Tunisia in rivolta. Genealogie femministe e queer tra repressione e resistenza
(archivio disegni napolimonitor) Verranno al contrattacco con elmi e armi nuove, verranno al contrattacco, ma intanto adesso curami. [CCCP] È il 29 novembre, siamo in piazza a Tunisi con una delle sorelle che ho disseminato lungo le sponde del Mediterraneo. Camminiamo insieme sul percorso che da piazza Pasteur taglia la città lungo le sue meridiane fino ad Avenue Bourguiba, mentre una marea femminista avanza compatta e rumorosa per le strade che attraversiamo ogni giorno. “La strada appartiene al popolo”, risuona intorno a noi, e oggi quel popolo ha il volto di donne, militanti storiche e giovanissime, salde contro un sistema corrotto e patriarcale che le opprime. A un mese dalla sospensione arbitraria delle sue attività, l’Association Tunisienne des Femmes Démocrates (ATFD) torna a mobilitarsi e a rivendicare la fine della violenza e della repressione. Centinaia di persone attraversano il centro di Tunisi con striscioni e cartelli che denunciano la criminalizzazione delle attività politiche e civili, la violenza esercitata sulle donne e le soggettività non conformi, così come reclamano la solidarietà con tutte le prigioniere di coscienza. In testa al corteo, le storiche militanti dell’ATFD marciano accanto alle più giovani, intrecciando genealogie di lotta e un presente in cui la strada torna a essere il luogo da cui si rivendica il diritto alla vita e all’autodeterminazione. Il corteo del 29 novembre non è un episodio isolato: si inserisce dentro una stagione di mobilitazioni che, a partire dalle proteste ambientali di Gabès iniziate a ottobre e ancora in corso, prova a tessere una risposta collettiva alla svolta autoritaria del presidente Kais Saied. In queste settimane, la piazza si è riempita più volte: un corteo femminista ha attraversato Tunisi anche il 22 novembre, mentre il 6 dicembre la società civile è tornata in strada per richiedere il rilascio di prigionieri e prigioniere politiche. Dal luglio 2021, con la sospensione straordinaria del parlamento, lo scioglimento del governo e la progressiva subordinazione della magistratura all’esecutivo, Kais Saied ha concentrato nelle proprie mani poteri sempre più ampi, trascinando il paese in una profonda regressione democratica. Da allora, un’ondata di arresti arbitrari senza precedenti dalla caduta di Ben Ali ha travolto oppositori, giornalisti, avvocate, sindacalisti, attiviste. Il numero di persone imprigionate cresce di giorno in giorno, mentre una calma solo apparente cela un malcontento diffuso che continua a fermentare in profondità. Oggi, prendere parte a una manifestazione in Tunisia, come d’altronde esporsi e schierarsi politicamente, significa prima di tutto mettere a rischio la propria incolumità. Quando cala la sera, proprio in quella stessa giornata del 29 novembre, arriva la notizia che gela la piazza: Chaima Issa, una delle oppositrici più note del regime, già arrestata nel 2023 e sottoposta a restrizioni che le impedivano persino di apparire in pubblico, è stata sequestrata da uomini in borghese nel pieno della manifestazione. Il suo rapimento, che si inserisce nel processo per complotto contro la sicurezza dello stato che oggi le è costato vent’anni di carcere, è parte di una repressione sistematica che investe la società civile tunisina con violenza crescente. Alle porte di questo inverno, l’aria che si respira in Tunisia è pesante. Eppure, ridurre a silenzio la massa critica è più difficile di quanto si possa credere. È proprio qui che un libro come Tunisia in rivolta. Femminismi e queerness fra strada e cyberspazio di Guendalina Simoncini e Maria Nicola Stragapede offre un varco. Ricostruendo la lunga storia della resistenza femminista e queer in questo paese, le autrici mostrano quanto le soggettività in lotta continuino a reinventare strumenti e spazi di opposizione. Il volume, di recente pubblicazione, è parte della collana Manifesta di Astarte edizioni che, sotto la direzione di Renata Pepicelli, propone una lente femminista e decoloniale sulla storia e l’attualità del Mediterraneo e dell’Asia sud-occidentale. In questo caso, è la Tunisia stessa a prendere parola. Attraverso un lavoro di ricerca tanto denso quanto radicato, le autrici mettono al centro del testo le voci delle donne e delle soggettività non conformi, intrecciando memoria delle lotte, rotture generazionali e nuove forme di resistenza. Simoncini, che si occupa di attivismo digitale e linguaggi della lotta femminista e queer nello spazio mediterraneo, e Stragapede, che studia le trasformazioni biografiche e politiche di chi ha partecipato alle rivolte del 2010-2011, portano sguardi complementari sulla Tunisia postcoloniale. Forti di questa complementarità, costruiscono un testo con un duplice obiettivo: da una parte raccontare a un pubblico italiano la Tunisia contemporanea, senza semplificarne contraddizioni e ambivalenze; dall’altra, provare a tessere legami di sorellanza e solidarietà tra le due sponde del Mediterraneo. Tunisia in rivolta diventa così più di una genealogia dei movimenti femministi e queer: si fa strumento per ripensare le relazioni tra nord e sud, tra maschile e femminile, tra chi abita il centro e chi la periferia. Il libro si muove consapevolmente tra due poli. Da un lato, le storie, le utopie, le eredità politiche dei movimenti: le biografie di militanti, le campagne, le rivendicazioni, le fratture interne. Dall’altro, le trasformazioni intime che l’attivismo porta nella vita delle persone coinvolte: reti di sorellanza informali, spazi di confronto quotidiano, esperimenti artistici e digitali che ridisegnano l’immaginario della rivolta. Da una riva all’altra del Mediterraneo, Tunisia in rivolta ci invita a domandarci come resistere al presente, a partire da genealogie spesso cancellate o marginalizzate. “La nonna partigiana ce l’ha insegnato”, scandiamo nelle piazze italiane e sappiamo bene dove rivolgere lo sguardo quando tempi bui si avvicinano. Il libro restituisce la memoria negata delle donne tunisine che hanno partecipato ai processi di indipendenza e di quelle che, più tardi, hanno resistito al femminismo di stato dei presidenti postcoloniali, indicando una via per l’oggi. Reti e rivendicazioni dal basso, scioperi, collettivi, riviste: sono questi i fili che Tunisia in rivolta riannoda, facendo emergere le continuità e le rotture tra le lotte del Novecento e quelle contemporanee. Dopo aver ricostruito la storia dei movimenti femminili, femministi e queer dagli anni Venti a oggi, la seconda parte del volume si concentra su pratiche, metodologie e saperi combattenti: intersezionalità, cyberattivismo, arte politica. SPAZI SICURI Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, la Tunisia è attraversata da una serie di proteste che portano alla caduta del regime di Ben Ali, al potere da oltre vent’anni, e che sono ricordate dal popolo tunisino come la Rivoluzione della Dignità. Da quel momento si assiste a una vera e propria esplosione di esperienze politiche e culturali che continuano a mescolarsi tra personale e collettivo, tra eredità dei movimenti storici e rotture generazionali. Emergono femminismi plurali che, pur in dialogo con il passato, si dichiarano intersezionali, decoloniali, antirazzisti. Il concetto di intersezionalità, nato all’interno del femminismo nero negli Stati Uniti negli anni Ottanta, è uno degli strumenti centrali del libro: permette di leggere come le diverse forme di discriminazione – di genere, classe, razza, orientamento sessuale – si intreccino nella vita delle persone. Nel corso dei decenni, il dibattito tra i diversi femminismi globali ne ha allargato lo sguardo, portando alla luce nuove linee di oppressione e di alleanza. Nel rivendicare questo posizionamento, i movimenti tunisini mostrano una capacità di intreccio e contaminazione che affonda le radici nelle lotte per l’indipendenza e che oggi si rinnova nei conflitti contro la stretta autoritaria e la precarietà imposta dal regime. A quasi quindici anni dalla rivoluzione, la svolta repressiva del presidente Saied rende evidente quanto sia difficile immaginare luoghi pienamente sicuri. Gli spazi e gli strumenti di lotta non sono più soltanto fisici, ma si estendono al digitale, dove chi fa attivismo femminista e queer sfida censura, sorveglianza e violenza online. In un contesto in cui nessun luogo è davvero al riparo, né la piazza né le piattaforme digitali, né le case né gli spazi associativi, chi milita preferisce parlare di safer spaces: contesti che non negano il rischio, ma provano a ridurlo e a redistribuirlo attraverso pratiche di cura reciproca e responsabilizzazione. Le voci raccolte nel libro ricordano che non può esistere uno spazio davvero sicuro finché il sistema patriarcale, capitalista e coloniale resta intatto; il senso diventa allora costruire dei margini di respiro dentro un mondo insicuro. In Tunisia, questo discorso pesa ancora di più: la comunità femminista e queer è esposta in modo specifico alla violenza di genere e alla discriminazione istituzionale, tanto nello spazio digitale quanto per strada, soprattutto quando entra nelle maglie del sistema giudiziario e carcerario. Non è un caso, inoltre, che in copertina compaia il teatro municipale di Tunisi, scenografia storica delle mobilitazioni popolari su Avenue Bourguiba fin dai giorni della Rivoluzione della Dignità: la strada “dove tutto succede” incontra la scena. Attraversato da figure intente a graffitarne le mura, il teatro richiama le forme di arte urbana che dalla rivoluzione in poi hanno dato corpo e colore alle pulsioni di cambiamento. Nel capitolo sui “linguaggi artistici della protesta”, il libro dedica ampio spazio ai muri femministi di Tunisi e all’arte dei corpi in scena, mostrando come questa possa diventare una delle principali forme di agency politica nella Tunisia contemporanea. Uno degli elementi più preziosi del volume sta inoltre nella struttura: gli intermezzi che punteggiano i capitoli – manifesti, riflessioni, raccolte di graffiti – sono traduzioni e montaggi di materiali prodotti all’interno del movimento tunisino. Attraverso un lavoro di traduzione accurato, le autrici, in dialogo con Gemma Baccini e Luce Laquaniti, offrono al pubblico italiano accesso diretto ad alcuni dei testi più vivi delle lotte in corso, trasformando il libro in un dispositivo corale in cui la voce delle ricercatrici dialoga continuamente con quella di attiviste, giornaliste e artiste. Questa coralità è il risultato di una precisa scelta metodologica: Simoncini e Stragapede si interrogano su cosa significhi oggi fare ricerca “con le altre” e non soltanto “sulle altre”. L’approccio decoloniale orienta la scrittura e si traduce in scelte che attraversano e costruiscono il testo stesso: le autrici riflettono sulla propria posizione di ricercatrici italiane che hanno vissuto e studiato la Tunisia, lasciando spazio alle voci e alle storie del paese, come nella prefazione firmata da Henda Chennaoui, fondatrice della prima scuola femminista intersezionale dedicata a Lina Ben Mhenni. Il libro non si esaurisce sulla carta. La presenza di qr code che rimandano a podcast, video, articoli e materiali d’archivio amplia l’orizzonte, rafforzando il legame tra pagina, strada e cyberspazio. Il linguaggio resta accessibile senza rinunciare alla complessità. In questo modo il volume si propone apertamente come strumento nelle mani del pubblico italiano per costruire ponti di solidarietà consapevole, nella piena coscienza delle lotte condivise e dei privilegi che ci attraversano in modo asimmetrico. Di fronte a un Mediterraneo attraversato da muri, respingimenti e nuove forme di fascismo, Tunisia in rivolta ci chiede cosa significhi davvero essere solidali, oltre che sorelle, oggi: qual è il nostro posto al fianco delle altre? Che cosa ci insegnano i femminismi e le queerness tunisine alle porte di quello che anche per noi sembra essere un lungo inverno? La risposta sembra trovarsi tra le pagine conclusive del libro, nelle quali la tenerezza assume una dimensione esplicitamente politica e radicale. Ricorre, tra i muri di Tunisi e le immaginazioni mediterranee, l’idea che solo con rabbia e tenerezza ci possiamo salvare, solo rendendo collettivo il cuore possiamo resistere al presente. “Rendete collettivo il cuore, di modo che si apra e non si spezzi. Che contenga il dolore del e nel mondo, senza anestetizzarsi e senza esserne divorato”. (matilde collavini)
mondo
RADIO KALAKUTA 15/12/2025
Playlist: DEXTER JOHNSON -AMINATA ORCHESTRE LAYE THIAM-MASSANI CISSE’ AMARA TOURE’-TEMEDY STAR NUMBER ONE DE DAKAR-YAYE BOY ORCHESTRA BAOBAB-EL SON TE LLAMA SUPER CAYOR DE DAKAR-DEGOO LE SAHEL-SUNU MUSIC ORCHESTRA BAOBAB-KELEN ATI LES AMBASSADEURS DU MOTEL DE BAMAKO-GET UP JAMES GABO BROWN & ORCHESTRE POLY-RYTHMO-IT’S A VANITY AMADOU BALLAKE ET SUPER VOLTA-BAR KONOU MOUSSOU ROB-BOOGIE ON
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Riprendiamoci l’internet
“Assalto alle piattaforme” è il libro di Kenobit, uscito settimana scorsa per Agenzia X. https://agenziax.it/assalto-piattaforme Di sperimentazioni come queste ne sentivamo il bisogno e ci piace leggere la testimonianza diretta da un artista che nei social c’è cresciuto e ad oggi condivide una visione mondiale di “via d’uscita”.  O come dice lui nella sua newsletter:     Parla del rapporto tossico che abbiamo con le piattaforme commerciali, analizza i meccanismi che ci rubano il tempo, racconta il grande inganno della content creation e propone un percorso concreto per smettere di sostenere il capitalismo digitale e rivendicare una dimensione online che non inquini il mondo e le nostre vite. È frutto di due anni di sperimentazione (cominciati proprio qui, sulla Settimana Sovversiva), tecnologica e umana, e spiega nel modo più semplice possibile le alternative e le pratiche che possono liberarci. Se volete il libro è anche “in ascolto” a puntate sul Castopod di Kenobit stesso. https://podcast.kenobit.it/@assaltoallepiattaforme La soluzione comprende la convergenza e federazione di chi crea e legge contenuti sul protocollo Activity pub, e la presa di responsabilità del proprio hosting, da sole o in compagnia. Va bene, se non ne avete mai proprio sentito parlare, un introduzione all’argomento può essere questo video: https://videos.elenarossini.com/w/petiQESS6xH5B68Pysqfug Visto che le tecnologie federate ci piacciono, in quanto danno un potere di scelta alle persone, da uno dei nostri servizi è possibile integrarsi. Infatti da NoBlogs è possibile pubblicare sul Fediverso e partecipare a queste nuove reti sociali (opt-in), se ti interessa leggi qui e qui. Ugualmente è possibile rimanere “non-correlati”, fuori dal fediverso, e per entrambe le scelte: NoBlogs non conserva i Log di chi vi legge!
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Strategia di Sicurezza USA
La Casa Bianca ha pubblicato, qualche settimana fa, la sua strategia per la sicurezza nazionale, un documento elaborato da ogni amministrazione presidenziale statunitense per definire le priorità della politica estera. Il documento statunitense delinea la visione del mondo “America First” del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e ha un tono insolitamente critico nei confronti dell’Europa. Abbiamo chiesto a Francesco Dall’Aglio, medievista, ricercatore presso l’Istituto di Studi Storici dell’Accademia delle Scienze di Sofia un commento al piano strategico di Trump. Nell’approfondimento, ci facciamo anche raccontare le dimissioni del governo in Bulgaria e lo stato dei negoziati di pace tra Russia e Ucraina.
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[2025-12-17] PRESIDIO "LA RESISTENZA NON SI PROCESSA" @ Piazza Castello - Torino
PRESIDIO "LA RESISTENZA NON SI PROCESSA" Piazza Castello - Torino - Torino, piazza Castello, di fronte alla Prefettura (mercoledì, 17 dicembre 18:30) PRESIDIO "LA RESISTENZA NON SI PROCESSA" LIBERTÀ PER ANAN, ALI, MANSOUR, MOHAMED SHAHIN, AHMAD SALEM E TAREK PREFETTURA DI TORINO MERCOLEDI 17 DICEMBRE 18H30 PRESIDIO In vista dell’udienza finale del processo nei confronti di Anan, Ali e Masour, che si terrà il 19 dicembre al tribunale dell’Aquila, rispondendo alla chiamata alla mobilitazione da parte del comitato @free_anan il movimento per la Palestina libera scende nuovamente in piazza anche a Torino per chiedere la liberazione immediata di Anan, Ali e Mansour e di tutti i prigionieri dello stato italiano per il loro sostegno alla causa palestinese: Mohamed Shahin, Ahmad Salem e Tarek Dridi. Da due anni Anan Yaeesh si trova nelle carceri italiane su richiesta del governo di Israele: lui, Ali Irar e Mansour Doghmosh stanno subendo un processo che dimostra ancora una volta la collaborazione dello stato italiano col sionismo in complicità nel genocidio tutt'oggi in corso e nella criminalizzazione della legittima resistenza palestinese ancora più a seguito dell'applicazione del piano-Trump di falsa "pace" e della visita dal capo del consiglio dei ministri Meloni del collaborazionista Abu Mazen (capo della nazionalista Anp) nel ritrovo ad Atreju del partito di governo Fratelli d'Italia. Nella scorsa udienza presso il tribunale dell'Aquila, l’accusa ha chiesto 12 anni di carcere per Anan, 9 per Ali e 7 per Mansour. Tarek Dridi si trova nel carcere romano di Regina Coeli per aver partecipato alla manifestazione del 5 ottobre dell’anno scorso ed è stato condannato a 4 anni e 8 mesi con rito abbreviato il 14 aprile. Ahmad Salem, attualmente nel carcere di Rossano Calabro (CS), è accusato di “terrorismo della parola” solamente per aver pubblicato un video in cui esortava i palestinesi e gli arabi in Cisgiordania e in Libano ad agire per Gaza. Mohamed Shahin è stato prima arrestato in Piemonte e poi rinchiuso in Sicilia fino a pochi giorni fa nel Cpr di Caltanissetta: oltre alla revoca del permesso di soggiorno, il ministero dell’interno ha imposto su di lui un decreto di espulsione che comporta il rischio di essere deportato in Egitto, dove l’imam di Torino è noto come dissidente del regime collaborazionista di Al-Sisi.
Lo stato delle città, n°15
(disegno di otarebill) Da lunedì 15 dicembre è in libreria a Napoli, e nei prossimi giorni nelle altre principali città italiane, il numero 15 (dicembre 2025) de Lo stato delle città INDICE:  Rivelazioni di Giovanni Iozzoli All’osteria del Vaticano di Stefano Portelli Ribaltare lo stigma di Andrea Bottalico e Giuseppe D’Onofrio Voglia di uccidere di Maurizio Braucci Quasi una storia di vita. Intervista a Luisa Passerini di Luca Rossomando e Barbara Russo Motel Agip occupato di Francesca Ferrara La città come albergo. Studentati di lusso e nuova rendita urbana di Chiara Davoli Benedette betoniere! Ciampino e l’impatto del Giubileo di Lorenzo Natella L’attacco al parco del Meisino. Una resistenza ecologista a Torino di Alessandra Ferlito Alexanderplatz, auf wiedersehen! di Ginevra Kaliflower Religione, femminismo, emancipazione. Due studentesse musulmane a Napoli di Emma De Simone Diagnosi, malattia, normalità. Una lettera solo per te di Sirya Micera Lotte ambientali e difesa della cultura aborigena in Australia di Stefano Portelli Ritorno a Mariana, un crimine lungo dieci anni di Giuseppe Orlandini La città dei bambini di La Paz di Sara Provenzano Un traditore ad Algeri. Viaggio sulle tracce di Fernand Iveton di Francesco Migliaccio -------------------------------------------------------------------------------- copertina: Otarebill illustrazioni: Marta Fogliano disegnini: Federica Pagano progetto grafico e impaginazione: roberto-c. -------------------------------------------------------------------------------- LO STATO DELLE CITTÀ lo trovate a (elenco in aggiornamento): NAPOLI Dante & Descartes, piazza del Gesù, 14 Ubik, via Benedetto Croce, 28 Tamù, via Santa Chiara, 10 Perditempo, via San Pietro a Majella, 8 L’ibrido, via Nilo, 29 Il fuori orario, via Giusso, 5 TORINO Libreria Comunardi, via S. Francesco da Paola, 6 Golem, via Gioacchino Rossini, 21/c   Oppure potete acquistarlo cliccando qui sotto: (le spedizioni, incluse nel prezzo di copertina,  sono effettuate con raccomandata tracciabile di Poste Italiane)   scegli destinazione / formato italy 15,00 € EURother country 20,00 € EURpdf 5,00 € EUR
edizioni
Rexhino “Gino” Abazaj di nuovo arrestato a Parigi: il rischio di una nuova estradizione verso l’Ungheria
Nonostante il rifiuto della giustizia francese all’estradizione verso l’Ungheria di Orbán, il militante antifascista italo-albanese è stato arrestato su mandato tedesco. Il rischio è che il procedimento riparta da capo. da Osservatorio Repressione Rexhino «Gino» Abazaj, militante antifascista italo-albanese di 33 anni, è stato nuovamente arrestato a Parigi nella serata del 16 dicembre. A darne notizia è stato il Comitato di solidarietà per gli arrestati di Budapest, secondo cui Abazaj è stato fermato e trattenuto dalla Sdat, la sottodirezione antiterrorismo della polizia francese. L’arresto riapre un caso che sembrava chiuso appena pochi mesi fa, quando la giustizia francese aveva respinto in via definitiva la sua estradizione verso l’Ungheria di Viktor Orbán. Secondo il Comitato, Abazaj rischia ora «di essere estradato verso l’Ungheria», in violazione della decisione presa lo scorso aprile dalla Corte d’appello di Parigi. Nella mattinata del 17 dicembre l’attivista è stato ascoltato dai giudici della stessa corte, mentre all’esterno del tribunale si è svolto un presidio di solidarietà. Il precedente rifiuto dell’estradizione Abazaj è coinvolto nello stesso procedimento che ha portato all’arresto e alla lunga detenzione dell’attuale europarlamentare Ilaria Salis. I fatti contestati risalgono al febbraio 2023, quando a Budapest si svolsero le manifestazioni antifasciste contro il cosiddetto Giorno dell’onore, un raduno annuale neonazista che celebra soldati tedeschi e ungheresi sconfitti dall’Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale. Per quegli eventi la giustizia ungherese ha colpito almeno 17 militanti antifascisti in tutta Europa, tra cui Salis e la cittadina tedesca Maja T. Abazaj era stato arrestato una prima volta nel novembre 2024 a Parigi, dopo essere fuggito dalla Finlandia, dove viveva dal 2015. In precedenza, infatti, Helsinki aveva accolto una richiesta di estradizione avanzata da Budapest e l’attivista si era trovato agli arresti domiciliari. «Mi sono trovato davanti a un dilemma: o spezzare l’anello elettronico e trovare rifugio altrove, o aspettare che la polizia di Orbán bussasse alla mia porta», aveva raccontato in un’intervista concessa a il manifesto mentre era detenuto nel carcere di Fresnes, nella banlieue parigina. Dopo l’arresto in Francia, Abazaj aveva trascorso quattro mesi in carcere prima di essere liberato e posto ai domiciliari. L’8 aprile 2025 la Corte d’appello di Parigi aveva infine respinto definitivamente la richiesta di estradizione ungherese, ordinandone la liberazione e la revoca di tutte le misure cautelari. Nella sentenza, i giudici avevano riconosciuto il rischio concreto di «trattamenti disumani e degradanti» nelle carceri ungheresi e denunciato «défaillances sistemiche» riguardanti l’indipendenza del potere giudiziario in Ungheria. Per motivare il rifiuto, la Corte aveva citato esplicitamente il caso di Ilaria Salis e le «misure di sicurezza estreme» applicate nei suoi confronti, giudicate «sproporzionate rispetto all’entità dei fatti contestati». Una decisione accolta come una vittoria politica e giuridica dagli avvocati di Abazaj, dagli ambienti antifascisti e da numerosi osservatori internazionali, alla luce delle ripetute denunce mosse contro il sistema giudiziario ungherese da ong e dallo stesso Parlamento europeo. Il nuovo mandato d’arresto tedesco Il nuovo arresto di dicembre avviene però in un contesto diverso. Come spiegato a Domani dal suo avvocato francese, Youri Krassoulia, questa volta il fermo è stato eseguito sulla base di un mandato d’arresto europeo emesso dalla Germania, sempre in relazione ai fatti di Budapest del 2023. «È un arresto molto sorprendente», ha dichiarato il legale, «soprattutto alla luce della pronuncia della Corte d’Appello dello scorso aprile». Nei prossimi giorni il tribunale dovrà decidere se mantenere Abazaj in custodia cautelare o rilasciarlo. Il 24 dicembre è invece prevista l’udienza decisiva sulla possibile estradizione in Germania. Un’eventuale consegna alle autorità tedesche, spiega l’avvocato, farebbe ripartire da capo il procedimento di estradizione verso l’Ungheria, aggirando di fatto la precedente decisione della giustizia francese. Un clima repressivo sempre più ampio Il caso di Abazaj non è isolato. Negli ultimi mesi le autorità francesi hanno intensificato i controlli e i provvedimenti nei confronti di militanti antifascisti, in particolare italiani. A novembre la disegnatrice Elena Mistrello è stata espulsa dalla Francia mentre si recava a Tolosa per un festival di fumetti, ritenuta un pericolo per l’ordine pubblico per aver partecipato nel 2023 a una commemorazione parigina di Clément Méric, giovane antifascista ucciso da estremisti di destra. Episodi simili hanno riguardato anche altri attivisti, sottoposti a controlli prolungati alle frontiere, interrogatori e minacce di espulsione pur in assenza di procedimenti giudiziari a loro carico. In questo contesto, reti e collettivi come Free All Antifà hanno annunciato l’avvio di una mobilitazione permanente per chiedere la liberazione di Abazaj e di tutti gli antifascisti colpiti dalla repressione giudiziaria in Ungheria e in Europa. «Deportazione e segregazione sembrano essere le caratteristiche irrinunciabili della nuova Europa di guerra», si legge in uno dei comunicati. «Se l’Europa chiede la mobilitazione, mobilitazione avrà».
Milano: maxi-operazione di polizia a Baggio. Sgomberati alloggi popolari ed utenze tagliate
Ieri mattina una maxi-operazione interforze disposta dalla prefettura ha impiegato quasi 250 uomini delle FFOO per effettuare 2 arresti e controllare oltre 600 persone, quasi per la metà di origine non italiana. L’iniziativa, che segue quelle messe in campo nei quartieri Giambellino e San Siro, ha avuto per epicentro via Quarti a Baggio. Decine di perquisizioni e denunce, una ventina di alloggi popolari sgomberati, utenze tagliate a centinaia di persone abitanti nei caseggiati (in molti casi famiglie con minori a carico) che in piena stagione fredda si ritrovano senza elettricità né gas. Con l’occasione di un intervento su spaccio e altre ipotesi di reato si reprime una comunità vessata da vuoto di politiche pubbliche, diritto all’abitare negato e incuria del patrimonio. Mercoledi pomeriggio è confermata dalle 16.30 la “festa” di natale in via Quarti. Giovedì mattina alle 8 il presidio a tutela della famiglia palestinese abitante in via Quarti 28. La corrispondenza con Gianluca abitante di Baggio  Ascolta o scarica da Radio Onda d’Urto
PRISONERS FOR PALESTINE: SCIOPERO DELLA FAME IN FASE CRITICA – “GUERRA IBRIDA” E CONTROLLO SOCIALE – SCUOLA E A.I. – UNA COMPAGNA NELL’OMBRA@3
Estratti dalla puntata del 8dicembre 2025 di Bello Come Una Prigione Che Brucia PRISONERS FOR PALESTINE Prosegue lo sciopero della fame, entrato in fase critica, mentre si moltiplicano le azioni di pressione su rappresentanti politici e ministero della giustizia. Mentre Prisoners for Palestine lottano con i propri corpi nelle carceri, nuovi scandali coinvolgono Elbit Systems: Aggiornamenti urgenti: Nel pomeriggio di martedì 16 dicembre 2025, apprendiamo di un incatenamento davanti all’ingresso della televisione di stato ceca (Ceska Televize) come pressione affinché si tratti dello sciopero della fame nelle carceri britanniche, a maggior ragione visto che Jon Cink è formalmente cittadino della Repubblica Ceca. Nelle prime ore del 17 dicembre 2025 apprendiamo che le condizioni di salute di Qesser Zuhrah sono precipitate: dopo essere collassata nei giorni scorsi continua a lamentare forti dolore al petto e – nonostante ripetute richieste di trasferimento in ospedale nel corso della notte – le autorità del carcere privato di Bronzfield (gestito da Sodexo) rifiutano il suo ricovero. Dal mattino sono in corso presidi sotto le carceri e al ministero. Link al documentario di Declassified UK sulla base RAF di Akrotiri e il suo ruolo nel genocidio a Gaza Vi segnaliamo anche una significativa intervista a Qesser Zuhrah CYBERSICUREZZA E GUERRA IBRIDA Torniamo a parlare di cybersicurezza, commentando il documento del ministro della sicurezza Crosetto “Il contrasto alla guerra ibrida: una strategia attiva”. Oltre che a contenere indicazioni operative sulla guerra d’informazione algoritmica, il documento dipinge una società perennemente minacciata dove la sovranità nazionale si estende alle menti della popolazione. Secondo il ministro Crosetto bisogna quindi superare la “visione binaria pace-guerra”, producendo una società che sia costantemente immersa nello spettro della minaccia e del conflitto. Non-paper di Crosetto Analisi ISPI su guerra ibrida e resilienza Analisi della NATO Foundation sul “Cognitive Battlefield” INTELLIGENZA ARTIFICIALE: CONTROLLO DIDATTICO E AUTOMAZIONE DELLA SCUOLA La digitalizzazione dell’esperienza umana ha raggiunto, con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, nuove frontiere di estrazione di profitto dai dati, estendendosi alla simulazione e sostituzione delle relazioni umane, come ad esempio quelle di cura ed educative. Ma che tipo di umanità é disposta ad accettare una macchina come insegnante? Commentiano insieme ad uno dei promotori l’appello “I.A. Basta” che propone a docenti, genitori, allievi e allieve una critica all’adozione calata dall’alto dell’intelligenza artificiale istituzionalizzata nelle scuole. LEGGI L’APPELLO I.A. BASTA AGGIORNAMENTO E SALUTO DI GABRIEL POMBO DA SILVA Riceviamo un saluto e degli aggiornamenti dal compagno anarchico Gabriel Pombo da Silva UNA COMPAGNA NELL’OMBRA Ricordiamo la compagna Gabriella Bergamaschini grazie al contributo di compagne e compagni del biellese e di Milano:
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