I.A. BASTA! Appello dei docenti contro l’Intelligenza Artificiale “centralizzata” nelle scuole
Riprendiamo da http://terraeliberta.noblogs.org: Rilanciamo questo notevole appello della neonata rete di docenti “I.A. Basta!”. In fondo aggiungiamo una nostra nota critica. Da https://iabasta.ghost.io/primo-appello/ PRIMO APPELLO ALLE COMUNITÀ EDUCANTI D’ITALIA A colleghe, colleghi, madri, padri, alle nostre allieve e allievi di ogni colore, genere, orientamento, provenienza. Noi siamo il prodotto di 35 anni di lotte, dalla riforma Berlinguer al taglio di un anno di istruzione tecnica e professionale, in via di realizzazione da parte del Ministro Valditara. Alcune abbandonate, alcune perse, alcune – per fortuna – vinte. Oggi l’intelligenza artificiale, lasciata in mano a una manciata di miliardari, diviene una minaccia esistenziale alla scuola. Oggi, contro questa I.A., diciamo BASTA! Diciamo che la scuola non è una mensa in cui si consumano i “pasti pronti” preparati dal complesso industriale (e militare) assetato di profitti: la scuola è una cucina e, per fortuna, noi sappiamo ancora cucinare. Noi docenti siamo circa novecentomila appassionate e appassionati professionisti che praticano quotidianamente l’unico ingrediente indispensabile per l’apprendimento e l’insegnamento: LA RELAZIONE UMANA. Per questo facciamo appello alle colleghe e ai colleghi umiliati, sottopagati, derubati da leggi che impongono percorsi a ostacoli e falsi corsi di formazione, tenuti in una precarietà illegale e scandalosa da parte di tutti i governi servi delle imprese EdTech che si sono succeduti in questo paese negli ultimi 35 anni. Colleghe e colleghi: quella che vi proponiamo è l’unica strada per non assistere passivamente all’attacco finale alla scuola della Repubblica, da parte di una cricca che non rappresenta altro che i più biechi interessi privati. Sono quelli che vogliono abolire gli organi collegiali, unica grande riforma democratica della scuola che questo paese abbia conosciuto, quelli che vogliono sottomettere la libertà di insegnamento alle fondazioni private per promuovere una scuola che non fa altro che addestrare schiave e schiavi mansueti. Facciamo appello ai genitori: voi ci affidate ogni mattina le vostre figlie e i vostri figli, perché noi forniamo loro strumenti per trovare la propria strada nel mondo. Unitevi a noi per rigettare questi strumenti di asservimento che cercano di rubare loro il futuro. Ragazze, ragazzi: chi ci governa vuole fare di voi ingranaggi passivi della megamacchina del profitto. Ribellatevi a un futuro di alienazione e miseria! L’adozione passiva dell’I.A. centralizzata, che il ministero vuole imporci, lavora a solo vantaggio di chi la possiede. Contro questo progetto, noi insorgiamo, per il rispetto dell’articolo 33: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi». Perché l’adozione di questa I.A. punta a imporci come personalizzare l’insegnamento, controllando ciò che facciamo nelle nostre aule o come dovremmo “aiutare” le allieve e gli allievi più fragili, con sistemi automatici. Noi abbiamo proposto in ogni sede ai vari governi che adottassero piattaforme libere e tecnologie conviviali per la scuola, come ha fatto – tra gli altri – la Francia. Ma le nostre richieste sono arrivate a orecchie sorde, perché non c’è peggior sordità di quella causata dalla corruzione. Insorgiamo per il rispetto dell’articolo 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Perché ripudiare la guerra significa anche ripudiare coloro che la rendono tecnicamente possibile, offrendo strumenti di devastazione sempre più terrificanti come fanno Google, Amazon, Meta, Apple, Microsoft, Palantir, OpenAi. Esattamente come, durante la seconda guerra mondiale, aveva fatto IBM con il regime nazista; violando le stesse norme statunitensi che gli vietavano ogni collaborazione. Qualche pennivendolo avrà già pronto l’editoriale di domani: “Luddisti!”, griderà il titolo, a caratteri cubitali. Rivendichiamo l’etichetta, ma facciamo chiarezza! Gli orgogliosi artigiani di Nottingham usavano ed amavano le tecnologie che si integravano con la società e sollevavano i loro martelli solo contro le tecnologie che distruggevano il lavoro e i legami sociali, minacciando di condannarli a morte per fame. I luddisti erano hacker, prima di farsi machine breaker. Così come loro, all’alba della rivoluzione industriale, anche noi oggi pratichiamo il diritto a scegliere. Chiediamo al MIM il rispetto della Costituzione, il ritiro della “sperimentazione” barzelletta, l’apertura di un tavolo di confronto permanente con i collegi docenti di tutte le scuole del paese, ponendo fine a questo stillicidio di “riforme” approvate senza confronto con chi vive la scuola, alla faccia della presupposta “autonomia scolastica”. Allo stesso modo chiediamo l’abolizione degli algoritmi autoritari che rendono il precariato delle nostre colleghe e colleghi l’ennesima forma di schiavismo. A tutte e tutti chiediamo: Primo: di aggiungere il vostro nome in calce a questa pagina e di far firmare almeno altre due persone insieme a voi. L’unione fa la forza: solo facendo crescere le firme e l’opposizione a questa imposizione potremo raggiungere i nostri obiettivi; Secondo: di rifiutarvi di adottare gli strumenti EdTech per l’I.A. in classe. Nello specifico, e in ordine di importanza, a boicottare e disertare: ChatGPT (OpenAi), Grok (Musk), Gemini (Google), Claude (Anthropic), Perplexity e qualsiasi altro basato sullo stesso schema di funzionamento centralizzato; Terzo: di presentare mozioni come questa (o opzioni di minoranza) nei collegi docenti e consigli d’istituto, impegnandovi a boicottare le I.A. centralizzate e partecipare alla sperimentazione dal basso con tecnologie conviviali (I.A. locali e software free e open source, sotto il nostro controllo). Quarto: compilare il questionario che trovate qui per far sentire cosa ha da dire chi la scuola la fa ogni giorno. Noi siamo coscienti che le nostre speranze sono estreme. Il totalitarismo tecnologico ha dichiarato guerra all’umanità alla cerimonia d’insediamento del governo Trump, il 20 gennaio 2025, chiarendo che non si fermerà di fronte a nulla e che – per i miliardari che sperano di imporlo – «la democrazia è incompatibile con la libertà» (P. Thiel). Per costoro la libertà implica essere liberi di fornire a Israele l’intelligence con cui massacrare oltre 70.000 tra donne, uomini e bambini, portando il terrore fin dentro alle mura di ogni casa, come a Gaza. Chiediamo la tua partecipazione diretta, per appoggiare questo piano di lotta per la libertà di insegnamento, per la crescita democratica delle nostre comunità, una lotta per un futuro degno di essere abitato dalle nostre figlie e dai nostri figli. Dichiariamo che non smetteremo di combattere fino a raggiungimento dei nostri obiettivi, riportando il governo della scuola nelle mani di chi la vive e non permettendo che coloro che pretendono governarci la consegnino al totalitarismo digitale. -------------------------------------------------------------------------------- Questo appello ci ha veramente colpiti. Si tratta infatti, almeno in Italia, della prima presa di posizione collettiva da parte di docenti su un tema tabuizzato e reso indiscutibile: l’utilizzo delle tecnologie digitali nell’educazione scolastica. Conoscendo personalmente diverse e diversi insegnanti critici su questo tema, sappiamo quanto una simile presa di posizione sia controcorrente all’interno del mondo della scuola, dove vige un conformismo particolarmente feroce verso tutti i disertori del progresso tecnologico e del regresso umano e sociale che quello comporta. A colpirci positivamente è poi la precisione con cui sono trattati alcuni temi, dal corretto inquadramento storico del movimento luddista al ruolo dell’Intelligenza Artificiale nelle guerre, a partire dal genocidio della popolazione palestinese. Ciò detto, in questo testo vediamo anche alcuni grossi limiti. Se ci sembra tutto sommato “normale” che dei docenti non critichino il ruolo disciplinante e standardizzante della scuola in quanto tale; e se ci appaiono ancora “normali” i riferimenti alla Costituzione e alla “democrazia in pericolo” da parte di chi non ha una visione anarchica e rivoluzionaria come la nostra… a stranirci di più sono i riferimenti a forme di digitale “alternativo”, e addirittura a sistemi di I.A. “locali” e “conviviali”. Ammesso – e non concesso – che questi esistano, come potrebbero funzionare senza nutrirsi di dati, posto che il machine learning (cioè l’”allenamento” della macchina attraverso informazioni di vario tipo) è alla base di ogni forma di I.A.? Forse ci sfugge qualcosa, ma a noi pare evidente che questi sistemi non potrebbero funzionare senza estrarre e immagazzinare informazioni, riproducendo – su basi magari “locali” e open source – il medesimo esproprio di gusti, gesti, percezioni ecc. di cui nessuna I.A. può fare a meno; oppure che questi sistemi sarebbero costretti a nutrirsi di dati forniti dalla I.A. “centralizzata”. Se la limitazione dell’uso dell’I.A. proposta dagli estensori di questo appello porrebbe almeno un freno all’educazione meccanizzata che viene imposta da «una manciata di miliardari», e che trasformerebbe la scuola in una mera fabbrica di automi, il ricorso al digitale “alternativo” non ne porrebbe alcuno all’avanzata del controllo tecnologico. Che dire, poi, dell’estrazione delle materie prime – quelle terre e metalli più o meno “rari” che per essere ricavati necessitano di scavi devastanti e processi di lavorazione altamente inquinanti, energivori e idrovori, e di lavoratori schiavizzati per ricavarli – se non che nessun tipo di apparecchio informatico può farne a meno? Per quale motivo continuare a condannarsi a questo tipo di dipendenza, quando l’umanità oppressa e sfruttata ha bisogno prima di tutto di acqua potabile, cibo sano, aria pulita, cioè… di autonomia comunitaria? Se è vero che i famigerati “luddisti” non distruggevano tutte le macchine, ma solo quelle che venivano impiegate per devastare il tessuto delle comunità locali e imporre la schiavitù industriale, lo è altrettanto che un filatoio meccanico e un computer non sono la stessa cosa – e che la tecnologia informatica non può semplicemente essere “conviviale”. Mentre auguriamo a queste e questi docenti di proseguire nella lotta, e speriamo di incrociare prima o poi le loro strade, li invitiamo a considerare queste semplici riflessioni. Il sistema tecno-industriale (e statale-capitalistico) non si può riformare: lo si può solo rifiutare finché non si ha la forza per distruggerlo.
Contributi
Val di Susa, 8 dicembre: in migliaia in marcia per ribadire il NO alla devastazione che avanza
Alla testa del corteo, comodamente seduti sulla pallet-panchina in equilibrio sul trattore, c’erano i tre anagraficamente più anziani, ma belli sorridenti e combattivi come sono sempre stati. Qualche fila più in là, la caricatura di cartone del treno […] The post Val di Susa, 8 dicembre: in migliaia in marcia per ribadire il NO alla devastazione che avanza first appeared on notav.info.
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Il Tav, i media e i voltagabbana
Nessun movimento di opposizione ha mai avuto in Italia la capacità di dare una continuità trentennale alle ragioni della propria lotta, e la recente e partecipata manifestazione dell’8 dicembre, ventennale […] The post Il Tav, i media e i voltagabbana first appeared on notav.info.
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La Regione Sardegna apre all’ampliamento della fabbrica di bombe RWM
La fabbrica RWM da anni attiva in Sardegna in una porzione di territorio, il Sulcis, di proprietà della tedesca Rheinmetall, vedrà molto probabilmente il via libera per il suo ampliamento. Una questione che riguarda molti aspetti: da quello ambientale, al ricatto sul lavoro e all’occupazione, alla volontà di contrapporsi alla complicità del nostro Paese con il genocidio in Palestina. La fabbrica produce bombe, sistemi di “difesa” sottomarina e controminamento, fra cui droni che vengono venduti a Israele. La presidente della Regione Todde, già al centro di diverse bufere e opposizione dal basso, ha annunciato la propensione al sì per il suo ampliamento durante – ironia della sorte – il convegno nazionale organizzato dall’Arci a Cagliari per promuovere collaborazione e pace nel Mediterraneo. Questa decisione implicherebbe una sanatoria de facto per gli ampliamenti già avvenuti negli anni precedenti, non autorizzati, e la Regione avrebbe così l’opportunità di esprimersi su una Valutazione di Impatto Ambientale postuma. Questa decisione è stata immediatamente contestata da parte dei comitati e delle realtà territoriali sarde che si battono contro una politica che rende la Sardegna zona di servitù militare ed energetica. Questa domenica ci sarà una mobilitazione davanti a RWM organizzata dai comitati locali contro la fabbrica, che da anni si mobilitano per la sua chiusura e i comitati per la Palestina, tutti insieme per protestare contro il suo ampliamento. Ne parliamo con Lisa Ferreli, caporedattrice di Sardegna che Cambia, autrice dell’articolo dal titolo Sardegna, via libera alle bombe. Rwm verso il sì della Regione e i movimenti insorgono Di seguito il comunicato del comitato sardo per la Palestina 𝑫𝑨 𝑪𝑯𝑬 𝑷𝑨𝑹𝑻𝑬 𝑺𝑻𝑨𝑰? 𝗖𝗢𝗥𝗧𝗘𝗢 𝗖𝗢𝗡𝗧𝗥𝗢 𝗟’𝗔𝗠𝗣𝗟𝗜𝗔𝗠𝗘𝗡𝗧𝗢 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗥𝗪𝗠 | 𝗥𝗘𝗚𝗜𝗢𝗡𝗘 𝑴𝑨𝑵𝑰𝑭𝑬𝑺𝑻𝑨𝑫𝑨 𝑪𝑶𝑵𝑻𝑹𝑨 𝑺’𝑨𝑴𝑴𝑨𝑵𝑵𝑰𝑨𝑫𝑨 𝑫𝑬 𝑺𝑨 𝑹𝑾𝑴 | 𝑹𝑬𝑮𝑰𝑶𝑵𝑬, 𝑫𝑨𝑬 𝑪𝑨𝑳𝑬 𝑷𝑨𝑹𝑻𝑬 𝑰𝑺𝑻𝑨𝑺? Domenica 14 dicembre ore 10.30 Ritrovo alla Stazione Villamassargia 𝗟’𝗥𝗪𝗠 𝗻𝗼𝗻 𝗲̀ 𝘀𝘃𝗶𝗹𝘂𝗽𝗽𝗼, 𝗻𝗼𝗻 𝗹𝗮𝘀𝗰𝗶𝗮 𝗿𝗶𝗰𝗰𝗵𝗲𝘇𝘇𝗮 𝗶𝗻 𝗦𝗮𝗿𝗱𝗲𝗴𝗻𝗮. Gli enormi guadagni volano fuori, in Germania, in Israele. I pochi posti di lavoro sono nulla rispetto alle risorse sottratte, al vero sviluppo che non viene promosso per costringerci ad un lavoro indegno. 𝗜𝗹 𝘃𝗲𝗿𝗴𝗼𝗴𝗻𝗼𝘀𝗼 𝘂𝗹𝘁𝗶𝗺𝗮𝘁𝘂𝗺 𝗶𝗺𝗽𝗼𝘀𝘁𝗼 𝗱𝗮𝗹 𝗧𝗔𝗥 alla Regione Sardegna riguardo all’ampliamento abusivo della RWM, sta volgendo al termine e nulla sembra trapelare dal palazzo del potere. Potrebbe sembrare un buon segnale, eppure la realtà è più cruda. Se la Regione non si pronuncia, lo Stato metterà una pezza con il commissariamento. E questo significa sacrificare ulteriormente la nostra terra sull’altare dello sfruttamento e della produzione bellica. 𝗗𝗼𝗯𝗯𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗽𝗿𝗲𝘁𝗲𝗻𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗮 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗶𝗱𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗧𝗼𝗱𝗱𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗮𝗰𝗿𝗶𝗳𝗶𝗰𝗵𝗶 𝗹𝗮 𝗦𝗮𝗿𝗱𝗲𝗴𝗻𝗮 𝗮𝗱 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗶. Per questo il 14 dicembre non è una semplice data: è il momento della verità. 𝗦𝗲 𝗿𝗲𝘀𝘁𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗳𝗲𝗿𝗺𝗶, 𝗱𝗲𝗰𝗶𝗱𝗲𝗿𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗻𝗼𝗶. Decideranno che la Sardegna può essere sacrificata, sfruttata, militarizzata. La Regione tentenna, Roma scalpita, la RWM si sfrega le mani. L’unico argine reale siamo noi: la nostra presenza, la nostra voce, la nostra determinazione. Ognuno conta. Ogni persona presente farà la differenza. Ogni assenza sarà vantaggio per l’altra parte. 𝗣𝗲𝗿 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗶𝗹 𝟭𝟰 𝗱𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝗱𝗼𝗯𝗯𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗺𝗮𝗿𝗲𝗮 𝗱𝗮𝘃𝗮𝗻𝘁𝗶 𝗮𝗶 𝗰𝗮𝗻𝗰𝗲𝗹𝗹𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗥𝗪𝗠. Per difendere la Sardegna. Per dire NO, forte e chiaro, prima che sia troppo tardi. 𝙄𝙡 14 𝙙𝙞𝙘𝙚𝙢𝙗𝙧𝙚 𝙤 𝙘𝙞 𝙨𝙞𝙖𝙢𝙤, 𝙤 𝙙𝙚𝙘𝙞𝙙𝙤𝙣𝙤 𝙘𝙤𝙣𝙩𝙧𝙤 𝙙𝙞 𝙣𝙤𝙞. 𝙀 𝙣𝙤𝙞 𝙘𝙞 𝙨𝙖𝙧𝙚𝙢𝙤. 𝙏𝙪𝙩𝙩𝙚 𝙚 𝙩𝙪𝙩𝙩𝙞. > Comitato Sardo di Solidarietà con la Palestina
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Presidi in tutti gli ospedali in solidarietà ai medici palestinesi incarcerati
Sono oltre 60 gli ospedali che si sono mobilitati in tutta Italia con flash mob e presidi per la liberazione degli oltre 90 sanitari palestinesi detenuti illegalmente nelle carceri israeliane. Un giornata organizzata in occasione della data nazionale e internazionale di mobilitazione “La sanità non si imprigiona”. Un appuntamento che fa seguito a un percorso di mobilitazione da parte dei medici e dei sanitari riuniti nella rete Digiuno per Gaza e Sanitari per Gaza e che prevede nuove iniziative, in particolare nella richiesta di boicottaggio dei medicinali TEVA. Francesco, medico per Gaza e partecipante della Freedom Flottilla ne parla ai nostri microfoni
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Il fumo di Gaza oscura le fiamme della Cisgiordania: il Progetto Coloniale reso permanente
Mentre gli occhi internazionali sono puntati su Gaza, Tel Aviv sta portando avanti la sua più aggressiva campagna di Pulizia Etnica e furto di terre nella Cisgiordania Occupata dal 1948. The Cradle – 5 dicembre 2025 Fonte: https://thecradle.co/articles-id/34688 La mattina del 7 ottobre 2023, mentre il mondo si preparava alle conseguenze dell’Operazione Onda di Al-Aqsa, un altro fronte di guerra si è aperto silenziosamente. Non con attacchi aerei o artiglieria, ma con bulldozer, leggi e milizie di coloni. Mentre le bombe polverizzavano Gaza, la Cisgiordania Occupata si è incendiata di un fuoco diverso: quello dell’espulsione sistematica, dell’espropriazione violenta e dell’annessione legale. LO STATO DEI COLONI AVANZA Questa guerra non illumina i titoli dei giornali o non fa tendenza sui social media, a meno che non si seguano questi sviluppi. Ma le sue conseguenze potrebbero rivelarsi ancora più durature. Sotto la copertura della devastazione di Gaza, Israele ha accelerato una campagna pianificata da tempo per smembrare con la forza la Cisgiordania Occupata, distruggere la vita agricola palestinese e Cancellare ogni prospettiva di uno Stato Palestinese Sovrano. I suoi strumenti sono sia brutali che burocratici e includono coloni armati, furto d’acqua, decreti archeologici, strangolamento economico e la neutralizzazione politica di ciò che resta dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). LA VIOLENZA DEI COLONI DIVENTA DOTTRINA DI STATO Gli attacchi dei coloni contro i palestinesi non sono più casuali o arbitrari. Un tempo attribuiti a fazioni marginali come la “Gioventù delle Colline”, questa violenza si è trasformata, dal 7 ottobre, in un’estensione paramilitare semi-ufficiale dello Stato israeliano. Gruppi armati di coloni ora operano in pieno coordinamento con l’Esercito di Occupazione, agendo come esecutori di una politica di sfollamento forzato. Nelle Aree B e C della Cisgiordania Occupata, contadini e abitanti dei villaggi palestinesi sono stati braccati da queste milizie che irrompono nelle case, distruggono pannelli solari, avvelenano cisterne d’acqua e incendiano i raccolti, non solo per intimidire, ma anche per ferire, uccidere e cacciare le persone dalle loro terre. Questi attacchi riflettono un cambiamento strategico. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (UN.OCHA), solo nel mese di ottobre sono stati registrati oltre 260 attacchi da parte dei coloni, il numero più alto dal 2006. Questi attacchi, in media otto al giorno, sono sistematici e prendono di mira in modo sproporzionato i contadini durante la stagione del raccolto e le comunità di pastori nelle aree remote. La vera arma, tuttavia, è l’impunità. I coloni ora agiscono con piena fiducia che lo Stato li proteggerà, non li perseguiterà. In un caso, i coloni hanno incendiato una moschea a Deir Istiya e ne hanno scritto sui muri un messaggio di sfida: “Non abbiamo paura di Avi Bluth”, riferendosi al capo del Comando Centrale dell’esercito israeliano. Sostenuti da ministri estremisti come Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, si sentono, e agiscono, come i veri sovrani del territorio. L’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din riferisce che, anche prima della guerra, il 94% dei casi di violenza dei coloni si concludeva senza incriminazione. Dall’inizio della guerra, persino l’apparenza di un processo legale è svanita. CRIMINALIZZARE GLI ULIVI Nella Cisgiordania Occupata, la guerra di Israele si estende fino alle radici, letteralmente. L’ulivo, linfa vitale della società e dell’economia rurale palestinese, è ora un bersaglio in prima linea. Tel Aviv ha trasformato in un’arma il controllo delle risorse e le leggi ambientali per smantellare l’agricoltura palestinese e separare la popolazione dalla propria terra. Secondo Amnesty International, gli agricoltori palestinesi sono sottoposti a un Regime di Dominio che limita fortemente l’accesso a risorse vitali. Israele controlla l’85% dell’acqua della Cisgiordania Occupata e vieta lo scavo di pozzi, costringendo molti a fare affidamento sull’agricoltura tradizionale pluviale, una pratica resa instabile dal cambiamento climatico e dal furto delle falde acquifere a beneficio delle vicine e rigogliose colonie di coloni. Questa guerra all’agricoltura è condotta anche attraverso legalità kafkiane. Israele ha criminalizzato la raccolta di piante autoctone palestinesi come timo, akkoub e salvia, citando leggi sulla “protezione della natura”. Mentre i bulldozer sradicano migliaia di dunam di flora selvatica per espandere gli insediamenti, i palestinesi che raccolgono l’akkoub per un pasto in famiglia vengono multati e incarcerati. Gli esperti sostengono che questo fa parte di una campagna più ampia per separare i palestinesi dalla loro terra, arrivando persino a controllare cosa mangiano e come vivono. Nel frattempo, i coloni lanciano attacchi diretti alle colture, impediscono agli agricoltori palestinesi di accedere a centinaia di ettari di uliveti e paralizzano l’economia locale. Quando i palestinesi resistono, vengono accusati di terrorismo. L’obiettivo è rendere la permanenza sulla terra troppo pericolosa, troppo costosa e, in definitiva, impossibile. ANNESSIONE “STRISCIANTE” O APERTA? Accanto alla violenza, Israele sta promuovendo una campagna più silenziosa, forse più pericolosa: l’assorbimento legale della Cisgiordania Occupata nello Stato dei coloni. Questa annessione strisciante non si basa su dichiarazioni o cerimonie. Opera attraverso leggi di zonizzazione, governo civile e archeologia strategica. Una delle manifestazioni più allarmanti di questo cambiamento è la trasformazione dell’archeologia in un’arma. Il governo israeliano cerca di porre la Cisgiordania Occupata sotto l’autorità della sua “Autorità Israeliana per le Antichità”, sottraendo la giurisdizione all’amministrazione militare e affidandola a un ente civile, un’annessione di fatto. Con il pretesto di preservare il “patrimonio biblico”, vaste aree vengono dichiarate “siti archeologici” o “parchi nazionali”, creando una narrazione esclusivamente ebraica che impedisce automaticamente ai palestinesi di costruire o coltivare su queste terre. Questa fabbricazione storica Cancella il Passato multiforme della Regione a favore di un singolare mito ebraico concepito per giustificare la Colonizzazione. Sostituendo il Regime Militare con il Diritto Civile, Israele sta riclassificando la Cisgiordania Occupata non come Territorio Occupato, ma come estensione sovrana. I confini tra Tel Aviv e Tulkarem si confondono e l’Apartheid diventa formalizzato. SMANTELLARE IL CENTRO POLITICO Mentre i bulldozer dissodano i campi e le leggi soffocano i villaggi, Tel Aviv sta anche riprogettando la vita politica palestinese. L’obiettivo non è smantellare del tutto l’Autorità Nazionale Palestinese collaborativa, essa svolge ancora una funzione amministrativa e di sicurezza nell’Area A, ma ridurla a un subappaltatore municipale neutralizzato. Israele sta completamente aggirando l’Autorità Nazionale Palestinese, instaurando relazioni dirette con i capi tribali, i consigli di villaggio e i mediatori di potere locali. Questa è una classica politica coloniale che divide la comunità politica nativa, eleva i collaboratori locali ed elimina la possibilità di una dirigenza nazionale unificata. Questo mira a frantumare la coesione palestinese e a trasformare la Causa da una Lotta di Liberazione Nazionale a casi umanitari isolati, villaggi come Hebron, Nablus e Jenin presentati come comunità isolate e bisognose di beneficenza. Parallelamente, Tel Aviv sta soffocando finanziariamente l’Autorità Nazionale Palestinese, sottraendole le entrate fiscali, come consentito dagli Accordi di Oslo. Mentre l’”Autorità” collassa in una disfunzione, il caos che ne deriva viene utilizzato per giustificare un ulteriore controllo israeliano. LA NUOVA NAKBA La somma di questi elementi, milizie di coloni, agricoltura devastata, accaparramento illegale di terre e frammentazione politica, è una campagna di sfollamento forzato senza carri armati. In breve, è una Nakba (Catastrofe) silenziosa. Un rapporto dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem conferma che la sola violenza dei coloni ha costretto allo sfollamento 44 comunità di pastori palestinesi dall’inizio della guerra. Come spiega Yair Dvir dell’organizzazione: “Quando si guarda a ciò che sta accadendo, si nota un intero sistema in atto. Non si tratta solo di coloni ribelli. Sono sostenuti dall’istitutivo israeliano. L’obiettivo è chiaro: lo sfollamento forzato dei palestinesi”. Mentre la distruzione di Gaza cattura le telecamere, la Cisgiordania Occupata viene metodicamente svuotata dalla paura, dalla povertà e dalla sete. L’obiettivo strategico di Israele è quello di eliminare il quadro dei Due Stati e consacrare una realtà di un unico Stato in cui pieni diritti siano riservati agli ebrei, mentre i palestinesi siano confinati in enclave separate, privati della sovranità e infine spinti verso la riva orientale del fiume Giordano. Parlare di un “giorno dopo” a Gaza senza fare i conti con ciò che si sta cementando sulle colline della Cisgiordania Occupata significa perdere di vista il cuore del progetto. Gli aerei da guerra possono anche tacere, ma la Macchina della Colonizzazione, le recinzioni, i permessi, le leggi, le strade e le armi, continua a macinare. È qui, nel silenzio, che la Cancellazione si completa. Un futuro in cui il ritorno è negato, la giustizia messa al bando e la storia riasfaltata di cemento e mito. Traduzione a cura di: Beniamino Rocchetto, da InvictaPalestina
Del Rio (Pd), l’aiutante di campo di Gasparri nell’attacco al movimento per la Palestina
Il silenzio della robustissima ala ultra-sionista del Pd capitanata da tale Fassino era sorprendente. A romperlo ci hanno pensato un gruppo di senatori Pd (Malpezzi, Verini, Alfieri, Zampa, etc.) guidati da Del Rio, che in quel partito non è esattamente l’ultimo arrivato. da Pungolo Rosso E hanno una fretta maledetta di stringere i tempi, se è vero – come informa l’Ansa di due giorni fa – che è già avvenuto un incontro tra Gasparri e Del Rio per arrivare a un testo di legge condiviso, da approvare addirittura entro il 27 gennaio prossimo. https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2025/12/06/gasparri-con-delrio-cerchero-punti-dintesa-su-antisemitismo_2e729230-2d39-4163-987b-871e0f304cf3.html Avevamo ragione (purtroppo) a sostenere a Bologna, nell’assemblea della Rete Libere/i di lottare contro stato di polizia e di guerra tenutasi il 23 novembre a Bologna, che bisogna mobilitarsi contro il DDL Gasparri e le proposte di legge simili prima che sia troppo tardi anche solo per denunciare fuori dagli ambienti militanti il nuovo attacco in corso contro il movimento per la Palestina. Ora Del Rio si schermisce: “non strumentalizzate”. Ma vince facile Gasparri ricordando che è stato il Conte II (il governo imperniato sull’asse M5S-Pd, più Italia viva e Liberi e uguali) ad accogliere nel 2020 la definizione di antisemitismo confezionata dall’IHRA, cioè dallo stato coloniale, razzista, di apartheid, genocida di Israele. Dunque è volgare ipocrisia quella dei Boccia, M5S, Bonelli e altri peones che se la prendono con Del Rio per l’inopportunità della sua iniziativa. Né ha alcun peso l’altro argomento avanzato da Del Rio per provare ad alleggerire la gravità della sua/loro iniziativa: noi-Pd non introduciamo nuove fattispecie di reato o aggravanti di pena. Volgare ipocrisia anche questa, dal momento che a farlo già ci ha pensato quel Gasparri con cui Del Rio si è appena incontrato, per concordare cosa – forse la depenalizzazione di ciò che loro chiamano “antisemitismo”? E’ fin troppo evidente che la scesa in campo degli ultra-sionisti del Pd rafforza, e come!, l’iniziativa delle destre. La stessa premessa del DDL Del Rio è, se possibile, perfino più allarmistica di quella del DDL Gasparri o del trio leghista che presentò il 1004: “incomparabile incremento negli ultimi anni” del fenomeno “anti-semitismo” (ovvero: anti-sionismo o, al massimo, anti-ebraismo); enorme sottostima del fenomeno (“moltissimi atti di antisemitismo non vengono segnalati” – immaginatevi se venissero segnalati tutti gli atti di islamofobia e arabofobia…), condita da un’affermazione al limite della provocazione come questa: “il 75% dei cittadini italiani ebrei evita di indossare simboli religiosi in pubblico”, che non tiene conto del fatto che la grandissima parte di loro non è praticante, o non si riconosce in questa religione (se è una religione). Fiato alle trombe, quindi, sulla propagazione di ciò che – con un’accezione razzista – costoro chiamano anti-semitismo (tutti i popoli arabi sono semiti, e quindi lo sono i palestinesi per primi, ma non è di loro che si parla). Pericolo massimo, emergenza! Specie sul web – ecco l’apporto di Del Rio quale aiutante di campo del maresciallo Gasparri: la necessità di intervenire in modo ferreo sul web. Questa era sfuggita alle destre ed ecco in arrivo, in loro soccorso, il centro-sinistra. A conferma che sulle cose essenziali – in questo caso colpire il movimento a sostegno del popolo e della resistenza palestinese – c’è un pieno accordo trasversale. Sfumatura più, sfumatura meno. Stato di guerra, appunto, in difesa della guerra di annientamento sionista contro i palestinesi; stato di polizia, con una molteplicità di nuovi obblighi specifici per l’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni (AGCOM), per i proprietari delle piattaforme, per i docenti e i dipartimenti universitari, per gli organi di vigilanza delle università, per le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. Termini chiave: prevenire, segnalare, rimuovere, sanzionare. Infine: delega al governo Meloni ad emanare le rispettive disposizioni di attuazione entro 6 mesi dall’approvazione del DDL. Correre, correre… E la risposta del movimento per la Palestina?
Le guerre del Nord e il futuro degli equilibri geopolitici ed economici mondiali
Mary Thompson-Jones, La legge del Nord. La conquista dell’artico e il nuovo dominio mondiale, Luiss University Press, Roma 2025. di Sandro Moiso, da Carmilla (Il nuovo disordine globale) Il titolo scelto dalla Luiss University Press per la traduzione italiana della ricerca di Mary Thompson-Jones, pubblicata negli Stati Uniti con il titolo America in the Arctic: Foreign Policy and Competition in the Melting North, evoca più un romanzo di Jack London che non un saggio di geopolitica quale in effetti è. A ben guardare, però, lo scontro apertosi ormai da anni, per il controllo delle rotte artiche e delle materie prime custodite dal mare di ghiaccio che corrisponde al nome di Artico ricorda per più di un motivo la saga della corsa all’oro del Grande Nord che l’autore americano narrò oppure utilizzò come sfondo in molti dei suoi romanzi e racconti. Un Nord gelido, al limite della sopravvivenza umana, che nasconde grandi tesori verso cui uomini (un tempo) e governi avidi di ricchezze e risorse (in quello attuale) indirizzano i propri sforzi e la propria forza muscolare oppure militare al fine di appropriarsene. In questo facilitati e stimolati, oggi, dal generale riscaldamento climatico che ha definitivamente reso possibili tali iniziative o perlomeno i tentativi di realizzarle. Infatti, secondo le più recenti analisi del Copernicus Climate Change Service, il 2025 è destinato a classificarsi come il secondo anno più caldo mai registrato insieme al 2023, subito dopo il 2024. Analisi che hanno evidenziato come la media triennale 2023-2025 stia per superare la soglia critica di 1,5 gradi. Un risultato che non rappresenta un semplice dato statistico, ma la conferma di un riscaldamento globale sempre più veloce. Cosa che ha contribuito a far rilevare come il mese di novembre abbia visto registrare anomalie di caldo particolarmente marcate in Canada settentrionale e lungo l’Oceano Artico, dove il ghiaccio marino artico ha mostrato una riduzione del 12% rispetto alla media di riferimento, il secondo valore più basso mai osservato per lo stesso mese1. Così i buoni e i cattivi di oggi, nel nuovo grande romanzo della conquista del Nord polare, non sono più i desperados, i nativi americani, i violenti e i famelici, ma spesso sfortunati, cercatori d’oro che hanno animato le pagine e le vicende vissute in prima persona e poi narrate romanzescamente da London tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. No, i protagonisti di La legge del Nord sono prima di tutto gli Stati Uniti con i loro attuali interessi globali insieme a Canada, Islanda, Groenlandia, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Svezia, Russia e, in una più ampia e dinamica prospettiva, la Cina. Tutti stati che si affacciano sull’Artico e la cui estensione territoriale potrebbe definire le dimensioni delle fette di torta, proporzionali alle parti di territorio di ognuno degli stessi compreso al di là del circolo polare artico, destinate a spartire le ricchezze di quel continente. E anche se la Cina non confina con l’area interessata, sicuramente è enormemente interessata alle nuove rotte marittime che il riscaldamento globale già permette e sempre più permetterà di aprire nel prossimo futuro. Rotte che abbrevieranno di parecchie settimane il trasporto delle merci da un capo all’altro del mondo, così come già è successo con l’utilizzo delle rotte tracciate sul settentrione del pianeta per il traffico aereo destinato al trasporto di merci e passeggeri. Una autentica rivoluzione marittima che potrebbe avere gli stessi effetti sull’Europa, in particolare mediterranea, che già ebbe quasi sei secoli fa l’apertura delle rotte atlantiche per i traffici e i commerci intercontinentali. L’autrice, Mary Thompson-Jones, è tra le massime esperte mondiali di sicurezza nazionale, con esperienza nel campo della marina militare e della geopolitica delle rotte oceaniche. Già Foreign Service Officer ha ricevuto incarichi diplomatici in Canada, Guatemala e Spagna. Professoressa in Sicurezza nazionale presso l’U.S. Naval War College, e il testo appena pubblicato dalla Luiss University Press è il suo primo libro tradotto in italiano. Il curriculum professionale dell’autrice indica già di per sé che lo sguardo sulla questione è impostato a partire dagli interessi nazionali, economici e militari, degli USA, ma questo non inficia affatto la lettura che la relatrice dà delle forze e delle contraddizioni in atto in quell’area che, da marginale quale poteva essere considerata dalla politica internazionale, si è trasformata in uno dei possibili epicentri dei conflitti, anche militari, a venire. Infatti, il rapido scioglimento dei ghiacci artici sta riscrivendo la geografia del potere globale. Sotto questo punto di vista il Grande Nord non è più quello remoto e impenetrabile dei romanzi d’avventura, ma la nuova frontiera della geopolitica contemporanea: una scacchiera dove si intrecciano rotte commerciali, ambizioni militari e crisi climatica. Il disgelo impone una diversa geografia del pianeta, apre passaggi tra continenti e porta alla luce giacimenti di gas e terre rare. Non è certo un caso che il primo atto strategico del Cremlino dopo l’inizio della guerra in Ucraina nel 2022 sia stato il varo della nuova «dottrina marittima» del luglio di quell’anno, il cui punto essenziale non riguardava affatto il Mar Nero, ma l’Artico. Senza quel testo, gli obiettivi che esso esplicita e i rapporti con la Cina che implica, sarebbe più difficile comprendere le insistenti pretese di Donald Trump sulla Groenlandia. La posta in gioco commerciale è potenzialmente immensa, considerato che ancora nel 2018 si pensava che la via artica aperta dal cambio climatico potesse essere navigabile, al massimo, tre o quattro mesi all’anno, mentre l’accelerarsi del riscaldamento globale permette a Mosca, che ha la più potente flotta di rompighiaccio al mondo, di puntare a tenere quella via sempre aperta. Per questo Pechino ora mira a consolidare nella regione la relazione con Mosca, considerato che già dal 2018 un «Libro bianco» del governo definisce la Cina «uno Stato quasi-artico» e un’«importante parte in causa» nell’area. L’obiettivo è ottenere dal Cremlino un diritto esclusivo di transito, condiviso solo con i russi e in cambio di contenute commissioni, per trasportare prodotti cinesi verso l’Europa e l’Atlantico a costi più che competitivi nei confronti di tutti gli altri concorrenti commerciali. > Secondo il linguaggio ufficiale del governo cinese si aprirebbe così una «Via > della Seta polare» fondata sul rapporto privilegiato fra Xi Jinping e Vladimir > Putin. Uno dei vantaggi per la grande potenza asiatica, peraltro, sarebbe in > direzione opposta: avere una rotta nordica completamente navigabile significa, > per la Repubblica popolare, poter portare gas liquefatto e greggio russi verso > Shanghai, Shenzhen o Hong Kong senza temere l’eventuale strangolamento > occidentale all’altezza dello Stretto di Malacca. Del resto, era stato proprio > il blocco anglo-americano di quello snodo nell’Asia del Sud-Est a indebolire > fatalmente il Giappone nella Seconda guerra mondiale2. Il confine tra cooperazione e conflitto è più sottile del ghiaccio che si frantuma e Thompson-Jones andando oltre la cronaca, intrecciando mito e realtà in un fragile equilibrio tra sicurezza, diplomazia e giustizia climatica, fa sì che La legge del Nord dimostri come, tra i ghiacci che si ritirano, si stia decidendo il vero futuro del dominio mondiale. Questa impostazione permette di interpretare meglio le affermazioni del «Wall Street Journal» che vede gli accordi possibili tra Trump e Putin sulla questione ucraina ruotare, oltre che sul controllo dei giacimenti minerari ucraini, anche sullo sfruttamento dei giacimenti situati in area polare3, ma anche di andare al di là delle semplicistiche letture filo-europeistiche o monotonamente antimperialiste antiamericane fatte a proposito delle “minacce” trumpiane alla Groenlandia e per il suo controllo. Mentre, allo stesso tempo, può anche aiutare a comprendere la centralità che i paesi dell’Europa del Nord hanno assunto in ambito Nato e nello svolgimento del conflitto ucraino. In realtà però, per quanto riguarda gli spazi e le rotte marittime, si tratta di questioni che risalgono alle origini delle società imperiali, per le quali il dominio dei mari ha sempre rappresentato un enorme vantaggio, tanto da far parlare gli storici di autentiche talassocrazie a proposito di quelle come Atene, Roma, Portogallo, Spagna, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti e magari domani la Cina, considerato il numero e la qualità delle portaerei già varate oppure messe in cantiere dalla marina militare della Repubblica popolare, che in epoche successive hanno fondato e sviluppato la propria espansione e la propria potenza, sia economica che militare, sul controllo e il dominio, prima, del Mediterraneo e, successivamente, degli oceani. Una questione che fin dagli inizi del Novecento e, successivamente, per tutto il XX secolo si era spesso identificata nella divisione principale tra due grandi aree geopolitiche del continente euroasiatico: l’Heartland (letteralmente: il Cuore della Terra) e Rimland (la fascia marittima e costiera che circonda l’Eurasia e che si divide in tre zone: zona della costa europea, zona del Medio Oriente e zona asiatica). L’ideatore del concetto di Heartland era stato un generale britannico, Sir Halford Mackinder, che lo sottopose alla Royal Geographical Society nel 1904. Il termine derivava dal fatto che tale vastissimo territorio era delimitato ad ovest dal Volga, ad est dal Fiume Azzurro, a nord dall’Artico e a sud dalle cime più occidentali dell’Himalaya. Per Mackinder, che basava la sua teoria sulla contrapposizione tra mare e terra, l’Heartland costituiva il “cuore” di tutte le civiltà di terra, in quanto logisticamente inavvicinabile da qualunque talassocrazia. A “coglierne” in pieno il significato politico fu il generale, geografo e politologo tedesco Karl Haushofer che sottolineò, a partire dagli anni ’20 nella rivista “Zeitschrift für Geopolitik”, come le potenze marittime (la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti) avessero costruito una sorta di “anello” per soffocare le potenze continentali. A suo avviso le potenze marittime si ergevano come custodi dello status quo non solo attraverso il colonialismo inglese e francese, ma anche tramite l’ideologia wilsoniana che, attraverso il diritto all’autodeterminazione dei popoli, aveva contribuito allo smantellamento dell’impero austro-ungarico e del Reich guglielmino e alla creazione di una serie di stati cuscinetto destinati a contenere il risorgere della potenza tedesca e l’espansione bolscevica in Europa, compromettendo seriamente “il diritto classico dei popoli”. Entrambi i temi, quello dell’inevitabile scontro tra potenze marittime e terrestri e quello del soffocamento dello jus publicum europeo, sarebbero poi stati ripresi da Carl Schmitt, giurista e filosofo tedesco accusato di essere vicino al regime hitleriano, negli anni precedenti e successivi al secondo conflitto mondiale4. Il concetto di Rimland invece è frutto delle teorie elaborate da Alfred Thayer Mahan (1840 – 1914), che nel 1890, con il suo studio The Influence of Sea Power in History, definì la dottrina marittima degli Stati Uniti andando oltre la Dottrina di Monroe che, nel 1823, aveva già delineato una prima area di interesse statunitense su tutto il continente americano dal Canada alla Terra del Fuoco. Tale teoria sarebbe poi stata ripresa ed impugnata con forza da Nicholas Spykman che, pur essendo di origini olandesi, sarebbe diventato il padre della geopolitica statunitense. Spykman negli anni trenta rivisitò la geopolitica così come era stata concepita da Mackinder. Contrariamente al geografo britannico, Spykman non credeva che il “cuore”, il perno geografica del mondo, come un focus economico e territoriale, dovesse essere situato nell’Europa Centrale o in Russia, ma sulle coste. Secondo lui, il centro del mondo era formato dalle regioni costiere, che egli definiva “terra di confine” o “terre anello”, il Rimland per l’appunto. Spykman pensava che gli USA, in un modo o nell’altro, dovessero controllare questo Rimland, al fine di imporsi come una superpotenza, e quindi dominare il mondo. La teoria di Spykman fu adottata dagli strateghi americani sia nel corso del secondo conflitto mondiale che durante la Guerra Fredda e fu alla base della politica di contenimento messa in atto nei confronti dell’Unione Sovietica e nulla impedisce di cogliere come tale teoria sia valida ancora oggi per gli Stati Uniti, dal mar della Cina e dal Pacifico orientale fino al Medio Oriente attuale. Sia in chiave anti-russa e anti-cinese che anti- europea. Ma è chiaro che la situazione cui si accennava più sopra, venutasi a creare con lo scioglimento dei ghiacci polari artici, richieda una sorta di cambio di strategia transcontinentale e marittima da parte degli USA. Motivo per cui le apparenti “smargiassate” di Donald Trump, sul Canada come 51° stato dell’Unione o dell’occupazione della Groenlandia a discapito della Danimarca, rispondono in realtà alla necessità di una nuova strategia difensiva-offensiva. Sicuramente uno degli elementi che spingono in tale direzione è costituito dal riscaldamento delle acque settentrionali della Russia, cosa che ha fatto sì che Putin e i suoi strateghi, nonostante le sanzioni imposte ai suoi commerci successivamente all’invasione dei territori ucraini, abbiano potuto ipotizzare e sperimentare: > una rotta che permette di navigare dall’Asia all’Europa risparmiando tempo e > denaro, la rotta marina artica russa (o rotta del Nord – Northern Sea Route, > Nsr). La Nsr va dallo stretto di Bering al mare di Barents, per una distanza > di circa 5470 km. In condizioni ottimali, riduce distanza e durata del viaggio > dal 35 al 40% rispetto alla consueta rotta attraverso il canale di Suez. Per > esempio, il viaggio di una nave dalla Corea del Sud alla Germania non > durerebbe più 34 giorni, ma 23. > La Nsr nonè una novità. Già negli anni Ottanta dell’Ottocento, una nave > finanziata da Svezia e Russia riuscì a percorrerla. Nel 1934, i sovietici vi > mandarono una nave rompighiaccio, e continuarono a navigarla soprattutto per > piccoli spostamenti da un avamposto artico all’altro, finché gradualmente non > venne accantonata. «Con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, l’utilizzo > della rotta terminò quasi del tutto, e il tonnellaggio dei carichi calò a > picco, persino tra una città russa e l’altra. Oggi, con l’aumento delle > temperature, ci si aspetta che la costa nord, un tempo una frontiera > ghiacciata, possa diventare un’animata rotta per la navigazione5 »6. Osservazioni dell’autrice del libro cui, però, vanno aggiunte quelle recentissime di Mauro De Bonis, giornalista esperto di Russia e paesi ex-sovietici, sul numero 10, ottobre 2025 di «Limes»: > La via d’acqua polare lavora attualmente a basso regime. Oltre alle turbolenze > geopolitiche dovute al non roseo rapporto russo-occidentale, la rotta è ancora > poco navigabile e quando lo è resta soggetta a regole e vincoli che > scoraggiano le compagnie straniere dall’utilizzarla. La Federazione Russa, in > base all’articolo 234 della convenzione Onu sul diritto del mare, ne > regolamenta la navigazione visto che il percorso si snoda all’interno delle > acque comprese nella propria Zona economica esclusiva. Mosca concepisce dunque > la rotta come un sistema di trasporto nazionale unificato e storicamente > consolidato. E ne stabilisce le regole di utilizzo, come il dovere di > preavviso per navi militari di altri paesi che intendano percorrerla e > conseguente autorizzazione. Oppure un sistema di tariffe a oggi meno > conveniente di quello applicato a Suez ola norma sancita da Rosatom7 che > costringe i cargo di passaggio a utilizzare il supporto di navi rompighiaccio. > Inutile dire che Stati Uniti e satelliti europei rifiutano la lettura russa > della gestione artica, e che le compagnie di navigazione occidentali ne > trascurano per il momento la convenienza. > Così, a solcare il tragitto artico, oltre alle russe, restano le navi cinesi, > che nel 2024 hanno raddoppiato la presenza e rappresentato il 95% dei carichi > in transito. L’anno passato ha registrtao 37,9 milioni di tonnellate di merci > trasportate lungo quelle acque polari, tonnellate che dovranno diventare 109 > entro il 2030 secondo quanto stabilito dal Cremlino. Obiettivo ambizioso ma > raggiungibile, almeno stando ai dati snocciolati da Maksim Kulinko, della > direzione rotte marittime di Rosatom, sicuro che proprio entro fine decennio > il trasporto attraverso itinerari artici diventerà consuetudine, con un tempo > medio di transito garantito per l’intero arco dell’anno di soli dieci giorni. > A salvaguardia di questo tesoro d’acqua, della sovranità sulla Zona economica > esclusiva, dei suoi interessi economici, delle ricchezze minerarie e aree > contese nella regione, daMosca si procede a un rafforzamento della capacità > militare presente lungo la rotta e al necessario aumento della flotta di navi > rompighiaccio8. Alla luce di quanto fin qui scritto, diventa più facile individuare alcuni dei motivi che hanno fatto sì che l’incontro ufficiale tra Trump e Putin sia avvenuto il 15 agosto 2025 nella base militare di Elmendorf-Richardson ad Anchorage, in Alaska, e questo rende anche evidente come tale incontro al suo interno abbia obbligatoriamente affrontato temi che sono andati ben al di là della questione ucraina. Considerata anche l’irrilevanza numerica della flotta di navi rompighiaccio statunitensi a fronte di quella già attuale russa, quasi interamente composta da navi a propulsione nucleare, e il problema rappresentato, già ora e non soltanto in prospettiva, dal traffico navale artico cinese. Problemi e prospettive, sia di accordo che di conflitto, che sicuramente la potenza, pur declinante, statunitense preferisce trattare con il gigante russo accantonando i nani europei. Come Mara Morini che, sulle colonne del «Domani», ha sottolineato: «i due presidenti (Putin e Trump) sono in sintonia perfetta nell’accerchiare e isolare l’Unione europea senza alcuno scrupolo»9. Sintonia dovuta non solo a una scelta di Trump e del suo entourage, ma derivante dalla storia della strategia americana di condivisione di prospettive geopolitiche, militari ed economiche con la Russia, oggi, e l’Unione Sovietica, ieri, che risale, al di là delle leggende narrate dopo il 19455 e in età, altrettanto leggendaria, di “Guerra fredda”, almeno ai rapporti instauratisi tra Roosevelt e Stalin già durante il secondo conflitto mondiale, sia durante le conferenze di Teheran (1944)10 che di Yalta (1945). Il testo edito dalla Luiss University Press si rileva, proprio per questi motivi e molti altri, una lettura utilissima; ricca di dati, osservazioni e commenti indispensabili per chiunque voglia avvicinarsi ai problemi di quello che abbiamo da tempo definito, proprio su queste pagine, il nuovo disordine mondiale. Stampa PDF eBook -------------------------------------------------------------------------------- 1. Clima, il 2025 potrà essere il secondo anno più caldo mai registrato, «Il Messaggero», 9 dicembre 2025.   2. F. Fubini, La «rotta artica» di Russia e Cina: ecco perché Trump vuole la Groenlandia (e a Xi va bene il climate change), «Corriere della sera», 10 gennaio 2025.   3. In proposito si veda, tra i tanti, A. Simoni, Il patto tra Usa e Mosca dettato solo dagli affari, «La Stampa», 3 dicembre 2025, oppure il più recente articolo di Alan Friedman, ancora su «La Stampa» del 7 dicembre 2025: Se Putin diventa il partner di Trump.   4. C. Schmitt, Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo, Edizioni Adelphi, Milano 2002 e C. Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello «Jus publicum europaeum», Adelphi, Milano 1991.   5. K. Hille, Russia’s Arctic Obsession, “Financial Times”, 21 ottobre 201.   6. M. Thompson-Jones, La legge del Nord. La conquista dell’artico e il nuovo dominio mondiale, Luiss University Press, Roma 2025, pp. 245-246.   7. Rosatom acronimo della Corporazione statale russa per l’energia atomica   8. M. De Bonis, Per Mosca l’Artico è russo, in Tutti contro tutti, «Limes», numero 10, ottobre 2025 pp. 66-67.   9. M. Morini, La strategia di Putin e Trump. Accerchiare Kiev (e pure l’Ue), «Domani», 4 dicembre 2025.   10. Si veda in proposito: J. Dimbleby, 1944. Finale di partita. Come Stalin vinse la guerra, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2025, in particolare il capitolo 5 – I Due Grandi, più uno, pp. 122-138.  
Anarres del 5 dicembre. Il reuccio dem di New York. Trump e il ritorno della frontiera. La Città dell’aerospazio non decolla. Novembre antimilitarista a Torino. Venaus vent’anni dopo…
ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming Ascolta e diffondi l’audio della puntata: https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/12/2025-12-05-anarres.mp3 Dirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti: Il reuccio dem di New York L’elezione di Mamdani a sindaco di New York City ha ridato un certo entusiasmo a una sinistra riformista che vive in uno stato di prostrazione e confusione dal momento della vittoria di Trump alle presidenziali. Le proposte di espansione della spesa sociale sono state il cavallo vincente di Mamdani così come la sua capacità di parlare a un elettorato demograficamente assai composito. Ma potranno questi figliocci della borghesia intellettuale, perché questo è Mamdani e questo è il suo entourage, rappresentare una via d’uscita dalla traiettoria autoritaria che il neoliberismo sta compiendo da anni? Le proposte politiche socialdemocratiche – ma sarebbe più corretto chiamarle demo-socialiste in quanto neanche a livello teorico viene posto l’obiettivo di superamento della società mercantile, come invece faceva la socialdemocrazia storica – nel corso del novecento hanno svolto il ruolo di puntello sinistro del capitale, garantendo, con un’apertura a fisarmonica data dai rapporti di forza tra classi, la ridistribuzione di una quota parte dei profitti. Ma questo era possibile con un’economia basata su di una produzione industriale, spesso ad alto valore aggiunto, e con l’apporto del valore estratto dalla periferia del sistema mondo mediante la spoliazione coloniale. Con la fine delle grandi concentrazioni industriali in Occidente, il ridisegnarsi post-coloniale dei rapporti con i territori della periferia, e con nuove dinamiche nei rapporti tra le classi grandemente favorevoli alla classe dominante il meccanismo di ridistribuzione è entrato in una crisi da cui non si è mai ripreso. Ne abbiamo parlato con Lollo Stati Uniti. Trump e il ritorno della frontiera Trump alle nostre latitudini appare come elemento di rottura rispetto all’immagine edulcorata che gli States riescono ancora a vendere. Se si guarda più da vicino è facile cogliere che Trump non fa che riproporre il mito wasp della frontiera, con tutto il suo portato di violenza simbolica e morale. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Eva, geografo politico La Città dell’aerospazio non decolla Il più grande progetto di Leonardo per il settore aerospaziale in Piemonte da tempo dimostrava delle crepe. In occasione della decima edizione degli Aerospace and defence meetings, nella cornice dell’Oval Lingotto di Torino è stato presentato un aggiornamento del progetto presentato all’ottava edizione del mercato delle armi nel 2021 e sostenuto da Leonardo, il Politecnico, la Regione Piemonte, l’Unione industriali di Torino e la Camera di commercio. La parola chiave è “aggiornamento”, che dimostra che il protagonismo di Leonardo è più nelle parole che nei fatti. In realtà è quasi tutto fermo. Annunciare in pompa magna l’apertura di quattro nuovi laboratori con 30 addetti nella vecchia palazzina di corso Francia dopo sei anni è il segno inequivocabile che le crepe nella Cittadella delle armi sono ormai ben visibili. Vediamo di capire meglio cosa sta succedendo. Torino Un lungo novembre di informazione e lotta antimilitarista Venaus. Vent’anni dopo Nonostante la primavera, al tempo della Repubblica della Maddalena il paese di Chiomonte era grigio, buio, silente. Al di là del fiume che si stringe nella gorgia, nello spazio libero fatto di vigne, barricate, cibo condiviso, assemblee c’era il rumore delle vite della comunità resistente, comunità d’elezione e non di terra, di sangue, di identità escludenti e del loro tremendo portato di violenza. Lì imparammo a camminare nella notte. Insieme e da soli, incespicando e rialzandoci. Tanta gente in quegli anni, sin dall’insurrezione di Venaus, aveva scoperto che riscrivere una storia già scritta era possibile, che i tempi che ci era dato vivere non erano un destino ineluttabile. Poi arrivarono l’occupazione, la repressione, i processi: la nostra comunità perse la sua forza creativa, la resistenza venne ridotta a logoro rituale e prevalse la delega istituzionale. Ma. Quelle notti di veglia, essere stati parte di quella comunità d’elezione continua a ricordarci di una possibilità che dobbiamo saperci dare. Appuntamenti: Sabato 20 dicembre ore 20 corso Palermo 46 Cena Antinatalizia Menù vegan Benefit lotte Quanto costa? Tantissimo per chi ne ha, meno per chi ha meno, poco per chi ha poco. Sosteniamo le lotte qui e in ogni dove, diamo solidarietà a chi è colpito dalla repressione, mettiamo un mattone nella direzione di una società libera, autogestita, solidale. Porta la tua statuetta per il pres-empio autogestito! Per prenotazioni scrivere a antimilitarista.to@gmail.com A-Distro e SeriRiot ogni mercoledì dalle 18 alle 20 in corso Palermo 46 (A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro SeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte Vieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini! Sostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato! Informati su lotte e appuntamenti! Federazione Anarchica Torinese corso Palermo 46 Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 20,30 per info scrivete a fai_torino@autistici.org Contatti: FB @senzafrontiere.to/ Telegram https://t.me/SenzaFrontiere Iscriviti alla nostra newsletter mandando una mail ad: anarres@inventati.org www.anarresinfo.org
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