Riprendiamo dal sito Phenomenalword questo interessante contributo sulle
antinomie della Trumpeconomics a cura di Di Benjamin Braun (Assistant Professor
of Political Economy, LSE), Cédric Durand (Professor of Political Economy,
University of Geneva).
Fazioni del capitale nella seconda amministrazione Trump.
Secondo lo storico Fernand Braudel, il declino egemonico è storicamente
accompagnato dalla finanziarizzazione. Di fronte a una redditività in calo nella
produzione e nel commercio, i detentori di capitale spostano sempre più i loro
investimenti verso la finanza. Questo, secondo Braudel, è un «segno d’autunno»,
momento in cui gli imperi «si trasformano in una società di rentier-investitori
in cerca di qualcosa che garantisca una vita tranquilla e privilegiata» (1).
Questo spettro di declino braudeliano aleggia sui principali attori della
cosiddetta seconda amministrazione Trump. «Dimmi cosa hanno in comune tutte le
ex valute di riserva», rifletteva durante la campagna Scott Bessent, ora
ministro del Tesoro. «Portogallo, Spagna, Olanda, Francia, Regno Unito… Come
hanno perso il ruolo di valuta di riserva?» La risposta: «Si sono fortemente
indebitati e non hanno potuto più sostenere il loro apparato militare.» Pur
negando ufficialmente un programma di deprezzamento del dollaro, da quando Trump
ha assunto la carica a gennaio gli speculatori hanno spinto il tasso di cambio
verso il basso.
Il segretario di Stato Marco Rubio è autore di un rapporto del 2019
sull’«investimento americano nel XXI secolo», in cui critica Wall Street per il
suo paradigma del valore per l’azionista, che «inclinerebbe le decisioni
aziendali verso la restituzione di denaro rapida e prevedibile agli investitori
invece che alla costruzione di capacità aziendali di lungo termine». Questa
ostilità residua verso la finanza è condivisa da populisti repubblicani come
Josh Hawley.
Questa rottura ideologica ha segnato i primi mesi della seconda amministrazione
Trump: da un lato le tariffe del “Liberation Day”, dall’altro la reazione
nervosa dei mercati finanziari innescata da Wall Street. Resta da vedere se la
coalizione populista MAGA, che punta a rilanciare la produzione nazionale e
ridurre i lavoratori immigrati per alzare i salari, sarà sostenibile. Le aziende
dei combustibili fossili e le imprese tecnologiche orientate alla difesa, come
Palantir e Anduril, trovano molti motivi per apprezzare il nazionalismo
militarizzato. Tuttavia, la politica commerciale di Trump danneggia chiaramente
la finanza privata e le big tech, due settori che lo hanno sostenuto con
coerenza e si aspettano di essere ricompensati. Attaccare questi settori rischia
di alienare proprio quelle fazioni del capitale statunitense che lo hanno
riportato al potere.
Per queste fazioni del capitale, il declino degli Stati Uniti è relativo e può –
come nel caso del Giappone – essere gestito in modo composto. Come osservava
Giovanni Arrighi nel 1994, la finanza ha sempre svolto un ruolo di
intermediazione, traendo vantaggio dalle transizioni egemoniche (2). Oggi, i
colossi della gestione patrimoniale traggono profitto sia dal riequilibrio dei
portafogli statunitensi rispetto all’egemone in declino, sia dall’offerta di
accesso agli asset statunitensi ai bacini di capitale in rapida crescita
provenienti dalla Cina e da altre economie asiatiche emergenti. Le big tech, nel
frattempo, puntano al controllo generale della conoscenza e del coordinamento
economico (3). Hanno molto da perdere da una frammentazione geo-economica che
potrebbe tagliarle fuori dall’accesso ai dati, ridurre i loro effetti di rete,
aumentare i costi delle infrastrutture materiali e spingere i Paesi non
allineati a perseguire la sovranità digitale.
Nel suo tentativo di rilanciare l’Impero Americano, l’amministrazione Trump
dovrà quindi bilanciare con delicatezza gli interessi sia dei nativisti
orientati alla manifattura, sia delle fazioni del capitale i cui interessi si
estendono su scala globale. Navigare tra queste agende contrastanti
rappresenterà una sfida enorme per la tenuta della coalizione trumpiana – e per
la stabilità dell’intero sistema finanziario globale.
La finanza privata sostiene Trump
Le elezioni del 2016 hanno segnato una netta spaccatura all’interno di Wall
Street. Mentre le banche “too big to fail” e i gestori di capitale “pubblico”
(come gli asset manager tradizionali) si sono allineati retoricamente ai
Democratici, il “capitale privato” – cioè i gestori di asset alternativi come il
private equity, il venture capital e gli hedge fund – si è schierato apertamente
a favore della prima candidatura di Trump. Questa spaccatura ha rispecchiato
quanto accaduto nel Regno Unito, dove un gruppo rafforzato di magnati del
private equity e degli hedge fund aveva sostenuto la Brexit, mentre la finanza
tradizionale tendeva a sostenere il campo del Remain (4).
I gestori di asset alternativi vogliono essenzialmente due cose: agevolazioni
fiscali e deregolamentazione. Il fattore più importante alla base dell’ascesa
inarrestabile dei magnati della finanza privata nelle classifiche Forbes 400 è
il trattamento fiscale privilegiato del carried interest. Negli ultimi
venticinque anni, il “carry” – cioè la remunerazione basata sulla performance
percepita dai general partner dei fondi privati – ha raggiunto la cifra
sbalorditiva di 1.000 miliardi di dollari (5).
Nel 2010, Obama tentò (senza successo) di chiudere questa scappatoia fiscale,
un’iniziativa che il CEO di Blackstone, Stephen Schwarzman, arrivò a paragonare
all’invasione della Polonia da parte della Germania nazista. Mantenere questa
scappatoia è stata la condizione imposta in extremis dalla senatrice Kyrsten
Sinema all’amministrazione Biden per approvare l’Inflation Reduction Act –
andando così a completare il più ampio fallimento nel tentativo di aumentare le
tasse su imprese e ricchi durante gli anni di Biden.
Sul fronte della deregolamentazione, il premio più ambito dalla finanza privata
è l’accesso all’enorme bacino dei risparmi previdenziali individuali.
Attualmente, il private equity e gli hedge fund raccolgono capitali da individui
ultra-ricchi e da grandi investitori istituzionali. Il loro cliente più
importante, di gran lunga, sono i fondi pensione a prestazione definita, sia
pubblici che privati – investitori istituzionali con passività fisse. Tuttavia,
dalla crisi finanziaria del 2008, i piani individuali a contribuzione definita –
come i 401(k) e gli IRA – sono cresciuti a un ritmo doppio rispetto ai fondi
collettivi. Oggi, poco meno di 10.000 miliardi di dollari sono detenuti in
queste due tipologie di piani, tutti gestiti dai baluardi della fazione liberal
di Wall Street: BlackRock, Vanguard e State Street
Nel suo sforzo di lungo periodo per ottenere accesso a questo enorme bacino di
risparmi, la fazione della finanza privata ha segnato la sua prima vittoria
durante il primo mandato di Trump. Nel 2020, il Dipartimento del Lavoro (DOL),
sotto la guida del segretario Eugene Scalia – figlio del celebre giudice
conservatore della Corte Suprema Antonin Scalia – ha emesso una lettera in cui
si affermava che le normative già in vigore consentivano agli sponsor dei piani
401(k) di allocare i fondi anche a società di private equity. Certo, una lettera
del DOL – a differenza di una modifica formale delle regole da parte della SEC –
poggia su basi giuridiche fragili, ma resta comunque significativa. Poco dopo il
ritorno di Trump alla Casa Bianca per un secondo mandato, i colossi del private
equity hanno raddoppiato gli sforzi per aprire il rubinetto dei 401(k), convinti
che questo possa raddoppiare la domanda per i loro fondi.
Non c’è alcun mistero sull’interesse del private equity ad accedere ai 60
milioni di partecipanti ai piani 401(k) statunitensi. La linea d’attacco è
chiara: limitando le opzioni di investimento ad azioni e obbligazioni quotate in
borsa, i regolatori priverebbero i titolari dei 401(k) di diversificazione e
rendimento. Marc Rowan, CEO di Apollo, ha lamentato che i fondi 401(k) “sono
investiti in fondi indicizzati liquidi giornalieri, per lo più nell’S&P 500.”
Larry Fink, CEO di BlackRock – che recentemente ha fatto il suo ingresso nel
settore delle infrastrutture – ha espresso un rammarico simile, sostenendo che
questi asset “si trovano nei mercati privati, chiusi dietro alte mura, con
cancelli che si aprono solo per i più ricchi o per i partecipanti più grandi al
mercato.” La spinta di BlackRock verso il private equity riflette il più ampio
spostamento a destra in corso tra i gestori di capitali “pubblici”, i quali
presentano l’accesso ai rendimenti del private equity ai risparmiatori americani
come un passo verso una maggiore democrazia finanziaria.
In realtà, il settore del private equity sta cercando un salvataggio per quella
che l’economista Ludovic Phalippou definisce la sua “fabbrica di miliardari”
(6). Dal 2006, i rendimenti degli investimenti dei fondi di private equity non
sono riusciti a superare quelli del mercato azionario, pur avendo visto il
numero dei miliardari del settore salire da tre nel 2005 a ventidue nel 2020.
Negli ultimi anni, questi fondi di buyout hanno faticato a uscire dai loro
investimenti, passandosi invece le aziende in un gioco settoriale simile a una
patata bollente. Nel 2024, il settore del private equity si è ristretto per la
prima volta in decenni. Le operazioni di fusione e acquisizione (M&A), colpite
durante gli anni di Biden, rappresentano una possibile via per tornare alla
crescita. “L’industria ha suonato la carica per il ritorno delle M&A, in parte
per giustificare la quantità di capitale che ha raccolto,” ha recentemente detto
agli investitori il Chief Investment Officer del gestore di asset alternativi
Sixth Street. “Il problema è che tra il 2019 e il 2022 la gente ha pagato troppo
per quegli asset, e ora nessuno vuole venderli senza ottenere un ritorno
accettabile.”
Con aspettative di rendimento irrealistiche accumulate nel tempo, il modo più
sicuro per garantire un’uscita redditizia agli investitori attuali è far entrare
nuovi investitori. Secondo la logica del settore, far affluire 1.000 miliardi di
dollari di “denaro stupido” dai 401(k) permetterebbe a fondi pensione, fondi
sovrani e grandi patrimoni individuali di liquidare le proprie partecipazioni
con profitto. I piccoli risparmiatori si ritroverebbero così in mano un
pacchetto di asset sopravvalutati. In altre parole, uno schema Ponzi.
Riallineamento delle big tech
Mentre la finanza si divideva in due fazioni politiche, l’élite della Silicon
Valley si è spostata a destra con un’unità sorprendente. Per tre decenni,
imprenditori tecnologici e finanziatori privati hanno potuto “muoversi in fretta
e rompere tutto” senza temere conseguenze significative imposte dallo Stato.
Avendo avuto vita fin troppo facile, questi predatori al vertice hanno deciso
che l’inasprimento delle politiche antitrust da parte dell’amministrazione Biden
e del Partito Democratico andava fermato. In questo senso, il loro schierarsi
sotto la bandiera di Trump mira a restaurare lo status quo ante antitrust
dell’era Obama-Trump. A testimonianza dell’ansia percepita dai leader del
settore, il venture capitalist Marc Andreesen ha parlato di segnali di una
“rivoluzione sociale” tanto nei campus universitari quanto nella Silicon Valley,
dove una “rinascita della Nuova Sinistra” avrebbe radicalizzato la forza lavoro.
“È molto chiaro che le aziende stanno praticamente venendo dirottate a
diventare motori di cambiamento sociale, di rivoluzione sociale. La base dei
dipendenti sta diventando incontrollabile. Durante l’era Trump [I] ci sono stati
casi in cui più aziende che conosco sembravano essere a poche ore dal
precipitare in vere e proprie rivolte violente all’interno dei propri campus,
scatenate dagli stessi dipendenti”. (M. Andreesen)
Il liberalismo della Silicon Valley, si scopre, è stato una fase temporanea
legata a un periodo ormai passato di massima liquidità e minima regolamentazione
nel capitalismo statunitense. Poi è arrivato il Covid, e il governo ha fornito
ingenti trasferimenti ai lavoratori, alcuni dei quali si sono sentiti
legittimati a esprimere nuove rivendicazioni. Contemporaneamente, il ramo più
attivista dell’amministrazione Biden, la Federal Trade Commission guidata da
Lina Khan, ha indirizzato le sue politiche antitrust verso le big tech.
Aggiungendo la timida coordinazione internazionale sulla tassazione delle
imprese da parte della segretaria al Tesoro Janet Yellen e il sostegno retorico
del presidente democratico alle mobilitazioni sindacali, si capisce perché
Andreesen abbia definito questo periodo “un enorme momento di radicalizzazione”
e abbia speso moltissimo tempo in chat di gruppo per promuovere la coscienza di
classe dei miliardari.
Sono queste le circostanze che hanno spinto le big tech a unirsi alla finanza
privata come seconda fazione del capitale a sostenere il ritorno di Trump.
L’incontro inaugurale tra i boss delle big tech ha suggellato questa alleanza.
Essi sono stati rapidamente ricompensati con una serie di ordini esecutivi che
hanno eliminato le tutele pubbliche per la sicurezza delle aziende di
intelligenza artificiale e gli ostacoli regolatori per le imprese di
criptovalute. Infatti, a differenza della rapida azione dell’amministrazione
Biden contro il piano di Facebook per il sistema di pagamenti globale Libra,
lanciato nel 2019 e archiviato nel 2022, la nuova amministrazione sembra pronta
a sostenere il settore delle criptovalute con la piena fiducia e garanzia dello
Stato.
Gli interessi legati alle criptovalute hanno adottato la strategia del private
equity cercando di attirare denaro dai fondi pensione. Dalla rielezione di
Trump, ventitré stati hanno introdotto leggi per consentire agli enti pubblici
di investire in criptovalute. In diversi casi, i provvedimenti includono
esplicitamente i fondi pensione pubblici. E mentre il Guiding and Establishing
National Innovation for US Stablecoins (Genius) Act, volto a creare un quadro
normativo permissivo per gli stablecoin, ha superato un importante ostacolo al
Senato, l’assalto da parte di DOGE alle agenzie di regolamentazione finanziaria
— dalla Securities Exchange Commission (SEC) al Consumer Financial Protection
Bureau (CFPB) — sta indebolendo la supervisione e aumentando gli incentivi al
rischio in tutto il sistema finanziario. Poco ostacola il piano di Elon Musk per
un conto X Money in partnership con Visa. Sono così gettati i semi per una crisi
ben più ampia di quella della Silicon Valley Bank.
Il risultato è che la grave tensione finanziaria che ha caratterizzato i primi
mesi della nuova amministrazione potrebbe essere tanto una caratteristica quanto
un difetto della coalizione aziendale del Presidente. Le ambizioni della nuova
élite della Silicon Valley non sono solo di paralizzare la burocrazia federale,
ma anche di spodestare Wall Street.
Il dilemma della Fed
Questo ci porta all’arbitro decisivo in ogni confronto tra finanza e Stato: la
Federal Reserve. Nonostante una grande crisi finanziaria, la Fed ha goduto di un
lungo periodo di predominio monetario nella politica macroeconomica
statunitense. Con l’inizio dell’inflazione legata alla riapertura, la politica
monetaria si è presentata come uno strumento promettente per garantire sia la
stabilità finanziaria sia quella dei prezzi, mentre la politica fiscale ha
assunto un ruolo secondario. L’economia ad alta pressione ingegnata sotto la
strategia “go-big-go-early” di Yellen in risposta alla recessione pandemica,
combinata con l’aumento dei prezzi dovuto ai ritardi nelle catene di
approvvigionamento, ha giustificato l’inasprimento della politica monetaria da
parte della Fed per far deflazionare sia i mercati finanziari sia il mercato del
lavoro.
Sotto il secondo mandato di Trump, tuttavia, la Fed si trova su un sentiero
molto più pericoloso. I dazi di Trump e un dollaro indebolito rendono il ritorno
delle pressioni inflazionistiche una possibilità concreta. Un’amministrazione
competente e disciplinata potrebbe forse evitare l’aumento dei prezzi dei beni
essenziali attraverso scorte strategiche e controlli sui prezzi (7). L’attuale
amministrazione, però, non è né competente né disciplinata, e l’assalto
sistematico di DOGE al governo federale non fa che rafforzare l’idea che l’onere
di contenere l’inflazione ricada interamente sulla Fed.
Qui Jerome Powell si trova davanti a un dilemma. Se le pressioni
inflazionistiche aumentassero sotto la doppia offensiva di dazi e dollaro
debole, la Fed sarebbe normalmente chiamata ad aumentare i tassi d’interesse. La
Fed sta già lasciando salire i rendimenti obbligazionari. Tuttavia, un
peggioramento dello stress finanziario dovuto a tassi d’interesse più alti del
previsto e a una crescita dei redditi più bassa del previsto – con i proprietari
di auto che saltano i pagamenti dei prestiti al tasso più alto da tre decenni –
potrebbe costringere la Fed a intervenire per sostenere i valori degli asset,
come già fatto alla fine del 2019 e all’inizio del 2023, attraverso prestiti di
emergenza e acquisti di asset. Inoltre, Trump e Bessent hanno chiarito di volere
tassi di interesse più bassi sul debito pubblico statunitense – una prospettiva
che complica enormemente qualsiasi progetto di restrizione monetaria.
Il dilemma di Powell è ancora più urgente perché in gioco sembra esserci il più
grande asset di tutti: lo status dei Treasury USA come asset sicuro globale e,
di conseguenza, il ruolo del dollaro come valuta di riserva e di finanziamento
globale. L’appetito dei gestori ufficiali di riserve per i titoli statunitensi è
in calo da anni, mentre la quota del dollaro nelle riserve globali è passata dal
71% nel 2000 al 57% nel 2024. Segnali di crescente preoccupazione tra gli
investitori obbligazionari sono emersi già a febbraio, quando il Chief
Investment Officer del gestore francese Amundi, rispondendo agli ordini della
Casa Bianca che indebolivano la regolamentazione dei titoli, ha osservato che
“sempre più cose… vengono fatte che potrebbero iniziare a erodere la fiducia…
nel sistema USA, nella Fed, nell’economia statunitense.” Nelle settimane
successive questa minaccia appena velata ha iniziato a concretizzarsi con una
forte correzione dei mercati azionari e, cosa più preoccupante, con un aumento
dei rendimenti dei Treasury USA. Dopo l’annuncio da parte di Trump di dazi
“reciproci” il 2 aprile, gli Stati Uniti hanno vissuto un evento straordinario:
la fuga di capitali. Se la Fed dovesse essere costretta a lasciare scendere i
tassi d’interesse reali mentre l’inflazione aumenta, una fuga di capitali su
scala molto più ampia diventerebbe una concreta possibilità.
Gli obiettivi di eliminare il deficit commerciale degli Stati Uniti mantenendo
allo stesso tempo lo status del dollaro come valuta di riserva sono da tempo
considerati incompatibili. Fin dal lavoro di Robert Triffin alla fine degli anni
’50 sul “surplus del dollaro”, gli economisti monetari internazionali hanno
compreso che la crescita economica globale basata sul commercio dipende dalla
disponibilità di riserve. In assenza di un nuovo standard di riserva, ciò è
stato interpretato come la necessità di un’ampia offerta di dollari, fornita al
resto del mondo tramite deficit commerciali statunitensi perpetui. Sebbene un
mondo di eurodollari e flussi finanziari transfrontalieri lordi illimitati
significhi che la liquidità globale non è necessariamente legata al conto
corrente statunitense, le idee dell’amministrazione per districare i due aspetti
sono tutt’altro che rassicuranti. Esse includono, in particolare, la promessa di
“promuovere lo sviluppo e la crescita di stablecoin legali e legittimi garantiti
dal dollaro in tutto il mondo.” Eric Monnet ha definito questo approccio
“criptomercantilismo,” una strategia volta a estendere, piuttosto che a minare,
il dominio del dollaro nel sistema monetario globale, dato che il valore degli
stablecoin sarà garantito da asset in dollari.
Le insidie della classe dominante al governo.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha messo in luce le crepe all’interno della
coalizione che ha contribuito alla sua vittoria. Le fazioni popolari del MAGA si
sono appoggiate a Trump per la sua posizione nazionalista, che ha ben poco in
comune con gli interessi della finanza tradizionale e del settore tecnologico,
favorevoli a mercati finanziari e digitali globali e aperti. Tecnologia e MAGA
potrebbero forse incontrarsi a metà strada nell’ambizione di rilanciare la base
industriale statunitense, ma questo metterebbe in discussione le fondamenta del
dollaro forte, su cui sia la finanza tradizionale sia quella privata basano la
propria supremazia. Anche se, come dice Steve Bannon, “molti tra i MAGA sono in
Medicaid,” il bilancio federale recentemente approvato dalla Camera controllata
dai repubblicani include tagli radicali al welfare sostenuti dalla finanza
privata. Nonostante la retorica, questi tagli alla spesa non compensano la
riduzione fiscale: i deficit pubblici continueranno, così come l’agenda
tariffaria e deregolamentatrice dell’amministrazione minaccia la stabilità
finanziaria.
I teorici dello Stato hanno a lungo sostenuto che “la classe dominante non
governa”. Seguendo la felice espressione di Fred Block, le democrazie liberali
si sono caratterizzate per una divisione del lavoro tra capitalisti, che
gestiscono le loro aziende, e “manager dello Stato,” che governano (8). Poiché i
capitalisti tendono a guardare soprattutto al proprio profitto, la loro fortuna
dipende dal successo dei manager statali nel mantenere le condizioni per la
riproduzione sociale, ecologica e finanziaria.
Secondo Block, lo Stato capitalistico assicura la propria sopravvivenza
aggregando interessi diversi. Ora sorge la domanda: il governo statunitense
attuale, nella sua forma indebolita, sarà in grado di aggregare gli interessi
delle molteplici fazioni in competizione che sostengono il Trump II? Tariffe che
risparmiano gli interessi manifatturieri della tecnologia USA in Cina ma che
accontentano i nazionalisti MAGA, unite a una svalutazione del dollaro
orchestrata a livello internazionale, potrebbero contribuire a sostenere il boom
degli investimenti manifatturieri promosso dalla Bidenomics. La
deregolamentazione finanziaria e l’apertura dei rubinetti dei 401(k) per il
private equity potrebbero essere combinate con il ritorno delle aliquote fiscali
più alte per i redditi elevati, dal 37% al livello pre-2017 del 39,6%, come
prospettato da Trump durante il dibattito alla Camera sul bilancio federale.
Resta però da vedere se emergerà un consenso di questo tipo. A pochi mesi
dall’inizio del mandato, le antinomie della Trumponomics sono già ben evidenti e
senza una soluzione chiara all’orizzonte.
Note:
1. Braudel, F. (1984). Civilization and capitalism, 15th-18th century.
University of California Press, pp. 246 and 266-267. (Back)
2. Arrighi, G. (1994). The long twentieth century: Money, power, and the origins
of our times. Verso. (Back)
3. Durand, C. (2024). How Silicon Valley Unleashed Techno-feudalism: The Making
of the Digital Economy. Verso Books. (Back)
4. Marlène Benquet and Théo Bourgeron, Alt-Finance: How the City of London
Bought Democracy, Pluto: London, 2022. (Back)
5. Phalippou, L. (2024). The Trillion Dollar Bonus of Private Capital Fund
Managers (SSRN Scholarly Paper No. 4860083).
https://papers.ssrn.com/abstract=4860083 (Back)
6. Ludovic Phalippou, “An Inconvenient Fact: Private Equity Returns and the
Billionaire Factory,” The Journal of Investing, December 2020, 30 (1) 11 –
39. (Back)
7. Weber, I. M., Lara Jauregui, J., Teixeira, L., & Nassif Pires, L. (2024).
Inflation in times of overlapping emergencies: Systemically significant prices
from an input–output perspective. Industrial and Corporate Change, 33(2),
297–341. https://doi.org/10.1093/icc/dtad080 (Back)
8. Block, F. (1987). The ruling class does not rule: Notes on the Marxist theory
of the state. In Revising state theory: Essays in politics and postindustrialism
(pp. 51–68). Temple University Press. (Back)
Potere al popolo ha scoperto l’esistenza di altri 3 poliziotti infiltrati nel
partito, in particolare nelle sue organizzazioni giovanili, dopo che lo scorso
mese di maggio 2025 i portavoce del partito avevano denunciato un primo caso di
agente che si era infiltrato tramite il Collettivo Autorganizzato Universitario
di Napoli.
“Si tratta di 4 agenti di polizia usciti dallo stesso corso, tutti giovanissimi
e tutti quanti infiltrati in città metropolitane a partire da contesti giovanili
e studenteschi come l’organizzazione ‘Cambiare rotta’”, spiega Giuliano
Granato ai microfoni di Radio Onda d’Urto. “Non appena terminato il corso –
aggiunge Granato – sono stati trasferiti alla direzione dell’Antiterrorismo e
poi infiltrati nella nostra organizzazione”.
Oltre a Napoli, gli agenti infiltrati hanno avvicinato l’organizzazione
giovanile Cambiare Rotta a Milano e Bologna. Ci sarebbe stato un altro tentativo
di infiltrazione a Roma. Quest’ultimo, però, non è andato a buon fine.
Nel pomeriggio di venerdì 27 giugno 2025 i portavoce di Potere al popolo
terranno una conferenza stampa in Senato per denunciare la vicenda ed esigere
spiegazioni da parte del governo Meloni, in particolare dalla premier e dal
ministro dell’Interno Piantedosi. Parteciperanno anche i parlamentari di Avs,
M5S e Pd che hanno presentato un’interrogazione parlamentare, oltre ai
giornalisti di Fanpage e gli attivisti di Mediterranea Saving Humans spiati con
lo spyware Graphite dell’azienda israeliana Paragon.
“Si tratta di un quadro estremamente preoccupante in questo Paese, che non
riguarda soltanto le organizzazioni interessate. Tocca un po’ tutti perché viene
meno il presupposto di uno Stato democratico: la libertà di associazione e di
riunione. Se dei poliziotti possono infiltrarsi in un partito politico, allora
vale tutto…”, conclude Giuliano Granato ai nostri microfoni.
L’intervista di Radio Onda d’Urto a Giuliano Granato, portavoce nazionale di
Potere al popolo. Ascolta o scarica.
da Radio Onda d’Urto
Ricostruiamo la mobilitazione contro l’occupazione a fini privati di Venezia da
parte di Bezos. L’oligarca della logistica aveva individuato Venezia come
vetrina e palcoscenico del suo matrimonio con Lauren Sanchez. A partire da
questo evento si attivata una costellazione di proteste con l’intento di
smascherare quanto sta andando in scena: dallo strapotere delle oligarchie
globali, […]
Ad un mese dalla scoperta di un poliziotto infiltrato per mesi nel Collettivo
Autorganizzato Universitario Napoli, si scopre che altri 3 agenti si sono
infiltrati e 1 ha tentato di infiltrarsi sempre nelle organizzazioni giovanili
legate a Pap, nello specifico in Cambiare Rotta. Gli agenti in questione hanno
tutti frequentato il medesimo corso di Polizia […]
A PIEDE LIBERO - FESTIVAL DELL'AURORA VANCHIGLIA TRANSFEMMINISTA
Manituana - Laboratorio Culturale Autogestito - Largo Maurizio Vitale 113,
Torino
(sabato, 5 luglio 18:30)
“A piede libero” è il primo festival dell’Aurora Vanchiglia transfemminista
Dove e quando?
🗓️ 𝗦𝗮𝗯𝗮𝘁𝗼 𝟱 𝗟𝘂𝗴𝗹𝗶𝗼
📍 𝗠𝗮𝗻𝗶𝘁𝘂𝗮𝗻𝗮, 𝗟𝗮𝗿𝗴𝗼 𝗠𝗮𝘂𝗿𝗶𝘇𝗶𝗼 𝗩𝗶𝘁𝗮𝗹𝗲, 𝟭𝟭𝟯,
𝟭𝟬𝟭𝟱𝟮 𝗧𝗼𝗿𝗶𝗻𝗼 𝗧𝗢
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Corpi Politici: se i nostri corpi sono un territorio, che geografia vogliamo
costruire?
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Ceciliadelpianetaterra https://www.instagram.com/ceciliadelpianetaterra/
I Fasti https://www.instagram.com/ifastiband/
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𝗢𝗿𝗲 𝟮𝟮.𝟯𝟬: 𝗣𝗘𝗥𝗙𝗢𝗥𝗠𝗔𝗡𝗖𝗘 𝗲 𝗖𝗔𝗕𝗔𝗥𝗘𝗧 𝗤𝗨𝗘𝗘𝗥
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Lilith https://www.instagram.com/lilith_deluna/
Block Ortica https://www.instagram.com/blockortica/
Bandamutanda https://www.instagram.com/banda_mutanda/
Dalle 18.00
Dall'apertura saranno presente banchette e autoproduzioni
Seguite i nostri canali social per ulteriori info
https://www.instagram.com/asd_auroravanchiglia/
L’Aurora Vanchiglia Transfemminista è una squadra di calcio popolare di Torino.
Portiamo nelle piazze e sui campi la nostra battaglia contro la performatività
machista ed escludente e il nostro modello di sport per tuttə che riesce a
vincere sempre, al di là del risultato.
Nasce una mobilitazione, indetta per la metà di settembre 2025, verso
l’occupazione del mediterraneo centrale. L’obbiettivo quello di denunciare il
meccanismo della Fortezza Europa: il sistema di confini sporco del sangue di più
di 30.000 migranti negli ultimi 10 anni. A braccetto con Frontex, il sistema di
controllo e confini si fa complice delle politiche […]
Approvata dal parlamento una legge per vietare il Pride a Budapest. Il 14 aprile
il parlamento ungherese ha approvato un emendamento costituzionale che vieta gli
eventi pubblici organizzati dalla comuità lgbtqia+ e ha decretato che le persone
possono essere solo uomini o donne in base al sesso di nascita. Inizialmente si
parla di multare fino […]
Dal Collettivo di fabbrica arriva la notizia di un possibile sgombero del
presidio della ex Gkn. Si apprende da testate giornalistiche che il presidio
sarebbe sotto sgombero da parte del Tribunale fallimentare su indicazioni dei
commissari/custodi nominati dal Tribunale stesso a tutela degli interessi dei
soggetti immobiliari nell’ambito della procedura di fallimento. Con queste
indicazioni […]
(disegno di bruttebestie)
La struttura al civico 1 di vico Trinità delle Monache, edificata nel 1600 per
ospitare un convento e adibita negli ultimi due secoli a ospedale militare, è
oggi conosciuta come il Parco dei Quartieri Spagnoli, uno spazio di 26 mila mq
ben celati dalle costruzioni successive, dal vicolo che costeggia le sue mura,
dal silenzio interno rotto solo dai motorini e dalle auto che scendono di qui
per arrivare a una delle strade più “appese” di Napoli: via Pasquale Scura nel
quartiere Montesanto.
Dal 1999, anno in cui il Demanio ha ceduto a titolo oneroso per vent’anni
l’enorme spazio al comune di Napoli, all’Università Federico II e all’Istituto
Suor Orsola Benincasa, ci sono stati tentativi di integrazione del luogo con il
resto della città ma con tempi mai certi e contraddistinti spesso da chiusure.
Un primo processo di progettazione partecipata è avvenuto nel 2016 quando la
Commissione europea ha ammesso Napoli, insieme ad altre città europee, al
progetto “2nd Chance – Waking up the sleeping giants”, nell’ambito del programma
internazionale Urbact III, con l’obiettivo di confrontarsi sul tema del riuso
dei grandi immobili abbandonati o parzialmente utilizzati ed elaborare strategie
e piani di azione locale. Nel 2018, durante la conferenza stampa per la chiusura
della fase partecipata, l’allora assessore al diritto alla città, Carmine
Piscopo, riportò alcuni dei risultati e gli obiettivi ancora da raggiungere
riassunti nel recupero di tutta la rete ecologica dei percorsi che dalla Certosa
di San Martino arriva alla struttura dell’ex ospedale, il completo recupero
degli spazi interni, oltre alla generazione di nuove economie tra cittadini e
istituzioni.
Nel 2023 si torna a parlare dell’ospedale militare con un nuovo accordo
temporaneo, stavolta non oneroso, tra il Demanio e la nuova amministrazione
comunale, finanziato nell’ambito del Contratto Istituzionale di Sviluppo “Napoli
– Centro Storico” con sei milioni di euro per la riqualificazione delle aree
verdi e di alcuni edifici del complesso SS. Trinità delle Monache all’interno
del Parco. “Community Hub – Incubatore di cittadinanza attiva” è il nome del
progetto, simile nelle sue fasi a quello del 2016. C’è stata una call to action
(2024) rivolta alle proposte dei cittadini con incontri e dibattiti con i
progettisti che dovranno deciderne la fattibilità e in ogni caso rendere
possibile la fruizione del parco e dei locali entro il 2026, pena la perdita del
finanziamento.
Nel marzo scorso, durante un’indagine preliminare sulle aree verdi, gli agronomi
chiamati dal Comune hanno constatato la pericolosità di circa venti tra le
specie arboree presenti, per cui si è reso necessario un intervento di messa in
sicurezza e la chiusura del parco. Trattandosi di un bene vincolato non è chiaro
se esista anche un vincolo paesaggistico e quindi se ci sarà poi l’obbligo di
piantare altri alberi dopo l’abbattimento. Questa volta i tempi per l’intervento
e la riapertura del parco sono stati relativamente più brevi perché, se da
sempre mancano le risorse per la manutenzione ordinaria, grazie al finanziamento
del CIS è invece possibile attivare subito quella straordinaria. Il parco è
stato riaperto il 5 giugno scorso.
LA GESTIONE PRIVATA
Se una parte dell’ex ospedale militare fatica a trovare un’identità che risponda
alle richieste e ai bisogni dei cittadini, un’altra spiccatamente più
commerciale non ha avuto difficoltà a esprimersi in meno di un anno.
All’inizio del 2024 l’Agenzia del demanio ha infatti affidato per quarantotto
mesi alla società privata Urban Value s.r.l., l’edificio principale del
complesso, per una estensione di circa 7.500 mq. E così l’estate scorsa, con
l’avvio dei lavori, in tanti nel quartiere hanno assistito al “risveglio” del
gigante. I camion dell’Asia hanno sgomberato gli enormi spazi da faldoni zeppi
di documenti, probabilmente risalenti all’attività dell’ex ospedale, mentre i
cortili hanno accolto le piante di banano cresciute nel palazzo Fondi in via
Medina, sede del precedente intervento della società Urban Value a Napoli.
L’edificio non ha subito abbellimenti né interventi strutturali ma solo le prove
di carico per permetterne l’apertura al pubblico. Una nuova umanità ha
cominciato a frequentare il complesso, mostre d’arte, musica dal vivo e mercati
sono stati organizzati negli spazi de La Santissima, il nome scelto per questo
contenitore, anzi questo “hub” come si legge dalla descrizione sui social.
Dopo quattro mesi di attività, a seguito di un controllo della polizia
municipale durante un evento privato di musica elettronica, alcune sale della
Santissima sono state sottoposte a sequestro giudiziario preventivo per la
mancanza di autorizzazioni. Riguardo l’accaduto i responsabili hanno diffuso a
mezzo stampa numerose dichiarazioni per riportare l’attenzione sulla complessità
del progetto e sul lavoro in corso: “Da più di un anno lavoriamo con fondi
privati per riaprire e dare nuova vita a uno spazio rimasto chiuso per oltre
trent’anni. E ci stiamo ancora lavorando. La Santissima è un progetto in
divenire, che cresce giorno dopo giorno, e di cui oggi si percepisce solo una
parte del potenziale”. Improvvisamente la città e le sue diverse anime hanno
perso Filippo e il Panaro, così commentavano i custodi rimasti a presidiare il
malandato cancello del parco su cui sono stati apposti i due provvedimenti.
LA TERZA VIA. I COMITATI DEI PARCHI PUBBLICI
Oltre alla gestione privata e ai tentativi istituzionali di riqualificazione del
Parco esiste una terza via, una visione comune del verde portata avanti
caparbiamente dai cittadini dei diversi quartieri della città, la comunità dei
parchi pubblici. Cristiano è un educatore, collaborava al doposcuola dello
Scugnizzo Liberato, nell’ex carcere Filangieri, e in questo contesto ha
incontrato alcuni dei gruppi che poi hanno dato vita alla comunità dei parchi
pubblici. “I comitati nascono alla fine del 2024 – racconta – dalle esperienze
di alcuni parchi pubblici e in particolare il San Gennaro alla Sanità, in cui
erano previsti dei lavori nelle aree verdi di cui si voleva conoscere la natura
e la durata. Esistevano già delle comunità che hanno deciso di organizzarsi per
mettere in relazione le esperienze e muoversi meglio nel dialogo con le
istituzioni. Anche la travagliata scrittura di una regolamentazione del verde da
parte del consiglio comunale ha acceso l’interesse dei cittadini che vogliono
essere coinvolti nelle decisioni. Si sente forte la preoccupazione di vedere
ulteriormente ridotto lo spazio all’aria aperta, come è accaduto con la
questione abitativa e la fruizione del suolo pubblico nel centro storico. Si
protesta contro l’approvazione del regolamento comunale del verde perché, avendo
letto la bozza gli attivisti vedono nella parola ‘gestione’, riferita ad
associazioni e soggetti privati, il pericolo di creare luoghi con un utilizzo
limitato da parte degli abitanti. Inoltre la possibilità che la gestione di
terzi possa durare fino a dieci anni viene considerato un tempo davvero lungo
per un affidamento”.
Nel comunicato della Commissione salute e verde del Comune si legge della
conclusione di un percorso di confronto con i rappresentanti dei comitati
cittadini e delle associazioni ambientaliste. A fronte di diverse criticità e
dubbi espressi dalle associazioni, soprattutto sul tema del possibile
coinvolgimento dei privati nella gestione e/o manutenzione dei parchi cittadini,
la presidente Saggese ha chiarito che la gestione del verde, così come il
servizio di guardiania nei parchi, resteranno integralmente in capo al servizio
pubblico, escludendo ogni forma di privatizzazione o speculazione economica. Ciò
che potrà invece essere oggetto di collaborazione tra pubblico e privato saranno
le attività di manutenzione del verde urbano, sempre senza finalità di lucro e
coerenti con le possibilità offerte dal regolamento sul mecenatismo. “Conclusa
questa fase di ascolto – continua Cristiano –, bisogna aspettare che il
regolamento venga votato per capire se le istanze dei cittadini sono state
ascoltate o meno, in particolare il punto 3 della bozza riguardante la gestione
privata temporanea delle aree verdi che abbiamo chiesto di rivedere”.
Le proposte dei comitati riguardano anche alcune pratiche che in passato hanno
funzionato, come la manutenzione di una parte del verde affidata ai disoccupati
organizzati del progetto Bros, spesso abitanti degli stessi quartieri dove
andavano a intervenire, da cui poi sono stati allontanati e spostati alla
manutenzione stradale fuori città. “Una buona gestione è possibile perché
l’abbiamo vissuta – sostiene Cristiano –. Oltre al progetto Bros, va ricordato
che a oggi circa settecento persone sono state formate per la cura del verde ma
non hanno mai iniziato a lavorare. Una nuova platea di disoccupati per i quali
si è investito in formazione senza un chiaro obiettivo di occupazione. Per
fortuna nell’ultimo incontro con la commissione erano presenti anche loro a
rendere chiaro che oggi ci sono tanto le risorse quanto i lavoratori. Le
pratiche per assumere queste persone non vanno avanti e nemmeno c’è una
richiesta alla regione Campania per riavere i Bros, circa milleduecento persone,
magari per una sperimentazione in alcuni quartieri, un investimento che
porterebbe benefici anche a livello sociale”. (grazia della cioppa)
La Corte suprema di Cassazione ha fatto a pezzi il Decreto Sicurezza di Salvini,
Meloni e Piantedosi. Non una critica, non un appunto. Una demolizione punto per
punto e che getta le basi per la bocciatura definitiva da parte della Corte
Costituzionale. di Angelo Greco da La legge per tutti Un duro colpo per il […]
PRESIDIO DAVANTI AL TRIBUNALE PER L’INIZIO DEL PROCESSO PER L’OPERAZIONE CITY
Tribunale di Torino - Corso Vittorio Emanuele II, 130, 10128 Torino
(giovedì, 3 luglio 09:30)
APPUNTAMENTI DI LOTTA PER L’INIZIO DEL PROCESSO PER L’OPERAZIONE CITY:
Giovedì 3 LUGLIO dalle 9:30
PRESIDIO davanti al TRIBUNALE di Torino
al fianco delle e degli imputatx
Il 4 Marzo 2023 un corteo in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo
Cospito – intrapreso il 17 Ottobre 2022 contro 41 bis ed ergastolo ostativo – ha
attraversato alcune vie della città di Torino.
Un corteo per rispondere alla decisione della corte di Cassazione, che non
esitava a condannare a morte il prigioniero anarchico, dando parere negativo
alla revoca del regime speciale di detenzione.
Un corteo con cui rompere il silenzio di fronte alla repressione, le sue pene
esemplari ed i suoi strumenti di tortura.
Un corteo autodifeso a tutela di chi decideva di attraversarlo con rabbia,
determinazione o anche solo per la necessità di esserci.
Devastazione e saccheggio è il reato che oggi la Procura tenta di utilizzare,
tra gli altri, per portare sul banco degli imputati alcunx compagne e compagni
che quel corteo lo hanno vissuto insieme a tantx altrx.
Il 3 Luglio 2025, a più di 2 anni da quel momento di strada, il Tribunale di
Torino celebra la prima udienza di dibattimento del processo per la cosiddetta
“operazione City”, guidata dall’ex direttore della Digos Carlo Ambra e firmata
dal PM Paolo Scafi.
Eredità del codice penale fascista Rocco, questo reato è sempre più utilizzato
per colpire, non solo momenti di piazza, ma anche e soprattutto lotte e rivolte
all’interno dei centri di detenzione penali e amministrativi. Infatti, l’8
Luglio – pochi giorni dopo l’udienza del processo “City” – lo stesso Tribunale
pronuncerà la sentenza per le rivolte avvenute nell’IPM Ferrante Aporti la notte
fra l’1 e il 2 Agosto 2024. L’inchiesta per quella giornata di rivalsa dei
giovani reclusi del minorile di Torino, diretta dal PM Davide Fratta, vede
imputate 11 persone sempre per il reato di devastazione e saccheggio.
Quelle rivolte, però, che hanno dato non poco filo da torcere
all’amministrazione penitenziaria e reso inagibile buona parte della struttura
detentiva, non possono essere considerate un caso isolato, ma devono essere
ricordate come parte di una stagione di resistenze, proteste e rivolte che ha
infiammato decine e decine di carceri in tutta Italia e che continuano ad
infiammare i centri di detenzione amministrativa.
È ormai più che evidente come i tentativi di procure, legislatori, giudici e
guardie ambiscano a radere al suolo ogni forma di conflittualità, utilizzando
strumenti ereditati dal passato – come le pene da 8 a 15 anni previste per
devastazione e saccheggio – o creandone di nuovi – come nel caso dei decreti e
dei pacchetti sicurezza di Minniti, Salvini e dell’attuale governo.
Un’ambizione, quella di pacificare attraverso la paura della repressione e la
costruzione di nemici interni, più forte man mano che l’escalation bellica
coinvolge sempre più da vicino il nostro paese: un paese complice del genocidio
in Palestina e promotore delle politiche di riarmo europee.
Di fronte a questi attacchi e a politiche repressive sempre più aggressive,
sentiamo di voler tenere stretti gli strumenti di lotta e solidarietà a nostra
disposizione coltivandoli e rilanciandoli, per non rimanere indietro o lasciarci
qualcunx.
Nel silenzio assordante del governo italiano e dell’Unione Europea assistiamo
quotidianamente al massacro in diretta streaming del popolo palestinese.
Nessuna parola di condanna per chi sta commettendo crimini contro l’umanità!
In un momento così complicato, l’Europa ed in primis l’Italia, al posto di
occuparsi ed utilizzare risorse per aumentare e migliorare servizi collegati
all’istruzione, alla sanità pubblica, ai rinnovi dei contratti e di ricerca,
spenderà il 5% del PIL in armamenti!!!
Una decisione scellerata che si tradurrà in un ulteriore impoverimento delle
persone con un aumento ed allargamento dei conflitti mondiali!
Come la FIOM Nazionale anche noi delegati di AVIOAERO Rivalta, non possiamo
restare in silenzio. Il conflitto impoverisce le persone, aumenta le
disuguaglianze e cancella i diritti!
Siamo profondamente preoccupati dal ruolo attivo dell’Italia nel sostenere
l’escalation militare internazionale e denunciamo la totale assenza di una
politica estera autonoma e di pace.
RIBADIAMO IL NOSTRO IMPEGNO A FAVORE DEL POPOLO PALESTINESE, VITTIMA DI UN
GENOCIDIO DA PARTE DELLO STATO DI ISRAELE.
La nostra solidarietà è anche una presa di coscienza: chiediamo con forza la
fine immediata dei bombardamenti e lo stop allo sterminio ed al massacro nei
confronti di bambini, donne ed uomini palestinesi, vittime innocenti di un
conflitto che li sta ignorando in quanto esseri umani.
Come organizzazione sindacale, continueremo ad impegnarci a costruire iniziative
concrete di solidarietà verso il popolo palestinese, coinvolgendo le lavoratrici
ed i lavoratori in azioni reali, visibili, collettive, nel rapporto diffuso con
movimenti e reti pacifiste!
Per tutte queste ragioni e per la consapevolezza della responsabilità storica
alla quale è chiamato il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, ci
batteremo affinché il sindacato torni ad essere una voce collettiva contro la
guerra, il riarmo e l’arretramento democratico con la consapevolezza che solo
l’unità dei lavoratori, a prescindere da nazionalità, lingua e religione, e la
loro lotta può portare alla fine dei conflitti.
L’UMANITÀ COMINCIA DOVE FINISCE L’INDIFFERENZA!
L’ITALIA RIPUDIA LA GUERRA!!!
(ART. 11 della COSTITUZIONE ITALIANA)
RIVALTA, 26/06/2025
RSU/ESPERTI FIOM AvioAero Rivalta