All’alba di questo 18 dicembre 2025 una vasta operazione di polizia ha dato il
via allo sgombero del centro sociale Askatasuna di Torino, in corso Regina
Margherita 47 La Digos …
(archivio disegni napolimonitor)
Verranno al contrattacco con elmi e armi nuove,
verranno al contrattacco, ma intanto adesso
curami. [CCCP]
È il 29 novembre, siamo in piazza a Tunisi con una delle sorelle che ho
disseminato lungo le sponde del Mediterraneo. Camminiamo insieme sul percorso
che da piazza Pasteur taglia la città lungo le sue meridiane fino ad Avenue
Bourguiba, mentre una marea femminista avanza compatta e rumorosa per le strade
che attraversiamo ogni giorno. “La strada appartiene al popolo”, risuona intorno
a noi, e oggi quel popolo ha il volto di donne, militanti storiche e
giovanissime, salde contro un sistema corrotto e patriarcale che le opprime. A
un mese dalla sospensione arbitraria delle sue attività, l’Association
Tunisienne des Femmes Démocrates (ATFD) torna a mobilitarsi e a rivendicare la
fine della violenza e della repressione. Centinaia di persone attraversano il
centro di Tunisi con striscioni e cartelli che denunciano la criminalizzazione
delle attività politiche e civili, la violenza esercitata sulle donne e le
soggettività non conformi, così come reclamano la solidarietà con tutte le
prigioniere di coscienza. In testa al corteo, le storiche militanti dell’ATFD
marciano accanto alle più giovani, intrecciando genealogie di lotta e un
presente in cui la strada torna a essere il luogo da cui si rivendica il diritto
alla vita e all’autodeterminazione.
Il corteo del 29 novembre non è un episodio isolato: si inserisce dentro una
stagione di mobilitazioni che, a partire dalle proteste ambientali di
Gabès iniziate a ottobre e ancora in corso, prova a tessere una risposta
collettiva alla svolta autoritaria del presidente Kais Saied. In queste
settimane, la piazza si è riempita più volte: un corteo femminista ha
attraversato Tunisi anche il 22 novembre, mentre il 6 dicembre la società civile
è tornata in strada per richiedere il rilascio di prigionieri e prigioniere
politiche. Dal luglio 2021, con la sospensione straordinaria del parlamento, lo
scioglimento del governo e la progressiva subordinazione della magistratura
all’esecutivo, Kais Saied ha concentrato nelle proprie mani poteri sempre più
ampi, trascinando il paese in una profonda regressione democratica. Da allora,
un’ondata di arresti arbitrari senza precedenti dalla caduta di Ben Ali ha
travolto oppositori, giornalisti, avvocate, sindacalisti, attiviste. Il numero
di persone imprigionate cresce di giorno in giorno, mentre una calma solo
apparente cela un malcontento diffuso che continua a fermentare in profondità.
Oggi, prendere parte a una manifestazione in Tunisia, come d’altronde esporsi e
schierarsi politicamente, significa prima di tutto mettere a rischio la propria
incolumità.
Quando cala la sera, proprio in quella stessa giornata del 29 novembre, arriva
la notizia che gela la piazza: Chaima Issa, una delle oppositrici più note del
regime, già arrestata nel 2023 e sottoposta a restrizioni che le impedivano
persino di apparire in pubblico, è stata sequestrata da uomini in borghese nel
pieno della manifestazione. Il suo rapimento, che si inserisce nel processo per
complotto contro la sicurezza dello stato che oggi le è costato vent’anni di
carcere, è parte di una repressione sistematica che investe la società civile
tunisina con violenza crescente.
Alle porte di questo inverno, l’aria che si respira in Tunisia è pesante.
Eppure, ridurre a silenzio la massa critica è più difficile di quanto si possa
credere. È proprio qui che un libro come Tunisia in rivolta. Femminismi e
queerness fra strada e cyberspazio di Guendalina Simoncini e Maria Nicola
Stragapede offre un varco. Ricostruendo la lunga storia della resistenza
femminista e queer in questo paese, le autrici mostrano quanto le soggettività
in lotta continuino a reinventare strumenti e spazi di opposizione. Il volume,
di recente pubblicazione, è parte della collana Manifesta di Astarte edizioni
che, sotto la direzione di Renata Pepicelli, propone una lente femminista e
decoloniale sulla storia e l’attualità del Mediterraneo e dell’Asia
sud-occidentale. In questo caso, è la Tunisia stessa a prendere parola.
Attraverso un lavoro di ricerca tanto denso quanto radicato, le autrici mettono
al centro del testo le voci delle donne e delle soggettività non conformi,
intrecciando memoria delle lotte, rotture generazionali e nuove forme di
resistenza. Simoncini, che si occupa di attivismo digitale e linguaggi della
lotta femminista e queer nello spazio mediterraneo, e Stragapede, che studia le
trasformazioni biografiche e politiche di chi ha partecipato alle rivolte del
2010-2011, portano sguardi complementari sulla Tunisia postcoloniale. Forti di
questa complementarità, costruiscono un testo con un duplice obiettivo: da una
parte raccontare a un pubblico italiano la Tunisia contemporanea, senza
semplificarne contraddizioni e ambivalenze; dall’altra, provare a tessere legami
di sorellanza e solidarietà tra le due sponde del Mediterraneo. Tunisia in
rivolta diventa così più di una genealogia dei movimenti femministi e queer: si
fa strumento per ripensare le relazioni tra nord e sud, tra maschile e
femminile, tra chi abita il centro e chi la periferia.
Il libro si muove consapevolmente tra due poli. Da un lato, le storie, le
utopie, le eredità politiche dei movimenti: le biografie di militanti, le
campagne, le rivendicazioni, le fratture interne. Dall’altro, le trasformazioni
intime che l’attivismo porta nella vita delle persone coinvolte: reti di
sorellanza informali, spazi di confronto quotidiano, esperimenti artistici e
digitali che ridisegnano l’immaginario della rivolta. Da una riva all’altra del
Mediterraneo, Tunisia in rivolta ci invita a domandarci come resistere al
presente, a partire da genealogie spesso cancellate o marginalizzate. “La nonna
partigiana ce l’ha insegnato”, scandiamo nelle piazze italiane e sappiamo bene
dove rivolgere lo sguardo quando tempi bui si avvicinano. Il libro restituisce
la memoria negata delle donne tunisine che hanno partecipato ai processi di
indipendenza e di quelle che, più tardi, hanno resistito al femminismo di stato
dei presidenti postcoloniali, indicando una via per l’oggi. Reti e
rivendicazioni dal basso, scioperi, collettivi, riviste: sono questi i fili
che Tunisia in rivolta riannoda, facendo emergere le continuità e le rotture tra
le lotte del Novecento e quelle contemporanee. Dopo aver ricostruito la storia
dei movimenti femminili, femministi e queer dagli anni Venti a oggi, la seconda
parte del volume si concentra su pratiche, metodologie e saperi combattenti:
intersezionalità, cyberattivismo, arte politica.
SPAZI SICURI
Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, la Tunisia è attraversata da una serie
di proteste che portano alla caduta del regime di Ben Ali, al potere da oltre
vent’anni, e che sono ricordate dal popolo tunisino come la Rivoluzione della
Dignità. Da quel momento si assiste a una vera e propria esplosione di
esperienze politiche e culturali che continuano a mescolarsi tra personale e
collettivo, tra eredità dei movimenti storici e rotture generazionali. Emergono
femminismi plurali che, pur in dialogo con il passato, si dichiarano
intersezionali, decoloniali, antirazzisti. Il concetto di intersezionalità, nato
all’interno del femminismo nero negli Stati Uniti negli anni Ottanta, è uno
degli strumenti centrali del libro: permette di leggere come le diverse forme di
discriminazione – di genere, classe, razza, orientamento sessuale – si
intreccino nella vita delle persone. Nel corso dei decenni, il dibattito tra i
diversi femminismi globali ne ha allargato lo sguardo, portando alla luce nuove
linee di oppressione e di alleanza.
Nel rivendicare questo posizionamento, i movimenti tunisini mostrano una
capacità di intreccio e contaminazione che affonda le radici nelle lotte per
l’indipendenza e che oggi si rinnova nei conflitti contro la stretta autoritaria
e la precarietà imposta dal regime. A quasi quindici anni dalla rivoluzione, la
svolta repressiva del presidente Saied rende evidente quanto sia difficile
immaginare luoghi pienamente sicuri. Gli spazi e gli strumenti di lotta non sono
più soltanto fisici, ma si estendono al digitale, dove chi fa attivismo
femminista e queer sfida censura, sorveglianza e violenza online. In un contesto
in cui nessun luogo è davvero al riparo, né la piazza né le piattaforme
digitali, né le case né gli spazi associativi, chi milita preferisce parlare di
safer spaces: contesti che non negano il rischio, ma provano a ridurlo e a
redistribuirlo attraverso pratiche di cura reciproca e responsabilizzazione. Le
voci raccolte nel libro ricordano che non può esistere uno spazio davvero sicuro
finché il sistema patriarcale, capitalista e coloniale resta intatto; il senso
diventa allora costruire dei margini di respiro dentro un mondo insicuro. In
Tunisia, questo discorso pesa ancora di più: la comunità femminista e queer è
esposta in modo specifico alla violenza di genere e alla discriminazione
istituzionale, tanto nello spazio digitale quanto per strada, soprattutto quando
entra nelle maglie del sistema giudiziario e carcerario.
Non è un caso, inoltre, che in copertina compaia il teatro municipale di Tunisi,
scenografia storica delle mobilitazioni popolari su Avenue Bourguiba fin dai
giorni della Rivoluzione della Dignità: la strada “dove tutto succede” incontra
la scena. Attraversato da figure intente a graffitarne le mura, il teatro
richiama le forme di arte urbana che dalla rivoluzione in poi hanno dato corpo e
colore alle pulsioni di cambiamento. Nel capitolo sui “linguaggi artistici della
protesta”, il libro dedica ampio spazio ai muri femministi di Tunisi e all’arte
dei corpi in scena, mostrando come questa possa diventare una delle principali
forme di agency politica nella Tunisia contemporanea. Uno degli elementi più
preziosi del volume sta inoltre nella struttura: gli intermezzi che punteggiano
i capitoli – manifesti, riflessioni, raccolte di graffiti – sono traduzioni e
montaggi di materiali prodotti all’interno del movimento tunisino. Attraverso un
lavoro di traduzione accurato, le autrici, in dialogo con Gemma Baccini e Luce
Laquaniti, offrono al pubblico italiano accesso diretto ad alcuni dei testi più
vivi delle lotte in corso, trasformando il libro in un dispositivo corale in cui
la voce delle ricercatrici dialoga continuamente con quella di attiviste,
giornaliste e artiste. Questa coralità è il risultato di una precisa scelta
metodologica: Simoncini e Stragapede si interrogano su cosa significhi oggi fare
ricerca “con le altre” e non soltanto “sulle altre”. L’approccio decoloniale
orienta la scrittura e si traduce in scelte che attraversano e costruiscono il
testo stesso: le autrici riflettono sulla propria posizione di ricercatrici
italiane che hanno vissuto e studiato la Tunisia, lasciando spazio alle voci e
alle storie del paese, come nella prefazione firmata da Henda Chennaoui,
fondatrice della prima scuola femminista intersezionale dedicata a Lina Ben
Mhenni.
Il libro non si esaurisce sulla carta. La presenza di qr code che rimandano a
podcast, video, articoli e materiali d’archivio amplia l’orizzonte, rafforzando
il legame tra pagina, strada e cyberspazio. Il linguaggio resta accessibile
senza rinunciare alla complessità. In questo modo il volume si propone
apertamente come strumento nelle mani del pubblico italiano per costruire ponti
di solidarietà consapevole, nella piena coscienza delle lotte condivise e dei
privilegi che ci attraversano in modo asimmetrico. Di fronte a un Mediterraneo
attraversato da muri, respingimenti e nuove forme di fascismo, Tunisia in
rivolta ci chiede cosa significhi davvero essere solidali, oltre che sorelle,
oggi: qual è il nostro posto al fianco delle altre? Che cosa ci insegnano i
femminismi e le queerness tunisine alle porte di quello che anche per noi sembra
essere un lungo inverno? La risposta sembra trovarsi tra le pagine conclusive
del libro, nelle quali la tenerezza assume una dimensione esplicitamente
politica e radicale. Ricorre, tra i muri di Tunisi e le immaginazioni
mediterranee, l’idea che solo con rabbia e tenerezza ci possiamo salvare, solo
rendendo collettivo il cuore possiamo resistere al presente. “Rendete collettivo
il cuore, di modo che si apra e non si spezzi. Che contenga il dolore del e nel
mondo, senza anestetizzarsi e senza esserne divorato”. (matilde collavini)
Playlist:
DEXTER JOHNSON -AMINATA
ORCHESTRE LAYE THIAM-MASSANI CISSE’
AMARA TOURE’-TEMEDY
STAR NUMBER ONE DE DAKAR-YAYE BOY
ORCHESTRA BAOBAB-EL SON TE LLAMA
SUPER CAYOR DE DAKAR-DEGOO
LE SAHEL-SUNU MUSIC
ORCHESTRA BAOBAB-KELEN ATI
LES AMBASSADEURS DU MOTEL DE BAMAKO-GET UP JAMES
GABO BROWN & ORCHESTRE POLY-RYTHMO-IT’S A VANITY
AMADOU BALLAKE ET SUPER VOLTA-BAR KONOU MOUSSOU
ROB-BOOGIE ON
“Assalto alle piattaforme” è il libro di Kenobit, uscito settimana scorsa per
Agenzia X. https://agenziax.it/assalto-piattaforme
Di sperimentazioni come queste ne sentivamo il bisogno e ci piace leggere la
testimonianza diretta da un artista che nei social c’è cresciuto e ad
oggi condivide una visione mondiale di “via d’uscita”.
O come dice lui nella sua newsletter:
Parla del rapporto tossico che abbiamo con le piattaforme commerciali,
analizza i meccanismi che ci rubano il tempo, racconta il grande inganno della
content creation e propone un percorso concreto per smettere di sostenere il
capitalismo digitale e rivendicare una dimensione online che non inquini il
mondo e le nostre vite. È frutto di due anni di sperimentazione (cominciati
proprio qui, sulla Settimana Sovversiva), tecnologica e umana, e spiega nel modo
più semplice possibile le alternative e le pratiche che possono liberarci.
Se volete il libro è anche “in ascolto” a puntate sul Castopod di Kenobit
stesso.
https://podcast.kenobit.it/@assaltoallepiattaforme
La soluzione comprende la convergenza e federazione di chi crea e legge
contenuti sul protocollo Activity pub, e la presa di responsabilità del proprio
hosting, da sole o in compagnia. Va bene, se non ne avete mai proprio sentito
parlare, un introduzione all’argomento può essere questo video:
https://videos.elenarossini.com/w/petiQESS6xH5B68Pysqfug
Visto che le tecnologie federate ci piacciono, in quanto danno un potere di
scelta alle persone, da uno dei nostri servizi è possibile integrarsi. Infatti
da NoBlogs è possibile pubblicare sul Fediverso e partecipare a queste nuove
reti sociali (opt-in), se ti interessa leggi qui e qui. Ugualmente è possibile
rimanere “non-correlati”, fuori dal fediverso, e per entrambe le scelte:
NoBlogs non conserva i Log di chi vi legge!
La Casa Bianca ha pubblicato, qualche settimana fa, la sua strategia per la
sicurezza nazionale, un documento elaborato da ogni amministrazione
presidenziale statunitense per definire le priorità della politica estera. Il
documento statunitense delinea la visione del mondo “America First” del
presidente degli Stati Uniti Donald Trump e ha un tono insolitamente critico nei
confronti dell’Europa.
Abbiamo chiesto a Francesco Dall’Aglio, medievista, ricercatore presso
l’Istituto di Studi Storici dell’Accademia delle Scienze di Sofia un commento al
piano strategico di Trump. Nell’approfondimento, ci facciamo anche raccontare le
dimissioni del governo in Bulgaria e lo stato dei negoziati di pace tra Russia e
Ucraina.
PRESIDIO "LA RESISTENZA NON SI PROCESSA"
Piazza Castello - Torino - Torino, piazza Castello, di fronte alla Prefettura
(mercoledì, 17 dicembre 18:30)
PRESIDIO "LA RESISTENZA NON SI PROCESSA"
LIBERTÀ PER ANAN, ALI, MANSOUR, MOHAMED SHAHIN, AHMAD SALEM E TAREK
PREFETTURA DI TORINO
MERCOLEDI 17 DICEMBRE
18H30 PRESIDIO
In vista dell’udienza finale del processo nei confronti di Anan, Ali e Masour,
che si terrà il 19 dicembre al tribunale dell’Aquila, rispondendo alla chiamata
alla mobilitazione da parte del comitato @free_anan il movimento per la
Palestina libera scende nuovamente in piazza anche a Torino per chiedere la
liberazione immediata di Anan, Ali e Mansour e di tutti i prigionieri dello
stato italiano per il loro sostegno alla causa palestinese: Mohamed Shahin,
Ahmad Salem e Tarek Dridi.
Da due anni Anan Yaeesh si trova nelle carceri italiane su richiesta del governo
di Israele: lui, Ali Irar e Mansour Doghmosh stanno subendo un processo che
dimostra ancora una volta la collaborazione dello stato italiano col sionismo in
complicità nel genocidio tutt'oggi in corso e nella criminalizzazione della
legittima resistenza palestinese ancora più a seguito dell'applicazione del
piano-Trump di falsa "pace" e della visita dal capo del consiglio dei ministri
Meloni del collaborazionista Abu Mazen (capo della nazionalista Anp) nel ritrovo
ad Atreju del partito di governo Fratelli d'Italia.
Nella scorsa udienza presso il tribunale dell'Aquila, l’accusa ha chiesto 12
anni di carcere per Anan, 9 per Ali e 7 per Mansour.
Tarek Dridi si trova nel carcere romano di Regina Coeli per aver partecipato
alla manifestazione del 5 ottobre dell’anno scorso ed è stato condannato a 4
anni e 8 mesi con rito abbreviato il 14 aprile.
Ahmad Salem, attualmente nel carcere di Rossano Calabro (CS), è accusato di
“terrorismo della parola” solamente per aver pubblicato un video in cui esortava
i palestinesi e gli arabi in Cisgiordania e in Libano ad agire per Gaza.
Mohamed Shahin è stato prima arrestato in Piemonte e poi rinchiuso in Sicilia
fino a pochi giorni fa nel Cpr di Caltanissetta: oltre alla revoca del permesso
di soggiorno, il ministero dell’interno ha imposto su di lui un decreto di
espulsione che comporta il rischio di essere deportato in Egitto, dove l’imam di
Torino è noto come dissidente del regime collaborazionista di Al-Sisi.
(disegno di otarebill)
Da lunedì 15 dicembre è in libreria a Napoli,
e nei prossimi giorni nelle altre principali città italiane,
il numero 15 (dicembre 2025) de Lo stato delle città
INDICE:
Rivelazioni
di Giovanni Iozzoli
All’osteria del Vaticano
di Stefano Portelli
Ribaltare lo stigma
di Andrea Bottalico e Giuseppe D’Onofrio
Voglia di uccidere
di Maurizio Braucci
Quasi una storia di vita. Intervista a Luisa Passerini
di Luca Rossomando e Barbara Russo
Motel Agip occupato
di Francesca Ferrara
La città come albergo.
Studentati di lusso e nuova rendita urbana
di Chiara Davoli
Benedette betoniere!
Ciampino e l’impatto del Giubileo
di Lorenzo Natella
L’attacco al parco del Meisino.
Una resistenza ecologista a Torino
di Alessandra Ferlito
Alexanderplatz, auf wiedersehen!
di Ginevra Kaliflower
Religione, femminismo, emancipazione.
Due studentesse musulmane a Napoli
di Emma De Simone
Diagnosi, malattia, normalità. Una lettera solo per te
di Sirya Micera
Lotte ambientali e difesa della cultura aborigena in Australia
di Stefano Portelli
Ritorno a Mariana, un crimine lungo dieci anni
di Giuseppe Orlandini
La città dei bambini di La Paz
di Sara Provenzano
Un traditore ad Algeri. Viaggio sulle tracce di Fernand Iveton
di Francesco Migliaccio
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copertina: Otarebill
illustrazioni: Marta Fogliano
disegnini: Federica Pagano
progetto grafico e impaginazione: roberto-c.
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LO STATO DELLE CITTÀ lo trovate a (elenco in aggiornamento):
NAPOLI
Dante & Descartes, piazza del Gesù, 14
Ubik, via Benedetto Croce, 28
Tamù, via Santa Chiara, 10
Perditempo, via San Pietro a Majella, 8
L’ibrido, via Nilo, 29
Il fuori orario, via Giusso, 5
TORINO
Libreria Comunardi, via S. Francesco da Paola, 6
Golem, via Gioacchino Rossini, 21/c
Oppure potete acquistarlo cliccando qui sotto:
(le spedizioni, incluse nel prezzo di copertina, sono effettuate con
raccomandata tracciabile di Poste Italiane)
scegli destinazione / formato italy 15,00 € EURother country 20,00 € EURpdf 5,00
€ EUR
Nonostante il rifiuto della giustizia francese all’estradizione verso l’Ungheria
di Orbán, il militante antifascista italo-albanese è stato arrestato su mandato
tedesco. Il rischio è che il procedimento riparta da capo.
da Osservatorio Repressione
Rexhino «Gino» Abazaj, militante antifascista italo-albanese di 33 anni, è stato
nuovamente arrestato a Parigi nella serata del 16 dicembre. A darne notizia è
stato il Comitato di solidarietà per gli arrestati di Budapest, secondo cui
Abazaj è stato fermato e trattenuto dalla Sdat, la sottodirezione antiterrorismo
della polizia francese. L’arresto riapre un caso che sembrava chiuso appena
pochi mesi fa, quando la giustizia francese aveva respinto in via definitiva la
sua estradizione verso l’Ungheria di Viktor Orbán.
Secondo il Comitato, Abazaj rischia ora «di essere estradato verso l’Ungheria»,
in violazione della decisione presa lo scorso aprile dalla Corte d’appello di
Parigi. Nella mattinata del 17 dicembre l’attivista è stato ascoltato dai
giudici della stessa corte, mentre all’esterno del tribunale si è svolto un
presidio di solidarietà.
Il precedente rifiuto dell’estradizione
Abazaj è coinvolto nello stesso procedimento che ha portato all’arresto e alla
lunga detenzione dell’attuale europarlamentare Ilaria Salis. I fatti contestati
risalgono al febbraio 2023, quando a Budapest si svolsero le manifestazioni
antifasciste contro il cosiddetto Giorno dell’onore, un raduno annuale
neonazista che celebra soldati tedeschi e ungheresi sconfitti dall’Armata Rossa
durante la Seconda guerra mondiale. Per quegli eventi la giustizia ungherese ha
colpito almeno 17 militanti antifascisti in tutta Europa, tra cui Salis e la
cittadina tedesca Maja T.
Abazaj era stato arrestato una prima volta nel novembre 2024 a Parigi, dopo
essere fuggito dalla Finlandia, dove viveva dal 2015. In precedenza, infatti,
Helsinki aveva accolto una richiesta di estradizione avanzata da Budapest e
l’attivista si era trovato agli arresti domiciliari. «Mi sono trovato davanti a
un dilemma: o spezzare l’anello elettronico e trovare rifugio altrove, o
aspettare che la polizia di Orbán bussasse alla mia porta», aveva raccontato in
un’intervista concessa a il manifesto mentre era detenuto nel carcere di
Fresnes, nella banlieue parigina.
Dopo l’arresto in Francia, Abazaj aveva trascorso quattro mesi in carcere prima
di essere liberato e posto ai domiciliari. L’8 aprile 2025 la Corte d’appello di
Parigi aveva infine respinto definitivamente la richiesta di estradizione
ungherese, ordinandone la liberazione e la revoca di tutte le misure cautelari.
Nella sentenza, i giudici avevano riconosciuto il rischio concreto di
«trattamenti disumani e degradanti» nelle carceri ungheresi e denunciato
«défaillances sistemiche» riguardanti l’indipendenza del potere giudiziario in
Ungheria.
Per motivare il rifiuto, la Corte aveva citato esplicitamente il caso di Ilaria
Salis e le «misure di sicurezza estreme» applicate nei suoi confronti, giudicate
«sproporzionate rispetto all’entità dei fatti contestati». Una decisione accolta
come una vittoria politica e giuridica dagli avvocati di Abazaj, dagli ambienti
antifascisti e da numerosi osservatori internazionali, alla luce delle ripetute
denunce mosse contro il sistema giudiziario ungherese da ong e dallo stesso
Parlamento europeo.
Il nuovo mandato d’arresto tedesco
Il nuovo arresto di dicembre avviene però in un contesto diverso. Come spiegato
a Domani dal suo avvocato francese, Youri Krassoulia, questa volta il fermo è
stato eseguito sulla base di un mandato d’arresto europeo emesso dalla Germania,
sempre in relazione ai fatti di Budapest del 2023. «È un arresto molto
sorprendente», ha dichiarato il legale, «soprattutto alla luce della pronuncia
della Corte d’Appello dello scorso aprile».
Nei prossimi giorni il tribunale dovrà decidere se mantenere Abazaj in custodia
cautelare o rilasciarlo. Il 24 dicembre è invece prevista l’udienza decisiva
sulla possibile estradizione in Germania. Un’eventuale consegna alle autorità
tedesche, spiega l’avvocato, farebbe ripartire da capo il procedimento di
estradizione verso l’Ungheria, aggirando di fatto la precedente decisione della
giustizia francese.
Un clima repressivo sempre più ampio
Il caso di Abazaj non è isolato. Negli ultimi mesi le autorità francesi hanno
intensificato i controlli e i provvedimenti nei confronti di militanti
antifascisti, in particolare italiani. A novembre la disegnatrice Elena
Mistrello è stata espulsa dalla Francia mentre si recava a Tolosa per un
festival di fumetti, ritenuta un pericolo per l’ordine pubblico per aver
partecipato nel 2023 a una commemorazione parigina di Clément Méric, giovane
antifascista ucciso da estremisti di destra.
Episodi simili hanno riguardato anche altri attivisti, sottoposti a controlli
prolungati alle frontiere, interrogatori e minacce di espulsione pur in assenza
di procedimenti giudiziari a loro carico.
In questo contesto, reti e collettivi come Free All Antifà hanno annunciato
l’avvio di una mobilitazione permanente per chiedere la liberazione di Abazaj e
di tutti gli antifascisti colpiti dalla repressione giudiziaria in Ungheria e in
Europa. «Deportazione e segregazione sembrano essere le caratteristiche
irrinunciabili della nuova Europa di guerra», si legge in uno dei comunicati.
«Se l’Europa chiede la mobilitazione, mobilitazione avrà».
Ieri mattina una maxi-operazione interforze disposta dalla prefettura ha
impiegato quasi 250 uomini delle FFOO per effettuare 2 arresti e controllare
oltre 600 persone, quasi per la metà di origine non italiana. L’iniziativa, che
segue quelle messe in campo nei quartieri Giambellino e San Siro, ha avuto per
epicentro via Quarti a Baggio.
Decine di perquisizioni e denunce, una ventina di alloggi popolari sgomberati,
utenze tagliate a centinaia di persone abitanti nei caseggiati (in molti casi
famiglie con minori a carico) che in piena stagione fredda si ritrovano senza
elettricità né gas. Con l’occasione di un intervento su spaccio e altre ipotesi
di reato si reprime una comunità vessata da vuoto di politiche pubbliche,
diritto all’abitare negato e incuria del patrimonio. Mercoledi pomeriggio è
confermata dalle 16.30 la “festa” di natale in via Quarti. Giovedì mattina alle
8 il presidio a tutela della famiglia palestinese abitante in via Quarti 28.
La corrispondenza con Gianluca abitante di Baggio Ascolta o scarica
da Radio Onda d’Urto
Nonostante il rifiuto della giustizia francese all’estradizione verso l’Ungheria
di Orbán, il militante antifascista italo-albanese è stato arrestato su mandato
tedesco. Il rischio è che il procedimento riparta da capo. …
Estratti dalla puntata del 8dicembre 2025 di Bello Come Una Prigione Che Brucia
PRISONERS FOR PALESTINE
Prosegue lo sciopero della fame, entrato in fase critica, mentre si moltiplicano
le azioni di pressione su rappresentanti politici e ministero della giustizia.
Mentre Prisoners for Palestine lottano con i propri corpi nelle carceri, nuovi
scandali coinvolgono Elbit Systems:
Aggiornamenti urgenti:
Nel pomeriggio di martedì 16 dicembre 2025, apprendiamo di un incatenamento
davanti all’ingresso della televisione di stato ceca (Ceska Televize) come
pressione affinché si tratti dello sciopero della fame nelle carceri
britanniche, a maggior ragione visto che Jon Cink è formalmente cittadino della
Repubblica Ceca.
Nelle prime ore del 17 dicembre 2025 apprendiamo che le condizioni di salute di
Qesser Zuhrah sono precipitate: dopo essere collassata nei giorni scorsi
continua a lamentare forti dolore al petto e – nonostante ripetute richieste di
trasferimento in ospedale nel corso della notte – le autorità del carcere
privato di Bronzfield (gestito da Sodexo) rifiutano il suo ricovero. Dal mattino
sono in corso presidi sotto le carceri e al ministero.
Link al documentario di Declassified UK sulla base RAF di Akrotiri e il suo
ruolo nel genocidio a Gaza
Vi segnaliamo anche una significativa intervista a Qesser Zuhrah
CYBERSICUREZZA E GUERRA IBRIDA
Torniamo a parlare di cybersicurezza, commentando il documento del ministro
della sicurezza Crosetto “Il contrasto alla guerra ibrida: una strategia
attiva”. Oltre che a contenere indicazioni operative sulla guerra d’informazione
algoritmica, il documento dipinge una società perennemente minacciata dove la
sovranità nazionale si estende alle menti della popolazione.
Secondo il ministro Crosetto bisogna quindi superare la “visione binaria
pace-guerra”, producendo una società che sia costantemente immersa nello spettro
della minaccia e del conflitto.
Non-paper di Crosetto
Analisi ISPI su guerra ibrida e resilienza
Analisi della NATO Foundation sul “Cognitive Battlefield”
INTELLIGENZA ARTIFICIALE: CONTROLLO DIDATTICO E AUTOMAZIONE DELLA SCUOLA
La digitalizzazione dell’esperienza umana ha raggiunto, con lo sviluppo
dell’intelligenza artificiale, nuove frontiere di estrazione di profitto dai
dati, estendendosi alla simulazione e sostituzione delle relazioni umane, come
ad esempio quelle di cura ed educative.
Ma che tipo di umanità é disposta ad accettare una macchina come insegnante?
Commentiano insieme ad uno dei promotori l’appello “I.A. Basta” che propone a
docenti, genitori, allievi e allieve una critica all’adozione calata dall’alto
dell’intelligenza artificiale istituzionalizzata nelle scuole.
LEGGI L’APPELLO I.A. BASTA
AGGIORNAMENTO E SALUTO DI GABRIEL POMBO DA SILVA
Riceviamo un saluto e degli aggiornamenti dal compagno anarchico Gabriel Pombo
da Silva
UNA COMPAGNA NELL’OMBRA
Ricordiamo la compagna Gabriella Bergamaschini grazie al contributo di compagne
e compagni del biellese e di Milano:
RIOT ON SUNSET STRIP – PUNTATA DEL 16 12 2025
La macchina del tempo e dello spazio blackoutiana, a zonzo per gli anni ’60, in
particolare il periodo 66-68; ma con uno sguardo anche al revival psichedelico
degli anni ’80 e nuove proposte in tema, in viaggio con Paul Magoo, Maurizio e
DJ Arpon.