudiziaria e del processo penale, con la contestazione di un’ipotesi di associazione sovversiva (poi rivelatasi del tutto infondata all’esito del processo), era stata contestuale all’immediato sgombero della casa occupata dell’Asilo, sino ad allora centro propulsore delle lotte contro gli sfratti e il CPR di corso Brunelleschi. Nel caso di Askatasuna, la strategia più propriamente giudiziaria è stata affiancata da una serie di misure, alternative ai tempi lunghi del processo penale, che miravano, da un lato, ad allontanare dai luoghi del conflitto gli attivisti, con l’emissione da parte della Questura di centinaia di fogli di via dalla Val di Susa[8], dall’altro, ad incrinare le basi materiali dell’attività politica del centro sociale (con sequestri periodici degli impianti di amplificazione per i concerti, le sanzioni amministrative per il mancato rispetto della normativa in tema di somministrazione di bevande o generi alimentari, di emissione di scontrini fiscali, di sicurezza dei concerti e di regolarità edilizia dell’edificio che ne ospita la sede). Le indagini e la fase cautelare. In questo contesto si colloca il procedimento penale da poco terminato, nato da un’intuizione investigativa della Digos torinese dell’autunno 2019, secondo cui, come verrà spiegato da uno dei suoi dirigenti a dibattimento, nell’analizzare una serie di vicende oggetto di separati procedimenti penali emergevano “dei tratti comuni … Quindi, sostanzialmente ricorrenza di un nucleo di soggetti, ricorrenza di mezzi, strumenti utilizzati per il compimento dell’azione delittuosa, essenzialmente ai danni delle Forze dell’ordine, ricorrenza di dinamiche e metodologie diciamo operative che erano state riscontrate, ricorrenza di scenario …”. Di qui l’ipotesi che non si trattasse di fatti isolati, ma della “concretizzazione di un programma delittuoso comune, condiviso …”[9] e la contestuale richiesta – ovviamente fatta propria dalla Procura e accolta dai diversi magistrati che si sono alternati nella funzione di giudice per le indagini preliminari – di intercettare le utenze telefoniche di una ventina di soggetti, le case e le autovetture di alcuni militanti, intercettazioni durate poi per circa due anni. Tale lavoro investigativo – appannaggio, come quasi sempre avviene nei procedimenti legati alla protesta sociale, della Digos territoriale – partoriva un impianto accusatorio, riassunto in un’annotazione conclusiva di oltre 1.500 pagine, fondato, anzitutto, sull’ipotesi di sussistenza di un’associazione sovversiva costituita da 71 persone, tra cui 62 attivisti del centro sociale e 9 soggetti definiti “militanti dell’ala oltranzista No Tav”. Nel dicembre 2021, la Procura richiedeva l’applicazione di 16 misure della custodia cautelare in carcere, 4 arresti domiciliari e un divieto di dimora. Gli indagati per il reato associativo erano ridotti a 32, tutti appartenenti al centro sociale, a cui si aggiungevano altri 54 soggetti, sottoposti ad indagini, unitamente ai primi, in relazione ad altri 102 reati, di cui 97 commessi in Val di Susa, tra il luglio 2020 e il settembre 2021. Cinque tra tali reati riguardavano, invece, un episodio avvenuto il 22 maggio 2020 presso lo spazio popolare Neruda (un’occupazione abitativa avviata da alcuni militanti del centro sociale, in cui vivono oltre un centinaio di persone, in  larga parte immigrate), relativo all’allontanamento violento di un uomo di origine nigeriana dallo stabile, e con lui della moglie e di una figlia, per cui venivano ipotizzati gravissimi reati, primi fra tutti quelli di rapina, di sequestro di persona e di estorsione, quest’ultimo per aver richiesto il pagamento di un affitto per abitare in una stanza dell’immobile occupato, in mancanza del quale la famiglia sarebbe stata cacciata a forza. Il G.i.p., con ordinanza del 23 febbraio 2022, depotenziava fortemente l’impianto accusatorio: riteneva insussistenti i gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo, qualificava diversamente i fatti dello spazio popolare Neruda, applicava nei confronti degli indagati due misure della custodia in carcere, due arresti domiciliari e 9 misure non custodiali, per alcune resistenze a pubblico ufficiale avvenute in Val di Susa e per i fatti del Neruda. La vicenda cautelare aveva poi un decorso lungo e complesso, tra richieste di riesame delle difese, appello dei PM, parzialmente accolto una prima volta dal tribunale del riesame, successivo annullamento della Cassazione, e poi nuovo accoglimento da parte del tribunale[10].  Nell’ultima discussione avanti al tribunale del riesame, la Procura inaspettatamente richiedeva (e puntualmente otteneva) di riqualificare il reato associativo in associazione per delinquere (inopinatamente aggravata, in modo tale da inasprire le future eventuali sanzioni, dalla circostanza dello scorrere in armi le campagne e le pubbliche vie). Tale scelta probabilmente muoveva dalla consapevolezza della incongruità e pericolosità di un’ipotesi accusatoria che identificava direttamente il centro sociale Askatasuna con una vera e propria associazione sovversiva e che rischiava di confondere accordo criminoso e mera attività politica, in spregio al diritto costituzionalmente protetto di cui all’art. 18 (diritto di associazione). L’individuazione di un sottogruppo criminale nell’ambito del centro sociale, contenuta nel nuovo capo di imputazione, anche se appariva meno coerente con il teorema investigativo iniziale, consentiva di sottrarsi a possibili censure e, soprattutto appariva in sintonia con il tentativo di depotenziare le finalità ideali e politiche dei militanti del centro sociale, trattati alla stregua di meri delinquenti, mossi solo, come il P.M. ha affermato in più occasioni nel corso del processo, da una sorta di istinto alla violenza. Il dibattimento. Dopo la formulazione della richiesta di rinvio a giudizio, accolta integralmente nel decreto che dispone il giudizio, si è così arrivati a dibattimento con un’accusa, rivolta questa volta solo a 16 militanti del centro sociale, per aver costituito al suo interno un’associazione per delinquere “finalizzata alla commissione”: a) di numerosi reati di resistenza a p.u., violenza privata, incendio e danneggiamento, commessi dal 2011 in poi, “per opporsi alla realizzazione della TAV, organizzando, dirigendo, partecipando agli scontri violenti contro le forze dell’ordine, il cantiere ed i dipendenti delle imprese incaricate dell’esecuzione dei lavori”; b) di analoghi reati, commessi a Torino dal 2009, consistenti in plurime iniziative “di protesta violenta poste in essere in occasione di manifestazioni pubbliche contro le politiche del Governo, contro esponenti politici o militanti di associazioni e/o movimenti portatori di ideologie contrapposte”; c) di reati di violenza privata, “ … al fine di esercitare il controllo sul quartiere Vanchiglia ed allontanare da esso i ripetuti controlli di polizia”; d) di reati di violenza privata, rapina, estorsione e sequestro di persona “al fine di esercitare il controllo sull’immobile abusivamente occupato” denominato spazio popolare Neruda[11]. Il processo ha, anzitutto, consentito di acquisire importanti elementi di conoscenza in ordine alle concrete modalità di militarizzazione di una porzione del territorio della Val di Susa, al fine di contenere la protesta popolare, e alle ingenti risorse finanziarie spese nel suo ambito. Dalle testimonianze del direttore di TELT (la società a partecipazione pubblica italo-francese incaricata dei lavori per l’alta velocità), nonché dalle richieste risarcitorie avanzate dall’Avvocatura dello Stato, nell’interesse della presidenza del consiglio e dei ministeri dell’interno e della difesa, si è appreso che “per l’anno 2020 il Ministero dell’Interno ha impiegato 205.988 agenti per presidiare i luoghi 24 ore su 24 e poi per contenere gli eventi per cui è processo”. Tale cifra ammonta a 266.451 agenti per l’anno 2021, con una spesa per entrambi gli anni, per l’alloggiamento dei reparti, di euro 1.713.016 e di euro 1.149.339 per il vettovagliamento. A tali importi vanno aggiunte quelli per il carburante impiegato, per le indennità per straordinari e trasferte, che portano la cifra complessiva “del costo sostenuto dall’Amministrazione dell’Interno per assicurare il ripristino dell’ordine pubblico”, a seguito dei fatti contestati agli imputati, ad euro 4.176.185,85[12]. Quanto a TELT – come si evince dalla memoria conclusiva della società, costituitasi a sua volta parte civile contro gli imputati – ha investito ben 3 milioni di euro per lo studio di nuove varianti progettuali, per approfondimenti e nuove progettazioni di sviluppo della cantierizzazione, disposti per la necessità di verificare se trasferire il sito in costruzione in altra e diversa zona a seguito degli attacchi subiti dai manifestanti, e altri 30 milioni di euro per la sicurezza del cantiere, vale a dire per gli apprestamenti a tutela dell’ordine pubblico e dell’incolumità dei lavoratori, per la prevenzione di atti vandalici e i danneggiamenti[13]. Le memorie e le conclusioni della pubblica accusa. A conclusione dell’istruttoria dibattimentale, i pubblici ministeri presenti al processo hanno depositato due memorie finali, poi richiamate oralmente in sede di discussione, il cui esame consente di illuminare compiutamente il punto di vista degli inquirenti, sia sul piano delle modalità di valutazione della piattaforma probatoria, che su quello delle regole epistemologiche usate per sostenere la responsabilità degli imputati. La prima evidenza che balza agli occhi dalla lettura di tali memorie riguarda la evidente difficoltà di padroneggiare la proposta dicotomia tra centro sociale e associazione criminale. Di fronte a un’ipotesi accusatoria che prevede la costituzione di un comparto associato separato, nell’ambito del centro sociale Askatasuna, occorreva evitare l’errore fondamentale di fare quello che, in via teorica, nei suoi scritti precedenti, la Procura contestava, vale a dire “un’indebita sovrapposizione” tra Askatasuna e il sodalizio in questione, utilizzando delle risultanze riferite alla prima (o addirittura al movimento No Tav) per dimostrare l’esistenza degli elementi costitutivi del secondo. Le memorie contengono, invece, platealmente un’operazione di tipo traslativo, che mescola e confonde disinvoltamente le attività del centro sociale con quelle riferibili ad una struttura associativa criminosa, nonché il ruolo legittimo dentro Askatasuna dei singoli militanti con quello di rilievo penale nell’ambito dell’associazione per delinquere.  Così, le basi operative dell’associazione per delinquere vengono individuate nella sede del centro sociale di Corso regina Margherita 47, nello Spazio popolare Neruda, del presidio No Tav cd. dei Mulini in Val di Susa, nell’Infoshop Senza Pazienza, nell’associazione sportiva Aurora Vanchiglia, confondendo spazi di movimento con le strutture di un sodalizio criminoso. Così, quanto ai canali di finanziamento dell’associazione, vengono indicati dati probatori riferiti al centro sociale (le cene di autofinanziamento la vendita di libri del Senza Pazienza), addirittura finendo per considerare tali gli introiti relativi al Festival Alta felicità, che si tiene ogni anno in Val di Susa, con la partecipazione di importanti artisti e di decine di migliaia di persone. In seconda battuta, nel tentativo di fare i conti con la pluralità di iniziative poste in essere dagli imputati, in qualità di attivisti del centro sociale, assai poco sintomatiche della partecipazione ad un reato associativo e, invece, del tutto in sintonia con la militanza politica e sociale dei circuiti antagonisti, ecco spuntare un’ipotesi interpretativa tanto surreale quanto priva di supporti probatori. Il programma delittuoso del sodalizio criminoso prevederebbe, secondo gli inquirenti, “una sofisticata strategia: la sua dissimulazione dietro lo schermo di iniziative pubbliche aventi una funzione sociale, realizzate attraverso diramazioni del centro sociale (quali Spazio Popolare Neruda, lo Sportello Prendo Casa, il Senza Pazienza, la squadra popolare ASD Aurora Vanchiglia, e la storica succursale dei Murazzi) o semplici azioni a favore della collettività (spesa solidale, corsi di lingua per stranieri, aiuti per le famiglie sfrattate…..), al fine di procurarsi il sostegno di una parte dell’opinione pubblica. In tale prospettiva si inserisce anche la tattica di compiere azioni violente nel corso di iniziative organizzate da movimenti più moderati (come quelli dei No Tav o dei Fridays For Future o gli studenti), sempre allo scopo di avvantaggiarsi dell’appoggio di ampi strati della società civile, alla quale sono celate le vere intenzioni del sodalizio”[14]. Insomma, una sorta di nicodemismo applicato al conflitto sociale. Il richiamo alle attività “sociali” del CSOA (la spesa sociale, gli aiuti agli sfrattati, il doposcuola per i bambini stranieri ecc..), lette come una sorta di schermo dietro a cui proteggersi in caso di azioni giudiziarie o per coprire le proprie nefandezze criminose, contrasta visibilmente con tutto il complesso e articolato testimoniale raccolto sul punto nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Tanto che la Procura, nelle sue memorie, nemmeno si è sobbarcata la fatica di spiegare sulla base di quali riscontri e di quali criteri di inferenza sia giunta ad affermazioni tanto impegnative quanto paradossali. -------------------------------------------------------------------------------- [1] In un recente articolo uscito il 16 aprile scorso sul sito Volerelaluna, Livio Pepino lo ha definito “il processo politico più rilevante degli ultimi vent’anni, nel quale la Digos e la Procura torinese hanno investito uomini, tempo, mezzi, tecnologie e hanno messo in gioco la propria credibilità”(https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2025/04/16/15-giorni-dopo-lassoluzione-di-askatasuna-un-silenzio-istruttivo/ [2] Si vedano, tra gli altri, Alessandra Algostino, “Askatasuna e la città, doppio laboratorio”, in Il Manifesto del 4.2.2024. [3] Dal 2015 la sezione Tav è stata accorpata alla vecchia sezione “Reati di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico”, con l’istituzione di un unico gruppo specializzato denominato “Terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, reati in occasione di manifestazioni pubbliche”. [4] https://www.notav.info/documenti/no-tav-e-repressione-una-storia-antica-da-caselli-a-spataro in NoTav.Info del 23.9.2016. [5] Ad esempio, le aggravanti per terrorismo e i delitti di attentato con finalità di terrorismo contestati ai militanti del movimento No Tav. Sul punto si veda, in particolare, Xenia Chiaramonte, Governare il conflitto. La criminalizzazione del movimento No TAV, Meltemi, 2019. [6] Sono noti i plurimi e non sempre riusciti tentativi di applicare quella della sorveglianza speciale a numerosi militanti anarchici, poi agli attivisti che si erano recati nel Nord della Siria a combattere con il popolo curdo, infine ad alcuni militanti dei centri sociali cittadini. Parallelamente anche gli avvisi orali emessi in questi anni dalla Questura torinese si contano nell’ordine delle decine. [7] Si tratta di un’ipotesi contenuta nel capo di incolpazione provvisorio emesso nell’ambito dell’avviso di conclusione delle indagini relativo ai fatti accaduti il 4.3.2023, nel corso del corteo indetto in solidarietà con Alfredo Cospito. Un considerevole numero di manifestanti è stato fermato prima di raggiungere la zona del concentramento e 27 persone sono state trovate in possesso di oggetti vari (maschere antigas, caschi, guanti, scalda-colli, occhialini da piscina, medicinali per lenire l’effetto dei lacrimogeni, artifizi pirotecnici … ecc.). La Procura torinese ha ritenuto di poter contestare in questo caso agli indagati, unitamente a diversi altri delitti e contravvenzioni, “il quasi reato di cui all’art. 115 c.p., in relazione ai reati di cui agli artt. 81 cpv, 337, 339 … c.p., 110, 112, 61 n. 7, 419 c.p. perché si accordavano per porre in essere in concorso condotte di resistenza aggravata e devastazione … Gli stessi venivano fermati prima dell’inizio della manifestazione sia nelle vicinanze di posti occupati anarchici sia nei pressi del luogo del concentramento nel corso dei controlli preventivi effettuati dalla Digos e accompagnati negli uffici di Polizia in quanto trovati in possesso di ecc. ecc. …. a dimostrazione del comune intento di partecipare ad una manifestazione con finalità violente”. [8] In larga parte poi disattesi e violati, che hanno però innescato e alimentato una pletora di nuovi procedimenti, tanto più pericolosi e gravidi di pesanti conseguenze sanzionatorie a partire dall’anno 2023, con la trasformazione, in forza del D.L. 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla L. 13 novembre 2023, n. 159, del reato contravvenzionale di cui all’art. 76 del D.lgs. 159/2011 in un delitto, punito con la pena della reclusione da 6 a 18 mesi e della multa fino a 1.000 euro. [9] Trascrizioni udienza 12.1.2023, pagg. 4 e 5. [10] Particolarmente inconsueta sul piano motivazionale, in quanto fondata su un curioso meccanismo indiziario di tipo “statistico-presuntivo”, secondo cui la sussistenza del reato associativo si ricaverebbe dalla presenza continuativa degli allora indagati a eventi poi sfociati in fatti reato, a prescindere dalla circostanza che a quegli stessi fatti abbiano partecipato altri militanti del centro sociale non indagati e, insieme a loro, centinaia di altri soggetti. [11] Sulla particolarità ed atipicità della contestazione relativa ad una associazione finalizzata alla commissione di reati di resistenza, si veda Luigi Ferrajoli, “Lo stato odierno, in Italia, della libertà di dissenso”, in Il Manifesto del 28.1.2025. [12] Nella propria richiesta risarcitoria, a tale ragguardevole cifra l’Avvocatura dello Stato ha aggiunto altri tre milioni i euro, per il danno di immagine provocato alle pubbliche amministrazioni, pervenendo ad una richiesta finale di 6.700.000 euro. [13] Anche se la parte civile TELT si è poi limitata a richiedere, nelle sue conclusioni finali, una provvisionale immediatamente esecutiva ammontante ad un milione di euro, nei confronti dei soli imputati del reato associativo. Per una disamina più dettagliata delle richieste risarcitorie delle parti civili, mi permetto di rimandare ad un mio recente articolo dell’11 marzo scorso: Conflitto sociale, repressione, media: ancora il caso Askatasuna (https://volerelaluna.it/societa/2025/03/11/conflitto-sociale-repressione-media-ancora-il-caso-askatasuna/). [14] Memoria della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, pag. 92.   Per citare questo post: C. Novaro, (2025), L’uso dei reati associativi per contrastare il conflitto sociale: il processo contro il CSOA Askatasuna, in Studi sulla questione criminale online al link: https://studiquestionecriminale.wordpress.com/2025/05/15/luso-dei-reati-associativi-per-contrastare-il-conflitto-sociale-il-processo-contro-il-csoa-askatasuna/
“Remigration Summit”: mobilitazioni antifasciste a Milano (e non solo) contro la presenza di mezza nazisteria europea in Lombardia
E’ la Lega la sponda trovata dai neonazisti europei, (auto)convocati sabato 17 maggio in Lombardia per il cosiddetto “Remigration Summit”, il conclave della nazisteria continentale per “remigrare” – ossia  deportare – tutti i migranti che vivono in Europa. SABATO 17 MAGGIO – Al via oggi, al teatro comunale di via Teatro, 5 a Gallarate, cittadina del Varesotto guidata da un’Amministrazione comunale della Lega, la kermesse di gruppi nazisti europei sulla cosiddetta remigrazione, ossia la deportazione di massa di ogni migrante presente in Europa. Il tutto con il beneplacito di Salvini: “c’è libertà d’espressione, non siamo mica in Unione Sovietica”. L’incontro nazista è iniziato alle 9. La convocazione è arrivata via e-mail alle 6, con l’anticipo rispetto alle 14.30, come originariamente previsto. Il vicesegretario leghista, Roberto Vannacci, ha inviato un video di saluto ai nazisti dove esprime “sostegno per una battaglia di…libertà e civiltà”. In sala a Gallarate tra gli altri Davide Quadri, responsabile Esteri della Lega Giovani; Alessandro Corbetta, capogruppo della Lega in Consiglio regionale, l’europarlamentare leghista Isabella Tovaglieri. Proprio a Gallarate, stamattina, sabato, flash mob antifascista indetto da liste locali d’opposizione, partiti antifascisti e realtà del territorio in Piazza Libertà, nel centro della cittadina, totalmente militarizzata. Nel pomeriggio di oggi, sabato, presidio analogo nella vicina Busto Arsizio, indetto in particolare dalla RAV, Rete antifascista militante di Varese. A Milano, invece, due le mobilitazioni (vedi sotto per i dettagli): in piazza San Babila il presidio di una settantina di partiti, sindacati e associazioni antifasciste; da largo Cairoli invece il corteo antifascista e di movimento “Make Europe Antifa Again”. La diretta su Radio Onda d’Urto di sabato 17 maggio su Radio Onda d’Urto: ORE 17.00 – Il corteo antifascista, attraversato complessivamente da almeno 2mila persone, termina il proprio percorso all’altezza della metropolitana Pagano. La corrispondenza conclusiva con Francesco, della Radio Onda d’Urto, e le prime valutazioni con alcuni compagni milanesi presenti durante la giornata. Ascolta o scarica ORE 16.50 – Il corteo antifascista Make Europe Antifa Again prosegue spontaneo in direzione ovest, verso Pagano. ORE 16.40 – Corteo antifasista ripartito verso ovest, in direzione piazza Giovine Italia e piazza Conciliazione. ORE 16.30 – Fittissimo lancio di lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine attorno alla stazione di Milano Cadorna, all’altezza di via Caradosso, contro il corteo che cercava di avvicinarsi ai treni per Busto Arsizio e Gallarate. Dopo i lacrimogeni, il corteo antifascista si ricompone tra via Boccaccio e piazza Virgilio. Francesco, della Redazione. Ascolta o scarica Ore 16.25 – In corso un folto presidio antifascista anche a Busto Arsizio, Varese, indetto dalla neonata RAV (Rete Antifascista militante di Varese) con l’adesione di molte diverse realtà del territorio contro la kermesse nazista della vicina Gallarate. Da Busto Arsizio la corrispondenza con Fabrizio Baggi, segretario lombardo del Partito della Rifondazione Comunista. Ascolta o scarica ORE 16.15 – Concluso il presidio antifascista di piazza San Babila, alla presenza di diverse migliaia di persone. “Siamo in 30.000”, hanno sostenuto la settantina di realtà organizzatrici tra partiti, sindacati, associazioni, realtà sociali, che dal palco hanno letto diversi articoli della Costituzione “nata dalla Resistenza antifascista”. Le valutazioni conclusive con Giovanni, Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre. Ascolta o scarica ORE 16.10 – Il corteo antifascista resta nella zona della stazione di Milano Cadorna, all’altezza di piazza Virgilio. Alcuni manifestanti sono rimasti contusi dalle manganellate. Ancora Francesco, della Redazione. Ascolta o scarica ORE 16 – Il corteo antifascista “Make Europe Antifa Again” è arrivato nei pressi della stazione ferroviaria di Milano Cadorna. Contatto con la celere, schierata a chiudere via Leopardi. Usati manganelli e anche gli idranti, con avanzamento dei mezzi. Il corteo resiste, riposizionandosi su via Boccaccio. Francesco, della redazione di Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica ORE 15.45 – La corrispondenza da piazza San Babila, riempita completamente dal presidio antifascista “Unite e uniti contro ogni forma di razzismo e discriminazione”, indetto da una settantina tra partiti, associazioni, sindacati e realtà antifasciste. Da San Babila, Milano, su Radio Onda d’Urto Saverio Ferrari, Osservatorio Democratico sulle Nuove. Ascolta o scarica ORE 15.30 – La corrispondenza da largo Cairoli a Milano, concentramento del corteo antifascista di movimento “Make Europe Antifa Again” con Francesco, inviato della redazione di Radio Onda d’Urto, con alcune voci raccolte in piazza. Il corteo, con circa 2.000 persone, si muove verso la stazione ferroviaria di Cadorna, per raggiungere Busto Arsizio e Gallarate. Ascolta o scarica ORE 12 – Dal presidio del mattino di Gallarate, partecipato da circa 300 persone, la corrispondenza di Mario Macaluso, della RAV, Rete antifascista militante di Varese. Ascolta o scarica ORE 11 – Da Milano Radio Onda d’Urto ha raggiunto per un aggiornamento del mattino Massimiliano, compagno di ZAM e di “Make Europe Antifa Again”, verso la mobilitazione antifascista internazionale e di movimento che ha come concentramento le ore 15 in Largo Cairoli, a Milano. Ascolta o scarica VENERDì 16 MAGGIO –  Contro il Remigration Summit diverse le mobilitazioni antifasciste a Milano e non solo nella giornata di sabato 17 maggio, con una situazione in aggiornamento, anche di fronte ai possibili annunci ufficiali sulla sede trovata dalla galassia razzista, suprematista e nazista. Al momento sono due le iniziative lanciate in maniera pubblica a Milano, nel pomeriggio di sabato 17 maggio: Alle ore 15, in largo Cairoli, il concentramento del corteo antifascista internazionale “Make Europe Antifa Again”, che nel proprio appello ritiene “necessario nel contesto globale attuale immaginare e costruire un modo di vivere diverso e dunque un mondo radicalmente differente. Davanti a genocidi, guerre, riarmo, politiche razziste, deportazioni e attacco costante e quotidiano a tutte le persone ai margini, non bianche, normate e ricche; noi rispondiamo tessendo relazioni internazionali, che valicano i confini imposti, dando valore e praticando solidarietà e cura, costruendo comunità resistenti, transfemministe e antirazziste”. Su questo corteo abbiamo sentito Miriam, compagna di ZAM Milano Ascolta o scarica  Alle ore 14.30, in San Babila, il presidio con 70 tra sindacati, associazioni e partiti; presenti, tra gli altri Pd (con la Schlein), +Europa, Azione, Italia Viva, Sinistra Italiana, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra (con Fratoianni), Cgil (con il segretario Landini), Acli, Anpi e Arcigay, “per dire no al remigration summit e ribadire che questa città respinge l’odio e l’esclusione. Uniti e unite contro ogni forma di razzismo e discriminazione”. Sempre in San Babila, ore 15, il concentramento lanciato dal cs Cantiere, con parole d’ordine proprie e una una mobilitazione “Per la libertà di movimento, una cittadinanza universale e incondizionata, per una vita degna. Saremo partigian3 contro il fascismo e il razzismo; ribelli ad ogni forma di riarmo e reimmigrazione”. Su questa piazza sentiamo Nicola del CS Cantiere di Milano Ascolta o scarica da Radio Onda d’Urto
Torino, rivolta nel Cpr
La protesta nel Cpr in corso Brunelleschi a Torino è scoppiata venerdì, un gruppo ha cercato di raggiungere il tetto della struttura. Un uomo è precipitato rompendosi una gamba. Le due ambulanze giunte sul posto sono state bloccate dalla polizia prima di poter intervenire di Mauro Ravarino da il manifesto Quel reticolo di gabbie in mezzo ai palazzi del quartiere Pozzo Strada non ha più senso di esistere e mai l’ha avuto. Inaugurato nel 1999 e riaperto a fine marzo, dopo una chiusura di due anni, il Cpr di Torino ha una storia accidentata, che parla di sofferenza, proteste e violenze. Due i decessi accertati: Moussa Balde e Faisal Hossein. Nella tarda sera di venerdì la tensione è tornata ai massimi livelli dopo una rivolta esplosa nell’area bianca della struttura, maturata in seguito a una giornata di proteste iniziate prima nell’area blu dove i trattenuti avevano rifiutato il pasto per le restrizioni imposte alle comunicazioni telefoniche. La rivolta nell’area bianca sarebbe invece esplosa, in base a quanto ha ricostruito la Rete No Cpr, dopo l’orario di consegna della terapia, quando due migranti hanno tentato la fuga arrampicandosi sulla rete del cortile. Uno sarebbe stato raggiunto dalle forze dell’ordine e sarebbe caduto da un’altezza di due metri. Il giovane ha riportato una gamba fratturata. Nell’area hanno cominciato a divampare le fiamme, ben visibili dall’esterno, e altri migranti hanno raggiunto il tetto. Un agente sarebbe rimasto intossicato dai fumi. Alice Ravinale, capogruppo Avs in Regione, si è recata in corso Brunelleschi nella notte e, augurandosi che «questa volta ci sia maggiore chiarezza sulle condizioni» del migrante, sottolinea: «Nel nostro sopralluogo di lunedì abbiamo incontrato tante persone fragili e disperate a causa delle condizioni di detenzione, non mi stupisce che venerdì sera sia di nuovo esplosa la protesta. Il Cpr va chiuso, le persone con problemi di salute mentale che oggi sono lì recluse devono essere immediatamente rilasciate: è un posto che mette a rischio l’incolumità di tutti. Questa settimana sarà il quarto anniversario della morte di Moussa Balde: possibile che la sua drammatica vicenda, per cui è in corso un processo, non abbia insegnato nulla alle istituzioni di questo paese? Possibile che la propaganda anti-immigrazione del governo conti più del rischio, concreto, che ci possano essere altre vittime?». Nel Cpr di Corso Brunelleschi sono rinchiuse una cinquantina di persone a fronte di una capienza (provvisoria) di 60. La situazione anche con la nuova gestione della cooperativa Sanitalia, che si è aggiudicata l’ultimo appalto, resta tesa. Le proteste nella notte tra venerdì e sabato arrivano a meno di un mese dalla rivolta del 30 aprile. La prima dopo la riapertura, che aveva reso inutilizzabile l’area viola. Ieri sera, al di fuori del muro di cinta di corso Brunelleschi, si è radunata una piccola folla di attivisti richiamati dal tam-tam sui social. Gli attivisti, avuta la notizia del ferito, hanno chiamato il 118, ma le due ambulanze giunte sul posto (con i vigili del fuoco) sono state bloccate prima di poter intervenire. Era già passata la mezzanotte – dicono gli attivisti – quando l’ambulanza è intervenuta e, durante tutto questo tempo, le persone sul tetto intonavano cori e canti, denunciando le terribili condizioni di reclusione.   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
migranti
La parola della settimana. Ricorsi
(disegno di ottoeffe) Un cittadino bolognese si è visto annullare la scorsa settimana migliaia di euro di multe relative a infrazioni del codice della strada, sfruttando il sistema del silenzio-assenso. L’uomo aveva presentato un ricorso al prefetto per ognuna delle multe ricevute e, non essendogli stata recapitata l’istanza di rigetto, aveva presentato domanda di annullamento in autotutela. Il Comune aveva comunque proceduto a emettere cartelle di pagamento contro di lui, ma alla fine a spuntarla è stato il multato, grazie all’intervento del giudice di pace. Perplessità dal comando locale della polizia municipale. (credits in nota1) Dopo decenni di corteggiamento, e dopo momenti tristemente memorabili – la sindaca Iervolino che attende i risultati sull’assegnazione della sede in mezzo ad assessori e giornalisti, stringendo un corniciello rosso fuoco – finalmente Napoli riesce a ottenere il ruolo di città ospitante della Coppa America di vela. Esultano i giornali, che tornano a parlare di Bagnoli annunciando la realizzazione di piattaforme a mare e di un costruzione di un villaggio organizzativo sulla colmata (l’abbiamo già sentita); colmata che, come ampiamente prevedibile e previsto, una volta blindata dall’accoppiata Manfredi-Meloni, si prepara a diventare uno spazio privatizzato per grandi eventi e sottratto, come da settant’anni a questa parte, ai cittadini. «Bagnoli è stato un elemento essenziale per convincere gli organizzatori – ha detto il ministro dello sport Andrea Abodi – e l’America’s Cup sarà un elemento di accelerazione per un processo che è andato avanti troppo lentamente sottraendo all’Italia un’area che può essere produttiva e che sarà la vera eredità di questa sfida». Ora con tal Ricorso di Cose Umane Civili, che particolarmente in questo libro si è ragionato, si rifletta su i confronti, che per tutta quest’opera in un gran numero di materie si sono fatti, circa i tempi primi e gli ultimi delle Nazioni antiche e moderne: e si avrà tutta spiegata la Storia, non già particolare […]; ma dall’identità in sostanza d’intendere, e diversità de’ modi lor di spiegarsi, si avrà la Storia Ideale delle Leggi eterne, sopra le quali corron’i fatti di tutte le Nazioni, ne’ loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze, e fini, se ben fusse, lo che è certamente falso, che dall’Eternità di tempo in tempo nascessero Mondi Infiniti. (giambattista vico, la scienza nuova) Nelle estati del 2012 e del 2013, con il collettivo Ba.Fu.Ca. (Bagnoli-Fuorigrotta-Cavalleggeri) e con altre realtà di movimento, mettemmo in piedi, per fare il verso alla ricorrente farsesca candidatura napoletana alla competizione velistica (all’epoca “LuisVittonCup”), una regata autorganizzata. La chiamammo Giggin Vuitton Cup, una coppa finalmente dedicata a un povero Cristo di Bagnoli, senza casa né lavoro, che si arrangiava vendendo prodotti taroccati. A proposito tengo ‘nu frat’ che da quindici anni sta disoccupato. Che s’ha fatto cinquanta concorsi, novanta domande e duecento ricorsi. Voi che date conforto e lavoro, eminenza, vi bacio e v’imploro: chillo dorme cu’ mamma e cu’ me, che crema d’Arabia ch’è chistu cafè! (fabrizio de andrè, don rafè) La “coppa America dei poveri” portò a Bagnoli centinaia di persone, improvvisati skipper di imbarcazioni incerte e traballanti, canoe sgangherate, zattere mezze marce, bidoni dell’immondizia riciclati che girarono la scogliera antistante il Lido Fortuna provando ad arrivare in testa. Barche affondate, remate in testa, gavettoni: tutto era concesso data l’assenza di regole, lo stesso spirito con cui gli amministratori avevano agito nei vent’anni precedenti (oggi ne sono passati più di trenta e non è cambiato nulla) truccando una finta bonifica, elaborando progetti urbanistici sconclusionati, sognando una speculazione edilizia che è ancora dietro l’angolo. (foto d’archivio) Se Bagnoli piange, i bagnolesi non ridono. Sono passati più di due mesi dallo sciame sismico di marzo e dalla più violenta scossa degli ultimi cinquant’anni e le risposte istituzionali sono assolutamente insufficienti su tutti i fronti (i più eclatanti: un decreto governativo che sa di elemosina; il mancato pagamento del sostegno agli affitti; il mancato arrivo dei fondi per la messa in sicurezza degli edifici; la mancata programmazione di una sistemazione in strutture pubbliche e private per gli sfollati, che vengono trattati come pacchi vedendosi prorogato un soggiorno in alberghi dall’altra parte della città ogni dieci giorni). Lo scorso mercoledì era programmato un incontro tra l’Assemblea popolare e tutti gli assessori competenti, che è saltato senza nessun avviso. Rimandato a venerdì, le risposte sono state a dir poco imbarazzanti. Successivamente, nella stessa giornata, un corteo ha attraversato il quartiere ribadendo l’urgenza di interventi reali e non di rappezzi che sanno di presa in giro. Di quando in quando abbiamo bisogno di una catastrofe per spezzare l’incessante bombardamento dell’informazione. […] Il flusso è costante, – riprese Alfonse. – Parole, immagini, numeri, fatti, grafici, statistiche, macchioline, onde, particelle, granellini di polvere. Soltanto le catastrofi attirano la nostra attenzione. Le vogliamo, ne abbiamo bisogno, ne siamo dipendenti. Purché capitino da un’altra parte. Ed è qui che entra in ballo la California. Smottamenti, incendi nei boschi, erosione delle coste, terremoti, massacri di massa eccetera. Possiamo metterci lì tranquilli a goderci tutti questi disastri perché nell’intimo sappiamo che la California ha quello che si merita. Sono stati loro a inventare il concetto di stile di vita. Basta questo a condannarli. (alfonse spiega a jack la sua teoria sulle catastrofi in: rumore bianco, di don delillo) Le impronte digitali e di notte le pattuglie che inseguono le falene e le comete come te. Tra le lettere d’amore scritte a computer Che poi ci metteremo a tremare come la California, amore, nelle nostre camere separate a inchiodare le stelle, a dichiarare guerre. (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Valerio Mastandrea in: Non pensarci, di Gianni Zanasi e Lucio Pellegrini (2009)
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parola della settimana
Israele lancia bombardieri e tank su ciò che resta della Striscia
Bombardamenti incessanti, case distrutte, di nuovo più di cento morti, anche neonati. Ordini di evacuazione, popolazione affamata. Avanza l’operazione Carri di Gedeone e la cruenta offensiva finale dell’Idf per occupare la Striscia di Eliana Riva da il manifesto «Giuro che li ho vestiti per portarli via di qui. Giuro che ho appena parlato con lui. Voglio solo che uno dei miei figli sia vivo. Almeno uno». Hussein Odeh è un campione palestinese di sollevamento pesi. Vive a Jabalia, nel nord di Gaza, insieme a sua moglie e ai suoi figli di tre, cinque e nove anni. Nei primi mesi della guerra, un attacco israeliano ha ucciso sua figlia, sua madre e le sue sorelle. L’esercito ha dato ordine di evacuare, così Hussein ha preparato i suoi bambini ed è uscito per cercare un passaggio, qualcuno che potesse accompagnarli a Gaza City. Quando è tornato, la casa non esisteva più. Un bombardamento israeliano ha distrutto tre abitazioni in pochi secondi. È iniziata, anche formalmente, l’operazione «Carri di Gedeone». L’occupazione di Gaza. «LO GIURO, li stavo portando via, la macchina stava arrivando» continua a ripetere Hussein in piedi sopra le macerie. Sentiva la voce di uno dei suoi bambini, ha provato a parlare con lui in attesa che qualcuno arrivasse ad aiutarli ma suo figlio non gli ha più risposto. La protezione civile non ha strumenti per spostare i detriti pesanti, Israele non permette l’ingresso di mezzi e materiali di soccorso. Usano palette di plastica per scavare e spranghe per fare leva. Nonostante ciò, sono riusciti a recuperare diverse persone ancora vive sotto le macerie. A ogni flebile segno di vita tra i macigni, la speranza dei familiari si risolve in urla di gioia e pianto. I soccorritori si infilano sotto i solai, allungano le braccia più che possono, martellano le pietre per raggiungere i sopravvissuti. Un lavoro eroico e instancabile, pericoloso e senza fine. LE AMBULANZE sono state riempite di decine di corpi ieri a Gaza City, nel centro della Striscia, quando un attacco nei pressi della Torre Al-Zahra ha ucciso diversi civili che si trovavano in strada. Tra le vittime, donne e ragazzini. A Shujaiya i corpi straziati di due giovani sono stati ritrovati accanto ai sacchi di farina che erano riusciti a rimediare. Sempre nel centro, un neonato di 15 mesi è morto nel raid che ha colpito la sua casa, mentre a Deir el-Balah gli israeliani hanno ucciso una famiglia di nove persone. Tra loro Siwar di quattro anni, Muhammad di tre anni, Husaid di una settimana. 150 palestinesi ammazzati in 24 ore. Centinaia di vittime in pochi giorni, sofferenze immani, bombe e fame su una popolazione indifesa e disarmata. Ma a parte qualche dichiarazione, i «potenti» della terra non fanno nulla. «Non vorremmo più vedere soffrire le popolazione palestinese», ha confessato tra gli applausi il vicepresidente del Consiglio italiano Antonio Tajani, «liberiamo gli ostaggi ma lasciamo in pace un popolo che è stato vittima di Hamas, che ha dato vita a questa guerra. Dobbiamo dire al governo israeliano basta, la reazione c’è stata, garantite la vostra indipendenza, la vostra sicurezza ma arriviamo alla pace». Sono parole che giustificano la vendetta e non annunciano azioni concrete, né mettono in discussione i rapporti diplomatici ed economici con Israele. Sarà anche per questo che Tel Aviv si sente libera di poter continuare ad ammazzare e affamare, sicura della completa impunità. Lo ha detto con chiarezza ieri in un’intervista televisiva Zvi Sukkot, deputato israeliano del partito Sionismo religioso: «Tutti si sono abituati al fatto che cento gazawi possano essere uccisi in una notte, a nessuno al mondo interessa». DAL VERTICE della Lega araba a Baghdad, il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres è tornato a chiedere di porre immediatamente fine al blocco di aiuti umanitari. «La situazione dei palestinesi a Gaza è indescrivibile – ha dichiarato –, oltremodo atroce e oltremodo disumana. Una politica di assedio e fame è una parodia del diritto internazionale. Questo è il momento di fare chiarezza morale e agire». L’Unicef ha dichiarato che 45 bambini sono stati uccisi a Gaza negli ultimi due giorni, tutti vittime di «attacchi indiscriminati». Più di 950 bambini sono stati ammazzati dal 19 marzo. SECONDO PIÙ FONTI, Israele e Hamas avrebbero cominciato nuovi colloqui indiretti in Qatar. Per Reuters si tratterebbe, questa volta, di una discussione «senza precondizioni» per un cessate il fuoco immediato di due mesi, con trattative per la tregua permanente. Gli Stati uniti garantirebbero il rispetto del cessate il fuoco nel caso si giungesse a un accordo. È difficile immaginare che proprio dopo aver lanciato la sua nuova operazione militare su Gaza, il governo Netanyahu sia disposto a bloccare gli aerei e l’avanzata dei carri armati. E a rinunciare ai suoi piani di controllo totale degli aiuti umanitari, giudicati dall’Unrwa (l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi) «una distrazione dalle atrocità compiute e uno spreco di risorse».   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
Dal mondo
Remigration Summit 2025: quando i fascisti si stringono la mano
Alla fine il Remigration Summit (Resum2025) è avvenuto; non nel pomeriggio, come stabilito fino alla sera prima sui canali social dell’evento, ma alle 9 di mattina del 17 maggio 2025. Dall’ingresso del teatro Condominio Vittorio Gassman di Gallarate hanno sfilato diverse sigle dell’estrema destra europea. Il tema della conferenza? Espulsioni di massa per stranieri regolari, irregolari e di seconda generazione di Riccardo Sacchi PreSummt, l’ingresso nero Lega: ideologia identitaria e modello di espulsione All’ingresso del teatro, Davide Quadri, esponente della Lega Giovani, si sofferma con i giornalisti per commentare il tema dell’evento. Secondo Quadri, si tratta di politiche volte a scoraggiare la migrazione illegale e, più in generale, a invertire il trend dell’immigrazione irregolare nei Paesi europei. Quadri continua confermando che la Lega sostiene apertamente queste posizioni: “Come giovani della Lega abbiamo parlato di remigrazione”, dice, sottolineando che ci sono “comunicati stampa della Lega che parlano di re-immigrazione a tutti i livelli”. Sul fronte interno, il tema dei clandestini viene affrontato ribadendo la posizione del partito: “Sono 350.000 i clandestini in Italia” e “l’immigrazione clandestina è un reato. Entrare illegalmente in un paese è un reato”. In merito alle possibili soluzioni, Quadri propone un modello di espulsione legato all’incentivo degli aiuti europei per obbligare i paesi d’origine a riprendersi i cittadini entrati illegalmente in Italia: “Legare il fatto che loro ricevono fondi da parte nostra al dover riprendersi i loro cittadini che sono illegalmente nel nostro paese”. Cita anche l’approccio adottato dagli Stati Uniti con El Salvador, dove si stanno realizzando hub o centri di raccolta in paesi terzi. Quando gli viene chiesto se questi centri possano essere paragonati a campi di detenzione dove vengono concentrate persone, Quadri afferma: “No, no… i campi di concentramento sono un’altra cosa”, precisa. “Io sono stato a Dachau, ho visto cosa vuol dire”, aggiunge. Sul piano ideologico, Quadri non nasconde l’affinità con certe posizioni: “Come Lega ci definiamo identitari”, afferma. Non prende le distanze da figure controverse come Dries Van Langenhove –  ex parlamentare belga e volto della destra identitaria fiamminga -, condannato per razzismo e negazionismo, dicendo: “È stato condannato per dei meme su una chat Signal… non li ha neanche condivisi lui”. Quanto a Martin Sellner, figura nota dell’estrema destra europea ed espulso da più paesi, minimizza la questione: “Mi sembra che Schengen valga per persone ben peggiori”, commenta, aggiungendo: “Non penso che Martin Sellner oggi sia persona non grata in America dopo le elezioni”. Un chiaro riferimento di affinità tra i principi espressi dal tema della remigrazione – quindi dal suo fondatore – e le politiche di gestione migratoria intrapresa dal governo Trump. Pubblico: insicurezza e razzismo, “il governo deve fare di più” “Sono una donna e vado in giro da sola, potete immaginare cosa succede” spiega una persona, intervistata prima di salire i gradini del teatro.  La sua partecipazione al Remigration Summit proviene da una esperienza quotidiana di insicurezza non di ordine pubblico: “Con gli italiani non ci sono problemi” perché civili ed educati – “L’italiano al massimo ti fa un complimento, ti offre un caffè, si rifiuta, no grazie, finisce lì, ecco” – mentre sono gli stranieri che provocano insicurezza, spiega alle telecamere. “Loro dicono assimilazione”, spiega la partecipante al Resum2025 in riferimento alle attuali politiche di integrazione, aggiungendo che “questa assimilazione purtroppo fino ad oggi non è avvenuta”. La soluzione? Un’espulsione effettiva degli immigrati irregolari, paragonando l’ingresso illegale nel paese a un reato come lo spaccio di droga. Quindi come la polizia va ad arrestare chi spiaccia bisogna rimpatriare, anche con la forza se necessario, chi non ha diritto di restare:”Bisogna cacciarli davvero”, insiste. In merito al governo attale e alle sue politiche di gestione migratoria, la partecipante al summit ritiene che non basti: “La meloni sta bloccando (gli sbarchi) ma non basta… bisogna fare di più”. Un “welcome” divisivo Gli onori di casa sono stati fatti da Andrea Ballarati, ventitreenne, studente di economia, ex militante di Gioventù Nazionale e fondatore dell’associazione identitaria “Azione, Cultura, Tradizione” di Como.  Ballarati ha accolto i vari ospiti e spiegato ai giornalisti che “l’evento si svolgerà” anche dopo le critiche della politica e della società civile. Nei giorni scorsi, infatti, la Lega ha difeso il convegno dell’estrema destra europea; posizione sostenuta dall’approvazione dell’evento da parte del Sindaco di Gallarate Andrea Cassani, che dichiara: “Mi auguro che vada tutto bene perché è giusto che tutti possano manifestare le proprie idee”. Una decisione politica criticata aspramente da Angelo Bonelli di Alleanza Verdi che ha definito il summit “un convegno che inneggia alla xenofobia, alla discriminazione e al razzismo, un’offesa ai valori della nostra Costituzione”. Posizione condivisa da molte delle persone che scese in piazza a Milano lo stesso pomeriggio a protestare contro questa follia chiamata remigrazione. Il panorama Internazionale: convergenza di pensiero tra estreme destre e FdI I nomi di spicco che si conoscevano in precedenza all’inizio dell’evento imbastivano già una trama con conclusione preannunciabile: ridisegnare le politiche migratorie occidentali. In ordine, seguendo  i post Instagram, c’era Jean Yves Le Gallou, ex parlamentare europeo del Front national degli anni novanta e cofondatore dell’Istitut Iliade, centro studi che “intende adoperarsi per la riappropriazione della propria identità da parte degli Europei”, noto per le posizioni razziste e suprematiste;  Elva Vlaardingerbroek, opinionista olandese, dalle posizioni conservatrici, nota per aver definito “totalitaria” l’Unione europea, auspicandone “un ritorno ai veri valori”; Martin Sellner, austriaco di trentasei anni, di fatto l’ideologo dell’evento, nel videomessaggio su Instagram di presentazione dell’evento spiega che “remigrazione” vorrebbe dire, secondo quanto riferiscono gli organizzatori, “l’espulsione dei clandestini, la revisione dei sistemi di asilo e l’introduzione dei rientri volontari” nonché “l’espulsione dei migranti non inseriti” nella società; infine, Alfonso Goncalves, fondatore nel 2023 del gruppo filonazista portoghese Reconquista, simbolo una croce che rimanda alla riconquista cristiana nei confronti dei Mori della penisola iberica nel 1492. Goncalves aveva espresso apprezzamenti nei confronti del Resum2025, definendolo “il più grande punto di svolta nella storia degli europei da secoli”- Oggi il filonazista portoghese all’ingresso del teatro ha dichiarato che l’Italia è il posto giusto dove ospitare il summit, buon cibo, buon tempo, bellissimi monumenti e logisticamente perfetta, ma soprattutto “apprezziamo alcune delle politiche implementate dal governo Meloni”, aggiungendo che anche se non direttamente associati in tema di supporto ci sono convergenze di interessi su questi temi. Summit: la parabola del difensore razzista Un interesse politico quello di Alfonso Goncalves, ripreso nel videomessaggio, che ha segnato l’inizio del Remigration Summit, dal Generale Vannacci: “Porterò la battaglia a Bruxelles”. Dopo aver garantito il suo sostegno, il vice di Salvini ha aggiungendo che “la remigrazione non è uno slogan ma una proposta concreta”. “Vuol dire mette al centro gli italiani, gli europei. È una battaglia di libertà e civiltà, di sicurezza, che è il vero spartiacque fra destra e sinistra”. Citando l’Europa dei popoli, Vannacci ha innalzato la sicurezza come protezione per la sua continuazione. “Invece di preoccuparsi di avere più armi, più cannoni, più sistemi missilistici dovrebbe ricordarsi che il suo primo dovere è proteggere i propri cittadini dentro i confini europei”. Una guerra interna quindi, che mette in contrapposizione i popoli europei e una minoranza non esplicitamente dichiarata ma a cui chiaramente si punta il dito, gli immigrati. Il primo intervento in presenza è sato tenuto da Lena Kotré, deputata tedesca di Alternative für Deutschland (AfD). Il copione ha spaziato dalla la necessità di rimpatri sistematici per proteggere i valori fondanti delle nazioni fino alla critica sulla fragilità delle attuali politiche europee sull’immigrazione. Sul palco è salita poi Eva Vlaar, ospite annunciata dagli organizzatori dell’evento, che ha puntato il dito contro quella che ha definito “la decadenza morale e politica dell’Europa liberale”, chiedendo un ritorno ai principi della sovranità e dell’identità culturale. Un tema condiviso, quello dell’identitario che ha suscitato applausi tra i presenti. L’intervento successivo ha illustrato un’analisi comparata tra le dinamiche demografiche europee e nordamericane, indicando nella pressione migratoria una minaccia sistemica alla stabilità dell’Occidente. Lo studio eseguito da White Papers Institute, un gruppo di analisti, ex e attuali professionisti della politica, attivisti e volontari che forniscono analisi politiche gratuite “grazie al loro impegno per l’indipendenza e la prosperità del nostro popolo”, era moto tecnico e ideologicamente denso. A seguire e con decisamente toni differenti è stato Jacky Eubanks, repubblicana grande sostenitrice di Trump e del verbo Ameria First. Il suo discorso ha portato il tema della remigazione alla concezione di sfida occidentale comune, evocando la necessità di un’alleanza transatlantica contro le élite globaliste. Un concetto di remigazione come progetto che necessita passaggi futuri condiviso da Dries Van Langenhove, che sostiene l’avvio di un progetto di remigrazione coordinata a livello europeo. Idee simili sono state riprese da Jhon McLoughlin, intellettuale irlandese vicino alla destra anglosassone e parte di An Páirtí – partito nazionalista irlandese-, che ha introdotto il concetto di “erosione culturale dell’Occidente” per descrivere il declino dei valori tradizionali sotto la pressione dei cambiamenti globali. La seconda parte del Summit è iniziata con i videomessaggi di due esponenti della Lega al parlamento europeo; Isabella Tovaglieri e Silvia Sardone. La prima, eurodeputata varesina, ha seguito alla lettera il copione leghista degli ultimi giorni sul tema del Resum2025, difendendo il diritto alla libera espressione politica anche su temi divisivi come l’immigrazione. Silvia Sardone invece, forte del suo background di studio sul “l’islamizzazione dell’Italia e dell’Europa”, ha definito l’evento “un atto di coraggio politico”, lodando chi ha scelto di non piegarsi alla cultura del pensiero unico. Il primo interveno di persona della seconda parte della conferenza è stato Kenny Smith, leader del partito nazionalista bianco Homeland Party del Regno Unito non ché ex dirigente del partito fascista British National Party (BNP) e del partito neonazista Patriotic Alternative (PA). Il suo discorso ha dipinto un’Europa come civiltà sotto assedio. A concludere l’evento è stato Martin Sellner, organizzatore dell’evento. Il suo attesissimo discorso ha individuato la sostituzione etnica come minaccia esistenziale. Postsummit, il sorriso della minaccia: si rifarà nel 2026 Sempre Martin Sellner, raggiante in volto, è l’intervistato più atteso all’uscita del teatro in conclusione del Resum2025. “A Vienna, la mia città, la maggioranza degli studenti è musulmana. Non ho nulla contro l’Islam, ma l’Europa non deve diventare il 57° Paese musulmano”, ha dichiarato ai gironalsiti. L’attivista austriaco ha ringraziato Salvini e Meloni per non averlo ostacolato, lodando l’Italia come “un Paese che merita di rimanere fedele alla propria cultura”. Ha notato, però, un clima ancora ostile nelle piazze controchi difende valori patriottici. “Serve una rivoluzione culturale — ha affermato —, una rottura con la censura e il pensiero unico. Solo così la destra potrà mantenere le sue promesse”. Tra le proposte, ha ribadito la necessità di blocchi navali e di una cooperazione europea contro la crisi migratoria. “Come a Lepanto e a Vienna, oggi dobbiamo restare uniti”. Sellner ha concluso rivendicando il ruolo del suo movimento come “lobby patriottica” e sottolineando: “Essere controversi è un buon segno. Quando tutti la pensano allo stesso modo, spesso c’è una menzogna sotto”. Salutando prima di andarsene, una persona vicino all’entourage di Sellner ha confermato che “i sarà un altro Remigration Summit nel 2026, guardate i nostri social media, lo annunceremo presto”. Quello che però Martin Sellner non ha capito, è che il clima ostile nelle piazze ci sarà sempre perché anche solo pensare di remigrazione è intollerabile. Se Circa 400 fascisti di mezza Europa si presentano a Gallarate, sotto la “tutela” della Lega, chiudendosi dentro un teatro a confabulare per poi riaprire le serrande a giochi fatti, l’italia risponde scendendo in quattro piazze diverse a contestarli. Gallarate non ha piegato la testa, con un flash mob sabato mattina davanti al Comune alla vicina Busto Arsizio e con il presidio pomeridiano della Rete Antifascista militante di Varese. Milano invece ha dimostrato cosa significa resistenza. In San Babila il presidio indetto da almeno 70 tra partiti, sindacati e associazioni antifasciste, con lettura di diversi articoli della Costituzione; “30mila persone presenti” a detta degli organizzatori. Da Cairoli invece il corteo antifascista di movimento “Make Europe Antifa Again” ha visto 2mila giovani provare ad arrivare alla stazione ferroviaria di Cadorna ma, accerchiati in mezzo un notevole dispositivo poliziesco, sono stati respinti tra manganellate, idranti e lacrimogeni concludendo la manifestazione in Pagano. Perché, se Martin Sellner deve dire “Grazie” a Salvini e Meloni per non essere stato bloccano “all’esprimersi” per le sue opinioni (neofasciste), ricordiamoci sempre il fatale destino di colui che le idee fasciste le ha messe in atto. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. 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antifascismo
L’automobile, c’est la guerre.
Riceviamo e diffondiamo: L’automobile è stata a lungo la metafora della superiorità dell’Occidente capitalistico nei confronti del resto del mondo, in cui le popolazioni viaggiavano a piedi o al più a cavallo e ne ha rappresentato uno dei cuori pulsante della struttura industriale, diventando una merce di massa che implicava la crescita tanto dello sfruttamento lavorativo salariato, quanto dei consumi che, ça va sans dire, del progresso tecnico. E’ stata anche un potente propulsore di due mitologie capitaliste. Quella della “libertà” intesa come possibilità resa via via più accessibile alle masse di potersi muovere con più facilità, che ha contribuito a mistificare la libertà intesa come possibilità di preservare degli spazi di autonomia esistenziale. E quella del mondo inteso come “frontiera” sempre più dominabile, la riduzione della distanza, il mondo “a portata”. Oggi l’industria dell’automobile europea è in profondo declino. E’ il Green Deal UE ad aver spinto la strada dell’elettrificazione, ma nel comparto sta accadendo qualcosa di analogo a ciò che avvenne con la siderurgia. Le aziende cinesi, che prima del 2000 erano importatrici nette di acciaio e alluminio, in dieci anni sono diventate il primo produttore al mondo. Nel frattempo, dalle parole di Von der Leyen, lo scellerato piano di rearmo europeo da 800 miliardi di euro servirebbe per rilanciare l’economia in crisi ed è stato analizzato proprio come vettore di riconversione dell’industria automobilistica – in particolare tedesca – verso il militare. Un piano che, peraltro, ha solo la parvenza semantica di “sovranismo”, nel momento in cui gli esiti della scellerata guerra per procura combattuta in Ucraina svelano ancor più il ruolo vassallo degli Stati europei rispetto agli Stati Uniti: le armi per l’Unione Europea sono affari per il grande capitale finanziario statunitense. All’interno dell’attuale guerra mondiale “a pezzi”, particolare rilevanza assume nell’industria automobilistica il ruolo dell’automazione, con la corsa ai veicoli a guida autonoma, in cui si svela la compenetrazione tra civile e militare e la guerra a un’umanità considerata sempre più eccedente. Di seguito il podcast:   https://radioblackout.org/podcast/lautomobile-cest-la-guerre/
Approfondimenti
[2025-05-18] PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ ALLA RIVOLTA DI IERI SERA DENTRO IL CPR @ Corso Brunelleschi
PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ ALLA RIVOLTA DI IERI SERA DENTRO IL CPR Corso Brunelleschi - Corso Brunelleschi (domenica, 18 maggio 16:00) 18 MAGGIO – ORE 16.00 CORSO BRUNELLESCHI ANGOLO VIA MONGINEVRO Ieri sera dopo le 22, una potente rivolta è scoppiata nell’area bianca del CPR di Torino: le fiamme hanno divampato all’interno della struttura fino a raggiungere il tetto. Ad oggi, a meno di due mesi dalla riapertura del centro, le rivolte dei reclusi hanno di fatto reso inagibili due terzi della struttura attualmente in uso. A seguito della prima rivolta del 30 Aprile, che ha reso inutilizzabile l’area viola, sappiamo che 7 persone sono state denunciate per danneggiamento aggravato. La giornata di ieri è stata animata da vari momenti di protesta in un crescendo di rabbia e insofferenza: a pranzo, i reclusi dell’area blu hanno rifiutato collettivamente il pasto fornito dalla cooperativa Sanitalia e nel pomeriggio, un materasso è stato incendiato. Il cibo scarso, di pessima qualità e condito di psicofarmaci, unitamente all’assenza di un telefono personale, sono state le ragioni che hanno scaturito questi primi momenti di insubordinazione. La rivolta nell’area bianca, invece, si è scatenata quando, dopo l’orario di consegna della terapia, due reclusi hanno tentato la fuga arrampicandosi sulla rete del cortile. Uno di loro, è stato velocemente raggiunto dalla guardie di finanza che lo hanno manganellato facendolo cadere per poi colpirlo violentemente lasciandolo a terra. La persona ferita è rimasta ore in attesa di soccorsi, mentre nell’area divampavano le fiamme e varie persone recluse raggiungevano il tetto. Polizia, carabinieri e guardia di finanza sono rimasti in assetto antisommossa all’esterno dell’area bianca e nel frattempo i vigili del fuoco intervenivano con l’idrante. Fuori, un gruppo di persone solidali ha raggiunto il centro. Attraverso il muro che separa i reclusi dall’esterno, le fiamme erano facilmente visibili, il fumo era alto e l’odore dei lacrimogeni impregnava l’area. Il coraggio di chi era salito sul tetto ha reso semplice comunicare direttamente, sentirsi vicini nonostante il muro alto che ci divide. La notte di protesta è stata lunga e gli animi non si sono placati. L’ambulanza è intervenuta sul posto solo molte ore dopo (era già passata la mezzanotte), in seguito a varie sollecitazioni. Durante tutto questo tempo, le persone sul tetto intonavano cori e canti, denunciando le condizioni terribili di reclusione all’interno dei lager di stato e la violenza della repressione. Attualmente, non si hanno notizie della persona uscita a bordo dell’ambulanza ieri notte, mentre un altro recluso dell’area bianca è stato trasportato in pronto soccorso stamattina a seguito di atti di autolesionismo; a loro auguriamo di ritrovare al più presto la libertà. I reclusi dell’area bianca hanno passato la notte all’aperto, dormendo nel cortile sui materassi anneriti dalla fuliggine e attualmente si trovano ancora lì, visto che le altre aree non sono ancora state completamente ristrutturate, a seguito delle rivolte del 2023. Sembra che i lavori siano attualmente in corso nell’area rossa. Ancora una volta, la forza e la determinazione di chi vive la detenzione amministrativa han messo a dura prova l’esistenza stessa di una struttura in cui ogni giorno si materializza tutta la violenza del razzismo di stato. Contro la tortura quotidiana all’interno di questi lager, le persone recluse non smettono di lottare e resistere. Di fronte a questo, da fuori, sentiamo come inevitabile e necessaria la spinta a tornare sotto quelle mura per trasmettere la nostra solidarietà in maniera tangibile e decisa: per far sapere a chi lotta che non è mai solo, chiamiamo un presidio domani, domenica 18 Maggio, alle ore 16, in corso Brunelleschi angolo via Monginevro. Perchè il vento della libertà soffi sempre più forte, per far tremare le mura di ogni prigione. Contro i mille volti del razzismo di stato!
Riflessioni critiche sul referendum, per dire 5 SI.
Domenica 8 e lunedì 9 giugno si terranno 5 referendum abrogativi. Quattro quesiti mirano ad abrogare alcune delle norme introdotte con il “Job Act” di Renzi tra il 2014 e il 2016, mentre il quinto Si servirebbe a dimezzare il periodo necessario all’ottenimento della cittadinanza per coloro non nati in Italia da 10 a 5 anni. Contesto I primi quattro quesiti sono stati promossi dalla CGIL mentre il quesito sulla cittadinanza dai “radicali” e Rifondazione comunista, nonché da numerose associazioni della società civile. Il primo quesito propone di abrogare la disciplina vigente che impedisce, nelle imprese con più di 15 dipendenti, di reintegrare lavoratori o lavoratrici licenziati in modo illegittimo, se questi sono stati assunti a partire dal 7 marzo 2015, anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta, o infondata, l’interruzione del rapporto. Quindi, in caso di vittoria del si, il giudice potrà reintegrare il/la lavoratore/trice sul posto di lavoro, limitando i licenziamenti arbitrari. Il secondo quesito propone di abrogare la disciplina vigente che impone un limite all’indennità per i lavoratori e le lavoratrici licenziati in modo illegittimo nelle piccole imprese (con meno di 15 dipendenti), dove in tali casi si può ricevere un risarcimento massimo pari a sei mesi di stipendio, anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto. Quindi, il giudice potrò decidere ammontare risarcimento. Il terzo quesito propone di abrogare alcune delle regole vigenti sull’utilizzo dei contratti a termine, che li rendono stipulabili fino a 12 mesi senz’alcun obbligo di causali che giustifichino il lavoro temporaneo da parte del datore di lavoro, nemmeno in un eventuale giudizio. Quindi, ogni contratto a termine dovrà sin dal principio specificare una motivazione valida e verificabile del rapporto a tempo determinato. Il quarto quesito propone di abrogare la norma vigente che stabilisce la responsabilità solidale (parziale) di committente, impresa appaltante e subappaltatori negli infortuni sul lavoro. Nel caso in cui il referendum venisse approvato, la responsabilità di tali infortuni verrebbe estesa anche al committente, che dovrebbe quindi risarcire i danni subiti dai lavoratori anche se derivanti da rischi specifici dell’attività produttiva delle imprese appaltanti o dei subappaltatori. Quindi, il committente sarà sempre corresponsabile in caso di infortuni sul lavoro. Il quinto quesito propone il dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana. Abrogazione relativa della Legge 91 del 1992. Riflessioni Sulla bontà politica di questi quesiti, nonostante la loro parzialità e remissività, crediamo ci sia poco da dire. Qualsiasi campagna che promuova maggiori tutele, sicurezza e dignità alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori, così come un qualche miglioramento per quelle milioni di persone che vivono il razzismo strutturale ed istituzionale legato alla gerarchizzazione della popolazione ci ha trovato, ci trova e ci troverà pronti ad aderire. Inoltre è importante sottolinere lo sforzo di molte realtà politiche autorganizzate per il raggiungimento del quorum per quanto riguarda il quesito sull’ottenimento della cittadinanza. A differenza di chi si accontenta di tornate elettorali e/o referendarie relegando la piazza ed il conflitto a corredo novecentesco di testimonianza, crediamo sia miope escludere alcuna freccia dal nostro arco. Negli ultimi 15 anni, ci sono state alcune tornate referendarie che hanno coagulato momenti di rigidità popolare che erano espressione delle lotte o per lo meno un momento per contare contro le restrutturazioni neoliberiste volute dai vari governi. No al nucleare, no alla svendita dell’acqua pubblica (ugualmente avvenuta, nonostante la “vittoria”), no alle trivelle, no alla riforma costituzionale di Renzi. Ci siamo spesi, a volte più a volte meno in base al contesto, ma più spesso alle forze disponibili, per contribuire al rispedire al mittente mercificazione, sfruttamento, politiche ecocide e svolte in favore del potere esecutivo, senza tuttavia mai crogiolarci in vittorie limpidamente effimere e reattive. Mettersi qui a fare la lista dei disastri e degli errori strategici della CGIL dalla crisi del 2008 ad oggi consumerebbe troppi megabyte immagazzinati in server energivori e sarebbe un esercizio retorico che non ci appartiene. Tuttavia, nel nostro aderire a votare 5 si, qualcosa è necessario dirla. Abbiamo davanti, e non a fianco, un sindacato imbelle che nella sua relazione contorta con uno schizofrenico PD scommette tutto su questa tornata referendaria. In linea con la tradizione del cosiddetto centro-sinistra, si scommette tutto su una partita elettorale molto difficile, esponendo il loro fianco, ma purtroppo quello di tutti ad un rafforzamento contingente dell’attuale esecutivo. Un esecutivo abbastanza furbo e nemmeno troppo cripticamente antidemocratico, che ha posto i referendum durante il secondo turno (ballottaggi) delle elezioni comunali e regionali e che invita apertamente a non andare a votare per non raggiungere il quorum. Mentre Landini, Schlein e Conte fanno i finti tonti gridando allo scandalo sul boicottaggio del governo, su queste colonne è ridondante sottolineare che a questo ordine parlamentare della “democrazia”, nemmeno quella formale, non importa proprio niente. Il PD che ha emanato il “Job Act”, oggi fa campagna, solo in una sua parzialità, per abolirlo. Cosa dovremmo dire? Alla CGIL, forse qualche parola in più. Un breve ripassino perché la coerenza e la lotta pagano in politica e contrariamente alla vulgata di una certa intellighèntsia di sinistra, chi lavora, ossia tutti tranne loro, la memoria ce l’ha. All’epoca del misfatto, la CGIL della Camusso portò avanti una campagna ridicola rispetto all’entità dell’ennesimo attacco alle condizioni di vita materiale di chi lavora in questo paese. Passarono un autunno terrorizzati da tutto ciò che gli era a “sinistra”. Le mobilitazioni messe in campo dal sindacato furono tutte volte a depotenziare il conflitto e la reale messa in discussione del job act, agendo apertamente contro le lotte, che dal basso spingevano per dare battaglia, non solo nella retorica e nei salotti televisivi. Le lotte e i cortei autorganizzati e autonomi che dai posti di lavoro e dal mondo della formazione si muovevano, furono oggetto degli attacchi della sinistra istituzionale e dei sindacati, spesso propinandoci la solita vecchia solfa degli infiltrati. Da nord a sud, salvo poche eccezioni, tutte le piazze in cui si diede del conflitto contro la riforma del lavoro dovettero affrontare manganelli e aule giudiziarie contando solo sulle proprie forze. Infine, peggio del nulla la beffa. Un temibilissimo sciopero generale di 8 h convocato il 12 dicembre del 2014 lanciato dalla CGIL quando la legge era già passata, scoraggiò chiaramente la precedente ampia partecipazione dell’autunno di quell’anno. Insomma, qualcun* nel sindacato prima o poi si vorrà assumere la responsabilità di essere stati così “responsabili” e tranquilli? Le lotte dei migranti e dei giovani e delle giovani di seconda e terza generazione si sono sviluppate in questi anni in autonomia e troppo spesso con l’avversione della sinistra istituzionale e dei sindacati confederali. Oggi agevolare l’otteniamento della cittadinanza sarebbe ossigeno prezioso per le vite di migliaia di persone che vivono stabilmente in Italia. Va sottolineato che si tratta di una lieve modifica a uno tra i molti requisiti, come la soglia minima di reddito o la discrezionalità della decisione da parte delle commissione sulla base della condotta e delle relazioni personali della persona, di una legge fondata sul razzismo istituzionale di cui lo stato in cui viviamo è pregno. Razzismo istituzionale che le lotte combattono quotidianamente, opponendosi ai cpr, allo sfruttamento del lavoro immigrato e quello abitativo. La crisi produttiva e demografica del paese verrà ancora caricata sulle spalle di chi è costretto alla catena di questo lavoro sempre più duro e sfruttato. Nessuna disillusione quindi, ma la tenace convizione che siano le lotte dal basso a determinare le conquiste non il contrario. Oggi, dopo una disastrata decade, si torna a parlare dell’infame riforma del lavoro di Renzi. Nel frattempo, le nostre vite sono state costellate dall’approfondimento della crisi climatica, dall’impotenza davanti ad un genocidio, alla guerra incombente, dallo smantellamento di qualsiasi forma di welfare e redistribuzione. Dieci anni dopo, la torsione mortifera del capitalismo contemporaneo riesce addirittura a rendere apparentemente meno impellente la lotta per la riappropriazione della ricchezza, per emanciparsi dal lavoro, per renderlo giusto, dignitoso, necessità e non costrizione. Ogni formazione partitica e sindacale coltiva il proprio orto, dal disorientato già citato PD ai 5S ai quali non manca il fegato di non schierarsi a favore del referendum sulla cittadinanza. Landini e la CGIL puntavano più in alto, sperando che tra i quesiti vi potesse essere anche quello sull’autonomia differenziata, questione che avrebbe permesso di portare maggiormente alle urne l’astensionista sud d’Italia. Tutti a fare calcolini mentre il mondo va a rotoli e a chiamare ipocritamente le forze sociali alla responsabilità e alla promozione di queste campagne. Noi ci siamo, coerenti con quanto fatto in quell’autunno del 2014. Per queste ragioni invitiamo tutti e tutte a dare il loro contributo per poter raggiungere il quorum e ad andare a votare per questo referendum. Coscienti che questa è solo una piccola parte della più generale lotta dal basso che anima l’opposizione sociale nel nostro paese oggi.